Call for Paper - Traiettorie di ricerca interdisciplinari e progetto urbano

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PINQUA 1Rione San Gaetano, Napoli
Bandi PNNR e terza missione: un’occasione di riflessione.
Paola Scala PDF




Parole chiave: Pinqua, terza missione, rigenerazione urbana, abitare collettivo
Keywords: Pinqua, Third Mission, urban regeneration, collective housing

 

Abstract:                 
IT) L’articolo propone l’analisi critica della consulenza a supporto della rigenerazione urbana del Rione San Gaetano a Napoli, un quartiere residenziale situato nell’area nord di Napoli costruito nel dopoguerra con i fondi del Piano Marshall. Nel 2020 la Regione Campania e l’ ACER decidono di partecipare al bando PINQUA con un progetto sviluppato con la consulenza del Dipartimento di Architettura della Federico II. L’articolo punta a evidenziare non tanto la qualità delle scelte progettuali ma, soprattutto, le ragioni dietro quelle scelte sottolineandone gli aspetti positivi ma anche le criticità e i compromessi tra le diverse istanze del territorio, dell’ amministrazione e delle molteplici discipline coinvolte nel processo. Il testo dunque rappresenta un contributo critico nell’ambito del dibattito sulle potenzialità e le contraddizioni dell’attività di Terza Missione dell’Università.
EN) The article is a critical analysis of the consultancy work aimed at regenerating the Rione San Gaetano in Naples. It is a residential district located in the northern area of Naples built in the post-war period with funds from the Marshall Plan. In 2020 the Campania Region and ACER decide to attend the PINQUA tender by a project developed with the support of the Federico II Department of Architecture. The article aims to highlight not so much the quality of the design choices but, above all, the reasons behind those choices, underlining the positive aspects but also the critical issues and the compromises between the different requests of the territory, of the administration and of the multiple disciplines involved in the process. It also represents a critical contribution to the debate on the potential and contradictions of Third Mission activity.

 

 

Premessa 1

Il Decreto interministeriale numero 395 del 16/09/2020 stabilisce le procedure per la presentazione delle proposte, i criteri per la valutazione e le modalità di erogazione dei finanziamenti per l’attuazione del “Programma innovativo nazionale per la qualità dell’abitare”, programma per il quale lo stesso decreto assegna 853,81 milioni di euro per riqualificare e incrementare il patrimonio residenziale sociale, rigenerare il tessuto socio-economico, incrementare l'accessibilità, la sicurezza dei luoghi e la rifunzionalizzazione di spazi e immobili pubblici, migliorare la coesione sociale e la qualità della vita dei cittadini. Il bando PINQUA, come poi viene chiamato, è pubblicato all’inizio del primo Lockdown, nel momento in cui la nostra idea dell’abitare, sebbene in maniera ancora inconsapevole, sta per tornare al centro del dibattito e della ricerca architettonica con temi e urgenze assolutamente nuovi rispetto al passato. La regione Campania decide di partecipare come ente proponente per la rigenerazione di tre insediamenti del patrimonio ACER Campania e chiede al DiARC, il Dipartimento di Architettura della Federico II, di svolgere un’attività di consulenza a supporto dei tre progetti. Il progetto “Abitare la città densa” per il Rione San Gaetano risulta tra quelli approvati e finanziati. Nel frattempo è intervenuto il PNRR cui vengono ricondotti anche i finanziamenti PINQUA il che comporta che tutti i progetti finanziati devono essere collaudati e rendicontati entro il 31 marzo 2026, (mentre originariamente il processo doveva terminare entro il 2033), pena la perdita del finanziamento stesso.

