Dossier. Bologna, piano progetti e politiche a cura di Patrizia Gabellini e Martina Massari

Intervista al Sindaco Matteo Lepore
Patrizia Gabellini
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Patrizia Gabellini
Da 12 anni amministri Bologna, prima come Assessore con deleghe sempre più’ importanti ed ampie, ora come Sindaco con un impegno e una visibilità nazionale. Da quando guidi l’Amministrazione hai anche accentuato gli scambi internazionali; quindi, come prima cosa ti chiederei di tratteggiare un affresco di questi anni di evidente mutazione delle condizioni generali con le quali deve confrontarsi il governo di una città importante come Bologna.

Sindaco, Matteo Lepore
Bologna è un po' a un giro di boa. Negli ultimi dieci anni è molto cambiata a livello sociale, economico e anche demografico. In questi dieci anni, infatti, sono venute a vivere a Bologna diecimila famiglie in più, è aumentato il turismo, anzi è nato un settore turistico, per tanti visitatori stranieri -anche dopo il covid- Bologna si è confermata una meta. Prima era più un luogo di passaggio, oggi è una destinazione per tante persone. Certamente l’alta velocità è uno dei fattori che ha consentito alla città di fare un salto, insieme a un suo riposizionamento economico per alcune scelte che sono state fatte. Quindi una Bologna che adesso deve giocarsi una partita in un campionato diverso essendo di fatto la seconda città più dinamica del paese insieme a Milano. Quindi occorre capire come questa apertura internazionale e la dinamicità economica possano continuare senza allargare la forbice delle diseguaglianze. Questo, secondo me, è il giro di boa che abbiamo di fronte.
Per il resto, la congiuntura del covid, della crisi energetica, dell'inflazione e della guerra non si può tralasciare in quanto abbiamo finito i due mandati del Sindaco precedente abbastanza bene, con risorse e grande crescita della città quando improvvisamente è arrivato il covid prima e poi la guerra, di seguito l'aggressione dell'inflazione che si sta mangiando tanto della spinta propulsiva data dal bilancio del Comune. Come amministratore che c'era anche allora, osservo che siamo un Comune con un avanzo annuo di circa trenta o quaranta milioni di euro che vengono erosi dall'aumento delle spese energetiche, dall'inflazione, dall'aumento dei costi delle materie prime. Se non avessimo questa zavorra avremmo sicuramente una grande capacità di investimento in quanto le condizioni economico-finanziarie sono buone e il Comune non è particolarmente indebitato.
Abbiamo un bilancio con investimenti che sono cresciuti rispetto ai dieci anni precedenti, quindi riusciamo comunque a fare cose, ma potremmo fare molto di più se non avessimo avuto tutte queste congiunture. In questo primo anno, mettendo insieme le nostre risorse e i fondi del PNRR della città metropolitana, abbiamo fatto un piano investimenti che come sistema municipale forse si faceva in cinque anni, perché abbiamo 1 miliardo e 72 milioni di euro del PNRR accordati dalla Corte dei conti (come sistema territoriale 2.600 euro pro capite). Ciò significa che anche sulla partita degli investimenti europei il sistema ha saputo (per adesso) giocarsi bene le proprie carte.

PG Per le tue deleghe di Assessore prima e in quanto Sindaco oggi, ti sei dovuto confrontare con le politiche urbanistiche di anni caratterizzati da profondi cambiamenti. Come le hai viste modificarsi? Quali aspetti hai condiviso e quali ti hanno preoccupato? Potendo muovere tutte le leve del governo urbano e metropolitano, quali considerazioni hai fatto per decidere priorità e deleghe a livello politico e nell’organizzazione della ‘macchina’ comunale?

ML Ho scelto un titolo per la mia campagna elettorale e per il programma di mandato: Bologna come la città più progressista d'Italia.  Non è una fotografia né una rivendicazione, ma significa un'ambizione, un progetto politico progressista e municipalista. L'idea che il manifesto politico di una città come Bologna, in questa fase e nel suo giro di boa, possa essere quello di un luogo di innovazione dimostrativo sia per le soluzioni a livello locale sia per l'apertura a sfide nazionali o internazionali. Per questo ho declinato la città più progressista come una città che è capace o che deve essere capace di proporre progetti innovativi da realizzare e, laddove non ha deleghe per poter realizzare, combattere per far sì che si aprano delle questioni a livello nazionale.
