Riflessioni in margine al concorso Ecoluoghi 2011. Case per un abitare sostenibile. |
Il concorso Ecoluoghi 2011 prevedeva esplicitamente che la ricerca intorno alle nuove forme di abitare sostenibile fosse ricondotta al rapporto con il paesaggio, inteso come contesto di appartenenza a cui ogni singola proposta doveva non solo riferirsi ma connettersi, interpretando il rapporto realizzazione-contesto in forma, appunto, sostenibile.
Come unanimemente riconosciuto dalla giuria del concorso le proposte nel loro insieme hanno delineato un campo di ricerca ampio e variegato, evidenziando in primo luogo una attenzione diffusa verso tecnologie e accorgimenti progettuali mirati al risparmio energetico, e in qualche caso alla micro produzione di energia rinnovabile.
In secondo luogo si è registrata una crescente attenzione, anche se non diffusa in modo omogeneo, nei confronti di spazi-concetti relativi all’abitare contemporaneo, a quell’evidente mutamento in atto che sta modificando i rapporti tradizionali tra tipi edilizi e tipi insediativi, a favore di spazi caratterizzati sia da una maggiore versatilità e multifunzionalità rispetto al passato, sia da un diverso rapporto interno-esterno (cioè tra residenze e campagne- boschi - giardini-patii- terrazze-tetti verdi, ecc.).
Ma il rapporto con il paesaggio, cioè con i contesti nei quali i progetti sono stati “collocati”, è rimasto uno sfondo, in molti casi ridotto a un foto inserimento, un mero requisito di partecipazione. Naturalmente i progetti vincitori hanno dimostrato una maggiore attenzione nei confronti di questo aspetto, ma mi sembra più utile, in questa nota, segnalare la carenza complessiva che è emersa nonostante le felici eccezioni.
Le cosiddette “nuove tecnologie energetiche”, sventolate un po’ troppo superficialmente come vessilli della sostenibilità, sono apparse autoreferenziali, generalmente proposte in forma astratta e ripetibile sul modello dei “cataloghi di prodotti”, come se fosse sufficiente un tetto fotovoltaico a rendere sostenibile un intervento. Mentre era proprio il paesaggio, nello spirito del bando, la connessione intelligente, la sinapsi in grado di far dialogare risparmio energetico, nuovi modi di abitare, e territori investiti dalla trasformazione.
In particolare è emersa una frattura tra design e paesaggio che da molti anni non ha più motivo di esistere, anzi: il rapporto tra progettazione sostenibile di oggetti e studio del loro possibile effetto in diversi contesti è alla base di interessanti esperienze , soprattutto in America latina, e soprattutto con riferimento allo spazio collettivo.
Il modo in cui il paesaggio, o la sua generale assenza, è stato interpretato nel concorso, mi sembra invece riconducibile ad alcuni atteggiamenti ricorrenti nel nostro paese che tenterò di tratteggiare sinteticamente , e rispetto ai quali sarebbe necessario riflettere un po’:
In generale si rileva la mancanza della percezione del paesaggio come valore collettivo in grado di rinnovare i suoi significati costituzionali generazione dopo generazione. La percezione del grande bene pubblico rappresentato dal paesaggio sembra essersi offuscata, forse per effetto del pulviscolo di interventi a carattere tecnico-ambientale, della crisi dell’agricoltura e degli spazi coltivati, della mancanza di una urbanistica adeguata alle trasformazioni contemporanee, e per chissà quanti altri motivi.
Negli ultimi tristissimi anni che ha vissuto il paese il paesaggio è stato considerato, implicitamente e esplicitamente, un “lusso” rispetto all’urgenza della crisi economica, e frequentemente si è trasformato nello sfondo kitch delle residenze esclusive; qualcosa da invidiare forse, ma che non è necessario alla sopravvivenza e quindi può essere sacrificato.
La Convenzione Europea del Paesaggio del 2000 rappresenta il tentativo di superare anche in termini normativi l’idea di paesaggio come porzione privilegiata del territorio (da difendere) rispetto ad un continuum privo di valore (che è possibile sacrificare), in nome di una più coerente definizione di patrimonio paesaggistico inscindibile dal funzionamento ambientale e dalle identità locali. Tale Convenzione ha impegnato a fondo i ragionamenti e le speranze di rinnovamento urbanistico, ma non sembra aver lasciato tracce significative nella costruzione dei progetti.
Laddove il paesaggio compare sembra permanere, nella maggior parte dei casi, il paesaggio-sfondo, inteso come panorama percepito da un punto di vista fisso, o più precisamente immaginato come sguardo “astratto” che muove da un punto di vista fisso (nel senso di immobile, statico, confinato all’idea del belvedere) . E’ inutile sottolineare quanto si è già detto e scritto per decenni circa la natura di questa percezione culturale e collettiva del paesaggio, che non ha senso negare nella sua valenza storica (non ha senso cioè negare il nobile tentativo che ha rappresentato in difesa del patrimonio nazionale dagli anni ‘20 agli anni ‘60). Quello che ha senso criticare è la permanenza inconsapevole di questo immaginario nella costruzione dei progetti, una sorta di riflesso condizionato che continua ad alimentare atteggiamenti negativi derivati dal ragionare in termini di veduta, quali ambientamento (in senso di intervento mimetico), schermatura, ecc. In terzo luogo mi sembra di poter rilevare una certa assenza di dialogo con le esperienze di altri paesi, una certa tendenza alla chiusura, non un paesaggio interpretato come differenza che aiuta e favorisce il confronto con “altre” differenze ma un paesaggio ristretto, chiuso al dialogo, alla esplorazione, al confronto ecc..
Eppure la sostenibilità è uno dei concetti che più di altri invita al confronta con realtà lontane e diverse, in quanto la conservazione delle risorse primarie della vita, il rispetto per le identità molteplici, la volontà di vivere secondo modelli più equi e meno distruttivi disegnano un paesaggio globale, che lungi dal costituire una minaccia per le identità locali, è capace di rafforzarne il senso, e chiarirne l’importanza.
Ci sono molti temi che sembrano influenzare direttamente l’esplorazione progettuale orientata alla sostenibilità, la cui forma spaziale assume il senso di un progetto di paesaggio:
la ri-scoperta delle risorse naturali rinnovabili nel funzionamento delle abitazioni e nelle abitudini degli abitanti, il rapporto con il clima e con le sue variazioni, il ciclo di vita dei materiali e le molteplici vie del riciclaggio, il risparmio di spazio e energia per effetto del ritorno a servizi comuni, le infinite modalità di recupero ambientale degli spazi urbanizzati, le molteplici combinazioni tra abitare e coltivare, le potenzialità connesse ad una cultura del design traslata da oggetti di uso individuale allo spazio pubblico, ecc.
Questioni che, se approfondite, potrebbero generare nuovi paesaggi abitabili, probabilmente sostenibili
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