ISSN 2039-2656
aprile 2013
Contro le derive dei significati | Brasile 2013: progetto, paesaggio, ecologia | Paraisópolis, favela paulista | Progetto urbano “Córrego do Antonico | Habitação e Cidade: la riduzione della pericolosità nelle favelas | Progetti per la favela di Cabuçu | Florianópolis. Liberar Espaço | Florianópolis. Se manca lo spazio | Progetti per soglie instabili. Workshop in America Latina - Laboratori metropolitani. Workshop a San Paolo | Architettura e contesto nella Escola da Cidade di San Paolo | Sebrae National Headquarters a Brasília | Imparando da San Paolo | Rivelare il territorio | Favelas: interventi di rigenerazione urbana | Climate Change e rischio idraulico a San Paolo | Letture | Eventi |
Nei temi trattati da EcoWebTown ritorna spesso la questione del senso da attribuire ai concetti fondativi del programma di ricerca esplorato dalla rivista: in particolare le nozioni di sostenibilità e di smartness, che nel loro intreccio dovrebbero generare le condizioni per un nuovo modo di pensare, progettare e abitare la città contemporanea.
Di fronte alla sconcertante eterogeneità delle esperienze che si appellano a questi valori, non sorprende la dura presa di posizione di Robert Engelman, presidente del Worldwatch Institute. Nell’introduzione al “Rapporto 2013 sullo stato del mondo”, Engelman denuncia il diffondersi di una sorta di sosteniblablablà, ovvero la deplorevole proliferazione di un modo d’intendere e di utilizzare impropriamente la categoria della sostenibilità, che può sconfinare perfino nella falsificazione dei suoi contenuti, strumentalizzandoli ai fini delle strategie di marketing o di cattura del consenso nel mondo dell’ambientalismo.
Forse è vero, come sostiene Giovanni Valentini (Repubblica, 22.10.2013), che questo eccesso di popolarità della sostenibilità con il rischio di travisarne i contenuti può comunque essere interpretato come un successo dell’ambientalismo, almeno sul piano della comunicazione di massa e quindi della sensibilizzazione della coscienza collettiva. Resta comunque il fatto che un suo uso smodato, o troppo alla moda, può avere l’effetto di svuotarne il senso, ridimensionandone in definitiva le potenzialità ai fini di una nuova cultura di gestione delle risorse del pianeta, meno dissipativa, e più responsabile nei confronti del benessere delle future generazioni.
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Abitare il paesaggio: l’opera di Niemeyer
Sul secolo “breve” incombe l’ombra di Le Corbusier, architetto tuttologo, che sembra non lasciare spazio ad altre figure che pure hanno avuto un ruolo determinante, come ci mostrano le storie dell’architettura, anche le più tendenziose (Giedion mette in fila Wright, Gropius, Le Corbusier, Mies van der Rohe, Aalto). Per potersi proporre come una figura parallela, capace di giganteggiare in America latina, con sorprendenti escursioni europee e mondiali, a Oscar Niemeyer che muove come “ammiratore” del Corbu che arriva in Brasile, e con cui collabora per il progetto del Ministero dell’Educazione di Rio de Janeiro, non resta che trovare una contrapposizione, che potrebbe apparire ideologica ma che resterà soprattutto formale – con rischi di formalismo.
Le Corbusier propone la poetica dell’angolo retto? Niemeyer sposa la curvilineità, del corpo femminile e delle morbide colline della sua straordinaria città carioca. La casa das Canoas, nella quale la famiglia di Oscar vive dal 1953 al 1965, anno in cui abbandona il Brasile a causa della dittatura militare, viene incardinata in un rigoglioso contesto naturale, a Barra de Tijuca, una delle periferie di Río de Janeiro, a pochi minuti di automobile dal centro di Rio de Janeiro: è una architettura che fa elemento di progetto il sito, sposando morbidamente il dislivello e facendone un tesoro messo in mostra nelle fotografie che più ne celebrano le caratteristiche di sinuosità e di organicità con gli elementi naturali, sottolineate dalla sensualità delle sculture realizzate da Alfredo Ceschiatti, amico dell'architetto brasiliano. Come nella casa di Frey a Palm Springs all’interno della residenza compare una roccia, volutamente tollerata e messa in valore a sottolineare la “sostenibilità” (si direbbe oggi) dell’intervento.