Lavoriamo con questo approccio molto politico, non solo amministrativo. Questo significa, ad esempio, che dobbiamo declinare l'urbanistica, come anche le politiche del welfare, della salute e del lavoro, in chiave progressista, pensando sia alle questioni locali che a quelle nazionali. Non è solo un mandato per realizzare dei progetti, perché comunque lo abbiamo avviato con un piano urbanistico generale e una serie di strategie appena approvate che in parte vanno aggiornate, anche solo per quello che è successo. Pensiamo, ad esempio, al Piano della mobilità sostenibile che aveva delle scadenze e con due anni di pandemia quelle scadenze sono saltate o sono ritardate, e ne usciamo con tagli che riducono le risorse pubbliche per il trasporto locale.
Sull'urbanistica la scelta è stata quella di fare una Variante, ma sugli strumenti attuativi, per rivedere ciò che si poteva migliorare al fine di attuare una rigenerazione. Gli obiettivi sono stati aggiornati solo in parte: quelli di sostenibilità e di riduzione del consumo di suolo sono stati mantenuti e così il quadro complessivo. A livello strategico abbiamo aggiunto progetti come la Città della conoscenza e l'Impronta verde: entrambi sono una lettura della città nella nuova situazione economica e sociale e di fatto tengono assieme gli aspetti dello sviluppo. L'Impronta verde è l'idea di sei parchi urbani che attraversano il comune e la città metropolitana e costituiscono una ricucitura di cose che già esistono, ma sono anche un'idea di attraversamento della città a piedi, una nuova infrastrutturazione di servizi (con l'offerta scolastica e culturale nei parchi), cioè una rilettura della città attraverso gli spazi e i corridoi. Si tratta anche di una provocazione intellettuale e politica, nel senso che mentre facciamo il passante autostradale (che di fatto è l’allargamento di una strada che esiste già e che già inquina e di cui semmai andiamo a contenere i difetti) vogliamo realizzare dei corridoi, anche di biodiversità, con l'ambizione di cambiare la città e di migliorarla molto più del passante. E chiediamo una rilettura di Bologna come paesaggio, con tutto quello che ciò comporta per la vita nella prossimità. Nell'Impronta verde cambia la relazione di prossimità rispetto alle zone pedonali, il modo stesso di concepire il movimento, includendo piste ciclabili e spazi scolastici. A Bologna non mancano esempi per questo: il Fossolo è un quartiere pensato ormai cinquant’anni fa, ma è già di fatto così.
L'Impronta verde esprime un approccio nuovo, però l'idea che Bologna sia un luogo vivibile, non tanto dei quindici ma dei cinque minuti, che sia un luogo attraversabile e, per la dimensione del capoluogo, anche un luogo già collegato all'area metropolitana attraverso questi corridoi, è una realtà afferrabile, già concreta. Dobbiamo dargli una visione, una nuova attitudine a prendersi cura degli spazi verdi, perché la loro scarsa qualità è stato un tema per anni e lo è tuttora. Questo non era citato nel piano urbanistico e invece penso che andasse citato, soprattutto se dobbiamo cominciare a entrare nel merito di come vengono realizzati i progetti, altrimenti rischiamo di fare le cose sempre allo stesso modo.
La Città della conoscenza coglie come caratteristica di Bologna la presenza di circa 100.000 persone, a fianco dei 400.000 residenti, che lavorano e vivono di cultura e conoscenza. Il Tecnopolo è un'ennesima conferma di questo e quindi a me, a noi, piaceva l'idea che questa identità della città ne influenzasse anche la forma, il disegno, le scelte. Il tram non arriva al Tecnopolo mentre arriva a FICo: è banale, ma credo che ci siano alcuni pezzi del progetto della città da rivedere sulla base di una lettura politica e culturale. Quindi l'Impronta verde e la Città della conoscenza indirizzano il futuro. Sono temi che si tengono nella missione clima.
Noi scegliamo di essere tra le nove città italiane e le cento europee in grado di neutralizzare le emissioni di anidride carbonica entro il 2030. Una sfida enorme che ci chiede di accelerare alcune scelte o di metterne in discussione altre. Anche questo non si può fare senza cambiare le strategie e i piani. Quindi il nostro obiettivo, nel primo anno di mandato, è stato quello di inserire, dentro una macchina che stava andando avanti e che non stava facendo male, una visione che potesse accelerare i tempi, ma che potesse anche essere più progressista.

