“Anche il nostro sistema produttivo ha reagito meglio di altri alla pandemia: è la sua resilienza che finora ha garantito la nostra ripresa economica e il nostro debito, certo non l'apparato amministrativo.” (Anonimo)
Una transizione ordinata. Auspicio o realtà.
Il Covid è stata un’emergenza vissuta in maniera talmente grave da tenere il Paese in una condizione di nevrotica sospensione per circa due anni. Poi, la guerra in Ucraina e la conseguente crisi energetica hanno fatto il resto e reso ancora più drammatico il problema del “che succede dopo”. Il muro del gran malessere si va erigendo con forme, contenuti, sostanze e artefici diversi un po’ ovunque, nella società e nella politica, nelle istituzioni e in economia, nella cultura e nei comportamenti individuali e collettivi.
Da diversi anni ormai, la dimensione sociale dei problemi (diffuso malessere e spinte populiste) e i mutevoli assetti geopolitici (neoimperialismo/de-globalizzazione; delocalizzazione/reshoring) richiedono iniziative e azioni comuni e coordinate, quali potenti antidoti alla cosiddetta “società del rischio”. L’Europa, con la risposta alla crisi pandemica e l’avvio del Next generation EU, ha offerto soluzioni tempestive e convincenti, commisurate alla dimensione dei problemi: rilancio della crescita, riduzione dei divari nell’offerta di servizi essenziali esplosa con la pandemia, transizione ecologica come obiettivo di sistema.
Molto meno capace lo è stata rispetto alle successive emergenze.
ll Covid ha trovato in particolare l’Italia con assetti di governo usurati e strutture istituzionali sostanzialmente inadeguate. Per superare l’emergenza e tornare all’apparente normalità del passato (gli affari correnti del quotidiano lessico burocratico) si è dato vita al Governo di unità nazionale, si è coinvolta la rete logistica dell’Esercito per un convinto avvio e una soddisfacente conclusione della campagna vaccinale, e si è proceduto alla definitiva approvazione e alla decisiva implementazione del PNRR (con il convinto apprezzamento anche dei paesi frugali1).
Fra le sue molte linee di azione – la più importante, d’interesse mondiale, riguarda il rapporto transizione ecologica/cambiamento climatico, “il grido della terra”, di Papa Francesco - una, in particolare per l’Italia, pone al centro la capacità d’intervento che l’insieme di apparato politico di programmazione e indirizzo (il Governo), sistema tecnico-amministrativo pubblico (lo Stato-organizzazione) e iniziativa privata (favorita per bilanciare l’eccesso di assistenzialismo dell’azione pubblica) sarà in grado di attivare per arginare una sorta di inquietudine del futuro che sembra aver avvolto la società italiana (il Censis , nel suo ultimo rapporto, la vede indulgere verso la malinconia,2desiderio di qualcosa che non si ha o non si è mai avuto, senza avere la capacità di prendere iniziative per averla, sintomo di bisogni intensi ma che non hanno la spinta per tradursi in mobilitazioni collettive, in scioperi di massa, in proteste di piazza, “una ritrazione silenziosa dei cittadini perduti della Repubblica”3).
Il PNRR, appunto: operatività e logica di risultato. Ribaltamento dell’azione pubblica.
Il PNRR come è noto è stato previsto per poter finalmente dotare l’Italia di quelle tante riforme, per le quali il paese arrancava nello scenario europeo: alla fine, non completando il lavoro ci accontenteremo solo di approvarne qualcuna. L’obiettivo di partenza era quello di realizzare opere nuove ma la incontestabile complessità del sistema – un labirinto procedurale composto da una stratificazione di soggetti e dallo sbriciolamento di competenze e responsabilità – è tale che l’approvazione di un progetto può impiegare anni, per essere, lungo il tempo della sua elaborazione, inserito in una molteplicità di atti di programmazione, prodotti dai diversi governi e mai giunti a meta.
Il PNRR ha finito per ripescare questi progetti “nel cassetto”, spesso riferiti a opere comunque urgenti e necessarie, ma certamente non frutto di un nuovo pensiero e di un riavvio del sistema.
Doveva essere alla base di un forte rilancio del partenariato pubblico-privato, ma mentre tutto (o quasi tutto) è restato in mano pubblica, con un sistema amministrativo e un apparato ordinamentale in affanno e i conti, veri o presunti, che cominciano a far paura, non si è ancora capito se, all’occasione, le imprese italiane, per numero e qualità, siano in grado effettivamente di eseguire i lavori.
Finora, dei 50 obiettivi da centrare entro fine anno, ne sono stati raggiunti 25 e sono soprattutto traguardi giuridico-amministrativi (milestone). Ora tocca agli obiettivi di spesa (target): 46 nel corso del 2023 (erano 17 nel 2022 e 2 nel 2021).
Le prime stime (esito di un monitoraggio in profondità, la cui conclusione è prevista per la fine dell’anno) valutano in circa 40 mld € gli investimenti con il più alto rischio di realizzazione (infrastrutture ferroviarie e telecomunicazioni, soprattutto), per la criticità del quadro autorizzativo, gli incrementi di costo dei materiali e l’inadeguatezza di molti degli enti attuatori (poco personale e scarsamente professionalizzato – enti locali in primis – e procedure estremamente impegnative)4<.
L’attuale governo, mentre ha iniziato a parlare di revisioni e di rinvii, imputa al precedente il lascito di una situazione già compromessa, per ritardi nelle realizzazioni e per incremento dei costi (i 42 miliardi di euro di spesa prevista per il 2022 a settembre si sarebbero ridotti a 21, non supereranno i 15 miliardi al 31 dicembre, i due terzi del totale). La relazione al Parlamento del 5 ottobre (governo Draghi) assicurava l’inverso: obiettivi di spesa del 2021 (5,5 miliardi) e quelli del 2022 (spesi 11,5 su 15 miliardi) quasi interamente raggiunti (c’erano ancora davanti tre mesi di lavoro); i primi anni del PNRR, ottimizzando una macchina distributiva e di controllo ben oliata, sono sostanzialmente dedicati alle riforme, alla progettazione, agli affidamenti dei lavori, la spesa segue negli anni successivi.5<
Quelli che non sembrano risolti sono gli innumerevoli colli di bottiglia di un sistema amministrativo e burocratico – la debolezza dello Stato - incapace di dar seguito a quanto troppo celermente (e forse avventatamente) concordato con l’Unione Europea, pur in presenza di varie e diverse task force create per l’occasione, mentre l’incapacità di spesa di gran parte dei Fondi di coesione per il Sud del periodo 2014-2021, sembrava utile indicatore.
In attesa della realtà dei fatti, ministri e sindaci iniziano a pensare alla necessità di un extra-time di almeno due anni.6< Il PNRR, però, non è un evento straordinario, un’altra delle tante e consuete emergenze da Protezione civile cui siamo abituati e sempre attrezzati a rispondere, con unanime e ampio riconoscimento. Sicuramente (e finalmente) ci obbliga a lavorare sui tempi lunghi.
Come vuole la Commissione Europea, deve essere uno strumento ordinario, un supporto da utilizzare come leva per ridisegnare lo stanco e inefficiente apparato pubblico, per poter costruire la capacità normale di dare risposte “quotidiane” ai cittadini (un quotidiano che ci confonde ancor più della straordinarietà), per poter sciogliere i nodi irrisolti del nostro sistema economico e sociale, dalla scarsa competitività al basso livello di preparazione (anche dei giovani), dai bassi tassi di occupazione (soprattutto femminile) al forte calo della natalità.
