Alberto Clementi |
Intanto che si cerca di sedimentare l’insieme dei principi del Sustainability Sensitive Urban Design, le sperimentazioni si moltiplicano in numerose città, soprattutto in quelle che vantano tradizioni di maggiore consapevolezza rispetto alle questioni ambientali. Si sta dando vita a un robusto corpo di esperienze sul campo, in rapida evoluzione. E si offre di conseguenza l’occasione per un apprendimento comune sulle potenzialità e i limiti di questa nuova cultura, i cui risultati condurranno probabilmente a ridefinire non solo il campo di operabilità della nozione di sostenibilità, ma il suo stesso significato teorico.
Del resto, come sostiene Bidou, “lo sviluppo sostenibile non è un concetto irrigidito, ben definito, ma un modo di pensare, appropriato per immaginare collettivamente il mondo di domani. Un movimento comparabile con l’illuminismo del XVIII secolo, al quale ciascuno può apportare la propria impronta”.
In questo movimento contano le elaborazioni teoriche, il sapere tecnico, ma altrettanto importanti sono le pratiche sociali fondate sui reali comportamenti d’uso, e sulle disponibilità a interiorizzare individualmente valori della sostenibilità.
Dando dunque per scontato che lo sviluppo sostenibile non sarà l’esito di un approccio dettato dalla tecnica o dalle ragioni settoriali che presiedono al risparmio energetico, piuttosto che alla sostituzione delle fonti energetiche o al riciclo delle acque usate, resta comunque il problema di cogliere il senso del mutamento in atto nelle culture della progettazione che prendono sul serio il tema della sostenibilità.
Dopo aver dato conto dell’esperienza di Londra, che in occasione delle prossime Olimpiadi si candida autorevolmente a capitale europea della sostenibilità, in questo numero di EWT vengono riportate alcune esperienze in atto negli USA. In particolare Mosè Ricci descrive le innovative strategie adottate per risollevare una grande company town industriale come Detroit, rianimandola dallo stato di profondo degrado in cui è sprofondata a causa della gravissima crisi dell’industria automobilistica americana....leggi tutto
Riciclare città e paesaggi. Mosè Ricci |
Tutto è cominciato a Detroit. O, meglio, tutto è ri-cominciato a Detroit solo pochi anni fa’, alla fine del secolo scorso. Con la crisi dell’economia che l’aveva generata la più importante città fordista ha dovuto porsi il problema della sua sopravvivenza e del suo destino. E’ passata in pochi anni da 1.850.000 a 740.000 abitanti. Ha demolito più di 2000 edifici. La desolazione del centro in un’area di circa 8 miglia di raggio è drammaticamente evidente. Detroit è la Pompei del capitalismo manifatturiero americano, con più di 320.000 posti di lavoro persi negli anni 2001-2008 e con un abbandono di circa il 57% della popolazione dal 1970 e del 25% negli ultimi dieci anni. Charles Waldheim, ora chair di paesaggio a Harvard, con Georgia Daskalakis e Jason Young aveva capito subito che a Detroit stava succedendo qualcosa di decisivo per il futuro della città e dell’urbanistica, e dal 2001 ha cominciato a raccontarlo in presa diretta.
A 10 anni di distanza Detroit sta trovando, lentamente, un’altra dimensione. Oggi il migliore itinerario di visita della città si chiama Cloudspotting Detroit, Best Places for Viewing the Sky ed è promosso dalla Pubblica Amministrazione. Malgrado il suo nome questo giro accompagna il turista (meglio se in bicicletta) nei posti che è interessante visitare, quelli che vale la pena di venire a vedere a Detroit. Non sono tanti. Solo 31 places of interest per la undicesima città americana una ex (?) metropoli di 900 mila abitanti nell’area urbana (erano due milioni negli anni ’50). La cosa importante è che molti tra i primi sedici luoghi cospicui della città sono, come li chiamerebbe Alan Berger, drosscapes e altri sono evanescenti. Aree demolite, parchi potenziali, tombini fumanti di calore sotterraneo, grandi edifici pubblici abbandonati, mercati di cose usate e del baratto, villini vittoriani riconquistati dalla natura, case occupate dagli squatters, infrastrutture rinaturalizzate, quartieri abbandonati che diventano il luogo di installazioni artistiche … Nuvole di polvere, di vapore o di sapori che prendono il posto delle attrazioni urbane tradizionali (architetture, musei, librerie, perfino i negozi di base non ci sono più a Detroit) e riconsegnano i ruderi della città fordista alla narrazione e alla natura trasformando Detroit nella prima post-metropoli. .... ..leggi tutto
Numbers. Chiara Rizzi |
Bodie, California 1987. Città mineraria, diventata una delle ghost town più famose degli Stati Uniti, dichiarata National Historic Landmark nel 1961 e parco storico l’anno successivo, si trasforma nel set fotografico dell’album The Joshua Tree degli U2. Sospesa in uno stato di arrested decay la cittadina, che negli anni più fiorenti ha ospitato fino a 10.000 abitanti, è meta di circa 200.000 visitatori l’anno.