Premessa 2

Il rione San Gaetano è un quartiere realizzato nella zona Nord di Napoli, in prossimità del nucleo storico di Miano. L’area conserva un carattere essenzialmente agricolo fino agli anni ’40 del 900 quando il Genio Civile la individua come il luogo dove realizzare nuclei insediativi destinati a una fascia di popolazione disagiata che in quella stessa zona si era organizzata in baraccopoli informali. Ma è nel dopoguerra che il Rione comincia ad acquisire la fisionomia attuale, quando con i fondi del piano Marshall vengono realizzati alcuni degli edifici che, ancora oggi, ne determinano il carattere sia dal punto di vista sociale che architettonico, tra questi vanno certamente annoverati gli edifici a ballatoio, attribuiti all’architetto Del Monaco. Negli anni la densità abitativa del quartiere viene ciclicamente implementata fino a toccare un indice medio di affollamento superiore alla soglia di 1,44 ab./vano definito sulla base di una serie di indagini e analisi promosse da uno studio della (allora) Facoltà di Architettura (oggi Dipartimento) dell’Università Federico II di Napoli, coordinato dal prof. Coletta (Coletta, 2015). Sulla base di questo Studio nel 2004 viene avviato il programma di riqualificazione urbana del Rione San Gaetano di Miano attivato con l’Accordo di Programma del 2/12/2004, successivamente approvato con Decreto n. 66 del 10/02/2005 del Presidente della Regione Campania, base delle ratifiche rese dal Comune con Delibera C.C. n. 214 del 16/12/2004 e dall’ I.A.C.P. Napoli con Delibera C.d’A. n. 19/426 del 21/12/2004. Il progetto che ottiene il finanziamento PINQUA riparte da quello sviluppato sulla base di questo accordo.