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La città di San Paolo ha quasi un milione e mezzo di abitanti che vivono in “favelas” e approssimativamente due milioni in urbanizzazioni irregolari. Dagli anni settanta, queste sono le aree del territorio metropolitano con maggiore crescita e dinamica, per cui la informalità e la irregolarità sono passate da eccezione a regola. Malgrado l’insistenza nel considerare la povertà urbana come sacca eccezionale nella città, oggi la realtà ci mostra che la crescita delle aree abusive supera largamente quella delle aree regolari, fenomeno che si ripete nella maggior parte delle metropoli dell’America Latina e Centrale. Paraisópolis, il maggiore di questi agglomerati di abitazioni irregolari della città, ha una popolazione di 80.000 abitanti, 28.000 dei quali sono minori di 14 anni.
Insediato su una topografia con declivi fino al 35%, con presenza di vari corsi d’acqua, questo agglomerato di costruzioni da uno a tre piani è paradossalmente localizzato sul limite di una delle zone di maggior valore della città: il quartiere di Morumbì. Localizzato a sud-est del fiume Pinheiros, Morumbí è uno dei quartieri più esclusivi di San Paolo: vi coesistono case private, condomini di lusso chiusi da sofisticati sistemi di sicurezza, edifici ad appartamenti di alto livello con parchi curati e la sede del Governo dello Stato. In pieno Morumbì, a lato di alcune di queste costruzioni, si colloca la favela di Paraisópolis.
CARATTERISTICHE DELL’AREA
1950: primi insediamenti nell’area della ‘favela’ | 1960: inizio degli insediamenti nel quartiere Morumbì | 1970-80: forte incremento dell’occupazione del suolo della favela | area occupata: 100 hás.
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Il progetto urbano “Córrego do Antonico” si inserisce nel Programma di Urbanizzazione delle Favelas promosso dalla Segreteria Municipale dell’Abitazione del Comune di San Paolo (SEHAB).
Paraisópolis è per dimensione la seconda favela della città, con circa 60.000 abitanti che vivono approssimativamente in 1 km². È sorta come risultato dell’occupazione informale di un lotto frastagliato, disegnato su un terreno accidentato con una maglia rettilinea e ortogonale. Il torrente Antonico taglia in diagonale la trama regolare delle strade ed è attualmente coperto da costruzioni precarie che si sono installate sulle sue acque nel corso del XX secolo.
Se la favela presenta un tessuto urbano apparentemente consolidato, nella depressione del torrente, tra gli altri volumi, possiamo incontrare un’area con costruzioni decisamente precarie. Vicino al torrente il sistema viario risulta più problematico, sono frequenti le costruzioni più vecchie, e, soprattutto, più instabili. Attualmente le acque dell’Antonico ricevono gran parte degli scarichi fognari della favela e, per tutta l’estate, sono responsabili del collasso o del crollo di varie costruzioni. Il dinamismo di questa area risulta evidente a partire dall’apparizione costante di nuove case per abitazione o per commercio.
Il risanamento e il drenaggio sono quindi elementi imperativi nel programma di Urbanizzazione della favela di Paraisópolis, che presenta una varietà di opere di infrastrutturazione urbana, attrezzature sociali e nuove residenze. Il progetto urbano “Córrego do Antonico”, più che una soluzione tecnica di questi problemi, punta a proporre azioni in grado di apportare un notevole miglioramento alle condizioni di vita di tutta la favela.
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Normalmente associare il termine pericolosità al termine favelas richiama alla memoria immagini di scontri tra polizia e narcotrafficanti o, nella migliore delle ipotesi, l’insicurezza sociale generata dalle condizioni di povertà e disagio dei favelados.