Quella di Bodie è una storia che racconta molto delle trasformazioni urbanistiche degli Stati Uniti, ma non solo.
Spopolamento e nuova urbanizzazione sono due facce dello stesso fenomeno.
Nel 2010 l’82% della popolazione statunitense viveva nelle città, si stima che nel 2050 la percentuale salirà al 90%.
Secondo il Census Bureau le aree urbane hanno subito un incremento del 13% dal 1990 al 2000 e nel 2002 circa il 3% dell’intera superficie degli Stati Uniti risultava urbanizzata. Dal 1945 al 2002 le aree urbane sono quadruplicate passando da 15 milioni a 60 milioni di ettari, mentre nello stesso periodo la popolazione degli Stati Uniti è quasi raddoppiata. Le aree urbane sono cresciute ad un ritmo quasi doppio rispetto al tasso di crescita della popolazione.
Durante gli anni ’70, per la prima volta l’impronta ecologica del pianeta ha superato la sua biocapacità. In altre parole dagli anni ’70 in poi si è affermato un trend secondo il quale l’umanità ha iniziato a consumare. ...leggi tutto
High Line, paesaggio urbano e rigenerazione ecologica a Manhattan. Carlo Gasparrini |
Ciò che sta accadendo in questi anni nel quartiere di Chelsea a Manhattan attorno alla High Line è emblematico di una traiettoria molto distante dal rifiuto lecorbuseriano della “griglia”, dalla tabula rasa e dalla sua pretesa di radicale trasformazione in omaggio ad un modello ritenuto l’unico possibile; come anche dalla fascinazione koolhaasiana di una fertile competizione tra i frammenti urbani e dalla capacità felicemente onnivora del grattacielo anche nei confronti dello spazio pubblico. E’ una traiettoria che fa invece i conti con le interferenze sollecitate da preesistenze “impreviste” e con le domande di storicizzazione della città moderna e contemporanea emergenti anche nell’incessante ricostruzione di Manhattan. Ma soprattutto trae alimento dalla possibilità che nuove forme dello spazio aperto possano produrre una rivisitazione delle tradizionali regole competitive dei singoli lotti della “griglia” all’interno di un sistema di relazioni morfologiche ed ecologiche capaci di sollecitare modalità inusuali di costruzione tridimensionale nella “griglia”.
