Editoriale

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Manifesto programmatico EWT
Comitato editoriale EWT PDF




Alla luce del dibattito della redazione e del comitato scientifico, ed in considerazione anche degli obiettivi assunti nella costruzione della rivista EcoWebTown, vengono di seguito individuati alcuni indirizzi di riferimento per le future attività della rivista.
Il ragionamento muove dalla valutazione di ciò che è diventata EWT in questi dieci anni di attività, che l’hanno vista diventare una rivista scientifica accreditata dal ministero, con una crescente quantità di accessi che negli ultimi numeri è arrivata a sfiorare la soglia dei 5.000 contatti. Vengono poi analizzate le condizioni attuali, e quanto siano cambiate rispetto a quelle originarie. Infine, vengono riformulati gli indirizzi di guida a cui attenersi per il prossimo futuro, tenendo conto della storia di EWT e del mutamento delle condizioni di contesto.
EWT si propone in ogni caso di restare una rivista di carattere scientifico, migliorandone se possibile la classificazione nelle graduatorie del Ministero dell’Università e della Ricerca Scientifica.

 

 

A. Muovere dalla fisionomia acquisita da EWT in dieci anni

1. Rivista centrata sui temi della città e del progetto

Una ipotesi impegnativa: è possibile (e anzi necessario) agire attraverso progetti urbani per contribuire alla costruzione della città sostenibile, intelligente, ad elevata qualità morfologica degli spazi.
Riaffermare la centralità dell’urbanistica del progetto andando se necessario anche in controtendenza, contrapponendosi in particolare alla inconsistenza delle prospettive d’intervento spesso implicita nelle logiche del piano tradizionale.
Ripensare criticamente i nessi tra urbanistica, architettura e tecnologia, confermando l’esigenza di una convergenza transdisciplinare che va oltre gli steccati imperanti tra le diverse discipline del progetto alla base anche degli attuali ICAR universitari.
Trattare i temi della trasformazione coniugando la riflessione critica con la presentazione di progetti. In assenza di progetti si rinuncia alla esplorazione dei temi d’intervento, per quanto stimolanti e innovativi possano apparire.
In sostanza EWT ha riaffermato la necessità di agire nelle città per progetti d’insieme, interscalari e coerenti con una prospettiva strategica per la trasformazione della città. In altri termini, di agire per progetti urbani rinnovandone però forme e contenuti.
EWT non intende rinunciare a questa linea che si è ormai consolidata nel tempo.
           

2. Una rivista che non ha voluto rifuggire dalle responsabilità del progetto

Contro le derive estetizzanti, ma contro anche la dissoluzione del progetto dentro le politiche, EWT ha sostenuto la necessità di un progetto responsabile rivolto alle istituzioni di governo ai diversi livelli, contemperando l’apertura verso i profondi mutamenti in atto e verso le enormi potenzialità dell’innovazione tecnologica con l’obiettivo di migliorare la qualità degli spazi nella città contemporanea.
Di qui lo stesso titolo EcoWebTown che allude al progetto possibile per una città green, digitale, capace anche di infondere qualità nei suoi spazi fisici.

3. Una rivista capace di riflettere criticamente sui limiti delle pratiche convenzionali

EWT ha privilegiato l’apprendimento dagli errori compiuti anche quando le intenzioni del progetto erano legittime e condivisibili, rifuggendo in ogni caso dalla volontà di imporre la autorevolezza disciplinare indipendentemente dai risultati sociali e ambientali conseguiti dal progetto, o indifferentemente alle esigenze del sistema di governo responsabile delle strategie d’intervento.
EWT è stata insomma a favore di un progetto che dimostrasse tangibilmente la sua utilità per il miglioramento dell’azione di governo.

