Intervista a Daniel E. Williams*. Cesare Corfone |
C.C. Nel tuo ultimo libro, “Sustainable Design – Ecology, Architecture, and Planning”, fai spesso riferimento ai processi ecologici come strumento del sustainable design. Il modello ecologico può davvero guidare architetti e pianificatori verso soluzioni innovatrici e sostenibili?
D.E.W. Il modello ecologico illustra che l'ecologia è una rete spaziale di connessioni, all'interno della quale energia, materia e informazione sono legati da molteplici organismi e luoghi; il modello mostra i fattori che guidano il sistema ecologico sotto osservazione ed i cicli associati ai flussi essenziali per l'esistenza stessa del sistema. Il successo del sistema è in parte dovuto alla connettività tra le parti. Il modello ideato da Howard Odum illustra la relazione tra flussi di energia e materia, tra sistemi, componenti, produttori e consumatori. I cervi sono nati nelle foreste dove mangiano la vegetazione, poi i loro escrementi nutrono piante ed alberi che provvedono a costituirsi nuovamente come cibo ed habitat, così altri cervi potranno avere un luogo dove vivere e nutrirsi, e così via... semplice! Il modello ecologico è uno strumento potente poiché illustra che la sfida del progetto sostenibile è semplicemente il progetto di connessioni e strutture, che ricreano o potenziano il funzionamento dei cicli naturali.
Un esempio di una sfida da intraprendere a livello di pianificazione e progettazione: lo Stato della California spende il 20% della sua elettricità allo scopo di distribuire acqua, anche se la gravità lo farebbe gratuitamente; pertanto, nei prossimi 100 anni si inizierà a ridisegnare modelli, urbani ed agricoli, affinché l'acqua possa essere distribuita in California attraverso la forza gravità.
C.C. Il modello ecologico può quindi essere utile per il futuro update del nostro sistema infrastrutturale: in che modo le infrastrutture ecologiche aiutano lo sviluppo sostenibile del territorio e delle città statunitensi?
D.E.W. Le infrastrutture sono elementi che svolgono determinate funzioni, come muovere persone e merci, o distribuire acqua potabile e purificare acque reflue.
Recentemente ho lavorato al progetto di una “infrastruttura ecologica urbana” per Seattle (Washington) che cattura e purifica le acque di dilavamento che la forza di gravità spinge dalle montagne verso i quartieri residenziali. Quest'acqua biofiltrata viene poi introdotta in un nuovo corpo idrico superficiale, con l'intento di generare una habitat dove i salmoni possano vivere, deporre le uova e riprodursi. Il ruscello defluisce verso un boschetto di nuovo impianto che in 50 anni diventerà la foresta nativa del centro della città di Seattle. Il “long wall” è un intervento a scopo didattico con varie aule e diverse “living machines”, utilizzabili dalle scuole pubbliche locali per introdurre il concetto di ecologia urbana e biourbanistica. Si tenta di ricreare una città che lavora biologicamente.
Un altro esempio: molti insediamenti urbani possono svilupparsi nelle pianure alluvionali, o in aree comunque soggette ad inondazione, perché lì si è realizzato un enorme sistema infrastrutturale, di pompe e collettori pompe, per rimuovere le acque stesse. Nei tanti luoghi dove questo avviene, le infrastrutture offrirebbero potenzialmente un grande servizio per la comunità, purtroppo però falliscono sempre.
Il bacino idrico del Mississippi River, che rappresenta il 40% del territorio continentale degli Stati Uniti, è stato ingegnerizzato per permettere la navigazione e per proteggere il territorio da possibili esondazioni. La realizzazione delle opere è durata più di un secolo, eppure nel maggio del 2011 gli argini del Mississippi, che attraversano la città di New Orleans, erano sul punto di fallire ancora una volta: ciò sarebbe successo se non fossero stati rimossi altri argini, cosa che ha permesso di inondare le aree esterne alla città che questi stessi argini avrebbero dovuto proteggere. Tutto ciò è realmente grave. Non tanto per l'immane tentativo di spingere una forza potente ed estremamente implacabile “ad non essere ciò che è”, bensì per la conseguente siccità che si sta imponendo all'intera regione, attualmente e per il prossimo millennio (in alcune aree del bacino è già la peggiore siccità degli ultimi 400 anni). Recentemente, ho iniziato a lavorare su come re-infrastrutturare il bacino idrico del fiume Mississippi (“re-plumbing the Mississippi River Watershed”), allo scopo di lavorare “con” la potenza del Fiume: il “re-plumbing” si svilupperà in modo da assecondare i flussi idrografici piuttosto che forzarli necessariamente a comportarsi “come non desiderano”. L'obiettivo è fornire una reale protezione dalle inondazioni, ricaricando le riserve sotterranee di acqua dolce, attenuando il problema della siccità e ricostituendo terreno utile per l'agricoltura ...semplice!