Breve descrizione dell’ipotesi di progetto

Il progetto si inquadra nell’ambito del completamento della prima fase di rigenerazione urbana avviata a seguito dell’Accordo che prevede una “decompressione” della parte centrale del Rione con la realizzazione di alcuni edifici in un’area agricola, originariamente destinata ad agrumeto, posizionata sul bordo ad est del rione. I blocchi residenziali di nuova realizzazione sono destinati ad ospitare i centotrentatré nuclei familiari attualmente localizzati in due edifici esistenti (denominati 10 e 12) che ne ospitano rispettivamente cinquantadue e ottantuno. Il progetto prevede inoltre la demolizione dell’edificio 12 e la ristrutturazione importante dell’edificio 10 con la riduzione del numero di alloggi da cinquantadue a trentanove, con conseguente aumento di superficie residenziale per appartamento e incremento di aree e superfici in comune. L’intervento di decompressione si gioca dunque su due fronti: da un lato quello che riguarda il passaggio da una macrostruttura residenziale unitaria a una serie di blocchi indipendenti, operazione che consente la costruzione di “unità di vicinato” più piccole per facilitare la costruzione di reti di comunità; secondo il principio del “gruppo critico” (Friedman 1974). Dall’altro, l’abbattimento dell’edificio 12 rappresenta, rispetto all’impianto urbano dell’insediamento, la rimozione della barriera fisica e visiva che separa gli edifici residenziali dalla Scuola C. Salvemini, identificata in fase di analisi come nucleo centrale e vitale per il quartiere. Al posto dell’edificio, il progetto ipotizza infatti la realizzazione di una nuova piazza attrezzata, posta al di sopra di un parcheggio interrato, che diventa un dispositivo di connessione finalizzato a superare il salto di quota esistente tra gli edifici e la scuola.
Oltre alla realizzazione di edifici NZEB, che hanno determinato particolare attenzione nelle scelte architettoniche e impiantistiche, il progetto punta alla realizzazione di una serie di spazi collettivi, caratterizzati dalla presenza del verde, che dovrebbero servire a aiutare e supportare la costruzione di reti di comunità ma anche a facilitare l’insediarsi di una serie di attività a supporto di bambini, adolescenti e anziani, attraverso la realizzazione di architetture flessibili che integrano spazio interno e spazio esterno.
Sull’area originariamente destinata ad agrumeto vengono quindi localizzati i nuovi edifici residenziali. Nel momento in cui è partito il bando PINQUA, tre dei nuovi edifici erano già stati costruiti, in base al masterplan esito del vecchio accordo di programma che ipotizzava la realizzazione di una corte a C aperta verso la strada principale, Via Vittorio Veneto, l’asse che collega Miano con il centro di Napoli. Il masterplan originario prevedeva il completamento della corte con un edificio a torre, la realizzazione di due blocchi residenziali disposti rispettivamente sul bordo est e su quello nord del parco e di altre due volumetrie localizzate nell’area occupata dall’ex edificio 12.
Rispetto a questo masterplan, la nuova configurazione ipotizzata con il progetto PINQUA opera piccoli ma significativi movimenti nella posizione degli edifici spostando le due volumetrie previste nell’area del blocco demolito all’interno del parco per realizzare un unico edificio di abitazioni temporanee destinato alle famiglie che non hanno titolo per ricevere l’assegnazione definitiva di un alloggio. Viene inoltre ruotata la sagoma dell’edificio indicato come IA. Queste piccole modifiche nella disposizione dei volumi cambiano sostanzialmente il ruolo e il significato del Parco che nella prima ipotesi sembrava essere concepito come un grande vuoto centrale mentre nella seconda configurazione diventa un sistema di spazi pubblici, semipubblici e privati, fortemente interconnessi tra loro. La forte pendenza del lotto viene infatti riorganizzata attraverso un sistema di “zolle” che consente l’accesso all’area di pertinenza dei diversi edifici per la residenza. Questa sistemazione, nelle intenzioni del progetto, ha lo scopo di favorire il senso di appartenenza da parte degli abitanti e tenta, nei limiti del progetto di architettura, di operare lo switch tra spazio pubblico e «spazio relazionale, uno spazio attivo più che rappresentativo : morbido – si, decisamente morbido, cioè verde, spugnoso, sensoriale, espressivo, piuttosto che austeramente “duro” -,  non solo concepito per la contemplazione e la “flânneurie”, ma per godere l’emozione e la ricreazione collettiva. Cioè per uno scambio sociale e conviviale» (Gausa 2013).
I nuovi edifici, dunque, non “bordano” il Parco ma ne sono parte e la maggiore integrazione tra aree residenziali e naturali si riflette nella loro immagine. La facciata delle nuove costruzioni rivolta verso l’area verde è infatti definita da un disegno del prospetto molto più “aperto” rispetto a quello dei fronti urbani, ed è caratterizzata da lunghi balconi, memoria della tipologia a ballatoio propria degli edifici originali del quartiere. L’attrezzatura, identificata come “Parco della Comunità Energetica” ha, dunque, un valore anche fortemente simbolico ed è orientata a educare la collettività alla tutela e al rispetto dell’ambiente, favorendo la nascita di una comunità energetica. La superficie limitata dell’area verde non consente la localizzazione di grandi attrezzature, per questo motivo, anche se il progetto prevede l’installazione di alcuni elementi dimostrativi, come un sistema di mini-pale eoliche, la vera “lezione” rimane quella degli edifici NZEB il cui “funzionamento” viene illustrato con appositi pannelli esplicativi posizionati opportunamente nelle aree verdi e attrezzate. Obiettivo del parco è anche quello di orientare la collettività verso una corretta gestione del ciclo dei rifiuti, per questo motivo si prevede la realizzazione di compostiere di comunità in prossimità degli orti urbani oltre a quelle in dotazione a ogni edificio in copertura.

 