L’apparato pubblico non è in grado di attuare il PNRR, sostenere lo sforzo e nel frattempo gestire i cambiamenti e autoriformarsi. Sprecare l’occasione è un rischio reale.
Da più parti, anche dagli stessi apparati pubblici (certamente quelli più attenti), è stata dichiarata la necessità di profondi cambiamenti della struttura e del funzionamento della pubblica amministrazione italiana, centrale e locale (Sabino Cassese, per tutti). L’insufficienza istituzionale, determinata da una sempre più spinta segmentazione decisionale e da una eccessiva e improduttiva autoreferenzialità, senza controllo e ormai senza neanche la parvenza di una leale collaborazione fra gli enti, è sotto gli occhi di tutti, insieme alla sostanziale incapacità dell’apparato pubblico di fornire i servizi richiesti dai cittadini (la domanda sociale): quelli quotidiani richiesti allo sportello o, con analoga indifferenza, quelli di lungo periodo. E questo proprio in concomitanza con l’approvazione del PNRR.
Quanto più si evidenzia l’urgenza di mettere a terra (infelice e abusata espressione, ghigliottina! direbbe Francesco Merlo) le risorse concesse dall’Europa e di accelerare la realizzazione delle opere strategiche individuate per lo sviluppo del Paese, stringendo i tempi per non rischiare la loro revoca, tanto più risalta l’evidente contraddizione con lo stato reale della nostra burocrazia a tutti i livelli amministrativi e con la stessa organizzazione territoriale dell’amministrazione pubblica.
A parte i soliti impedimenti che caratterizzano, in tutto il territorio nazionale, i nostri percorsi amministrativi, dalla lunghezza dei procedimenti autorizzativi, alla resistenza alle trasformazioni territoriali di gruppi sociali più o meno organizzati, dalla scarsità di progetti ad elaborazione avanzata, agli scontri più o meno palesi fra i livelli decisionali interessati, e tanti altri ancora, non possiamo certo sottovalutare (è la quantità a impedircelo) come l’Italia sia strutturalmente costituita di paesi e di centri urbani di piccole e piccolissime dimensioni, in costante calo demografico (circa il 70% dei comuni non raggiunge i 5 mila abitanti), con tutto il seguito di difficoltà (o impossibilità) per mettere in campo efficaci politiche territoriali e di produzione di servizi.
L’esigenza di nuovi approcci e competenze, e i tempi per avviarli e consolidarli, si scontrano amaramente con le determinazioni realizzative del PNRR.
Il modello procedimentale tipico dell’amministrazione pubblica - controlli ex ante (di valutazione della spesa e di analisi dei risultati conseguiti, neanche a parlarne!) procedure complicatissime, processi decisionali dilatati incerti, rinviati (scaricando ogni responsabilità) a livelli sempre superiori, gestione locale del consenso politico – non è strutturato per offrire le garanzie richieste in sede europea.
Gli enti locali, cui è affidata una parte considerevole delle risorse e delle realizzazioni del PNRR, non hanno strutture adeguate, sia per quantità sia per livelli professionali del personale, certamente al Sud, ma anche in diversi comuni del Centro e del Nord Italia. Dopo la riduzione negli ultimi anni del 25% degli organici (dirigenti, quadri e personale), “appare assurdo che gli stessi comuni non abbiano ora la possibilità̀ di rafforzare i propri organici per l’attuazione del piano Nazionale di Rilancio e Resilienza” (ANCI, 2021): 3.099 comuni assegnatari di risorse europee sono realtà territoriali del Centro-Sud, con elevatissime difficoltà amministrative causate dalla carenza di personale: “il tema, come ormai è chiaro, non sono le risorse, ma la capacità di spendere e di spendere bene all’interno di un progetto complessivo e di una visione chiara del futuro del Sud e del Paese”.
Amministrazione, capitale umano e capacità di spesa sono i nodi che soffocano la possibilità di recupero delle diseguaglianze sociali ed economiche che bloccano il Paese, con un rischio per il Meridione evidente e per certi aspetti paradossale, l’utilizzo di una minore quantità di risorse lì dove più ce n’è bisogno.7<
Dall’avvio del PNRR sono stati spesi oltre 334 mln di € per l’assunzione temporanea (non oltre il 31 dicembre 2026) di 1.000 unità di personale (lo stanziamento complessivo fino al 2026 è di 734,2 mln di €) “per il supporto agli enti territoriali nella gestione delle procedure complesse nei procedimenti amministrativi connessi all’attuazione del PNRR.”8<A loro, si dovrebbero aggiungere, per le sole amministrazioni pubbliche del Mezzogiorno, 2.800 tecnici, anch’essi assunti in via temporanea, “per fornire assistenza tecnica e rafforzare la creazione di capacità per l’attuazione del PNRR”.
Una società di consulenza dell’amministrazione pubblica (Intellera Consulting) stima un fabbisogno tra settore pubblico e privato di 13-15 mila professionisti, oltre alle necessarie risorse specialistiche specifiche per ogni ambito, per portare a compimento il Piano.9
Molti, pensando alle opere finanziate dal Recovery Fund, hanno invocato l’assunzione generalizzata del “modello Genova” – per qualcuno addirittura, in modo che non rimanga un’eccezione ma sia in grado di dar vita a un “modello Italia” – per le sue caratteristiche di rapidità di esecuzione ed efficienza10, se non addirittura la dichiarazione dello stato d’emergenza della pubblica amministrazione, con l’individuazione da parte del Parlamento di “una sorta di zona franca temporale”.
Una limitata finestra, 2/3 anni, di sospensione, da valutare attentamente caso per caso da parte di maggioranza e opposizione, delle innumerevoli procedure che sovrintendono alla realizzazione di piani e programmi (da quelle di spesa a quelle autorizzative, dagli appalti pubblici alla disciplina del danno erariale, dal potenziamento delle capacità decisionali a più incisivi poteri di avocazione in caso di inerzia o ritardo, e via di questo passo), dando per scontato il sicuro aumento di situazioni illegittime (anche a fronte di un aumento dei controlli) il cui costo sarebbe comunque inferiore a quelli determinati da una mancata ripresa.11
Con l’approvazione del PNRR, e le conseguenti condizionalità economiche e tempistiche,12 il Governo italiano ha formalmente assunto, fra i tanti,13 anche l’impegno a innovare (riformare?) l’assetto della nostra pubblica amministrazione, assolutamente necessario e, più volte, raccomandato dalla stessa Commissione europea.
Obiettivo ricompreso in un vasto programma14 di incisive riforme istituzionali ed economico-sociale.
Anni (qualche decennio) di blocco delle assunzioni e di irrigidimento delle funzioni (restrizioni della spesa e assenza di politiche dedicate, se non, vere e proprie campagne di stampa negative) hanno fiaccato e delegittimato l’amministrazione pubblica. La crisi dei “corpi tecnici” è ormai di tutta evidenza.
Mentre l’età media all’interno degli uffici avanza velocemente (per il mancato ricambio generazionale), si moltiplicano le piattaforme e si richiedono competenze non tradizionali, diverse da quelle assunte.
Negli ultimi 20 anni, i dipendenti pubblici sono diminuiti del 7%, con una progressiva riduzione da 3,5 milioni a poco più di 3, 240 milioni di unità. La diminuzione costante ha interessato quasi esclusivamente le funzioni centrali e quelle locali, “con una progressiva, per quanto meno visibile, riduzione della capacità di risposta dell’azione amministrativa”, cui ha corrisposto una contrazione della spesa pubblica per stipendi di circa 2 miliardi di euro in 10 anni (2008-2018)15.