Esiste, tuttavia, una pericolosità naturale che è intrinsecamente associata alle ragioni della nascita e dello sviluppo delle favelas. Si tratta delle “esternalità negative” definite dai sociologi Marques e Torres. In altre parole, oltre alla condizione di sofferenza sociale ed economica (bassa o nulla scolarità, instabilità della proprietà del suolo, scarsità di risorse economiche, disoccupazione, criminalità e narcotraffico), la pericolosità nelle favelas è riferibile ai rischi ambientali connessi ai siti di localizzazione: fianchi di colline o montagne, pendii ripidi, rive di fiumi, aree di dissesto idrogeologico esistente o indotto.
Vi è una stretta correlazione tra l’elevata pericolosità ambientale e la nascita dell’insediamento dei favelados: il processo di graduale impoverimento delle aree rurali, che le ha portate nel tempo a diventare “esportatrici di migranti”, ha generato una crescente domanda di spazio per abitare nei poli urbani. Si tratta di una domanda non solvibile, espressione di un fabbisogno che non trova spazio nel mercato immobiliare.
L'impossibilità di acquisire alloggi, anche a basso costo, costringe i migranti a realizzare in autocostruzione abitazioni non convenzionali in aree non idonee all’insediamento residenziale, se non a costo di rilevanti interventi di consolidamento del suolo e di regimentazione delle acque. Costi che, ovviamente, esulano dall’orizzonte delle disponibilità economiche dei favelados.
Nelle zone in cui il mercato immobiliare non può esercitare la sua funzione (dune, zone umide, zone di protezione dei bacini idrici, colline elevata pendenza, rive di fiumi e corsi d'acqua, aree forestate) sorgono le favela.
Problemi strutturali: fondazioni, materiali incoerenti, stabilità dei suoli e rischio idrogeologico
Le caratteristiche geologiche e geotecniche dei siti e dei modi d’intervento sono motivo di incremento della pericolosità e del rischio di frane ed erosioni del suolo.
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L’International Project Charrette Vicenza, giunta alla sua quinta edizione, è da considerarsi ormai un appuntamento tradizionale per Università e Istituzioni pubbliche le quali anche se distanti sono invece molto vicine rispetto alle tematiche di ricerca sulla città contemporanea; difatti, il Vicenza Institute of Architecture, per chi oggi si occupa di progetto architettonico e urbano sostenibile, è un luogo eccezionale di studi e di confronto.
Nella prima settimana di novembre 2011, presso l’Istituto vicentino della University of Florida_School of Architecture Gainesville, si è svolta la Charrette per la favela Cabuçu de Baixio 12 di San Paolo del Brasile. È necessario qui ricordare che gli studenti partecipanti a questa V edizione, provenienti da diversi Atenei, per prendere confidenza con il tema progettuale della Charrette, hanno partecipato attivamente al Convegno Internazionale Rischio e Progetto Urbano tenutosi presso la Facoltà di Architettura di Pescara il 19 e 20 ottobre dello stesso anno. In quella occasione, proprio in vista della Charrette, l’intervento del professor Ruben Otero (Escola da Cidade San Paolo) è stato fondamentale per comprendere la complessità sociale e urbana delle favelas pauliste, in particolare quella di Cabuçu, grazie ai tanti materiali di ricerca sul tema mostrati e poi messi a disposizione dei partecipanti.
Cabuçu de Baixio 12 è una favela a nord di San Paolo molto vicina al confine del Parco Nazionale Serra da Cantarerira ed è attraversata dal torrente Guaraú; ha una consistenza di circa 2000 costruzioni informali adagiate e addensate tra la collina e i bordi del suddetto torrente e della Rua Amália Matarazzo. Circa una metà delle suddette costruzioni ricadono in aree a rischio inondazione e non mancano sul posto segni e testimonianze di distruzione dovuti a frequenti fenomeni di allagamento. Le condizioni igienico-sanitarie e costruttive delle abitazioni sono estreme mentre le infrastrutture e i servizi sono praticamente inesistenti semmai lasciati al libero arbitrio della comunità, salvo qualche timida operazione come il campetto di calcio recentemente realizzato al centro della favela.
La struttura urbana originaria è compromessa dalla densificazione di tutti gli interstizi e delle fasce di rispetto; intorno alla favela si trovano inoltre “materiali” diversi e sparsi di una porzione di “città distratta”: sono edifici residenziali a torre, case basse, condomini, capannoni artigianali e industriali, un grande depuratore, una scuola, negozi lungo le strade principali, angoli verdi con residui di una rigogliosa natura autoctona.