L’interazione tra grandi spazi aperti, rigenerazione ecologica e architettura della città è un tema che ha una centralità indiscutibile nell’esperienza urbana di New York. Dopo la costruzione della pausa risarcitoria del Central Park, la speculazione teorica e l’esperienza sugli spazi aperti nel Novecento ha progressivamente esplorato visioni e pratiche innovative sui modi e le forme della costruzione urbana. In questo senso, il riverfront di New York, ad est ma soprattutto ad ovest di Manhattan, è sempre stato uno dei laboratori più interessanti e controversi di progettazione. La straordinaria “modernità” della Henry Hudson Parkway - l’autostrada distesa sulla riva occidentale di Manhattan, progettata e realizzata da Robert Moses negli anni ‘30 nel West Side di Manhattan per connettere Manhattan e il Bronx all’Hudson River Valley - costituisce un riferimento oramai consolidato per l’immaginario progettuale dei paesaggi infrastrutturali nella città esistente. ...leggi tutto
Raccontare Manhattan passeggiando sulla High Line. Valeria Sassanelli |
Con l’apertura del secondo tratto, lo scorso 8 giugno 2011, sono ormai completi i due terzi dell’intero percorso della High Line di Manhattan, parco lineare e nastro aereo che scorre a dieci metri dal suolo attraversando, come una sottile melodia, il quartiere di Chelsea da sud a nord, parallelamente al fiume Hudson. Realizzato sulla struttura della linea ferroviaria per il trasporto merci West Side Freight Railroad (comunemente chiamata High Line) costruita negli anni Trenta e dismessa nel 1980, questo parco contemporaneo si colloca in un più ampio processo di evoluzione e cambiamento della città di New York che trova i suoi punti cardine nella riqualificazione dei waterfront e nella strategia “verde” dell’attuale Amministrazione. A West Chelsea la modifica dello strumento urbanistico (lo Special West Chelsea Distric Rezoning del 2005) rafforza e affianca un processo spontaneo di rifunzionalizzazione e riqualificazione degli edifici post-industriali avviatosi già a partire dagli anni Novanta in cui una confluenza di interessi culturali ed economici si era concentrata su questo distretto, trasformandolo fisicamente ma soprattutto funzionalmente in uno spazio di frontiera, sospeso tra dinamiche di riuso e abbandono. Nei distretti di Meatpacking, West Chelsea, e Hell’s Kitchen/Clinton, i magazzini, i mattatoi e le fabbriche che hanno costituito le funzioni dominanti nel Ventesimo secolo (legate da un sistema infrastrutturale dedicato che comprendeva la HL e i moli per l’attracco delle navi sul fiume Hudson), sono oggi convertiti in gallerie d’arte (oltre 200 fra la 19esima e la 24esima strada), studi di architettura, negozi, ristoranti, musei, teatri, alberghi e abitazioni. Chelsea ha oggi la capacità di attrazione che ebbero in passato Soho e Tribeca. Pioniera di questo cambiamento è stata la nota galleria DIA, nata a Chelsea nel 1987 e trasferitasi a Beacon nel 2004, oggi di nuovo presente a Chelsea.
L’esperienza della HL è figlia di questo processo di cui è il fiore all’occhiello ma allo stesso tempo è motore di una nuova fase. Essa infatti costituisce non solo un elemento di riqualificazione e riappropriazione ...leggi tutto
ReCycle Columbus. Kay Bea Jones |
IL CASO DI COLOMBO
I figli del baby boom americano sono cresciuti credendo che fu Cristoforo Colombo a scoprire l’America. Il potere di questo mito resiste anche nella capitale dello Stato dell’Ohio, sua omonima. Columbus, Ohio non è la città più antica né la più popolosa di uno Stato che ha fornito ben 8 presidenti americani; uno Stato che ha favorito lo sviluppo agricolo ed industriale del 19° secolo in America. Columbus può essere annoverata tra le città più prosperose del Midwest come Detroit, Pittsburgh, Cleveland, Cincinnati, Toledo e Indianapolis, che ora cercano di emergere da un passato industriale. Ma Columbus è unica tra di loro con una identità più fluida e aperta ad un perpetuo reinventarsi. Non legata a specifici capitali industriali o dinastie familiari, Columbus è un prodotto a prova di mercato, apprezzata per il suo omogeneo campione demografico. La città non può vantare delle monumentali qualità paesaggistiche o delle caratteristiche fisiche che qualificano una città costituita da un milione e mezzo di residenti. Invece l’Amministrazione, l’Università, le banche e le assicurazioni sono i settori dominanti della sua economia e continuano ad attrarre persone.....leggi tutto
Toronto. Infrastrutture e paesaggio per una nuova ecologia urbana. Jeanette Sordi |
Toronto (Canada) si trova sulla costa nord-occidentale del lago Ontario, il più orientale dei Grandi Laghi. La città di Toronto, insieme a Chicago, Detroit, Cleveland, Hamilton, è stata uno dei poli più importanti della "Manufacturing Belt". Così era infatti chiamata la regione che circondava i Grandi Laghi e che, con l’attività di trasformazione delle materie prime e produzione industriale spinse, nel XIX secolo, l’espansione degli Stati Uniti verso ovest. Per circa un secolo la regione ha attratto milioni di migranti dall’Europa e dagli Stati del Sud, catalizzato capitali e dominato i mercati interni e stranieri (Ford e General Motors le più note). Il picco della produttività e ricchezza della regione fu raggiunto durante la II Guerra Mondiale, ma pochi anni dopo, l’apertura dei mercati globali e la defiscalizzazione dei prodotti di importazione, ne segnarono il futuro. La produzione automobilistica, metallurgica e chimica fu spostata nel sud-est asiatico. In pochi anni la “Manufacturing Belt” si trasformò in una “Rust Belt”.