PG È ormai affermata la tendenza a costruire pacchetti di deleghe per tema e non per competenza, ma nella tua Giunta essa appare chiara e forte. Con riferimento all’urbanistica come hai attribuito le responsabilità? Come ti sei rapportato col passato? Detto altrimenti, come hai declinato il rapporto continuità/discontinuità? Nel tuo programma è entrata esplicitamente la questione del governo metropolitano. Sempre con riferimento all’urbanistica, quale indirizzo hai inteso dare con le deleghe amministrative?

ML Nello specifico dell'urbanistica, ho scelto deleghe con delle integrazioni, perché è un mio modo di lavorare e perché la nostra squadra, pensata in maniera integrata, è formata di competenze molto complementari fra loro. Ed è molto larga perché ho aggiunto anche dei delegati metropolitani facendo un'unica giunta metropolitana, quindi con una visione metropolitana, e questo non può non contaminare anche quello che si fa. Quindi l’urbanistica per me va oltre la proposta di Variante che stiamo portando avanti ed è coerente con i temi che ho detto prima. Per me significa, in questo mandato, la realizzazione dei progetti, in particolare la rigenerazione delle aree dismesse, e la chiave di volta che, dopo tanti anni, abbiamo deciso di mettere in campo è l'idea che il Comune torni ad acquisire aree. Quindi, uso del PNRR per acquisire le aree ferroviarie, protocolli con il demanio e altri enti per ritornare in possesso o diventare detentori di aree. Questo perché dobbiamo anche sbloccare una ormai quindicennale incapacità del territorio di rigenerare le aree dismesse.
È chiaro che di fronte a noi abbiamo Milano, forse l'unica città insieme a Roma capace di attirare grandi investimenti esteri. Il nostro obiettivo non è avere un'evoluzione con investimenti privati che puntino a offrire appartamenti con costi molto alti, ma trovare una soluzione diversa. Come è successo per l’urbanistica riformista degli anni Sessanta, l'idea è che il ruolo pubblico nell'acquisizione di aree serva ad abbattere la rendita per una messa in gioco di interventi privati. Quella fu una scelta in base alla quale anche i privati realizzarono, ma grazie a un intervento pubblico che dava le carte e metteva in campo nuove regole. Nella città progressista e municipalista l'urbanistica è progressista. In questo inizio di mandato stiamo cercando di tornare a discutere con chi può fare gli investimenti, che oggi ha una posizione di maggiore forza rispetto a prima, in un paese, in un mondo dove le città rischiano di essere preda delle speculazioni finanziarie.

PG Già nel secondo mandato del Sindaco Merola sei stato fautore di una importante ed evidente trasformazione dell’Urban Center, diventato Fondazione Innovazione Urbana. Alla profonda modifica statutaria hanno corrisposto un programma e un’organizzazione del tutto nuovi, con importanti ricadute sul modo di concepire gli interventi urbanistici. Poichè hai affidato al Presidente della FIU la delega dell’urbanistica, ritieni che anche in questa relazione debba distinguersi la tua idea dell’urbanistica?

ML Fondazione Innovazione Urbana subirà un ulteriore cambiamento perché l'idea è di fonderla con la Fondazione Rusconi e la Fondazione Villa Ghigi, di fatto tre istituzioni che si occupano di innovazione urbana e di partecipazione dei cittadini. Una, la Fondazione Villa Ghigi, che si occupa di educazione ambientale e paesaggio e l'altra, Fondazione Rusconi, che si occupa di cura del patrimonio e, nei suoi ultimi anni, del disegno dello spazio pubblico in centro storico. Sono tutti e tre laboratori di fatto che in questi anni abbiamo promosso e che devono riunirsi. Questa è l'idea per diventare una grande fondazione che si occupi di spazio pubblico, partecipazione dei cittadini, e anche ricerca e sviluppo nell'ambito del pensiero urbano. Questo è ciò che abbiamo fatto nel disegnare un percorso intellettuale e politico, di sperimentazione, che si è confrontato con altre realtà. Certamente quella a noi più vicina di Barcellona, con la quale abbiamo sviluppato un confronto su vari fronti, da quello politico in senso stretto a quello legato alle scelte dell'agenda digitale, poi dal tema dei dati alle questioni della forma della città, delle battaglie per una riduzione delle disuguaglianze o la regolamentazione delle piattaforme.
