Le città di valle alpine si contraddistinguono per sistemi urbani ristretto tra infrastrutture, limiti morfologici e naturali. Il caso dell’ “areale ferroviario e del polo della meccatronica” è legato alle infrastrutture ma anche alla questione del limite delle aree agricole che la comunità ritiene pregiate; è un caso di un pezzo di vecchie industrie degli anni ‘60 che, rivalutate dall’incubatore d’impresa Trentino Sviluppo, sono state trasformate in prima battuta in spazi disponibili per imprese principalmente legate alla meccanica e all’elettronica e solo di recente sono state riconvertite per creare alto valore aggiunto.
La Provincia di Trento ha pensato di elaborare un programma che associasse formazione e industria, pensando a un polo della meccatronica, visto che da un lato ci sono già alcune imprese installate su tale tema e dall’altro è necessario riconvertire un polo scolastico di Rovereto, rimasto in parte desueto, cioè il Centro di Formazione Professionale per l'Industria e l'Artigianato G.Veronesi (IPIA).
Il programma di rifunzionalizzazione didattica è ambizioso: si vuole riunire l’IPIA con l’altro istituto tecnico legato alle tecnologie, ossia l’Istituto Tecnico e Tecnologico Marconi (ITI) sito a Sant’Ilario (quartiere a nord di Rovereto) e abbastanza sconnesso dalla rete di mezzi pubblici. Il progetto associa al centro didattico industrie relazionate alle conoscenze messe in campo dalle scuole stesse.
Il progetto masterplan dell’areale ferroviario e polo della meccatronica di Barozzi Veiga a Rovereto si contraddistingue per un insieme di azioni progettuali che vogliono cambiare i rapporti della città di valle che si sono sviluppati fino ad oggi.
Se da un lato i rapporti vengono definiti attraverso “la trasformazione di un’area produttiva in un nuovo spazio aperto alla città” dall’altra il progetto si preoccupa “della creazione di un nuovo polo di trasporti intermodali”. Inoltre il progetto declina “il completamento del tessuto urbano di San Giorgio” lasciando immaginare nuove trasformazioni urbanistiche nella destinazione d’uso d’interi quartieri produttivi oggi in forte crisi o abbandonati nel tessuto della città contemporanea.
La struttura urbana, per i progettisti Barozzi e Veiga, è legata all’idea di una “strutturazione di via Zeni[strada tangente alla ferrovia nella parte ad ovest] come nuovo asse urbano che diventi porta d’accesso al nuovo Polo d’eccellenza”.
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L’occasione è quella di rendere efficiente una trasformazione urbana pensando al futuro di ambiti tra ferrovia e industria che si traduca anche in un nuovo superamento dell’infrastruttura ferroviaria, ed è per questo che ha preso il titolo di “areale ferroviario”, anche se in realtà insiste principalmente su due aree a destra e a sinistra dell’areale ferroviario.
Osservando il progetto e le questioni in campo si nota che molto dipende dal futuro della Statale SS12, che ha avuto, negli ultimi vent’ anni almeno tre programmi diversi riassumibili in questo modo:
Ovviamente, per ciascuna di queste proposte, ci sono delle problematiche di raccordo e delle sfumature tra le tre proposte che non si elencano qui per brevità. Il piano dell’areale ferroviario organizza un sistema viabilistico ed un sottopassaggio pedonale che connette al futuro spazio dedicato alla stazione delle corriere sul sedime dell’attuale IPIA, che dovrà spostarsi ad ovest della stazione nel distretto della meccatronica. Queste indicazioni si ritrovavano già nelle varianti di piano regolatore delle amministrazioni precedenti all’attuale.
Né nelle varianti costituite fino all’ultima del 2010 né oggi è chiara la struttura definitiva di circolazione viabilistica sulla SS12 e questo inficia l’attendibilità del piano dell’areale ferroviario.
Le divergenze progettuali sul futuro degli attraversamenti SS12 e della ferrovia diventano ancora più preoccupanti quando si guarda da vicino cosa ha prodotto l’attuale amministrazione comunale. Ha approvato e deliberato un incarico diretto all’architetto Cocco (linea viola fig.6) per un progetto definitivo per una passerella sopra la SS12 in quota a sud della stazione, e allo stesso tempo ha incaricato uno studio di masterplan all’arch. Barozzi con l’individuazione di un sottopasso alla ferrovia questa volta a nord della stazione (linea rossa fig.6).
Evidentemente di due una!...O si attraversa SS 12 della ferrovia a nord o a sud e di conseguenza è necessario produrre un disegno unico con una forza espressiva decisamente più valida. Sembra che lo strumento del progetto definitivo e lo strumento del masterplan cozzino e quindi sembra che vi sia la necessità di un ulteriore documento.