Il decentramento dell’attività produttiva portò a un esaurimento delle risorse economiche e a una forte disoccupazione. Negli anni 1970 l’abbandono delle città industriali da parte degli investitori e della popolazione operaia determinò un tale calo delle entrate fiscali che divenne quasi impossibile mantenere le infrastrutture urbane, con gravi conseguenze a livello sociale. Con la crisi economica cominciarono ad emergere anche le conseguenze ambientali di decenni di intensa produzione industriale, effetti che non furono tenuti in considerazione durante gli anni di massima espansione. Gli incendi sui fiumi altamente inquinati di Cleveland, Toronto e Chicago, la fioritura di alghe da eutrofizzazione sul lago Erie e il lago Ontario e la contaminazione da mercurio sul Lago Superiore, il lago Michigan e il Lago Huron, mostrarono chiaramente lo stato di emergenza in cui la regione si trovava, e catturarono l’attenzione degli ambientalisti. (Belanger, 2010a). ...leggi tutto
Intervista a Daniel E. Williams. Cesare Corfone |
C.C. Nel tuo ultimo libro, “Sustainable Design – Ecology, Architecture, and Planning”, fai spesso riferimento ai processi ecologici come strumento del sustainable design. Il modello ecologico può davvero guidare architetti e pianificatori verso soluzioni innovatrici e sostenibili?
D.E.W. Il modello ecologico illustra che l'ecologia è una rete spaziale di connessioni, all'interno della quale energia, materia e informazione sono legati da molteplici organismi e luoghi; il modello mostra i fattori che guidano il sistema ecologico sotto osservazione ed i cicli associati ai flussi essenziali per l'esistenza stessa del sistema. Il successo del sistema è in parte dovuto alla connettività tra le parti. Il modello ideato da Howard Odum illustra la relazione tra flussi di energia e materia, tra sistemi, componenti, produttori e consumatori. I cervi sono nati nelle foreste dove mangiano la vegetazione, poi i loro escrementi nutrono piante ed alberi che provvedono a costituirsi nuovamente come cibo ed habitat, così altri cervi potranno avere un luogo dove vivere e nutrirsi, e così via... semplice! Il modello ecologico è uno strumento potente poiché illustra che la sfida del progetto sostenibile è semplicemente il progetto di connessioni e strutture, che ricreano o potenziano il funzionamento dei cicli naturali.
Un esempio di una sfida da intraprendere a livello di pianificazione e progettazione: lo Stato della California spende il 20% della sua elettricità allo scopo di distribuire acqua, anche se la gravità lo farebbe gratuitamente; pertanto, nei prossimi 100 anni si inizierà a ridisegnare modelli, urbani ed agricoli, affinché l'acqua possa essere distribuita in California attraverso la forza gravità.....leggi tutto
Tra intenzioni e risultati. Ledo Prato |
Società, Ambiente e Paesaggio sono i grandi temi del confronto etico, economico e politico del “dopo crisi”. La cultura del progetto architettonico non può rimanere insensibile a questi problemi e dovrà provvedere a cambiamenti profondi.
In pochissimi anni la crisi globale ha fatto maturare un senso diverso dei valori sociali ed economici modificando gli obiettivi del mutamento.