4. Una rivista orientata alla multisettorialità e alla integrazione su base territoriale

Convinta che la complessità dei processi in atto nell’epoca contemporanea non possa essere esorcizzata da approcci eccessivamente semplificatori e parzializzati, EWT ha cercato di dare conto delle forme più avanzate d’intervento sulla città e sul territorio, valorizzando in particolare i progetti che sono riusciti a far convergere interattivamente diverse azioni e diversi attori pubblici e privati sul medesimo spazio, portando un valore realmente aggiunto alla trasformazione.
EWT ha privilegiato espressamente l’approccio place-making, come superamento della strategia di mera convergenza di diverse politiche di settore impostate e gestite in modo autoreferenziale.

5. Una rivista aperta alla innovazione degli strumenti e delle forme di governance

Nella prospettiva di rilancio del progetto urbano EWT si è imbattuta spesso nelle difficoltà di disporre di strumenti adeguati o comunque di fare capo ad adeguate forme di governance, in particolare con il coordinamento in verticale tra i diversi attori istituzionali e se possibile con il loro effettivo partenariato in orizzontale.
EWT ha scontato il grave ritardo della situazione italiana, che non concede motivi di facile ottimismo circa l’efficacia degli strumenti d’intervento sulle città e del sistema corrente di governance dei progetti.
In ogni caso EWT continua ad auspicare il diffondersi di un nuovo stile della amministrazione per progetti, attraverso cui tendere ad armonizzare le diverse competenze in gioco e finalizzarle alla gestione efficace dei progetti.

 

B. Verificare la praticabilità delle condizioni iniziali

1. Attualità del progetto urbano

Il successo dei progetti urbani rimane ancora da conquistare. La logica del progetto urbano integrato è effettivamente molto impegnativa, presuppone tra l’altro una consapevolezza culturale e sociale sempre più rara tra gli stessi addetti ai lavori, e la battaglia è ancora tutta da vincere, nelle menti delle persone prima ancora che nei comportamenti degli specialisti, degli agenti economici e delle istituzioni pubbliche. Eppure, si tratta di un passaggio a nostro avviso obbligatorio, che impone di ripensare contenuti e forme del progetto urbano praticato correntemente, ma che comunque non induce affatto a revocarne l’attualità ai fini della trasformazione positiva della città contemporanea.
A Roma, ad esempio, ha suscitato forti proteste la recente scelta del sindaco Gualtieri di affidare all’arch. Boeri la riqualificazione delle periferie. Al di là del metodo che ha sollevato comprensibili opposizioni da parte degli ordini professionali, questa decisione sconcertante mette in luce la intrinseca debolezza del nuovo PRG, nel momento in cui la amministrazione vuole mettere mano concretamente agli interventi, e si rende conto che le previsioni del piano non sono sufficienti. Scopre così un disarmante vuoto di progettualità che condiziona l’azione amministrativa, dimostrando in modo tangibile la crisi attuale dell’urbanistica e dell’architettura urbana regolate dal planning.
Eppure, alcuni illuminati studiosi dell’urbanistica come Piercarlo Palermo avevano già rilevato come di fronte alla evidente crisi della urbanistica del piano e dei piani disegnati resta tuttora fertile la prospettiva dei progetti per la città. In particolare, rimane ancora da esplorare il contributo possibile della cultura disciplinare dei progetti, sia dei progetti strategici della trasformazione urbana sia con una migliore definizione dei caratteri morfologici degli interventi, generalmente trascurati nelle visioni strategiche. E come si dimostri oggi tuttora feconda la esistenza di una figura di mediazione tra il planner e il designer, cioè un urbanist che opera nella terra di mezzo tra l’architetto e il planner (Palermo, 2022). In questa prospettiva dovrebbe giocare un ruolo fondamentale la nozione di contesto, inteso come “matrice di possibilità interpretate in forme evolutive in relazione alle dinamiche locali, secondo l’idea del place-shaping come processo continuo” (Carmona, 2014).
Possono allora diventare determinanti le funzioni del progetto urbano, chiamato ad interpretare criticamente il contesto e le sue possibilità evolutive anche in relativa autonomia rispetto alle previsioni dei piani vigenti, purché in modo congruente con gli obiettivi di fondo assunti per il futuro della città. Pur nella oggettiva difficoltà di conciliare le dimensioni fisiche e morfologiche dei problemi con quelle sociali, economiche e politiche, il progetto deve cercare di promuovere dinamicamente forme di sviluppo sostenibile, nei limiti dettati dalla coerenza con le condizioni di contesto e dalla effettiva disponibilità degli attori pubblici e privati chiamati in campo dalla trasformazione. Ben sapendo che in assenza di un potere istituzionale solido e determinato, e di una condivisione sociale allargata, il progetto urbano non potrà mai affrontare realisticamente le sfide esistenti, ed è destinato fatalmente a scivolare lungo la china di una retorica evasiva o di strategie del marketing altrettanto inefficaci.   