Le idee degli architetti, spesso non generano delle incompatibilità a priori perché le tecniche e le culture in genere si possono avvicinare; il problema a volte è degli incarichi diretti dati ad architetti che finiscono per non tenere conto delle impostazioni generali e dell’importanza che i diversi progetti siano integrati tra loro. Come studioso-architetto e professionista, mi domando come sia possibile che il nostro ruolo sia così marginale, così legato alla carità di un’amministrazione che ti permette di vivere al punto da non lasciarti di affrontare, esprimere e sviscerare le incongruenze, con il fine di risolverle. Probabilmente è il destino di tutti i professionisti che devono accettare quanto viene proposto dalla committenza. Da quanto detto sopra si sarà capito che stiamo parlando di una committenza pubblica che non ha consolidato una scelta rispetto ad un ventaglio di idee e quindi ha bisogno di progetti per decidere, senza tenere conto che non avere idee e chiarezza nelle priorità di spesa, costa di più e in questo caso a tutta la collettività. Se la risoluzione di incongruenze andrebbe risolta da studi di fattibilità che determinino ordini di dimensione nella spesa e “prioritizzazione” di senso e significato, rimane il fatto poi che qualsiasi documento tecnico deve diventare più attivo, magari attraverso computi e analisi SWOT che si rispettino, permettendo di costituire una prospettiva eticamente vincolante per dare solidità ai progetti. Gli architetti Barozzi e Cocco sono dei bravissimi ed affermati professionisti, intendiamoci; quando si guardano i disegni di Barozzi si capisce che si parla di una persona con molte abilità espressive e tecniche, mentre Cocco è un intellettuale di chiara fama per il lavoro sul People Mover di Venezia. Non è un problema della loro penna, ma un problema della struttura democratica di gestione delle necessità collettive. Spesso situazioni come queste hanno delle conseguenze, e solitamente la più grave è quella di non prendere decisioni e abbandonare il processo di trasformazione. Un passaggio della ferrovia e della statale passeranno sopra o sotto a nord o a sud? Questa informazione essenziale per parlare di una trasformazione di un areale ferroviario intermodale ed un distretto o polo della meccatronica ad esso legato non è nota. Questa incertezza restituisce e alimenta la sensazione di essere circondati da brandelli d’idee, detriti della conoscenza e frammentazioni del sapere che si stanno perdendo e che vanno a fare parte dell’entropia alla quale qualsiasi informazione è destinata, secondo il principio dell’entropia dell’informazione di Shannon alla quale ad una perdita di informazione corrisponde un aumento di entropia su un dato sistema, e viceversa. Forse il titolo corretto del progetto di Barozzi era più corretto se non avesse incluso l’areale ferroviario, visto che non è in grado di risolverlo. Forse in futuro andranno fatti investimenti in termini di progettazione complessiva della parte ad ovest della ferrovia pensando che ci sono anche molte altre parti da risolvere. Forse nel caso della progettazione di Barozzi, andava determinato un solo obiettivo senza troppo complicarsi la vita con messaggi divergenti nelle parti dei margini dell’ambito del polo della meccatronica.
Infatti se si va a vedere da vicino le altre incongruenze che ci sono intorno al sito dell’areale ferroviario e del polo della meccatronica si comprende che il masterplan si colloca tra due quartieri, Sacco e San Giorgio senza però che il progetto ne declini chiaramente dei rapporti. Osservando il contesto rimangono dei dubbi sul processo progettuale, estremamente legato ad un’area ben definita, senza un vero rapporto a scala amplia (o vasta) che un masterplan potrebbe in particolar modo mancano indicazioni sulla viabilità da nord a sud, dallo Stadio Quercia verso Navicello nella parte ad ovest della ferrovia.
Le decisioni rimangono ambigue, e i brandelli di città rimangono sfilacciati in tutte le aree ad ovest della ferrovia ad esclusione dell’antico Porto sull’Adige di Sacco e la Manifattura Tabacchi (oggi un progetto di incubatore di Green Economy costruito da Carlo Ratti e Kengo Kuma). Storicamente, nel periodo precedente alla prima guerra, la città si doveva sviluppare principalmente ad est della ferrovia grazie al disegno di Karl Mayreder, progettista della Karlsplatz di Vienna e discepolo di Camillo Sitte.