Si tratta di una trasformazione epocale che parte dal basso. Procede per obiettivi di qualità della vita, pratiche auto organizzate e strategie di sopravvivenza. I protagonisti di questa impresa culturale siamo noi cittadini, consumatori, risparmiatori. Mangiamo prodotti dell’agricoltura biologica e facciamo la raccolta differenziata. Preferiamo i mezzi di trasporto pubblico o la bicicletta. Siamo attratti dalle auto a emissioni zero e non più da quelle grandi e lussuose ad alto consumo. Ci piacciono le case bioclimatiche e non gli edifici ad elevati consumi energetici. Vogliamo opere pubbliche sostenibili e sensibili al paesaggio. Guardiamo con crescente diffidenza alle politiche urbane griffate dallo star system che spesso generano maggiori costi.
Se la fine del novecento è stata caratterizzata dalla tensione metropolitana ovvero dall’idea di metropoli come condizione di efficienza e obiettivo di qualità dello sviluppo urbano, oggi non è più così.
Allo stato attuale, l’espansione demografica è incontrollabile al pari di quella urbana.
Anche in Italia le città sono esplose. Il rapporto diretto tra attività e luoghi di residenza non è più una condizione necessaria. Le città tendono a perdere una connotazione fisica definita per assumere la dimensione fluida di campi di relazioni.
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Relazione della Giuria: |
Lista dei vincitori relativi al gruppo JUNIOR |
Lista dei vincitori relativi al gruppo SENIOR |
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Riflessioni in margine al concorso Ecoluoghi 2011. Case per un abitare sostenibile. |
Il concorso Ecoluoghi 2011 prevedeva esplicitamente che la ricerca intorno alle nuove forme di abitare sostenibile fosse ricondotta al rapporto con il paesaggio, inteso come contesto di appartenenza a cui ogni singola proposta doveva non solo riferirsi ma connettersi, interpretando il rapporto realizzazione-contesto in forma, appunto, sostenibile.
Come unanimemente riconosciuto dalla giuria del concorso le proposte nel loro insieme hanno delineato un campo di ricerca ampio e variegato, evidenziando in primo luogo una attenzione diffusa verso tecnologie e accorgimenti progettuali mirati al risparmio energetico, e in qualche caso alla micro produzione di energia rinnovabile.
In secondo luogo si è registrata una crescente attenzione, anche se non diffusa in modo omogeneo, nei confronti di spazi-concetti relativi all’abitare contemporaneo, a quell’evidente mutamento in atto che sta modificando i rapporti tradizionali tra tipi edilizi e tipi insediativi, a favore di spazi caratterizzati sia da una maggiore versatilità e multifunzionalità rispetto al passato, sia da un diverso rapporto interno-esterno (cioè tra residenze e campagne- boschi - giardini-patii- terrazze-tetti verdi, ecc.).
Ma il rapporto con il paesaggio, cioè con i contesti nei quali i progetti sono stati “collocati”, è rimasto uno sfondo, in molti casi ridotto a un foto inserimento, un mero requisito di partecipazione. Naturalmente i progetti vincitori hanno dimostrato una maggiore attenzione nei confronti di questo aspetto, ma mi sembra più utile, in questa nota, segnalare la carenza complessiva che è emersa nonostante le felici eccezioni.....leggi tutto
Per un’architettura non edificante. Pippo Ciorra |
1 - Genesi