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Note a margine di una proposta rigenerativa per la città informale di Florianópolis
È un “paesaggio sublime” quello che Le Corbusier rileva nel 1929 sorvolando il territorio brasiliano modellato dalla geografia: “lo vediamo, l’abbiamo conquistato, l’abbiamo costruito”. Lo sguardo dall’alto registra le forme di una natura tropicale in cui rilievi, insenature e isole fanno da sfondo agli insediamenti umani. Tale sguardo offre da subito alcuni spunti nella elaborazione delle sue proposte progettuali per San Paolo e per Rio de Janeiro, soluzioni formalmente distinte che esprimono però la medesima intenzione, quella di operare un risanamento radicale del contesto urbano.
Il disegno dell’infrastruttura si pone a fondamento della nuova visione progettuale: un sistema cardo-decumanico si sovrappone alla città di San Paolo proiettandola nella dimensione estesa del territorio; una lunga serpentina si insinua tra le baie di Rio evitando di intaccare la configurazione della città preesistente.
“Quanto più leggero è il tocco, tanto più forte è il controllo” scrive Le Corbusier, facendo espressamente riferimento alla modalità con cui queste megastrutture abitate avrebbero dovuto stabilire il contatto con il terreno. Atterrando letteralmente sul suolo, le nuove forme architettoniche così concepite mettono in atto una vera e propria azione di conquista del luogo dichiaratamente enunciata da Le Corbusier nei suoi scritti e tradotta graficamente in rappresentazioni a volo d’uccello, manifestazione di una prediletta percezione aerea del territorio.
Oggi sono le immagini satellitari ad offrire una visione aerea globale del mondo, e proprio una foto satellitare ha attivato le prime riflessioni su Florianópolis, capitale dello stato di Santa Catarina in Brasile.
La grande stampa di una foto zenitale della città brasiliana campeggiava sulla nuda parete di un’aula della Facoltà di Architettura di Pescara, spazio in cui si è svolto, nel novembre del 2012, uno stimolante workshop di progettazione dal titolo “Favelas con Vista”, che aveva come obiettivo prioritario la rigenerazione della città informale.
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Devo ammetterlo: prima di iniziare l’attività del workshop ero un po’ scettico. Mi sembrava quasi eretico un progetto di rigenerazione urbana per una città informale (FAVELAS) in chiave turistica (CON VISTA). Alimentavano i miei dubbi… il rischio di definire le condizioni per guardare la povertà ed estetizzarla, l’incapacità di registrare il reale grado di soddisfazione degli abitanti ben condito con il bisogno degli architetti di sedare l’ansia “naturale” per il segno, lasciato sul territorio e non comunicato.
Già m’immaginavo gruppi di giapponesi armati dei loro flash, pronti a fotografare il grande oggetto architettonico, una bella biblioteca pubblica o un’efficiente stazione della funivia; oppure coppie di europei di mezza età in cerca di sentimentalismi forti, in giro per anfratti sistemati a dovere. Allo stesso tempo mi sembrava di incrociare lo sguardo stupito dei bambini che si chiedono da dove vengono questi alieni e l’indispettita reticenza delle mamme, pronte a chiudersi in casa e a guardare fuori dalle finestre, nascoste dietro le tende di pizzo.
Sono stato un paio di volte in una favelas e questo è quello che ricordo.
Case accatastate e in continua trasformazione lasciano spazi improbabili alle attività della comunità. Strade strette e polverose accolgono piccoli slarghi per il baratto di beni e servizi. I cancelli sempre aperti, le finestre a distanza di braccio e le piccole corti sono la testimonianza minuta che la coabitazione non è un fatto ideologico, ma un’attività abituale che consiste nel bisogno e nell’onere degli abitanti di “avere dei vicini”; tutti costretti a inventarsi il proprio quotidiano e a difenderlo con dignità. Gli spazi aperti sono rimasugli di suolo, residui di pratiche dell’abitare che non alterano mai l’immagine complessiva che questi villaggi urbani danno di sé, nonostante l’estrema instabilità che caratterizza la loro configurazione interna.