Successivamente nell’intorno di San Giorgio, case spontanee unifamiliari cominciarono a svilupparsi. Il piano di Samonà degli anni settanta liberava spazi agricoli allo sviluppo industriale soprattutto in Via Zeni. Da quel momento, negli anni settanta, grazie anche alla domanda di residenze legate all’industrializzazione cominciò l’aggressione ad aree agricole estremamente pregiate per la loro produttività, soprattutto vitivinicola perché poste sul conoide ghiaioso del Leno. È molto importante tener conto la tipologia residenziale della zona ad ovest della ferrovia, anche per la crescita che sta ancora subendo. Probabilmente, un progetto unitario ad ovest della ferrovia dovrebbe partire da un miglioramento nei rapporti con l’agricoltura a vigna supersite all’aggressione urbana, forse attraverso un piano direttore che spinga tanto quanto spinse quello di Mayreder. Uno strumento nuovo che raccolga i detriti di idee passate da cinquant’anni di pianificazione non eseguita (a partire dal cono scorso “10 progetti per Rovereto” ormai del 1998, solo per fare un esempio di concorsi mai eseguiti a Rovereto e che dimostrano una sovrabbondanza di idee ed un’incapacità di arrivare ad una sintesi). In particolare si sente spesso parlare di parco agricolo dell’Adige e del Leno ma non è chiaro quali siano i confini di questo parco. Quando si osserva il confine ad ovest dell’areale ferroviario con la campagna, si percepiscono dei “non rapporti”. Una banale rete divide la città dalla campagna. Una fila di case è direttamente in contatto con un’area a vigneto senza particolari cuscinetti di spazi verdi pubblici. Se si camminasse per Via Unione leggendo il manifesto al terzo paesaggio di Clement, penseremmo che in quel luogo si smentisce l’idea dell’autore di un paesaggio fatto di margini e forse si potrebbe aggiungere che non si lavora su questo tema perché si è bloccati dalla paura di assumerci delle responsabilità rispetto alle norme ed al diritto della proprietà privata.
Il parco agricolo è uno strumento che è nato dalle grandi metropoli: Barcellona (il Parco Agricolo del Llobregat) e Milano (il Parco Agricolo Milano Sud) sono due esempi lampanti di processi di amministrazione di una volontà di contenimento dell’espansione dell’area residenziale di queste grandi città metropolitane e di aumento di qualità anche nei margini e nei confini. Essendo un processo di tipo urbano, risulta molto difficile applicarlo ad un territorio che non ha la consapevolezza di essere una città di valle di 80.000 abitanti che comprende ormai tutta la Vallagarina e non solo i 39.000 abitanti del comune di Rovereto. Ma la spinta per la costruzione di un Parco Agricolo, stranamente, sta giungendo proprio dai comuni minori e non da Rovereto, forse per il fatto che esista proprio in quei territori una forte cultura agricola che spinge per proteggere i prodotti vitivinicoli e mele che si producono in Vallagarina.
Se i parchi agricoli nascono da una domanda di spazi pseudo naturali perimetrali alle grandi città metropolitane, allora è necessario considerare che questa domanda potrebbe definirsi come una sorta di gentrificazione della campagna. La parola gentrificazione è un neologismo di derivazione anglosassone che pone l’accento sulla trasformazione di quartieri successiva all'installazione di un nuovo gruppo sociale di classe media in quegli spazi. Quindi, visto il progetto del polo della meccatronica uno può domandarsi che fine fa la qualità ambientale appena fuori dai sistemi urbani per la classe media che spesso viene richiesta, una domanda che oggi nella città di Valle è costituita da agricoltori arricchiti culturalmente-socialmente, da professionisti e dipendenti di ogni genere. Dopo aver accennato al problema della frammentazione delle decisioni all’interno di nuclei urbani anche di media e piccola dimensione e aver sottolineato che ciò genera dei detriti che spesso incastrano la macchina amministrativa rispetto alla responsabilità di scegliere su questioni infrastrutturali di fondamentale importanza come l’inserimento di un attraversamento in più da est a ovest rispetto alla SS12 e alla ferrovia. Dopo aver argomentato sul problema della professione rispetto a questa frammentazione e aver evidenziato che a Rovereto inoltre tale questione ha portato il masterplan dell’areale ferroviario e del polo della meccatronica a non considerare di risolvere veramente e fisicamente alcuni rapporti di paesaggio di margine verso un ipotetico parco agricolo dell’Adige. L’ultimo punto che si vuole sottoporre al lettore di quest’articolo per riflettere sulla difficoltà di portare a termine delle azioni di riqualificazione di brandelli di città, è il fatto che la progettualità in masterplan deve essere costruita attraverso la qualità. Nel caso di Barozzi siamo di fronte ad un buon impianto per la parte interna al Polo. L’area del Polo della meccatronica sembra ben conformato e spesso si avvicina a una visione molto scultorea e architettonica della concezione degli spazi pubblici anche in una zona produttiva e scolastica. Il progetto di Barozzi propone spazi architettonici di qualità. C’è una bella similitudine tra gli spazi progettati da Barozzi spesso da lui stesso usata per descrivere la forma di patio molto esteso, ed è la similitudine con il chiostro della certosa di Pavia.
Se le spazialità sono assai nobili nei disegni, rimarrà da capire come riuscire a fare in modo che le facciate dialoghino con questa successione di patii verdi in modo da non invalidare la forza progettuale d’insieme, . Questo dialogo ovviamente nel progetto di Bernardo da Venezia e Giacomo da Campione per Pavia viene rispettato da una costruzione fatta da altre maestranze ma che ben interpretano il disegno originale di un ritmo ed una serialità.