Coltivo l'idea di questa mostra da almeno dieci anni, o forse un po' di più. Forse non è del tutto inutile ricostruirne la genealogia. Nei primi anni di lavoro nella Facoltà di Architettura di Ascoli Piceno ci siamo resi conto, grazie allo sguardo attento e alla capacità di rappresentazione dei colleghi e dei miei studenti, di quanto fossero ormai spuntate le armi dell' "Architettura" tradizionalmente e accademicamente intesa nel tentativo di dare ordine e senso allo spazio contemporaneo e alla vita di chi lo abita. Il quale spazio a noi appariva nella forma florida, disordinata e allegra dello sprawl costiero medioadriatico fine anni '90, in pratica un catalogo di problemi, materiali e suggerimenti verso nuovi approcci al progetto: infrastrutture, casette, capannoni, paesaggio, memoria, seconde e terze case, spiagge, turismo, microimpresa, porti commerciali e turistici e chi più ne ha più ne metta. Da parte mia, data la poca dimestichezza con la landscape architecture e l'incapacità di soddisfare la mia libido architettonica con il semplice uso compulsivo di orti orizzontali e verticali, ho pensato che dovevamo metterci alla ricerca di un approccio diverso e dolcemente eversivo alla progettazione. Il punto di partenza era che sarebbe stato impossibile pensare di modificare realmente il paesaggio urbano con la pura aggiunta di poche architetture belle e buone nel mare dell'edilizia brutta e cattiva. La soluzione è stata allora quella di concentrarsi su uno sforzo ostinato e irriguardoso di recupero e trasformazione degli edifici e degli spazi esistenti, più o meno dismessi, più o meno banali, più o meno autoriali che fossero. Il processo era chiaro, i risultati anche (una mole di progetti che continua tuttora a crescere), quello che mancava era uno slogan o un'etichetta sotto la quale raccogliere gli esiti di questo lavoro e propagandarli. ......leggi tutto
Mostra Re-cycle, MAXXI Architettura, recensione di Valerio Paolo Mosco |
Ogni epoca ha i suoi verbi. Riciclare è sempre più un verbo dei nostri tempi. Nonché in passato non si fosse riciclata dell’architettura, anzi. Roma è un esempio lampante di una pratica antica: una città che nel suo centro storico è un grande allestimento di riciclo di colonne, capitelli, lastre di marmo romani. “Quod non fecerut barbari fecerunt Barberini”, ciò che non sono riusciti a fare i barbari l’hanno fatto i Barberini con le loro spoliazioni dei Fori. Un detto del passato, non più valido: i nuovi Barberini infatti, i nuovi riciclatori, poiché non devastano i monumenti e sono politicamente corretti, si meritano una mostra al Maxxi di Roma, tra l’altro una mostra che fino ad oggi è la migliore del noto museo romano, questa volta curata da Pippo Ciorra con Sara Marini, Mosè Ricci e Paola Viganò. La tesi, chiaramente espressa da Ciorra nel saggio nel bel catalogo edito da Electa (cura Ciorra e Marini) è che non solo il riciclo di architettura è una fenomenologia espressiva del peraltro sfuggente spirito dei nostri tempi, ma è anche una pratica rappresentativa di una maniera di vedere l’architettura e con essa il mondo. Afferma Ciorra: “l’architettura è di per sé un materiale riciclabile che tra l’altro sappiamo riciclare da sempre”, segue una frase ancor più significativa: “l’architettura è un’arte negoziabile” e, aggiungiamo noi, poichè è negoziabile il riciclo è la pratica paradigmatica di questa supposta negoziabilità.
La mostra è organizzata attraverso una pacata sequenza di progetti in cui compaiono progetti storici (toccante quello di Portaluppi del 1930 per un ristorante alpino ottenuto sospendendo .....leggi tutto
SuperUrbano. Una mostra sui progetti per le città sostenibili. Claudia Di Girolamo |
“Abbiamo bisogno di una strategia che ci consenta di uscire più forti dalla crisi e di trasformare l'UE in un'economia intelligente, sostenibile e inclusiva caratterizzata da alti livelli di occupazione, produttività e coesione sociale”. Così recita già dalle prime battute il documento EUROPA 2020, Una strategia per una crescita intelligente, sostenibile e inclusiva. L’UE punta al raggiungimento di diversi obiettivi rappresentativi delle tre priorità sopracitate, ma di portata più ampia, che dovrebbero essere declinati da ciascun Stato membro in percorsi e obiettivi nazionali. Le protagoniste attive per il raggiungimento degli obiettivi fissati saranno le città, principali destinatarie delle politiche adottate a livello regionale, nazionale ed europeo.