2. Responsabilità accresciute del progetto

Sotto l’impulso della Commissione europea e del suo Green Deal i progetti urbani sono chiamati adesso a mettere in opera l’innovazione connessa alla transizione ecologico-ambientale e alla transizione digitale, secondo i principi virtuosi propugnati dall’Europa per la trasformazione delle città. Nonostante le recenti vicende sulla crisi dell’energia sembrino ritardare i processi di transizione voluti dalla UE, non cambiano gli indirizzi di fondo delle strategie urbane, mirate in ogni caso a contrastare i cambiamenti climatici. Crescono dunque le responsabilità, intanto che le tecniche vengono messe alla prova di nuovi modi d’intervento sensibili all’ambiente e alle tecnologie digitali, decisamente più sofisticati rispetto a quelli praticati comunemente. La conformità ai piani vigenti diventa ancora più problematica, perché questi piani sono generalmente antecedenti al PNRR, Piano Nazionale Ripresa e Resilienza contrattato con l’Europa, e non c’è tempo di predisporre e adottare varianti generali.
Aumentano in definitiva la discrezionalità del progetto, e le stesse responsabilità dei tecnici nello scegliere le soluzioni, non più garantite dai piani e dalle regole vigenti. Sono sempre più necessarie adeguate competenze ambientali e digitali anche in assenza di profili formativi collaudati, poichè le università sembrano in ritardo nel preparare tecnici innovativi, capaci di misurarsi efficacemente con i problemi della transizione ambientale e digitale.

3. Inadeguatezza delle pratiche tradizionali

Il forte impulso alla innovazione indotto dai programmi Next Generation UE mette a nudo i ritardi delle pratiche disciplinari convenzionali, e al tempo stesso riduce sensibilmente i rischi di un’affermazione delle logiche tradizionali ispirate ai principi di autorità. In questa situazione c’è da aspettarsi che i tecnici, incalzati dalle scadenze pressanti dei piani, reagiscano interpretando in modo riduttivo le sfide poste dal PNRR, in particolare adattando banalmente i nuovi modelli alle logiche da loro già conosciute e praticate. I progetti della Next Generation EU tendono così a diventare la riproposizione al ribasso di quelli già collaudati, con aggiustamenti esornativi circa i livelli di sostenibilità da conseguire e le strumentazioni digitali da impiegare.