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I progetti degli workshop tenutisi in America del Sud citati nel titolo, sono il risultato di differenti esperienze didattiche e di ricerca, realizzati in momenti diversi e anche finanziati da enti diversi ma tutti con il medesimo obbiettivo di sperimentare le distanze e le prossimità di territori del progetto, nuovi per fisicità, latitudine e tematiche di approccio, con le ipotesi teoriche ed operative che hanno caratterizzato e caratterizzano il pensiero progettuale di stampo europeistica che più abitualmente frequentiamo.
Per l’Argentina, si propone il progetto di ricerca finanziato dal CUIA Consorzio Universitario Italo Argentino dal titolo “Città, Ambiente e Turismo. Le trasformazioni del paesaggio fluviale del Rio Paranà e le potenzialità del turismo - Effetti e sperimentazioni per realtà urbane future”, la cui responsabilità era affidata all’Università Politecnica delle Marche in partnership con molte sedi universitarie italiane e argentine. Mentre per il Brasile, un progetto proposto dallo IUAV - Istituto Universitario di Architettura di Venezia dal titolo “Laboratori Metropolitani – San Paolo”, il cui curatore è il Professor Aldo Aymonino e al quale hanno aderito diverse facoltà italiane e la sede universitaria del paese ospitante. Entrambi i progetti sono stati promossi anche dall’Associazione culturale “Villard” che da molto tempo si occupa di ricerca e didattica dell’architettura attraverso l’esperienza del viaggio e in particolare dell’area geografica che interessa questo saggio.
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Il tema del workshop investe la riqualificazione di un sito intercluso e degradato all’interno dell’area metropolitana di Sau Paulo, una sorta di enclave dimenticata dalla città, una sorta di “amnesia urbana” che, tuttavia, restituisce oggi una nuova dimensione per ripensare la riqualificazione di un’area molto più estesa.
In gran parte di proprietà pubblica l’area, attraversata da un’arteria di grande comunicazione urbana, è occupata da una piccola favelas su un lato e da ampie zone di dismissione dall’altro.
L’ipotesi è quella di trasformare questo luogo in un grande attrattore urbano capace di concentrare al suo interno meccanismi di riqualificazione per una porzione di città ben oltre la sua perimetrazione.
Chiaramente la brevità dei tempi a disposizione e la difficoltà di ragionare su un sito così complesso hanno limitato le possibilità di soluzioni articolate ed approfondite. Le proposte avanzate dai singoli gruppi si presentano tutte di un certo interesse e, soprattutto, si predispongono ad approfondimenti successivi a partire da solide basi iniziali.
Complessivamente tutti i progetti hanno affrontato il tema partendo da approcci diversi e presentando soluzioni diverse, sia sotto l’aspetto delle strategie adottate sia sotto l’aspetto degli esiti che queste hanno prodotto.
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Vorrei partire da uno dei vostri maestri, Vilanova Artigas. Questa storia di “far cantare il punto d’appoggio” quanto conta nei vostri progetti? Per esempio nelle case di Milton Braga, che rapporto c’è tra la struttura dei pochi appoggi al suolo e la forma architettonica?
Penso che questo sia direttamente relazionato alla formazione dell’architetto a San Paolo, che parte da un concetto di scuola di Ingegneria e Tecnologia. La Scuola cosiddetta Paulista ha origine da una educazione politecnica; gli architetti di Rio de Janeiro sono stati invece formati da una scuola di Belle Arti. Antigas era un ingegnere-architetto; per questo l’idea di struttura, della tecnica, dell’appoggio era per lui un punto fondamentale del progetto. Per questo usava citare la frase di Auguste Perret “Far cantare il punto d’appoggio”, intendendo che nel progetto occorreva partire dalla struttura fisica.
Parliamo in termini più generali: si può sostenere che il Post-Moderno non abbia affatto influenzato l’architettura brasiliana? Questo ha garantito la continuità che osserviamo tra architettura moderna e architettura contemporanea in Brasile, mentre in Europa abbiamo assistito a varie rotture, come quella storicista o quella high-tech?