Analisi critica. Pro e contro della terza missione

Con il termine«Terza Missione ci si riferisce all’insieme delle attività di trasferimento scientifico, tecnologico e culturale e di trasformazione produttiva delle conoscenze, attraverso processi di interazione diretta dell’Università con la società civile e il tessuto imprenditoriale, con l’obiettivo di promuovere la crescita economica e sociale del territorio, affinché la conoscenza diventi strumentale per l’ottenimento di benefici di natura sociale, culturale ed economica». La definizione dell’ANVUR sottolinea il termine “trasferimento” rispetto all’attività di “avanzamento” delle conoscenze che è invece tipica della ricerca.  La consulenza scientifica a supporto dell’ACER per il progetto di rigenerazione urbana del Rione San Gaetano a Napoli rappresenta a tutti gli effetti un’attività di TM, inquadrabile nell’ambito del conto terzi che, probabilmente, è il capitolo che, almeno per quanto riguarda l’attività di progettazione, rappresenta un terreno piuttosto scivoloso ed è caratterizzato da forti contraddizioni. In questa sede non si intende affrontare la spinosa questione relativa al “se” e al “come” un Dipartimento di Architettura possa o meno svolgere attività di progettazione per conto terzi (contraddizione spesso risolta con la generica dicitura “attività di consulenza a supporto della progettazione” che lascia piuttosto insoddisfatti tutti): la questione necessita di una trattazione più ampia di quella di un paragrafo interno ad un articolo, dal momento che chiama in causa un complesso intreccio legislativo e normativo relativo ai diritti e, soprattutto, ai doveri dei professori universitari in quanto dipendenti della PA ma anche sul ruolo e la responsabilità civile e penale dei progettisti e al difficile (e spesso sempre più complicato) rapporto tra Ordini Professionali e Accademie. In questa sede proveremo solo a evidenziare i pro e i contro di un’attività che, come sottolineano alcuni, consente alle accademie di scendere in campo per “sporcarsi” le mani e misurarsi con i dati reali che, non sempre, il progetto come “prodotto della ricerca scientifica”, avanzamento della conoscenza, tiene in opportuna considerazione. Nel caso del progetto di San Gaetano questi dati sono caratterizzati da una “robusta” maglia di vincoli solo in parte ereditata dal precedente accordo di programma. Ai limiti imposti dallo strumento urbanistico si sono poi aggiunti le scadenze e le soglie (i nuovi standard) fissate dai bandi PNRR e i dati reali delle esigenze delle famiglie da trasferire e del contesto culturale, sociale ed economico nel quale ci si inseriva. Un quadro complesso nel quale, molto spesso le questioni sono in contraddizione tra loro.
L’accordo di Programma del 2004 aveva costruito dunque una strategia complessiva, individuando una serie di ambiti e di comparti che non erano solo limitati alle tre aree su cui agisce il progetto PINQUA. Nel corso dei quasi venti anni successivi, alcune trasformazioni sono intervenute sul territorio modificando, spesso inconsapevolmente, lo scenario definito dallo strumento urbanistico adottato. Il nuovo tracciato della linea metropolitana, ad esempio, ha sottratto alcune aree destinate alla costruzione di nuovi alloggi dall’insieme degli interventi, indebolendo in parte la strategia di decompressione complessiva. L’Università entra in questo processo “in corsa” nel momento in cui bisogna presentare lo studio di fattibilità per il bando per supportare Regione Campania e ACER nella costruzione di una visione del quartiere che sostituisca (o almeno aggiorni) la precedente.
La strategia proposta dallo studio, che vede il lotto oggetto della trasformazione come elemento attivatore, lavora su tre layers fortemente interconnessi tra loro, ovvero il livello territoriale, quello ambientale e il layer socioculturale. Il primo riguarda il sistema di connessioni territoriali che individua il quartiere come un elemento di cerniera tra il centro della città di Napoli e l’area Nord e che, non a caso, legge il Rione come emisimmetrico rispetto alla polarità stabilità dalla stazione della metropolitana Piscinola-Scampia, del quartiere 167 di Secondigliano: l’area delle “Vele” di Franz Di Salvo in cui si è avviato da poco il programma di rigenerazione urbana noto come “ReSTART Scampia” (Amirante 2018, Pone 2018). Il layer ambientale strettamente connesso a quello territoriale si fonda anche sulla presenza del Real Bosco di Capodimonte e del sistema del Parco delle Colline e si completa con il Parco Ciro Esposito a Scampia e con un nuovo Parco previsto sull’area di sedime dell’Ex Ferrovia Alifana. Una serie di polarità attraversabili dalla rete di mobilità dolce, che determina un sistema al quale è possibile collegare aree più piccole, configurandosi come una serie di luoghi all’interno dei quali realizzare spazi connessi al tema ambientale: aree verdi attrezzate per la mitigazione degli effetti del fenomeno dell’isola di calore, aree didattiche e orti urbani connessi all’educazione all’uso delle risorse, alla raccolta differenziata, alla riduzione della produzione di rifiuti, etc. I due layer già descritti sono inoltre strettamente intrecciati a quello socio-culturale dal momento che la strategia di progetto si attua attraverso la creazione di un sistema di luoghi di comunità, cioè spazi che contribuiscano a suscitare senso di appartenenza e di identità dei diversi gruppi che li abitano.