4. Una irriducibile settorialità

Le difficoltà di innovazione delle discipline progettuali convenzionali finiscono molto spesso a indurre il loro superamento e talvolta perfino il loro accantonamento, a favore di strategie d’intervento de-spazializzate più gestibili da parte delle istituzioni di governo.
È noto, ad esempio, l’impegno preso da molte grandi città del mondo per decarbonizzare il loro ambiente entro i prossimi anni, anche al fine di ridurre gli effetti dell’inquinamento urbano sul cambiamento climatico. Roma in particolare partecipa all’Urban 20 Mayor Summit, con un ambizioso programma aggiornato dal nuovo sindaco Gualtieri, il quale vorrebbe anticipare al 2030 gli obiettivi della decarbonizzazione fissati ottimisticamente al 2050 dalla UE.
Sono cinque i pilastri strategici enunciati dalla amministrazione: la mobilità sostenibile e il rilancio del trasporto pubblico; la città dei 15 minuti, con l’offerta distribuita dei servizi di prossimità rapidamente raggiungibili ovunque; la chiusura del ciclo dei rifiuti, con il ricorso alla raccolta differenziata e agli impianti destinati al riciclo ed al recupero energetico; la forestazione urbana e infine l’efficientamento energetico del patrimonio edilizio.
Non diversamente dalle altre città, anche a Roma si pensa insomma di promuovere alcune politiche di integrazione di filiere settoriali autocontenute, che nel loro insieme dovrebbero concorrere alla neutralità climatica della città entro il 2030. La integrazione investe gli operatori delle filiere in gioco, ma non rinvia a specifici progetti d’area necessari per attuare la decarbonizzazione. Eppure, lo stesso obiettivo potrebbe essere raggiunto più agevolmente operando per parti di città con progetti urbani, con la integrazione locale dei 5 pilastri strategici. Ad esempio, si potrebbe procedere prioritariamente nell’area dei Fori, mettendola in sostenibilità in occasione del Giubileo. Altrettanto si potrebbe fare per la città storica per l’Expo, che presenta profili di complessità ancora più elevati. O ancora per la periferia originariamente abusiva, saldando un debito che la città non è mai riuscita a smaltire e che si ripresenta ad ogni tornata elettorale.
In tutti questi casi la politica della decarbonizzazione verrebbe gestita insomma con progetti place-based, secondo un approccio più realistico e anche più qualificato politicamente che EWT condivide. Le scadenze verrebbero commisurate alla effettiva realizzabilità di questi progetti urbani mirati, magari prevedendo contestualmente anche misure di rigenerazione urbana.
La notevole complessità del progetto così inteso richiede comunque l’apporto di professionalità sempre più qualificate, e in particolare sollecita una partecipazione organica da parte delle università. Nel valutare l’esperienza della ricostruzione post-sismica de L’Aquila ( EWT 25) abbiamo valutato con favore l’apporto delle università ai piani comunali. Le università si sono dimostrate capaci di affrontare il tema dello sviluppo con maggiori competenze rispetto agli studi professionali locali, rappresentando al tempo stesso legittimi interessi pubblici terzi rispetto alle municipalità e alla popolazione locale. Questa strategia lungimirante è stata sconfitta allora dalla miopia degli ordini professionali locali arroccati in difesa dei loro privilegi, ma è rimasta un’indicazione preziosa di cui tener conto per il futuro, almeno per i progetti più importanti che richiedono apporti al massimo livello.