C.C. La sostenibilità ambientale continua ad essere parte integrante delle tue concezione di “post-disaster planning”, esattamente come lo è stato per il tuo lavoro nel sudest della Florida. Che significato ha avuto la sostenibilità all'interno del “Watershed Interactive Network Plan” per l'area sud della metropoli di Miami?
D.E.W. Trasformare le avversità in opportunità è il mantra della ricostruzione post-catastrofe. A causa dei disastri naturali (o creati dall'uomo), avviene sempre un grande cambiamento nel modello urbano o territoriale esistente che ci offre l'opportunità di costruire meglio, ma non solo. Abbiamo l'opportunità di costruire in location più sostenibili, integrando inoltre i funzionamenti ambientali all'interno dei nuovi impianti urbani, riducendo così l'impronta ecologica dell'insediamento.
Nel “South Dade Watershed Project” del 1994, abbiamo sviluppato un piano che possa relazionare risorse rinnovabili di acqua potabile con le aree naturali protette del Everglades National Park, gli estuari lungo la baia, le aree agricole, il lavoro e le vie di comunicazione. Questo piano, definito “WIN Plan” (Watershed Interactive Network Plan) ha progettato la futura matrice urbana e territoriale dell'area metropolitana, basandosi sulla capacità di carico delle risorse locali e sulla sfide del cambiamento climatico e dell'innalzamento del livello del mare.
L'approccio progettuale al bacino ha permesso di ricreare molte circostanze vincenti: immagazzinare acqua all'interno delle hydric greenways e delle blueways è il modo più efficace per migliorare lo stoccaggio di acqua potabile, allo scopo di incrementare la futura disponibilità idrica; la protezione dei sistemi naturali all'interno delle reti ecologiche urbane e regionali incrementerà il valore degli immobili e del territorio; progettare simultaneamente la gestione degli ecosistemi e la pianificazione edilizia permetterà di affrontare compiutamente le complesse problematiche urbane relative alla qualità di vita.
C.C. Piani e progetti di rigenerazione ambientale della costa sudest della Florida sono stati momenti importanti per il tuo percorso di ricerca. Su quali basi hai fatto le tue scelte progettuali?
D.E.W. Per quanto concerne la riduzione del rischio idraulico, anche questa regione geografica (come il bacino del Mississippi) ha subito pesanti trasformazioni. Il sud della Florida era (ed è) una palude, all'interno della quale, la formazione dell'intera regione, ivi compresi gli Everglades, la scogliera, la baia e gli estuari è dovuta alle piogge ed al lento movimento di enormi quantità di acqua verso il mare. Storicamente, si è stati indotti a drenare le paludi allo scopo di creare terreno coltivabile. Un tempo era una conclusione logica, ma analizziamo le condizioni attuali, ci accorgiamo che il drenaggio ha notevolmente ridotto la quantità di acqua potabile superficiale, permettendo peraltro che l'acqua salmastra del mare contaminasse le restanti riserve idriche, cioè quelle sotterranee.
A tutto ciò, si aggiungono altre impegnative questioni dovute al cambiamento climatico e all'innalzamento del livello del mare: il territorio costiero sta per essere sommerso dall'oceano. La macchina del cambiamento climatico è grande ed imprevedibile ma ciò che sappiamo è che mura, dighe e barriere non avranno nessun effetto e il sud della Florida diventerà un arcipelago nei prossimi cento anni. A questo problema non è stata offerta risposta alcuna, anche e sopratutto perché non è mai successo prima. La bio pianificazione territoriale che io propongo, “the bioregionalism”, studia e comprende sistemi molto più grandi del progetto e guarda verso soluzione che dureranno 1000 anni.
C.C. Il tuo processo progettuale muove dalla preliminare lettura contesto ambientale a scala vasta ed a lungo termine, ma cosa intendi realmente con “bioregionalism” e “biourbanism”?