NUMERO DI DIPENDENTI PUBBLICI (2001 -2020)
Fonte: elaborazione Comitato sui dati del Conto annuale RGS
Un processo ancora più incisivo ha riguardato le competenze specialistiche pubbliche. I corpi tecnici della Pubblica Amministrazione centrale16 con funzioni operative, già molto deboli negli ultimi decenni del secolo scorso, oggi praticamente non esistono più17; quelli delle Amministrazioni locali sono in gran parte carenti, spesso evanescenti, comunque, lì dove ci sono, appartengono a poche e limitate discipline.
La perdurante assenza negli ultimi 15/20 anni di piani e programmi di una qualche reale consistenza a scala territoriale, anche per carenza di adeguati finanziamenti, insieme a una produzione legislativa abnorme, puntigliosa e insieme derogatoria, ideologicamente di parte, troppo spesso con l’obiettivo solo formale di lotta a comportamenti illeciti (e il conseguente inverarsi dello “sciopero della firma”, indifferentemente, per tecnici e amministrativi)18, ha portato in primo piano la “componente amministrativa” a scapito delle professionalità tecniche. A questo ha fatto seguito la produzione di norme (e la loro interpretazione),19 anziché l’elaborazione di piani e programmi, la loro realizzazione e la verifica dei risultati raggiunti.20
Molti “giuristi” caratterizzano oggi l’amministrazione, mentre i pochi tecnici, anziani nel ruolo e spesso demotivati, stanno in disparte, come un carico residuale (così li definirebbe il solerte funzionario amministrativo d’altri tempi).
Il PNRR è l’occasione per avviare un processo di modernizzazione della macchina amministrativa con il duplice obiettivo di portare a termine il piano e di costituire un modello di trasformazione da estendere per fasi successive all’intero apparato pubblico, in una logica di “interventi-laboratorio”, in cui sperimentare esperienze e innovazioni procedurali e organizzative.
La Presidenza del Consiglio, più delle altre Amministrazioni centrali21, ha portato a termine una profonda trasformazione del suo assetto politico-amministrativo con la costituzione di un centro di monitoraggio (con compiti di verifica e controllo)e una segreteria tecnica sul PNRR (d’intesa con il MEF, che svolge funzioni di governance complessiva del Piano). I Ministeri, carenti di quadri tecnici, più che assicurarsi la presenza di personale con le competenze richieste dal PNRR, sembrano privilegiare, come sempre, l’immissione di generica occupazione giovanile, affidandosi intanto
alle agenzie nazionali per lo sviluppo (Invitalia) o alle grandi strutture tecniche (Anas e FS prima di tutte), che provvedono alla elaborazione dei progetti (spesso, tirandoli fuori da qualche vecchio cassetto).
A conclusione del PNRR ci si aspetta un’amministrazione (almeno una parte di essa) più formata, organizzata secondo moduli efficienti (con obiettivi assegnati, risorse determinate, tempi definiti), soggetto attivo in grado di creare “valore pubblico” a favore dei cittadini e delle imprese, “in grado di passare dalla mera applicazione di norme alla progettazione e attuazione di politiche”. 22
L’assunzione di nuovi profili professionali dovrebbe abbandonare il principio, posto a base dei concorsi pubblici, della sostituzione di vecchie figure con altre identiche per continuare a svolgere compiti standardizzati e ripetitivi. Ma da quanto è possibile sapere, non sembra che le assunzioni finora effettuate con i concorsi avviati con il PNRR a favore degli enti locali e di altre strutture si muovano nel senso proposto in quanto a innovazione professionale ed efficacia di reclutamento (in attesa di conoscere, con maggior dettaglio, quantità e caratteristiche del personale assunto: accesso e reclutamento, caratteristiche qualitative, capacità e competenze, semplificazione procedimentale, digitalizzazione, tempi di permanenza, ecc.).
Oltre i classici profili tecnici (ingegneri, architetti, geologi, ecc.), è necessario inserire competenze di project e program management, nel digitale, nella transizione ambientale, di e-procurement, figure già ampiamente utilizzate all’estero fin dalla fase di avvio dei progetti, con risparmi fino al 20/25% degli extra costi legati a un’opera pubblica. Si tratta probabilmente dell’unica differenza positiva adottata nel modello Genova, l’aver cioè privilegiato la centralità della progettazione dell’opera, sia operandone una verifica preventiva sia avviando il controllo su tutte le fasi del processo realizzativo. Semplificare le procedure e potenziare i controlli operando all’interno delle stesse strutture pubbliche vuol dire ridurre al minimo la possibilità di errori e la conseguente ricaduta su tempi e costi di realizzazione.
Fondamentale per l’interesse nazionale innalzare il livello del sistema istituzionale e amministrativo. Necessario un intervento nel rapporto amministrazione/sistema giudiziario. Intervenire anche sul funzionamento del rapporto Stato/Regioni/Comuni, (non basta più la leale collaborazione).
C’è una macchina amministrativa la quale (infarcita di una sorta di statalismo burocratico e di propensione all’allargamento nominale della spesa pubblica che caratterizza ormai a tutte scale gli assetti istituzionali del Paese) non è in grado, si dice, di affrontare le procedure necessarie per trasformare in opere e interventi i finanziamenti del PNRR, straordinari per numero e per tempistiche (almeno sino ad ora) stringenti e non negoziabili (l’auspicata celerità di spesa).
Ma non tutto e dappertutto è così. Se per rigenerare le città servono capitali pubblici e, ancora di più, privati e se il 55% degli investimenti privati sono concentrati in Lombardia (a Milano, più che altrove) vuol dire che molto dipende dalla capacità delle varie amministrazioni pubbliche. E qui, dove la macchina amministrativa allargata (regione, province, comuni) sembra lavorare al meglio, si manifesta una doppia realtà da non sottovalutare.
L’Expo è stato sicuramente il volano che ha rilanciato Milano sulla scena nazionale e su quella internazionale (aspetto di maggiore interesse per la città), ponendola in gara con (alcuni fra) i più grandi player delle città-mondo. L’Esposizione (con provvidenziale intelligenza strategica) è stata l’innesco di una reazione a catena, l’avvio di un processo di crescita costante e non un’occasione una tantum, ancorché felice e provvidenziale. Da quel momento, sulla città (costantemente in crescita per attrattività e fruibilità) si sono riversati quantità enormi di risorse finanziarie (in gran parte dall’estero, Paesi del Golfo in prima linea) e di intelligenze (molte dalle regioni italiane, ma anche dall’Europa e da altri paesi, India e paesi del Golfo).