A valle del finanziamento PINQUA il gruppo del Diarc è stato coinvolto nello sviluppo del progetto, in una fase certamente più complessa, nella quale la strategia generale ha fatto i conti con i dati reali del problema e ha dovuto mediare nella ricerca di compromessi accettabili. Ovviamente si è cercato di tenere ferma la barra sulla componente tecnologica finalizzata a garantire le migliori condizioni di comfort termico, sia d’estate che di inverno, con impianti termici centralizzati a pompa di calore elettrica e terminali a media temperatura. Si è inoltre lavorato per consentire a ogni edificio di produrre da solo l’energia elettrica, necessaria al funzionamento degli impianti di climatizzazione e produzione di acqua calda sanitaria attraverso sistemi solari fotovoltaici installati su pensiline in copertura e sui parapetti delle facciate rivolte verso il Parco dove collaborano alla costruzione di un fronte aperto, contribuendo a restituire all’edificio un valore iconico. Si è cercato però analogamente di ragionare sulla fase di “gestione e manutenzione” degli impianti, andando verso la realizzazione di edifici residenziali più piccoli, con un numero gestibile di nuclei familiari in una soluzione intermedia tra impianto autonomo e centralizzato che costituisca un equilibrio plausibile tra le questioni ambientali e quelle gestionali, pur nella consapevolezza che questa soluzione, ampiamente condivisa dagli abitanti, secondo molti “mortifica” l’idea architettonica dell’abitare collettivo così come concepita dalle grandi sperimentazioni del moderno prima e degli anni ’70 e ’80 poi (Scala, 2018).
L’altro fattore che ha fortemente condizionato le scelte progettuali è stata la necessità di evitare l’allontanamento dei nuclei familiari dal quartiere durante la fase di abbattimento e nuova costruzione, mantenendo inalterate le volumetrie stabilite dall’accordo di programma per evitare di andare incontro a una variante urbanistica che avrebbe allungato i tempi di realizzazione, contemplando anche la necessità di trovare una soluzione “temporanea” per gli occupanti senza titolo. Di conseguenza si è deciso di spostare, come si è detto,  le volumetrie residenziali precedentemente localizzate nell’area servizi nel Parco; questa soluzione se da un lato evita di “ghettizzare” gli occupanti in un’area a se stante e, contemporaneamente consente lo spostamento di tutte le famiglie dell’edificio 12 senza imporre la delocalizzazione di alcuni in altri luoghi, dall’altro ha privato l’area servizi di una possibile mixitè funzionale dal momento che la dimensione dell’attrezzatura a standard, in termini quantitativi,  non può essere rinegoziata senza una variante.
Ancora, il dialogo con gli abitanti e soprattutto il confronto con i tecnici ACER ha consentito di riflettere meglio sulla necessità/possibilità di realizzare alcuni spazi, come le logge, passaggi pensili, e aree comuni che spesso vengono considerate come caratteri essenziali delle nuove forme di abitare collettivo ma che in alcuni contesti, caratterizzati da una fame di spazio che cannibalizza tutto ciò che risulta vagamente abitabile, si traduce inevitabilmente in una serie di modificazioni informali che alterano volumetrie e prospetti e talvolta generano situazioni conflittuali.
Infine, la richiesta di lavorare a un equilibrio tra aree permeabili e impermeabili, tra superfici verdi arbustive e alberi ad alto e medio fusto, misurata dal rispetto dei CAM in materia, ha dovuto fare ancora una volta i conti, attraverso il disegno degli spazi, con un’ipotesi di gestione e manutenzione che provasse a coinvolgere gli stessi abitanti senza delegare tutto a un soggetto terzo, e si è comunque tradotta in una sorta di disegno  di “terza natura” rispetto al quale, si spera, i benefici superino le problematiche.
Di fatto l’esperienza di San Gaetano, nei modi e nei tempi in cui è stata sviluppata ha evidenziato alcune contraddizioni intrinseche al progetto di architettura, soprattutto nel rapporto tra ricerca e TM, ma rappresenta anche un caso emblematico da cui ripartire “senza sconti”, con un’analisi critica lucida che partecipi a una riflessione più ampia sui caratteri e il senso della Terza Missione in un Dipartimento di Architettura proprio ora che l’ANVUR, attraverso AVA3, sta affrontando il tema dell’autovalutazione di questa attività.