D.E.W. Combinare biologia e comunità genera una ecologia umana ed un organismo biologico, che definisco come biourbanism. Bioregionalism e biourbanism guardano all'opportunità di ricostruire connessioni tra i processi biologici attraverso la pianificazione dello sviluppo urbano e territoriale. Il biourbanism, incorporando conoscenze dei fenomeni naturali di carattere regionale all'intero degli insediamenti urbani, interconnette funzionamenti biologici di origine urbana, agricola ed ambientale. Il biourbanism disegna le connessioni territoriali allo scopo di utilizzare il lavoro gratuito della natura, che viene incorporata nei sistemi urbani, utilizzando processi naturali piuttosto che tecnologie convenzionali, per lo stoccaggio dell'acqua, il controllo microclimatico, l'uso, il riuso ed il riciclo delle risorse naturali.
Un esempio è catturare l'acqua di pioggia e purificarla, attraverso il processo di biological uptake, affinché possa diventare parte integrante del nostro approvvigionamento idrico; in questo caso, la funzione biologica sta offrendo un servizio alla comunità che generalmente offrono infrastrutture tradizionali ripagate attraverso il sistema fiscale. Utilizzando il funzionamento gratuito del biological uptake (ad esempio attraverso la fitodepurazione), stiamo creando fonti idriche addizionale e contemporaneamente riducendo l'inquinamento ambientale.
C.C. L'acqua sembra essere a tutte le scale un elemento chiave per i tuoi progetti: io mi sono domandato spesso quale apporto proattivo possa offrire l'architetto, attraverso il suo progetto, alla conservazione e protezione della risorsa idrica.
D.E.W. Durante i congressi internazionali sull'acqua potabile, generalmente mi piace sottolineare che “c'è una buona notizia ed una cattiva... la buona è che nel 2020 staremo bevendo i nostri stessi reflui, la cattiva è che non saranno abbastanza”.
Il principio generale è che un luogo, un quartiere, una città, una metropoli o una regione devono approvvigionarsi esclusivamente attraverso le acque che ricadono all'interno dei propri confini, questo principio di capacità di portata (“principle of carrying capacity”), dovrebbe essere applicato ad ogni scala di intervento.
Per secoli abbiamo avuto abbondanti risorse idriche, ma verso la metà del '900 la fornitura di acqua è diventata, in molte situazioni, addirittura superiore alle quantità necessarie poiché si è iniziato a disporre di tecnologie rapide di prelievo dalle fonti sotterranee (esattamente come per il petrolio). Queste tecniche sono state soluzioni semplici ed a basso costo fino a quando i tassi di prelievo non sono diventati maggiori del tasso di ricarica delle falde; una volta che i prelievi hanno superato le ricariche abbiamo oltrepassato la capacità di portata del sistema. Non importa che tecnologia venga introdotta per rispondere alle esigenze di approvvigionamento idrico, quando si tratta di acqua, parliamo sempre di una quantità finita. Se una comunità sta usando più acqua di quella che può essere sostituita, la comunità non potrà sopravvivere: la soluzione è accettare la sfida di un progetto che, a tutte le scale, catturi, immagazzini e distribuisca le energie e le risorse di cui necessita per svolgere la propria funzione.
* Daniel E. Williams, FAIA, APA
dwa-design | architecture, urban and regional design, Seattle, Washington, USA.
www.dwa-design.com
Daniel E. Williams, architetto e urbanista, è riconosciuto a livello internazionale come un esperto di progettazione sostenibile. Per più di 30 anni ha focalizzato la sua attenzione sulla prevenzione delle calamità naturali, la ripianificazione e la ricostruzione del post-catastrofe.
Nel 1993 è stato ricercatore presso la University of Miami. Nel 1999 e nel 2000 ha guadagnato il “National AIA Honor Award for Urban and Regional Design” e la “Fellowship in the American Institute of Architects” per il suo lavoro in Florida, dopo l'uragano Andrew, e per i suoi sforzi profusi nell'incorporare soluzioni ecologiche nei modelli di ricostruzione a lungo termine. Nel 2000 è stato nominato “Eminent Scholar” presso la University of Florida; attualmente è professore presso il Master in Sustainable Design di Singapore.
Nel 2007 ha scritto “Sustainable Design: Ecology, Architecture and Planning”, riconosciuto da Planetizen tra i cinque libri più importanti al mondo sulla progettazione sostenibile. È attualmente impegnato sulla scrittura del suo prossimo libro: “designED: An Ecological Approach to Regional and Urban Sustainability”.
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