Quindi l'idea che il municipalismo sia oggi una strada per la politica e per amministrare, che quando non si hanno le risposte bisogna essere capaci di fabbricarle. Non è una prospettiva distante dalla tradizione bolognese, perché Bologna già alla fine dell'Ottocento perseguì questa strada con sindaci socialisti come Zanardi. Questa città nel dopoguerra è sempre stata all'opposizione a livello nazionale, ma in grado a livello locale di costruire risposte concrete ai bisogni dei cittadini. Penso agli asili nido, ho detto prima dell'urbanistica ma potremmo fare altri esempi nell'ambito del welfare e in modo particolare dell'educazione. Questo vale principalmente oggi, in una Bologna dove il cambio di popolazione è incessante: ogni dieci anni cambiamo un quarto della popolazione, nonostante il covid e tutte le sfortune di questi ultimi due anni. Anche nel 2022 la popolazione è cresciuta e Bologna continua ad attrarre tanti giovani dal Sud: due migranti su tre sono italiani.
Bologna non può stare ferma, quando è rimasta ferma e ha perso quell'ambizione progressista che io coltivo, quando ha smesso di cercarla abbiamo perso le elezioni e ci siamo fermati. Abbiamo deluso le aspettative dei residenti tanto quanto quella dei nuovi venuti e di coloro che stavano arrivando. Infatti, se si sceglie di venire a vivere a Bologna (a meno che non ti ci mandino nel caso degli universitari o per lavorare in alcuni settori) è perché si hanno delle aspettative nei confronti della città, ad esempio rispetto alla qualità della vita. Questo vale anche per i manager, magari più pagati in altre città, che vengono a Bologna perché oltre allo stipendio trovano una migliore qualità di vita, possibilità di movimento e un'altra serie di cose, anche di tipo valoriale. Per confermare il sogno di questa città, come dicevo in campagna elettorale, Bologna deve sempre superare sé stessa, non può accontentarsi di fare la gestione dell'esistente o di essere solo la città dei nidi e del welfare per gli anziani. Quindi ci siamo accorti a un certo punto che la classe dirigente del Comune, tecnica e politica, doveva fare un salto di qualità. C'era bisogno di persone con nuove competenze in grado di valutare progetti economici e finanziari, di essere promotori e non solo controllori. E per fare questo cambiamento di software serve un progetto politico che spinga le cose in avanti. Gli assessori, per il loro profilo, hanno le caratteristiche per poter condurre queste partite, ma anche per poter inserire un punto di vista differente. Penso ai due più vicini ai temi che trattiamo, Raffaele Laudani e Valentina Orioli.
Laudani è un professore di dottrina politica che insegna pensiero politico contemporaneo. Per dare forma a una città da combattimento, penso non fosse necessario un architetto, ma una persona in grado di comprendere appieno la grande responsabilità che oggi ha una città nel cambiare la vita delle persone e nel condurre alcune battaglie di posizionamento a livello internazionale. Perché oggi essere una città progressista o non esserlo fa molta differenza rispetto a quello che sta succedendo nel mondo. Penso al dibattito nazionalismo vs europeismo, alla questione dei diritti umani o della povertà educativa. Si possono fare tutte le politiche pro o contro la povertà educativa, ma è necessario che la città dal punto di vista del suo disegno, delle sue scelte strategiche non ostacoli la convivenza nei quartieri fra le diverse fasce sociali. Campos Venuti non a caso diceva che chi veniva a Bologna, nella Bologna che era stata disegnata, non riusciva a distinguere i quartieri più ricchi e quelli più poveri, perché si era voluto disegnare tutti quartieri belli, anche quelli dove ci sono le case popolari. E in alcune zone questo è riuscito, meglio o peggio, però l'ambizione era quella. Quindi volevo un'idea politica dietro al disegno della città.