Questa forte capacità attrattiva, insieme a un esagerato contrasto fra le governance politiche di comune capoluogo e regione, hanno di fatto allargato non solo il tradizionale distacco di Milano con il resto del Paese, ma ha determinato anche un crescente divario con il resto dei territori regionali (in alcuni di essi, si registra un Pil al di sotto della media nazionale); non solo, quindi, il classico aumento del gap fra centro e periferie urbane, ma anche fra le principali componenti dell’armatura urbana regionale. “La lacerazione tra il primo cerchio delle città (le Ztl della contemporanea sociologia politica) e le periferie, tra i territori scollegati della città infinita”. (Aldo Bonomi)
Una tendenza negativa in uno scenario che registra più accelerazioni che frenate fra richieste di autonomia e necessità di coesione territoriale (non solo fra Nord e Sud, ma anche nell’ambito delle singole regioni e, ancor di più, fra aggregati territoriali di livello interregionale – Lombardia, Emilia, Veneto - con caratteri sociali economici produttivi comuni e sempre più omogenei), sia per quel che riguarda possibili riorganizzazioni dell’ assetto istituzionale dei poteri locali, sia con riguardo alla ridefinizione delle stesse dinamiche territoriali (frequentemente con caratteristiche sovra-provinciali, spesso anche interregionali, come avviene, solo per citare uno dei tanti esempi, per Bergamo e Brescia, aree caratterizzate da una economia manifatturiera di eccellenza e da una ricca agricoltura che guardano oltre i confini regionali, ben oltre Verona da una parte e Modena dall’altra). Crescenti divari, apparentemente positivi solo per chi corre più veloce degli altri, cui dovrebbero far fronte, tanto per cominciare, i fondi del PNRR, almeno nella parte destinata al potenziamento dei trasporti pubblici. Le riforme necessarie seguiranno.
Molte strumentazioni legislative nazionali sono vecchie e arretrate, non adeguate ai processi reali, alla crescita delle attività, ai rapporti sempre più complessi tra pubblico e privato, solo per citare alcuni degli elementi sul tappeto.
In urbanistica e in materia di assetto del territorio, ci si rifà ancora alla vecchia legge 1150 del 1942, anche se di progetti di riforma intestati al “governo del territorio” se ne è ormai perso il conto. L’ultimo, il ddl “Greco” - presentato dal ministro Giovannini fuori tempo massimo, due giorni prima del giuramento del nuovo ministro – persegue, ovviamente con la stessa determinazione di tutti i tentativi di riforma succedutisi nel tempo, “[…] l’obiettivo di realizzare una riforma complessiva della legislazione statale in materia di pianificazione urbanistica e governo del territorio superando l’attuale assetto, ormai estremamente frammentato ma incentrato ancora sul ceppo della risalente legge n.1150/1942, […] conseguente all’istituzione delle autonomie regionali e – più di recente – alla riforma del Titolo V della Costituzione.”23
Ancora un tentativo di ricostruire una tessitura comune fra le legislazioni regionali, di ricucire situazioni avviatesi su percorsi diversi, con contenuti e interessi spesso così distinti (a volte discrepanti) che appare assai poco probabile un’efficace e progressiva sintesi a livello centrale (forse anche inutile).
Al contrario, un risultato certamente possibile sarebbe l’accettazione di soluzioni al ribasso rispetto alle più rilevanti e avanzate esperienze regionali. Il nuovo progetto di legge pur “[…] con aspetti ancora da approfondire, ma ben impostato e sufficientemente completo dei diversi aspetti che compongono la materia del governo del territorio […]” (Manzo, 2022), non sarà preso in carico da nessun ministro e non vedrà, anche questa volta, alcun dibattito parlamentare.
D’altronde, le dichiarazioni del ministro pro-tempore sono tutte concentrate sul ponte dello Stretto (neanche immaginato come “opera territoriale”, seguendo una vecchia tradizione del suo Ministero, quanto, piuttosto, come mero appalto di opera pubblica, se non, più realisticamente, mera comunicazione identitaria. Se mai si dovesse occupare di urbanistica, non credo che andrebbe oltre la proposta di soppressione della L.1150 del ’42, riproponendone un’altra che non farebbe che trasferire il vecchio dirigismo centrale in altrettante sedi regionali).
Qualora poi le disposizioni del ddl, opportunamente approfondite, fossero condivise da maggioranza e opposizione e velocemente approvate, potrebbe, al più essere considerato un opportuno scenario di fondo, ormai poco incisivo su quanto di complesso avviene, ad esempio, in quel triangolo territoriale (Lombardia-Emilia-Veneto, con riguardo agli innumerevoli e intrecciati rapporti locali, nazionali e internazionali che lì hanno sede e si manifestano).
Mentre in un periodo di ridisegno delle autonomie (l’Autonomia differenziata, punto centrale, a quel che sembra, del programma di governo)24 e di forte crisi demografica con conseguenze inevitabili anche sulla sostenibilità sociale ed economico-finanziaria dei diversi territori, potrebbe essere più proficuo procedere ammodernando il sistema istituzionale vigente a favore di nuove forme aggregative (rivedendo anche quelle accennate e malamente strutturate negli ultimi anni - le città metropolitane – invece di riproporre, come ritiene il Ministro degli affari regionali, la necessità di “ricreare il soggetto istituzionale delle province […]. La ridefinizione di un soggetto intermedio fra Regioni e Comuni è un qualcosa di determinante.”) e costruendo, anche caso per caso, strumenti più attenti alle esigenze espresse dalle diverse aree del Paese, ai fini dell’utilizzo efficace delle risorse del Pnrr.
Il PNRR (insieme a Covid, guerra in Ucraina e crisi energetica) ha spinto, con articolate modalità fra le istituzioni, verso una centralizzazione delle decisioni (investendo in questo percorso tutta la sfera delle attribuzioni) e ha determinato un cambiamento sostanziale del perimetro dello Stato, spostando a suo favore il principio dell’avocazione in caso di conflitto/inadempienza (non a caso, i finanziamenti dell’Unione sono reperiti tramite emissione di debito comune per sostenere con risorse e prestiti una ripresa pianificata in tutti i suoi Stati).
In questa situazione, piuttosto che ad aggiunte di competenze e di esclusività di legislazione, se non un ripensamento generale e profondo, come più sopra accennato, dello stesso ruolo delle regioni (la necessità di riordinare le idee sul ruolo delle Regioni nella nostra Repubblica, Andrea Manzella), sarebbe sicuramente più proficuo muoversi almeno verso un più efficace “regionalismo cooperativo”, un modello di gestione pubblica in cui i territori “concorrono al bene comune della comunità nazionale”, mentre lo Stato “ha un compito di coordinamento e non quello di decidere di fare tutto”.25
L’Istat ha recentemente definito le “Aree Interne”, “una organizzazione spaziale fondata sui centri minori, spesso di piccole dimensioni, in grado di garantire ai residenti soltanto una limitata accessibilità ai servizi essenziali”26, con circa 1.500 comuni periferici e oltre 400 ultraperiferici.
In gran parte del Mezzogiorno e, in genere, in tutte le amministrazioni locali più piccole e territorialmente svantaggiate - aree ancora più marginali rispetto ad altre del Paese, che più risentono dei differenziali di sviluppo e dove è più visibile la potenziale frattura sociale fra Nord e Sud - sarà estremamente difficoltosa la stessa tenuta dei conti per poter garantire l’erogazione di beni e servizi pubblici, a causa della progressiva caduta delle basi imponibili determinata dalla insufficiente natalità e dai progressivi processi di abbandono, dove anche “una politica di immigrazione difensiva” certamente non aiuta. Politiche effettive di contrasto ai divari territoriali e all’abbandono delle aree interne, di rilancio di una fondamentale struttura produttiva nazionale che si sviluppa lungo la dorsale centrale da Nord a Sud (che in gran parte ha sostenuto dal basso la crescita economica del Paese), di favore per lo sviluppo turistico, di coesione sociale e territoriale, di lotta alla povertà e alla diseguaglianze non possono essere evidentemente sostenute e gestite da un singolo comune, o da qualche aggregazione nata per l’occasione.