A questa strategia, organizzata secondo tre diversi livelli di crescita prioritaria e obiettivi conseguenti, si ispira la mostra SUPERURBANO. Rigenerazione urbana sostenibile in programma nel Palazzo della Ragione di Padova dal 27 ottobre al 13 febbraio 2012. La mostra presenta diciannove diverse esperienze di rigenerazione urbana in chiave sostenibile realizzate in varie città d’Europa e del mondo, classificate nell’esposizione secondo i futuri modelli di città: sostenibile, intelligente, inclusiva. La mostra è un evento organizzato all’interno della Biennale internazionale 2011 della Fondazione Barbara Cappochin, che ha affrontato in questa edizione il tema della rigenerazione urbana, orientando la scelta del progetto vincitore sula base dei “criteri di sostenibilità, uso di nuove tecnologie, integrazione e continuità con il tessuto urbano esistente, con la consapevolezza che la qualità della vita è imprescindibile dalla qualità nell'architettura”. .....leggi tutto
European Green Capital. Claudia Di Girolamo |
Circa il 75% della popolazione europea vive in aree urbane e si stima che tale quota entro il 2020 raggiungerà un valore dell'80%. Molte delle sfide ambientali che la nostra società deve affrontare discendono da questa costatazione, che impone un salto di qualità nelle politiche della sostenibilità. La Commissione Europea ha da tempo riconosciuto negli enti locali i soggetti-chiave per la programmazione e soprattutto l’attuazione di queste politiche destinate a migliorare l'ambiente, l'economia e la qualità della vita delle popolazioni urbane.
Un contributo a questa prospettiva è l’European Green Capital Award, un premio assegnato ogni anno ad una città che si candida a ruolo di modello delle politiche della sostenibilità ambientale, con particolare riferimento alle soluzioni innovative della mobilità sostenibile e del trasporto pubblico, dell’ampliamento di parchi e aree verdi, di miglioramento della qualità dell’ambiente di vita. Questi principi risalgono al 2006 a Tallin, quando l’allora sindaco, Jüri Ratas, propose l’istituzione del premio al Parlamento Europeo, dichiarando di credere nella necessità di un’Europa verde e sostenibile per migliorare la salute pubblica e la qualità della vita dei cittadini. Questa idea portò alla ratifica di un Memorandum d’Intesa firmato dalle quindici città presenti all’incontro, così, a partire dal 2010, ogni anno una città europea viene insignita del premio di Capitale Verde.
Il Programma European Green Capital non prevede fondi specifici per sostenere le iniziative delle città partecipanti. Le risorse possono provenire comunque da altri canali di finanziamento, ....leggi tutto
Agropolis - dal cucchiaio alla città. Jörg Schröder |
Agropolis si caratterizza nel contenuto (cosa c’è sul cucchiaio) e nell’approccio (gustare la città) con ciò che Max Bill definì attitudine globale e sociale del design moderno. L’agricoltura urbana abbraccia il giardinaggio flessibile ed i nuovi modi di concepire lo spazio urbano così come le dimensioni economiche dell’auto approvvigionamento e dell’agricoltura - e le innovazioni tecnologiche, operative e culturali all'interno delle strategie alimentari urbane, plasmando la città attraverso stili di vita desiderati e sostenibili.
Sin dalla battaglia del dopoguerra per nutrire le popolazioni europee, l'agricoltura ha svolto un ruolo ben nascosto all'interno dell’espansione urbana che ora occupa quasi tutto il continente. I terreni e le aziende agricole crearono la maggior parte dei dibattiti su immissioni, accessibilità per gli usi per il tempo libero, serbatoi per insediamenti futuri, distanze per mantenere immagini predefinite di città, villaggi turistici e aree suburbane. Problemi di ecologia come saldi, compensazioni e corridoi verdi e di aria hanno intensificato la marginalità dell'agricoltura, caratterizzata da cambiamenti economici e sociali nel settore agricolo in generale. Al tempo stesso le città in espansione inclusero al loro interno terreni senza che fosse chiaro il loro ruolo futuro.
L‘importanza crescente della produzione di cibo propone la considerazione del ruolo dell'agricoltura,....leggi tutto
Intervista a Claire Tancons. Massimiliano Scuderi |
La comparazione tra due città distanti, New Orleans e L’Aquila, ci permette di capire come due realtà colpite duramente da eventi tragici possano rinascere anche attraverso il ricorso a politiche culturali innovative. L’abbiamo chiesto ad una delle più interessanti curatrici d’arte internazionali: Claire Tancons. Dalla Biennale di New Orleans a quella di Harlem, si occupa dell’organizzazione di eventi ispirati al concetto di Carnevale, tra creolizzazione della cultura e nuovi modelli relazionali.