Negli anni ’80 e in parte degli anni ’90 il Post-Moderno ha avuto una influenza forte sull’architettura brasiliana, principalmente a Rio de Janeiro e Minas Gerais, meno a San Paolo. ....leggi tutto
L’approccio adottato nel progetto risponde subito ai vincoli urbanistici di Brasilia - comprese le caratteristiche topografiche del terreno - e il carattere dell'architettura che si vuole attribuire alla nuova sede di SEBRAE NACIONAL. Ciò che viene proposto non è un edificio, ma un complesso architettonico con: 1) l'accento sulla spazialità interna, oggettivando l’integrazione degli utenti così come il paesaggio costruito e naturale, 2) la massima flessibilità per l'organizzazione di uffici, 3) la preoccupazione di ottenere una ottima prestazione ambientale ed economica.
IL PATIO
L'intero complesso si sviluppa a partire da una spazialità interna. Sviluppato in pianta, il vuoto acquisisce una grande presenza all'interno del complesso, in forma di patio dove ci sono le attività più comuni. Intorno a questa piazza interna, al piano inferiore è lo spazio di educazione e di formazione, sale polivalenti, auditorium, biblioteca e caffetteria, mentre al piano superiore sono i principali ingressi del complesso, con verande aperte sulla città e sul lago. ....leggi tutto
Che vuol dire imparare da San Paolo?
Se è vero che si impara quando si fa esperienza di qualcosa di nuovo, quando si misura la differenza tra ciò che si conosce e ciò che non si conosce, la domanda diventa: facciamo veramente esperienza di qualcosa di nuovo a San Paolo? Anche se la risposta potrebbe essere negativa, l’esperienza dell’architettura paulista quanto meno ci ricorda connotati della disciplina che in Europa sono piuttosto sbiaditi. Da qualche anno l’architettura latino-americana, nel suo complesso, è forse la più interessante che ci sia in giro, quella che ha più cose da dire e da dare: gli architetti argentini, cileni, colombiani e la più giovane generazione brasiliana hanno messo insieme prodotti che possono rappresentare un insegnamento molto prezioso per curare alcuni mali che si annidano nell’architettura europea.
Vanno fatte alcune considerazioni preliminari.
La prima riguarda il fatto che l’architettura moderna brasiliana, nel suo insieme, si è sempre distinta dall’ortodossia modernista; il punto di partenza è da rintracciare nel viaggio in America Latina che Le Corbusier fece nel 1929, raccontato in Precisazioni, durante il quale divulgò il verbo della nuova architettura nelle principali città e strinse rapporti con Niemeyer e Lucio Costa. Dai semi gettati in quelle circostanze è cresciuta una pianta diversa e originale, agevolata dal ruolo importante che l’architettura ha avuto nel riconoscersi della nazione e nella costituzione dell’identità brasiliana; basti pensare al forte rapporto tra il presidente Kubitschek e Niemeyer e all’operazione di Brasilia.
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La veloce crescita della città di San Paolo, che in un secolo è passata da 240.000 a 20 milioni di abitanti, ha causato problemi non solo sociali ma anche ambientali. Tipiche caratteristiche geografiche quali le colline e i fiumi sono state ridotte, a volte perfino cancellate. L’installazione dei servizi infrastrutturali richiede una dimensione architettonica di queste opere di urbanistica. Compito degli architetti è quello di rivelare questo territorio attraverso la ristrutturazione di infrastrutture e spazi pubblici.
Piano Urbanistico a Mooca, Ipiranga
La dismissione di industrie lungo la ferrovia consente la realizzazione di un parco metropolitano lineare a Mooca che, iniziato nel 2006 attraverso uno studio sull’impatto urbanistico, sfrutta i depositi, i capannoni e le aree libere per diversi tipi di servizi. Il progetto di una laguna, sempre accanto alla linea ferroviaria, migliorando il drenaggio del terreno e quindi impedendo i frequenti allagamenti, ne consente un migliore utilizzo. La ristrutturazione del sistema del trasporto pubblico regola la distanza tra le stazioni e permette di accedere alla ferrovia nella parte superiore e alla metropolitana in quella inferiore.