Valentina Orioli, che prima era assessore all'urbanistica, è stata scelta per dare forma al paesaggio, in quanto penso che in una città compatta e metropolitana allo stesso tempo come Bologna, l'Impronta verde possa avere una grande potenzialità trasformativa. La nostra classe politica locale per anni, quando ha parlato di mobilità sostenibile, ha parlato di strade. E le battaglie fatte sono sempre state finalizzate a portare a casa soldi per fare bretelle stradali. Invece io vorrei aprire una stagione nella quale facciamo battaglie per le aree verdi, i corridoi verdi, le piste ciclabili, e non a caso il nostro progetto di passante di nuova generazione ha cercato di ottenere maggiori investimenti per il verde. Di fatto è un progetto architrave per fare gran parte dei parchi di cui abbiamo parlato, compresi i parchi solari perché nell'accordo per il passante ci sono cinquanta megawatt di fotovoltaico. Il tram fa parte di questo disegno di trasformazione togliendo le auto dal suo percorso. Il tram è una grande infrastruttura sociale, non soltanto un modo per elettrificare la città. Però, per riuscire a dare questa lettura serviva qualcuno che avesse il punto di vista adatto. Avevamo già deciso di fare il tram, così come le altre infrastrutture; quindi, le scelte strategiche sulla mobilità erano già state fatte, ma per riuscire a renderle più complementari, più integrate, ci voleva qualcuno che avesse un diverso punto di vista: questa è stata la scommessa e vedremo poi se saremo in grado di vincere.
Tengo molto anche alle deleghe dell'assessore Daniele Ara, al quale sono affidati la scuola, l’agroalimentare, l'agricoltura, le reti idriche e l'educazione ambientale perché penso che la scuola sia una grande piattaforma sociale e che, se vogliamo migliorare le politiche del cibo in città, modificare le abitudini dei cittadini sui temi della salute e sulla sostenibilità, dobbiamo considerare le mense scolastiche un po' come l'apparato militare negli Stati Uniti da cui è nato Internet, pensarle come un attivatore di innovazione. E non possiamo non partire dall’all'agricoltura se vogliamo prenderci cura della salute dei cittadini e renderla coerente con una nuova idea di paesaggio. Quindi, di nuovo torno all'impronta verde. C’è una circolarità nelle deleghe di progetto ed è chiaro che questo è molto faticoso dal punto di vista del team building e della visione. Però il risultato politico che abbiamo ottenuto alle elezioni e la libertà che ho avuto nel costruire la squadra per ora, a mio parere, ci sta permettendo di fare quello che vogliamo.
D’altro canto, non possiamo non provare a prefigurare quello che sarà il futuro delle città nel nostro Paese nei prossimi dieci anni, perché è più facile che Bologna diventi come il resto d'Italia piuttosto che l'Italia diventi come Bologna. Quindi abbiamo bisogno di combattere non solo battaglie locali, ma anche di più ampie dimensioni. È così sulla gestione dei migranti stranieri. Se Bologna pensa di fare da sola accogliendo tutti non ce la farà mai. Quindi dobbiamo fare una battaglia nazionale perché cambino alcune leggi. Potrei fare altri esempi sui nidi, sugli istituti tecnici professionali e su altro ancora. Bologna continua ad avere un grande bisogno di formazione professionale avanzata per lavoratori da impiegare nelle proprie imprese manifatturiere che sono fondamentali. Può fare tanto, ma la competizione per questo tipo di forza lavoro è globale e le persone decidono se andare a lavorare in India, a Londra, a Bologna o negli Stati Uniti. Gli ingegneri, a proposito di Tecnopolo e di sviluppo dei dati, vanno a ruba. Oggi spesso ci sono persone che vengono a vivere da noi sulla base di un'analisi multifattoriale, non solo dello stipendio
L’altra faccia della medaglia è dunque la qualità dei servizi in città. Una Bologna più aperta, più internazionale, è anche una Bologna che deve essere capace di prendersi cura di sé, quindi più pulita, più sicura, con una logistica migliore. Una città che, comunque, è prima per la qualità della vita, deve migliorare in questo senso se vuole fare quel giro di boa di cui si è detto e non essere sconfitta in mare aperto. Ma ci vuole un progetto politico che anticipi questi obiettivi prima che i problemi si vedano ad occhio nudo, perché allora è già troppo tardi. Non a caso appena mi sono insediato ho voluto cambiare il contratto con la società Hera per la gestione della pulizia della città e dei rifiuti, un contratto che non era stato gestito dai Comuni, che con una validità di 15 anni pregiudicava il mandato di due/tre sindaci. Per questo ho voluto fare una battaglia già in campagna elettorale perché altrimenti non avrei avuto le leve per poter poi gestire quel tipo di problemi.