Conclusioni.

Ciclicamente il tema dell’abitare ritorna centrale nel dibattito architettonico e urbano. Le ricerche pure, quelle che rappresentano l’”avanzamento della conoscenza” sull’abitare collettivo parlano di mixitè funzionale e residenziale e ripropongono il valore e il ruolo degli spazi intermedi,  in_between tra pubblico e privato, tra interno ed esterno, nella costruzione di luoghi comuni (Scala, Pota 2020) o, al contrario, sottolineano il fallimento di ogni tipo di progetto di spazio pubblico mettendone in evidenza contraddizioni e ingenuità, arrivando a sostenere che sarebbe meglio semplicemente fare ogni sforzo per «progettare al meglio spazi urbani confortevoli, accoglienti, variopinti o disor­dinati, senza la pretesa che siano anche spazi pubblici»(Bianchetti 2011); e ancora,  sottolineano che «il rinnovato interesse sul  tema dell’housing impone uno spostamento di attenzione dal dato quantitativo agli aspetti qualitativi e [sollecita] la rinnovata consapevolezza che il tema della residenza plurifamiliare non si limita alle qualità e alle prestazioni del singolo edificio ma va considerato in un quadro più ampio» (Reale 2015) e che «l’abitare collettivo nella contemporaneità rimanda a forme leggere di  aggregazione locale, raggruppamento, comunanza, fiducia nei vantaggi della vicinanza, ricerca di relazioni coinvolgenti » (Sampieri 2011) .
Si tratta di posizioni critiche interessanti, stimolanti che animano un dibattito intenso e aprono nuovi orizzonti teorici, ma che rischiano, talvolta di tradursi in una sorta di distanza dalla realtà quando calano in un territorio e in un quartiere dove i conflitti sociali sono intensi, dove la dimensione degli alloggi deve fare i conti con  famiglie talvolta di dodici persone, dove l’alloggio lasciato libero rischia di essere occupato, dove lo spazio pubblico è dimensionato in base allo standard urbanistico inteso in una logica quantitativa  che non sempre riesce a tradursi in quella qualitativa o, almeno, in una qualità a lungo termine che arrivi a contemplare anche l’ipotesi di una manutenzione e di una gestione dei luoghi che vada oltre i requisiti di uso e di manutenibilità dei componenti architettonici, strutturali e tecnologici inseriti nel progetto.
Questa logica diventa ancora più stringente con l’introduzione dei nuovi CAM e con la necessità di adempiere al rispetto del principio del DHSN imposto (giustamente) per accedere ai finanziamenti del RRF, Recovery and Resilience Facility.  Sia chiaro, non si sta proponendo un generico liberi tutti né si sta mettendo in discussione che l’architettura abbia il dovere di partecipare all’azione globale finalizzata a realizzare gli obiettivi del Green Deal; si sta cercando di introdurre nel dibattito un altro punto di vista, sollevando il dubbio che forse, ancora una volta, stiamo ragionando, sia pure da una prospettiva diversa, in termini di una “città globale”, caratterizzata da condizioni climatiche differenti ma, allo steso tempo, immaginando di assimilarne le strutture fisiche, morfologiche, culturali e ambientali. I modelli dei quartieri di social housing provenienti dal Nord Europa, modelli di mixitè funzionale e sociale spesso “slittano” sulla realtà dei nostri quartieri di “edilizia economica e popolare” (che sono cosa diversa dal social housing), sono l’esito di un’idea (e forse di una qualità dell’abitare) che ha avuto altri tipi di sperimentazioni, tempi e investimenti. Non si sta dicendo che quei modelli non debbano essere perseguiti ma si sta sottolineando la necessità che questo processo non sia l’esito di una visione acritica ma piuttosto di un’azione attenta di analisi e lettura sia dei contesti in cui ci si inserisce che delle esperienze cui si fa riferimento. In questo forse le Università hanno un ruolo molto diverso dalle Amministrazioni e dai Progettisti. Essendo i soggetti cui è deputato il «trasferimento scientifico, tecnologico e culturale e di trasformazione produttiva delle conoscenze […] con l’obiettivo di promuovere la crescita economica e sociale del territorio», le Università non devono limitarsi a sviluppare progetti ma hanno l’obbligo di aiutare a costruire processi valutando tempi e modi delle azioni e soprattutto devono porsi come soggetti critici che, imparando dal passato, pongano alla politica le giuste domande sottolineando i nodi critici di strategia globale nel momento in cui si “deposita” su quel territorio delle cui istanze debbono essere “reali” portatori.