In questo si riscontra un progressivo disallineamento tra sistema economico-sociale e assetti istituzionali. E’ una questione di complessivo riequilibrio territoriale che la struttura amministrativa locale non è assolutamente in grado di gestire.
Così come sarà necessario ricorrere, nella fase dell’appalto, alle centrali uniche di committenza, sarà necessario definire a regime politiche efficaci per la stessa riorganizzazione territoriale degli enti pubblici di governo locale, e non solo per la fornitura di beni e servizi ai cittadini.
Strutture tecnico-amministrative di supporto ai decisori politici. Rafforzare le strutture esistenti e adottare nuovi moduli organizzativi. Rete di funzionari in strutture di missione ministeriali coordinata dalla Presidenza del Consiglio. Verifica e attuazione del programma e supporto tecnico-operativo agli enti territoriali.
Da alcuni anni, le città (quelle grandi, ma anche molte delle medie e piccole) hanno superato la fase in cui la gerarchia era determinata dalle “quantità” (di popolazione, di presenze istituzionali, di centri del potere, di luoghi della produzione, dove bastava il Prefetto il Presidente del Tribunale o il Vescovo per garantirne il rilievo istituzionale). La loro strategicità – molto spesso esplicata da veri e propri sistemi urbano-territoriali – è oggi fatta di relazioni e di scambi, di flussi di persone e merci, della capacità di generare cultura e informazione, di attrarre molteplicità di saperi e sviluppare relazioni, di essere parte di alleanze e di sapersi muovere in reti a scala ben più vasta di quella municipale.
Però, a fronte di queste città e dei loro sistemi, che travalicano di fatto rappresentanze amministrative e confini municipali, permane un modello di organizzazione istituzionale, fatto proprio e difeso da una diffusa cultura politica, ancora disegnato su una rigida divisione di ruoli, competenze e poteri, tutti ricompresi in una piramide che va dal centro alla periferia, caratterizzata – insieme alla richiesta di ampia autonomia (in molti casi, un auspicio solo verbale) – da una persistente voglia di localismo, con buona pace di qualunque tentativo di riorganizzazione dell’assetto istituzionale del Paese.
Anche i temi del fare urbanistica non riguardano più (anche in questo caso, nella maggior parte delle medie e grandi città) i contenuti dell’espansione urbana (con una disciplina sostanzialmente conformativa e regolativa), quanto piuttosto quelli del recupero, riqualificazione e riconversione della città consolidata, identificati oggi con la locuzione rigenerazione urbana.
In entrambi i casi, nei sistemi urbani e nel fare urbanistica, l’operare in una visione strategica dovrebbe costringere i soggetti interessati a superare la condizione duale della nostra cultura giuridica e amministrativa, così come quella politica ed economica.
Qualche anno fa, quando presso il Ministero dei lavori pubblici si lavorava in contemporanea su politiche urbane e di governo del territorio, programmazione stradale e regolazione autostradale, grandi infrastrutture nazionali e transnazionali e programmi europei (solo per citare alcune delle “materie di competenza”), i programmi e le iniziative avviate concorrevano a costruire una visione strategica, sia proponendo sul territorio modi partecipativi e d’intervento a maglie larghe, sia adattando la tradizionale organizzazione per competenza degli uffici in unità strutturate secondo obiettivi assegnati, capaci di operare in sinergia fra di loro e in grado di adeguarsi velocemente al cambiare delle circostanze. I funzionari amministrativi interessati erano per la maggior parte laureati in legge, qualcuno (molto raro) in economia e commercio, mentre i tecnici erano architetti o ingegneri (civili e dei traporti). Alcune divisioni (le unità tecnico-amministrative facenti parte di direzioni generali) furono organizzate come se fossero uffici di missione, con la presenza insieme di funzionari tecnici e amministrativi (per i programmi complessi; per il settore strade e autostrade; per i programmi europei, ecc.). L’attività svolta e i risultati conseguiti (in termini di procedure, comportamenti, esiti) sono stati in genere apprezzati dai tanti interlocutori pubblici e privati, fino a spingere qualcuno a valutarne l’operato come best practice.27
Quello che serve adesso sono competenze multilivello e multi-attore tipiche di società di ingegneria o delle multiutility, abituate a mettere sotto controllo tempi e costi più agevolmente inquadrabili in moduli organizzativi costruiti su logiche di risultato.28
Molto, a favore di approcci tecnici multidisciplinari, potrebbero fare le reti di Università, sia collaborando attivamente con le altre strutture pubbliche, sia organizzando vere e proprie filiere d’insegnamento e di prestazioni d’opera.
Sarebbe, inoltre, possibile individuare nella rete degli Ecosistemi per l'innovazione i nuclei di convergenza delle potenzialità espresse dai contesti locali per gli interventi del PNRR. Gli Ecosistemi per l'innovazione si riferiscono all'Agenzia per la Coesione Territoriale (tenuta fuori finora dall’attuazione del PNRR) che ha maturato una consistente esperienza nell'attuazione dei Por, dei Pon e dei Fondi Strutturali. Utilizzare questa rete (per altro esistente, dotata di una avanzata potenzialità digitale e già connessa con i diversi comuni), consentirebbe di superare le difficoltà della messa a terra dei progetti più volte paventata e, soprattutto, garantirebbe la possibilità di intercettare la domanda sociale di base la cui assenza può essere considerata il vero limite del PNRR.
Il nuovo personale difficilmente potrebbe essere inquadrato nei pre-esistenti uffici non in grado di valorizzare le nuove professionalità.29 Il modello più agevole cui fare ricorso (il più delle volte di durata temporanea, utilizzato con buoni risultati, anche molti anni prima del PNRR), soprattutto nei Ministeri o negli altri enti deputati alla spesa in infrastrutture (cercando di evitare , per quanto possibile, processi di addizionalità con le “strutture ordinarie”)è l’istituzione di unità (o strutture) di missione incaricate dello svolgimento di particolari compiti o del raggiungimento di risultati determinati o della realizzazione di specifici programmi30. Queste unità di missione integrate e interconnesse tra loro, potrebbero mettere in rete le diverse modalità di processo attivate e gli obiettivi raggiunti. Un loro buon esito in termini di riduzione di tempi e costi rispetto ai classici procedimenti amministrativi potrebbe suggerirne la stabilizzazione e l’ampliamento ad altri settori.
Come è avvenuto in altre occasioni, per favorire e consolidare l’avvio di un reale processo di riforma amministrativa, si potrebbe istituire, almeno con riferimento alle amministrazioni centrali e a quelle locali di maggior peso (con la Presidenza del Consiglio punto centrale di riferimento dell’intero PNRR), un “Ufficio per l’innovazione amministrativa” – configurato come organismo indipendente - con il compito di svolgere analisi e verifiche dell’organizzazione amministrativa e di valutarne l’attività qualificandosi come valido interlocutore della Scuola Nazionale dell’Amministrazione (SNA come noto è l’istituzione deputata a selezionare, reclutare e formare funzionari e dirigenti pubblici e costituisce il punto centrale del Sistema unico del reclutamento e della formazione pubblica31)
La stessa Commissione europea, infatti, ha richiesto che nel processo di riforma, accanto a una forte guida centrale con il compito di predisporre la fornitura di standard formativi uniformi per l’insieme delle pubbliche amministrazioni, ci fosse una particolare attenzione al mondo delle autonomie locali, tenendo conto delle loro profonde diversità e della necessità di adattare tempi e modi del cambiamento amministrativo e prestando, naturalmente, analoga attenzione a proposte e innovazioni provenienti dagli stessi enti territoriali.