MS: Da molti anni la tua ricerca si è incentrata sul concetto paradigmatico del carnevale applicato all’arte. Puoi spiegare meglio le ragioni e quali siano le radici culturali di questa scelta di campo? Ha a che fare con l’idea di métissage della cultura modernista e postmodernista occidentale?
CT: Quella del Carnevale non è tanto una sfera di applicazione dell’arte, quanto arte in sé. Approfondendo dal 2004 la ricerca sul Carnevale, da Trinidad al Brasile, sono arrivata a considerarlo come l’Arte Moderna delle Americhe, ad oggi ancora sconosciuta. È più che una provocazione sulla scoperta del Nuovo Mondo. ......leggi tutto
PROPOSTA DI LEGGE POPOLARE PER LA QUALITÀ DELL’ARCHITETTURA. Giustino Vallese |
L’Architettura è "un elemento fondamentale della storia, della cultura e del quadro di vita di ciascuno dei nostri paesi" - risoluzione 12/02/2001 del Consiglio dell'Unione Europea
Febbraio 2011. Progetti e Concorsi, settimanale del sole 24 ore, elabora e promuove una proposta di legge (allegato pdf) “popolare” per la qualità dell’architettura che sottopone all’attenzione dei lettori: aumentare il mercato per i professionisti, innovare ed innalzare la qualità delle realizzazioni, rimuovere le condizioni che limitano le partecipazioni ai concorsi dei giovani e dei piccoli studi, sono gli obiettivi fissati negli undici articoli di cui si compone la bozza di legge.
Pochi articoli, che provano ad incidere profondamente e direttamente nei meccanismi che regolano la progettazione in Italia, a partire dalle opere pubbliche.
La proposta di legge perde parte dell’ambizioso portato culturale dei disegni di legge succedutesi negli ultimi quindici anni, limitando al minimo l’enunciazione di principi di carattere generale sul valore dell'architettura e sulla promozione di iniziative culturali. Riprendendo in parte la legge Francese sull’architettura, risalente al 1977, l’art 1 stabilisce che “..l’architettura è una espressione della cultura e del patrimonio artistico del nostro paese. La Repubblica promuove e tutela con ogni mezzo la qualità dell’ideazione e della realizzazione architettonica come bene di interesse pubblico primario per la salvaguardia e la trasformazione del paesaggio”. Gli articoli che seguono dispongono profonde modifiche al Codice degli Appalti, imprescindibili alla rivitalizzazione del mercato che inerisce la costruzione ...leggi tutto
Politiche per la sostenibilità. Esempi virtuosi negli U.S.A.. Michele Manigrasso |
Delineare un quadro delle politiche per la sostenibilità ambientale delle città in U.S.A. attraverso l’esame dei documenti che le regolano e le certificano è un’operazione di grande complessità, viste l’ampiezza dell'argomento e le ormai numerose esperienze che sono state messe in campo. Il tema è, infatti, molto d
iscusso ed il clima è di grande fermento, si avverte ormai dappertutto la necessità di incrementare la resilienza urbana e territoriale, si dilatano gli orizzonti temporali rispetto a quelli abitualmente considerati dalle politiche urbanistiche, si rinuncia alla visione impositiva e deterministica dell’urbanistica moderna. Occorre saper operare scelte in grado di rispondere a necessità in continuo divenire, prevedendo scenari sempre mutevoli, a volte con una buona dose di intuito creativo; anticipando i saperi laddove le scienze non danno ancora risposte affidabili, soprattutto riguardo alle possibili implicazioni ambientali del consumo di suolo, del prelievo di risorse, del tasso di inquinamento, etc..., attuati dall’attuale modello di sviluppo socio-economico, un modello evidentemente non sostenibile e non replicabile.
I documenti che possono offrire uno spaccato sulle politiche USA si applicano a molteplici aspetti dell’ambiente urbano: dall’edificato agli spazi aperti; dalle infrastrutture tecnologiche e della mobilità alle risorse naturali ed ecologiche. Si può a titolo di esempio far riferimento al ben noto sistema di certificazione energetica Leed (acronimo di The Leadership in Energy and Environmental Design), protocollo internazionale di classificazione e certificazione della sostenibilità degli edifici,...leggi tutto