PG In uno scambio avuto un po’ di tempo fa su un’operazione urbanistica importante ricordo che mi chiedesti se fosse ‘di sinistra’. Quella domanda mi colpì perché diretta ad affrontare i caratteri di un’urbanistica che oggi possa dirsi ‘progressista’, ciò che rivendichi per la tua amministrazione. In questa intervista hai richiamato gli anni Sessanta e l’opera di Giuseppe Campos Venuti cui si deve la definizione dell’urbanistica riformista. Nel suo ultimo libro Piercarlo Palermo, riconoscendo il ruolo di Campos, discute la necessità di un’urbanistica postriformista. Penso che tu abbia voluto usare il termine progressista per indicare una discontinuità che non rinnega e superare il ‘post’, ancora incerto e interlocutorio, annunciando che il salto si è compiuto. Ti chiederei di chiudere il discorso spiegando il ragionamento che ti ha portato a dichiarare Bologna la città più progressista d’Italia.

ML Partiamo da Gramsci quando dice che il vecchio mondo sta morendo e quello nuovo tarda a comparire, e che in questo chiaroscuro nascono i mostri. Tra riformismo, postriformismo, progressismo alla fine non si capisce cosa siamo e dove vogliamo andare. Il post è un po’ la fiera del pensiero debole, del relativismo di cui oggi non abbiamo bisogno. Io ho scelto una linea politica. Abbiamo bisogno di pensieri forti perché i cittadini hanno bisogno di istituzioni forti. In questo caso stiamo parlando di una visione che deve guidare un'istituzione quindi un territorio nelle sue trasformazioni. Se vogliamo ridurre le disuguaglianze, se le istituzioni hanno un senso, se vogliamo avere delle transizioni giuste, abbiamo bisogno, almeno nella prospettiva progressista in cui credo, che ci sia una politica che si candida a guidare le istituzioni per redistribuire il potere, il che significa avere ‘un’ punto di vista e non ‘qualunque’ punto di vista: un punto di vista per il progresso. Significa, certo, cambiare le cose e quindi avere un progetto riformista, ma scegliendo chi vogliamo rappresentare. Io ho scelto di candidarmi alle elezioni, di rappresentare chi credeva che occorresse questa redistribuzione del potere nella città, così come un'idea più complessiva di società, che il nostro progetto progressista partisse dalla cultura della solidarietà, ad esempio, il che non è banale in un’epoca di individualismo e divisione sfrenata. Che ci fosse una presa di posizione critica rispetto al modello economico. Io penso che oggi occorra dire che il neoliberismo e il capitalismo devono essere superati o comunque criticati perché quello è un ordine mondiale che punta all’atomizzazione dell’individuo, la forza nelle mani di pochi per prevaricare sui tanti. Quindi per me il progressismo oggi significa mettere una città a disposizione dei tanti, riuscire a favorire quelli che in particolare possono subire delle ingiustizie o meno hanno. È un punto di vista, più radicale ma anche più democratico. Io do questa accezione dei termini e vedo il dibattito sull'urbanistica non come architetto o come urbanista, ma come politico. Per me ridare un nome a una stagione è collegare quella stagione all'ambizione dell'amministrazione: amministrazione progressista quindi urbanistica progressista. Ma in questo caso i due obiettivi non sono distanti. Allora si chiamava urbanistica riformista perché nel dibattito politico culturale quel termine aveva un significato. Oggi dire riformista per alcuni è il sol dell'avvenire, per altri non è né carne né pesce.
Devo dire che negli ultimi tre-quattro anni, da quando abbiamo deciso di fare di Bologna la città più progressista d'italia, qualcuno non ne può più di sentirlo dire. Però abbiamo sdoganato un termine che era finito nella damnatio memoriae. Non si poteva più parlare di progressismo in Italia, invece nell'ultimo congresso del Partito Democratico, finalmente e improvvisamente, tutti hanno cominciato a parlare di progressismo, di laburismo, un po' perché purtroppo il pensiero debole vige ovunque e il primo che mette una parola a volte prevale. Però io penso che noi dobbiamo contrapporre alla destra delle idee forti. Il municipalismo oggi è una presa di posizione, non è municipalità progressista, non è moderatismo o una finta linea che si mimetizza. È chiaro che il dibattito sulla transizione ecologica è a sua volta una presa di posizione. Le nuove generazioni, i movimenti che si occupano del clima fanno fatica a vedere la questione della giustizia sociale o del lavoro. Io penso invece che nella discussione sulla transizione giusta occorra entrare con un punto di vista. Chi si confronta con la nostra amministrazione sa che abbiamo un punto di vista e quando saremo chiamati a fare delle scelte sui vari aspetti, con questo punto di vista giudicheremo quale strada intraprendere.