Commissione Europea, sovranità sovranazionale, sovranismo infrastrutturale. Tavoli di concertazione e sindrome nimby. Riarticolazione dei livelli istituzionali nazionali. Progetto urbano e politiche di rigenerazione.
L’Europa che si è presentata attraverso il Next Generation EU è apparsa, come un “corpo vero” dotato di una sua forza politica autonoma e unitaria, che sembrava annunciare una nuova e crescente posizione di sovranità (dopo molti anni, era la seconda volta che accadeva, dopo le iniziative per il Covid ) nella richiesta vincolante di riforme economico-sociali, nel finanziamento di grandi infrastrutture materiali e immateriali, vincolato alla loro realizzazione, nelle trasformazioni urbane e territoriali.
E’ sembrato che la Commissione Europea volesse rivestire un nuovo e diverso ruolo, costituendosi con un proprio statuto, poteri e funzioni fra i livelli istituzionali nazionali (Comuni, Province, Città metropolitane, Regioni e Stato, per quel che riguarda l’Italia), quale portatore d’interessi sovranazionali (siamo lontani dal classico partenariato dei Comitati di sorveglianza) nell’approvazione di profonde riforme strutturali (tenute “sospese” dai Governi degli ultimi trent’anni) e nella realizzazione delle opere individuate. Posizione destinata a consolidarsi qualora il Piano dovesse diventare modalità permanente d’intervento, comportando, necessariamente, la revisione/semplificazione delle sedi politiche e tecnico-amministrative nelle quali si esprimono i livelli istituzionali nazionali.
Insomma il disegno di una nuova governance complessiva, che introduce sulle scene nazionali un nuovo soggetto istituzionale (la stessa Commissione Europea, o altro soggetto sua emanazione) direttamente interessato al buon esito degli accordi raggiunti. L’interconnessione di soggetti, strumenti, mercati diventerebbe il valore aggiunto non rinunciabile.
Del resto le riforme economiche e sociali - dalla giustizia (con particolare riguardo a quella civile), alla pubblica amministrazione, a particolari settori dell’economia – la transizione ecologica, lo sviluppo delle aree interne, la sostenibilità della filiera agricola, i processi di digitalizzazione, le grandi infrastrutture fisiche e immateriali, le profonde riorganizzazioni territoriali (anche solo ai fini di salvaguardia ambientale), gli estesi processi di rigenerazione urbana, e tanto altro sono tutti processi che travalicano ormai l’interesse nazionale e si collocano in quello europeo.
Ci sarebbe allora bisogno di nuove regole per i rapporti istituzionali fra un livello transnazionale e i governi locali (regionali, metropolitani, comunali), magari mediati dal livello statale. Basti pensare al procedimento di approvazione di progetti di grandi opere territoriali, che sono insieme progetto di spazi fisici e di insiemi di azioni, di politiche di contesto che mettono al centro dell’attenzione vasti territori che travalicano frequentemente la scala dell’intercomunalità o dell’area metropolitana per interessare ambiti territoriali di Stati diversi, il cui esito potrebbe essere il ridisegno di macro regioni europee.
In assenza, ormai da tempo, di adeguate pratiche urbanistiche o forse per meglio dire di un’urbanistica in grado di esprimere compiutamente le proprie funzioni essenziali (con l’effetto paradossale della crescita di una sorta di ostilità per il territorio, prova concreta di una chiara e profonda crisi dell’urbanistica), le operazioni di trasformazione urbana realizzate o in corso o ancora da avviare (a parte la questione indubbiamente fondamentale della qualità urbanistica di ognuna di loro) sono presentate quasi sempre come pratiche di rigenerazione urbana.
Soffermiamoci allora, in via esemplificativa, sulla necessità di riattivare una politica nazionale sulla rigenerazione urbana ridefinendone il centro d’interesse tecnico-amministrativo (cioè, il soggetto istituzionale competente) e le nuove condizioni di gestione.
L’assenza di continuità ha comportato il venir meno del principio di programmazione e della sperimentazione di politiche che strutturalmente hanno come obiettivo di conformare il progetto urbano, e così, i saperi diversi, che ne sono la pratica applicazione – come urbanistica, sociologia, economia, medicina, ambientalismo, diritto, cultura -, si sono dispersi in rigidi e spesso confliggenti interventi settoriali.
Le città occupano il 3% della superficie terrestre, in esse abita il 55% della popolazione, sono responsabili del 60-80% del consumo di energia totale e producono circa il 75% delle emissioni di carbonio.32
Per quanto riguarda l’Italia, si stima che, al 2050, la popolazione delle aree urbane con più di 10 mila abitanti rappresenterà oltre l’81% del totale degli abitanti (44 milioni).33
Inclusività e sostenibilità sono gli elementi indispensabili del progetto urbano.
Nelle città, le dinamiche civili, quelle sociali ed economiche e i problemi che le trasformazioni sollevano stanno tutti insieme, fra di loro intrecciati. Per risolverli, non possono che essere affrontati nel loro stare insieme, nella comune complessità e trasversalità.
Necessità, quindi, di politiche urbane che sappiano garantire una ripresa che metta insieme transizione ambientale/ripresa economica /innovazione sociale: dal risparmio energetico (anche attraverso la costituzione di comunità energetiche fra privati o, ancora più, composte da enti pubblici locali)34 alla riduzione dell’inquinamento atmosferico (con particolare attenzione allo scenario di circolarità, riuso e adattabilità), da trasporti sostenibili (collettivi e di sharing mobility) alla gestione dei rifiuti, dalla garanzia di maggior sicurezza e inclusività (l’uso degli spazi verdi per donne bambini anziani e disabili) alla riduzione delle diseguaglianze fra classi sociali e zone urbane (con una pianificazione partecipata) , dalla salvaguardia del patrimonio culturale e paesaggistico alla capacità di gestione del rischio (non ultimo quello dell’acqua), dalla riarticolazione del sistema sanitario (ancora per gli anziani e le persone più vulnerabili) allo sviluppo tecnologico, dalla trasformazione del costruito alla fornitura di servizi alla persona a fronte di una dinamica accelerata di nuovi bisogni (anziani, immigrati, single, decrescita demografica), solo per citare alcuni degli approcci necessari.
E’ l’obiettivo più importante dei prossimi anni, anche fra quelli indicati dalla Commissione Europea e finanziati con le risorse del PNRR, che potrebbe funzionare da traino ai necessari cambiamenti a livello urbano.
II rischio del fallimento è dietro l’angolo se a livello centrale prevarrà la classica ripartizione di competenze fra i centri di spesa e l’assenza di politiche integrate a livello locale.
La classica ripartizione tecnico-amministrativa di competenze potrebbe essere superata con la ricostituzione del CIPU (Comitato Interministeriale per le Politiche Urbane, presso la Presidenza del Consiglio), a cui potrebbero partecipare anche uno o più rappresentanti della Commissione Europea e Sindaci (individuati in funzione di priorità nazionali e della loro traduzione in proposte d’intervento a livello locale35), per rispondere alla necessità di coerenti e integrate politiche urbane.