Riferimenti bibliografici
Amirante R. (2018), “A Vela spiegata”. In EcoWebTown n.17
Bianchetti C. (2011), “Un pubblico minore”. In Crios n. 1
Coletta M. (2015). “Il Territorio dell’Urbanistica contemporanea: recupero- rigenerazione- resilienza. Dagli assunti teorici alle pratiche sperimentali: Il Rione San Gaetano a Napoli”. IN TRIA. Territorio della Ricerca su Insediamenti e Ambiente, n.15. ISSN 2281- 4574. DOI: DOI 10.6092/2281-4574/3738
Friedman Y. (1974). Utopies Rèalisables. Trad.it (2016) Utopie Realizzabili, Quodlibet, Macerata
Gausa M. (2013), “Rinaturalizzare la Multicittà”. IN Ricci M. (2013), Nuovi Pardigmi, LIST, Trento, pp. 50-58.
Pone M. (2018), “Scampia. Storie di un’icona contemporanea”. In EcoWebTown n.17
Reale L. (2015), La Residenza collettiva. Sistemi editoriali, Napoli.
Sampieri A. (2011) “L’abitare collettivo. Nelle culture di Progetto, politico amministrative, d’impresa”. In: PLANUM. - ISSN 1723-0993  
Scala P. (2018), “Un passo indietro per l’Architettura un grande passo per l’umanità: il progetto Restart Scampia dal punto di vista del DiARC”. In EcoWebTown n.17
Scala P., Pota G. (2020), “Luoghi elastici e progetto intermedio/ Elastic places and intermediate design”. In FAM Magazine, n. 52. DOI: 10.1283/fam/issn2039-0491/n52-2020/501




Note

1 Progetto Pinqua: Abitare la città densa. Rione San Gaetano Napoli

Regione Campania: Bruno Discepolo, assessore regionale al governo del territorio; Antonella Calligaris direzione generale governo del territorio; Carlo De Luca, assessorato regionale al governo del territorio; Donata Vizzino, direzione generale governo del territorio.

Agenzia Campana Edilizia Residenziale:  RUP: Francesco Salvia; progettista: Angela Sannino; gruppo di lavoro: Alberto Chirola, Alfredo Rondina, Francesco Capone.

Consulenza scientifica: DiARC_ Dipartimento di Architettura. Università degli studi di Napoli " Federico II"; responsabili scientifici; Michelangelo Russo, Filippo De Rossi; coordinatori scientifici: Alessandro Sgobbo, Enrico Formato; coordinatore di progetto: Paola Scala; gruppo di lavoro: Maria Pia Amore, Annie Attademo, Eduardo Bassolino, Gilda Berruti, Luca Boursier, Claudia Colosimo, Valera D' Ambrosio, Fabio Di Iorio, Orfina Francesca Fatigato, Antonella Falotico, Maria Fierro, Federica Marandi, Giovanni Laino, Cristina Mattiucci, Grazia Pota, Giuseppina Santomartino, Francesca Talevi.







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