Per creare uno spazio di connessione tra le nuove infrastrutture principali e integrare le aree pubbliche si demoliscono alcuni capannoni mentre se ne conservano altri per preservare l’identità del luogo. All’interno del parco, nella zona di Ipiranga in cui sono presenti tre favelas, dove vivono circa 10.000 persone, è prevista la costruzione di altrettante abitazioni sociali e di edifici multi-funzionali che relazionano la ferrovia alla laguna.
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Ci siamo sempre occupate ed interessate di realtà a noi lontane e di problematiche che solo da poco riempiono le riviste di architettura. Ci siamo occupate di situazioni marginali, socialmente ed economicamente difficili. Nell’Ottobre del 2012 sul tavolo di lavoro di DIVERSE_MENTI_ABILI, associazione studentesca alla quale apparteniamo, è arrivato un tema singolare: Favelas con vista!
Al primo appuntamento, il Professor Carlo Pozzi, direttore di dipartimento della Facoltà di Architettura “G.D’Annunzio”, e il Professor Valter Fabietti, entrambi di ritorno da un viaggio a Florianòpolis, ci presentarono le problematiche di questa città, capitale dello stato di Santa Catarina in Brasile, isola molto ricca e ambita meta turistica che ha al suo interno realtà marginali e povere, quali le Favelas.
Le Favelas sono una città nella città. Cresciuta e sviluppata contestualmente a quella che comunemente riconosciamo come città formale. Le divide una variabile tanto semplice quanto sostanziale: la rispondenza alla norma, o meglio alla legge. La presenza delle Favelas separa l’immaginario collettivo della splendida città, in quanto si sono sviluppate a metà tra le luci dei grattacieli ed il silenzio del Morro, un’area boschiva e selvatica, immobile nella sua maestosità che non riesce a fermare la rapida estensione delle Favelas. E’ proprio qui che qualcuno, per quanto gli è possibile, sta cercando di risollevare queste comunità attraverso un programma di recupero e di educazione, mirato all’intervento sociale prima che progettuale. Si tratta di padre Vilson Groh, esponente della teologia della liberazione ed educatore popolare, che vive in queste comunità avvertendo la necessità di un miglioramento.
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Curitiba: intervista con Jaime Lerner. Vai alla pagina dell'intervista sul sito dell'American Society of Landscape Architects
'L'emergere oggi di una specifica questione urbana articolata attorno a temi tra loro difficilmente separabili, come quelli delle disuguaglianze sociali, del cambiamento climatico e del diritto all'accessibilità, mostra qualcosa di importante e cioè che lo spazio, grande prodotto sociale costruito e modellato nel tempo, non è infinitamente malleabile, non è infinitamente disponibile ai cambiamenti, dell'economia, delle istituzioni, della politica.
Non solo perché vi frappone la resistenza della propria inerzia, ma anche perché in qualche misura costruisce la traiettoria lungo la quale questi stessi cambiamenti possono avvenire'.
da 'La città dei ricchi e la città dei poveri' di B. Secchi, 2013
San Paolo è città dalle forti contraddizioni, contemporaneamente verticale e orizzontale, densa e rarefatta, ricca di aree verdi eppure costruita così intensamente da risultare addirittura oppressiva; povera ai limiti dell'indecenza e allo stesso tempo ricca, esclusiva, desertica e rigogliosa, vecchia e moderna; impercorribile, intasata di automobili e priva di una efficiente rete metropolitana. Tutto si concentra in superficie: incredibile sintesi di vita, di densità, di volumi e costruzioni accatastate le une alle altre. Questo accavallarsi di strati e sovrapposizioni rappresenta la vera identità della città, o meglio delle molte città che si avvicendano e si inseguono senza soluzione di continuità (Casamonti, 2011). ....leggi tutto
Estonoesunsolar è un programma pilota nazionale proposto e realizzato dagli architetti Ignacio Gravalos e Patrizia Di Monte. L’iniziativa, finalizzata alla riqualificazione del tessuto urbano nel centro storico di Saragozza, mira al recupero dei vuoti urbani e degli spazi abbandonati della città attraverso una strategia basata sul coinvolgimento diretto degli abitanti e di sessanta associazioni del quartiere. L’aspetto più interessante sembra essere l’aver coniugato un Piano di Occupazione ad un altro di Riqualificazione urbana, con interventi low-budget che hanno permesso la realizzazione di attrezzature per lo sport, la cultura ed il tempo libero, eseguite direttamente in cantiere e gestite dai progettisti insieme ad un centinaio di disoccupati e tre geometri.