La presidenza dovrebbe essere delegata a un Ministro senza portafoglio o a un vice-Ministro (all’atto della istituzione presiedeva il Ministro per la coesione territoriale) con funzioni d’indirizzo e coordinamento delle politiche urbane nazionali36, che potrebbe avvalersi di un’“Agenzia per le città” (o, meglio, “per l’ambiente urbano”), quale unico centro di organizzazione delle diverse amministrazioni di settore, dotata di qualificate competenze professionali (selezionate e assunte anche sul mercato internazionale) organizzate in unità di missione, in grado di esplicare funzioni di affiancamento, supporto e addestramento del personale degli enti locali sia nella messa a punto del programma sia nella fase di realizzazione degli interventi (dotata, se del caso, anche di poteri sostitutivi in situazioni di particolare inefficienza).
Rivedere l’intero apparato istituzionale e amministrativo e avviare la ricostruzione dei rapporti tra cittadino e amministrazione ormai usurati da troppo tempo è una necessità che va al di là della stessa attuazione del PNRR.
Note
1 “Draghi è il segno di un’epoca nuova, è l’uomo forte d’Europa, rappresenta una novità complessiva nella quale il nostro paese si trova in una posizione privilegiata: ci pigliano sul serio, improvvisamente” paolo Guzzanti, l’Espresso, 3 ottobre 2021.
2 “È la malinconia a definire oggi il carattere degli italiani, il sentimento proprio del nichilismo dei nostri tempi, corrispondente alla coscienza della fine del dominio onnipotente dell’«io» sugli eventi e sul mondo, un «io» che malinconicamente è costretto a confrontarsi con i propri limiti quando si tratta di governare il destino.” Censis, 56° Rapporto sulla situazione sociale del Paese/2022, Roma, 2 dicembre 2022
3 Ivi, cit.
4 Sono 5708 i municipi (il 72,2% del totale) che risultano soggetti attuatori di almeno un investimento del Pnrr.
5 “Il 16 dicembre 2022Si è svolta a Palazzo Chigi la seconda riunione della Cabina di regia sul PNRR per monitorare lo stato di attuazione degli obiettivi del Piano con particolare riferimento alla prossima scadenza del 31 dicembre 2022. Su 55 obiettivi da conseguire al 31 dicembre 2022, ne sono stati pienamente raggiunti 40. I restanti 15 sono stati tutti avviati e in corso di finalizzazione.” Comunicato di Palazzo Chigi
6 “Per un’opera pubblica sono necessari in Italia tempi medi di 8 – 10 anni. Due anni in più sull’orizzonte temporale del Pnrr sarebbero assolutamente necessari se si vuole scongiurare il rischio che le regioni del Sud restino ancora una volta indietro”. Nello Musumeci, ministro per la Protezione Civile e le Politiche del mare, XXX Assemblea annuale ANCI, Bergamo, 23-25 novembre 2022.
7 Il problema delle regioni e dei comuni meridionali non è superato dalla quota del 40% a loro assegnata o da altre percentuali di assegnazione, ma alla capacità di spendere bene e velocemente queste risorse.
8 Gli esperti – da reclutare nei primi mesi del 2022 attraverso il portale nazionale del reclutamento – saranno collocati presso le amministrazioni solo dopo che sarà stata messa a punto una “mappa dei colli di bottiglia” della pubblica amministrazione, nazionale e locale, che più rallentano lo sviluppo del Paese, una mappa che identifichi regione per regione, grande comune per grande comune, provincia per provincia, dove si intoppa la procedura, per poi intervenire in loco.
9 Dopo una procedura concorsuale semplificata tramite Formez PA, sono rimasti 1.321 posti vacanti su 2.800 messi a concorso, inoltre si sono registrate molte rinunce da parte dei vincitori, come riportato nella Relazione al Parlamento sullo stato di attuazione del Pnrr (5 ottobre 2022),
10 In gran parte dovuta all’eccessiva e, troppo spesso, sottaciuta “facilità” nella scelta del contraente, oltre che alla semplice applicazione delle direttive europee in tema di appalti pubblici (accantonat, per l’occasione, regole e codice degli appalti nazionali).
11 Il 16 dicembre 2022, il Consiglio dei Ministri ha approvato il nuovo codice dei contratti pubblici che definisce i “principi”, riduce i livelli di progettazione, aumenta la soglia degli affidamenti diretti ed è auto applicativo. Norme che presuppongono ancora di più un’amministrazione integra e professionale, non condizionabile: condizione essenziale per l’introduzione a regime del modello Pnrr.
12 Questa attuazione controllata di obiettivi e tempi del Pnrr in essere fino al 2026, ha giustamente configurato una “straordinaria esperienza di governo, << con vincolo metodologico>> comune, [che] avrà duratura influenza sul modo di essere degli Stati nell’Unione”, Andrea Manzella, Corriere della Sera, 28 novembre 2022.
13 Oltre alla descrizione sull’uso e sull’allocazione delle risorse assegnate (le sei Missioni), il PNRR propone un gran numero di riforme (giustizia, pubblica amministrazione, fisco, sanità, scuola), come se nessun comparto della nostra vita associata e istituzionale fosse esente dal bisogno di interventi di risanamento vasti e incisivi.
14“Vaste programme...” pare sia stata l’imperturbabile risposta del Generale De Gaulle a un contestatore che, nel corso di un suo comizio, abbia gridato “Mort aux cons!” (Morte ai cretini!). Da allora l’espressione è utilizzata per ridicolizzare progetti pretenziosi o utopistici. Ci si augura con forza che non sia questo il caso!
15 Da 61 dipendenti pubblici ogni 1.000 abitanti del 2001, si è passati a 54 del 2020. Negli stessi anni, l’età media è costantemente aumentata, passando da 44,2 anni nel 2001 a 50,74 anni nel 2020, divenendo l’Italia il paese europeo con il più alto tasso di dipendenti ultracinquantenni nel comparto delle Funzioni Centrali. Nel periodo 2014-2019, la Francia (5,6 milioni di dipendenti, il 44% a livello centrale e 40 mila posizioni aperte ogni anno) è passata da 84 a 82 dipendenti ogni 1.000 abitanti (con impatto negativo per la qualità della funzione pubblica che il Governo sta affrontando promuovendo strategie di attrattività a livello nazionale e regionale), la Germania e la Spagna hanno aumentato l’incidenza del personale pubblico sugli abitanti passando rispettivamente da 84 a 82 e da 62 a 68 dipendenti ogni 1000 abitanti. Comitato scientifico per la valutazione dell’impatto delle riforme in materia di capitale umano pubblico. Rapporto 2022.
16 Corpo tecnico: “complesso di persone che formano un organismo istituzionale con determinate funzioni e attribuzioni”, caratterizzato dalle competenze necessarie per esercitarle, con una professionalità “che concerne la parte pratica, strumentale di un’arte, di una scienza di una disciplina. Dal Devoto-Oli - Dizionario della lingua italiana - riportando insieme le definizioni di “corpo” e di “tecnico”.
17 Sabino Cassese nel suo noto saggio “Questione amministrativa e questione meridionale” (1977) riportava una comparazione internazionale fra i dipendenti pubblici di tre Paesi aventi le stesse dimensioni, quanto a popolazione, la Francia, la Gran Bretagna e l’Italia. Dalla essa risultava che, nella categoria delle amministrazioni tecniche – comprendente le infrastrutture, le industrie, i lavori pubblici, l’agricoltura, i trasporti, le risorse naturali -, la Francia includeva il 30,8%, la Gran Bretagna il 53,7% e l’Italia solo il 3,4% dei dipendenti pubblici.
18 È da tempo che una parte di responsabilità del blocco dei cantieri sia imputata ai funzionari pubblici e ai sindaci inchiodati nel loro agire dalla “paura della firma” a causa dello spropositato numero di leggi e regole amministrative, e di successive e spesso prevalenti deroghe alle stesse regole. Per risolvere il problema da più parti si propone, da ultimo a Bergamo in occasione della XXX Assemblea annuale ANCI (23-25 novembre 2022), la riforma dell’abuso d’ufficio, per garantire “[…] una maggiore agibilità nello spendere le risorse del Pnrr e dare loro la libertà di lavorare senza l’incubo della firma. La revisione della norma è una priorità non più rinviabile”.
19 Appare sempre più evidente l’insorgere, soprattutto negli ultimi anni, di una relazione “ambigua (?)” fra alta dirigenza, Ministro pro-tempore, Governo e “imposizione” delle norme prodotte al Parlamento.
20 Scriveva Cassese nel testo citato: “L’amministrazione dei lavori pubblici, nel passato, svolgeva la attività di progettazione delle opere, la cui esecuzione veniva affidata a privati. Prima la progettazione esecutiva, poi anche quella di massima, con diversi strumenti giuridici, sono ora svolte da privati. Il ministero controlla (quando può e come può), ma, principalmente, paga.”
21 Accurata e precisa mi sembra la riflessione di Andrea Manzella: ”La forza delle cose - italiane e straniere - ha portato un netto protagonismo istituzionale della Presidenza del Consiglio. Basta vedere, ultimamente, la struttura verticale del Pnrr, con il capo del filo ben annodato a Palazzo Chigi. Ma la vera conferma viene da “fuori”: quando il Presidente del Consiglio siede nel consiglio europeo, il vertice ”che definisce gli orientamenti e le priorità politiche generali dell’Unione” (art. 15 del Trattato). Chi codecide a Bruxelles, è il vero decisore a Roma.” Il Corriere della Sera, 21ottobre 2022
22 Una sfida che può cambiarci, Maurizio Ferrera, Il Corriere della Sera, 13 dicembre 2022.
23 Relazione illustrativa al ddl Principi Fondamentali e Norme Generali In Materia Di Governo Del Territorio
24 La proposta prevede l’assegnazione alle regioni a statuto ordinario di competenza legislativa esclusiva su materie elencate come “concorrenti” o di competenza esclusiva dello Stato, con l’obiettivo, secondo il Ministro, “[…] di fare andare tutte le regioni allo stesso passo e pari velocità, consentendo a chi va meno veloce di mettersi allo stesso passo di quelle che corrono. Chi ha fallito in questa circostanza è lo Stato che ha accentuato le disparità.” Prima di far partire l’autonomia, saranno garantiti, assicura il Ministro, uguali diritti sociali e civili, i livelli essenziali delle prestazioni (Lep). A questo obiettivo provvede l’art.144 della prossima legge di stabilità che crea la Cabina di regia con la presenza di tutti i Ministri competenti.
25 Il regionalismo cooperativo. Una risorsa delle democrazie. Giuliano Amato, Discorso d’ingresso come membro onorario della Reale Accademia di scienze morali e politiche, Madrid, 6 ottobre 2022.
26 10 La geografia delle aree interne nel 2020: vasti territori tra potenzialità e debolezze, istat, 20 luglio 2022
27 Quando a seguito dell’assegnazione dei “compiti relativi alle concessioni di costruzione e gestione di infrastrutture viarie di interesse nazionale”, gli otto funzionari dell’allora Ministero dei lavori pubblici incaricati di occuparsene seguirono per alcuni mesi - dopo una intesa fra Direzione generale del coordinamento territoriale e Università di Tor Vergata, Facoltà di Economia - un corso di Economia della valutazione e della Regolamentazione.
28 Una ipotesi – da assumere eventualmente d’intesa con la Commissione Europea per la possibile distorsione dei profili di concorrenza e da valutare attentamente quanto a urgenza, temporaneità, puntuale rendicontazione finanziaria - potrebbe essere, ad esempio, la sottoscrizione di un’intesa fra ANCI, Ministero dell’università̀ e della ricerca, Conferenza dei Rettori (che potrebbe essere aperto anche ad associazioni di rappresentanza di soggetti privati) finalizzato alla collaborazione del corpo docente con i Comuni. Analoga collaborazione potrebbe essere richiesta ai due grandi centri di ricerca nazionale, CNR e ENEA e alle numerose Multiutility, in particolare per gli interventi finalizzati alla transizione ecologica.
29 Carenze professionali, scarsa motivazione e mancanza di senso di appartenenza investono, ovviamente, anche l’”alta dirigenza” pubblica.
30 In alcune particolari situazioni, è il caso dei 1.000 professionisti assunti temporaneamente per fornire assistenza tecnica alle amministrazioni per l’attuazione del Pnrr, sono state appositamente costituite delle task-force quali gruppo di esperti, provenienti da diversi settori disciplinari e con diversa esperienza professionale per affrontare e risolvere un problema specifico.
31 Dal sito della Scuola Nazionale dell’Amministrazione, Presidenza del Consiglio dei Ministri
32 Agenda 2030 per lo Sviluppo Sostenibile - Obiettivo 11: Rendere le città e gli insediamenti umani inclusivi, sicuri, duraturi e sostenibili.
33 Cities Climate Leadership Group (C40 Cities).
34 La possibilità di aggregarsi per la produzione sino ad 1 megawatt, la distribuzione e il consumo di energia proveniente da fonti rinnovabili rappresenta la base per lo sviluppo della transizione energetica in Italia e il primo passo verso le smart city.
35 Ancora quasi inesplorato rimane il dettato dell’art.119 Cost. laddove lo “Stato destina risorse aggiuntive ed effettua interventi speciali in favore di determinati Comuni, Province, Città metropolitane e Regioni” con lo scopo di “promuovere lo sviluppo economico, la coesione e la solidarietà sociale, per rimuovere gli squilibri economici e sociali, per favorire l’effettivo esercizio dei diritti della persona”. […] Bisognerebbe, avviare un Programma (Piano?) pluriennale (dieci anni?) di rigenerazione urbana fondato su target espliciti e costantemente monitorati lungo il percorso […] Programmi, individuati dallo stesso Comitato, su proposta dell’Agenzia, da indirizzare su aree-bersaglio individuate sulla base di indicatori Istat relativi a particolari squilibri economici e sociali e/o a bilanci urbani caratterizzati da instabilità permanente sotto vari profili (sarebbe sufficiente la sola necessità di garantire i livelli essenziali delle prestazioni): da quello ambientale (basti solo pensare al rapporto motorizzazione
privata/spostamenti spaziali), a quello urbanistico-edilizio-ambientale (consumo di suolo / spreco energetico), da quello produttivo (aree industriali dismesse/uso e abbandono delle aree rurali), a quello sociale (dispersione- isolamento/concentrazione-conflitto). Il buon esito dipenderebbe dalla capacità organizzativa tecnica e amministrativa dei soggetti destinatari, dalle loro più o meno recenti performance in esperienze precedenti, dalla scala d’intervento del programma, dalla natura degli obiettivi fissati.
36 Mentre il Ministero delle infrastrutture e della mobilità sostenibile, cui da sempre fa capo la competenza in materia, potrebbe garantire le necessarie e specifiche professionalità e tecnicalità sul tema, l’incardinamento presso la Presidenza del Consiglio assicura il necessario profilo istituzionale per i rapporti sovranazionali e per quelli con le altre amministrazioni interessate.