Già dal nome magrittiano del programma si comprende come l’arte sia stata il principale motore in grado di innescare un processo, per un verso di riappropriazione dei luoghi abbandonati da parte dei cittadini, per l’altro di rigenerazione degli spazi pubblici attraverso l’offerta di servizi temporanei.
Tutto ebbe inizio con il festival “los Vacios Cotidianos” (“il vuoto quotidiano”) diretto da Patrizia di Monte. L’occasione diede modo ad alcuni artisti di realizzare le loro opere all’interno degli spazi abbandonati del centro. Successivamente i cittadini difesero gli interventi artistici e la nuova veste degli spazi aperti, esigendo la tutela del nuovo assetto temporaneo da parte del Comune. Attraverso un concorso pubblico venne incaricata proprio Patrizia di Monte, vincitrice del concorso, di concepire un programma che, partendo da quell’ esperienza, potesse virtuosamente reinventare la qualità urbana di quegli spazi esausti e in disuso.
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Da un pò di anni ormai il tema dell’architettura informale ha aperto nuovi ambiti di discussione intorno alle modalità di trasformazione con le quali si modificano le città ed in particolar modo le grandi megalopoli (con particolare riferimento a quelle dei paesi in via di sviluppo) sudamericane, asiatiche oppure africane. Ne sono una significativa testimonianza alcune ultime edizioni delle Mostre Internazionali di Architettura alla Biennale di Venezia.
Risalendo dalla XI Biennale dal titolo ‘Out here: Architecture Beyond Building’, il Leone d’Argento veniva assegnato ad Alejandro Aravena, architetto cileno, con il gruppo Elemental, per un progetto di edilizia sociale in un quartiere di Santiago del Cile, per offrire una qualità della vita alle fasce sociali più povere, un progetto che prevedeva una casa minima di 36 mq e la possibilità di incrementare i suoi spazi, fino al raddoppio della sua supericie, attraverso un processo di autocostruzione (Elemental proponeva sistemi aperti contrapposti a composizioni chiuse).
E’ ancora la Biennale di Venezia a conferire nel 2010 una menzione speciale della giuria all’istallazione Warld-Place dello Studio Mumbai. Lo studio indiano rispondeva al tema ‘People meet in architecture’ della XII edizione con un allestimento fatto di elementi costruttivi in legno, campioni di piastrelle ma anche strumenti, attrezzi da lavoro rigorosamente allineati su grandi tavoli. Uno spazio che mostrava una architettura più simile al lavoro artigianale che elude qualsiasi forma di gratuita innovazione. Anche in questo caso l’istallazione poneva spunti di riflessione sul pensare e sul fare architettura nel nuovo millennio.
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Il MEA2013: International Design Competition on Mediterranean Sustainable Architecture, di cui pubblichiamo in questo numero gli esiti della prima edizione (la premiazione si svolgerà ad Atene il 27 novembre 2013), è un concorso internazionale curato da Arch. Agnes Couvelas (National Technical University of Athens) e Manolis Iliakis (Architect-Spatial Designer). É promosso dalla rivista greca Building Green Magazine (quadrimestrale on-line). Nel nome è sintetizzato il programma del premio: fare il punto sui progetti più innovativi sul tema dell’architettura sostenibile realizzati intorno al bacino del Mediterraneo, considerato come un contesto geografico le cui condizioni climatiche e socio-economiche impongono una declinazione site-specific alla visione, sino ad oggi prevalentemente nord europea, della sostenibilità del progetto architettonico e urbano. Il bando di concorso si rivolgeva alle opere realizzate che hanno applicato i principi della sostenibilità prevalentemente attraverso soluzioni passive e una esplicita attenzione al contesto climatico e culturale. I 41 candidati hanno presentato proposte articolate nelle sette categorie previste dal bando: civic / urban / residential / healthcare / cultural / leisure / commercial design.
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