5. Innovazioni del sistema di government

La politica di decarbonizzazione e di neutralità climatica richiesta dalla UE impone una profonda riorganizzazione della macchina amministrativa delle nostre città, che in alcuni casi deve intrecciarsi anche con la preparazione dei grandi eventi, come a Roma dove è in programma il Giubileo per il 2025 e possibilmente l’Expo per il 2030.
La complessità di una amministrazione per progetti ai diversi livelli di governo richiesta dal PNRR è notevole, e non c’è modo di sfuggire alle difficoltà neanche disarticolando e frammentando oltremodo le politiche e le strutture responsabili.
Recentemente ( DL n.80 del 2021) si è introdotta una importante innovazione legislativa, il PIAO  (Piano integrato di attività e organizzazione delle amministrazioni). Questo strumento è finalizzato ad accorpare la molteplicità di adempimenti per le diverse azioni di settore, migliorando l’efficienza della programmazione grazie ad un documento unico e integrato, che riassorbe organicamente le diverse attività. Ma ben presto ci si è accorti che questa riforma complica piuttosto che semplificare la vita delle amministrazioni, e al momento nessuno è stato capace di adottare un PIAO a valenza triennale. Il rischio assai fondato è che purtroppo questa innovazione verrà presto abbandonata, diventando un’ennesima occasione persa per fare ordine tra i diversi piani delle amministrazioni. Tutto continuerà come prima nella babele di provvedimenti che non risultano armonizzati tra loro e che spesso si contraddicono a vicenda, contribuendo a quella paralisi burocratica denunciata tante volte da tutti come un ostacolo insormontabile all’attuazione spedita dei progetti.
Insomma, ci si è resi conto che per raggiungere gli obiettivi strategici di sviluppo del nostro Paese come delle nostre città bisogna assolutamente semplificare e razionalizzare la grande quantità di piani eterogenei (inclusi quelli delle performances e dei fabbisogni di personale, della parità di genere, del lavoro agile e dell’anticorruzione) che si scaricano sulle amministrazioni a causa di una improvvida legislazione proliferante. Ma evidentemente non bastano le leggi a modificare le pratiche reali delle amministrazioni pubbliche, le quali peraltro sono da sempre strutturate per funzioni e non per missioni da raggiungere.
È davvero un compito immane ammodernare l’organizzazione amministrativa, e per questo motivo si stanno istituendo sempre più spesso le Strutture di missione. Ma il loro numero non può crescere a dismisura, per non ricadere nella situazione caotica denunciata.
Una soluzione ragionevole potrebbe essere allora di concentrarsi su pochi progetti urbani a valenza strategica, istituendo apposite Strutture di missione. Resterebbe comunque il problema di far coesistere Uffici tradizionali e Strutture di missione, evitando le contrapposizioni paralizzanti.

 

C. Linee guida per il futuro di EWT

Mettendo insieme il programma originario di EWT con le nuove condizioni del progetto per la città si delineano gli scenari a cui dovrebbe far capo EWT nel suo prossimo futuro. Ne indichiamo i più rilevanti:

C1.      Una rivista ancora centrata sul progetto urbano, da riformare alla luce delle nuove condizioni che caratterizzano le strategie della trasformazione urbana imperniate sul governo da parte delle amministrazioni locali e centrali. EWT dovrebbe continuare a coprire uno spazio culturale disertato generalmente dalle riviste di architettura, troppo interessate alle realtà dei singoli oggetti privi di contesto e alla parzialità degli approcci orientati esclusivamente alla forma, e poco attente alla specificità dei processi di trasformazione delle città.
In ogni caso EWT dovrebbe rimanere una espressione originale della interdisciplinarità tra architettura, urbanistica e tecnologia.

C2.      Progetti urbani innovativi, che si dimostrano capaci di declinare in modo non banale le istanze di sostenibilità e di impiego delle tecnologie digitali riaffermate definitivamente in sede europea.
La capacità di misurarsi positivamente con la transizione ambientale e digitale deve diventare la chiave di volta per valutare qualsiasi progetto urbano.

C3.      Progetti urbani trans-scalari e multi-attoriali, fondati sul coordinamento verticale delle istituzioni di governo e sul loro partenariato orizzontale, aperto alla partecipazione attiva degli attori privati. Al tempo stesso dovrebbero essere assunte maggiori responsabilità nella costruzione dei progetti, se necessario anche al di fuori (ma non in modo incompatibile) delle logiche di piani urbanistici retrodatati.
La figura di riferimento diventa sempre più quella di un archi-planner capace di individuare ogni volta i compromessi più accettabili tra le logiche dello sviluppo sostenibile e digitalizzato con le qualità morfologiche degli spazi della trasformazione.

C4.      Progetti integrati place-based, in grado diriassorbire la necessaria multisettorialità delle strategie all’interno di parti di città trattate in modo complessivo ai fini del loro sviluppo sostenibile, senza mai perdere di vista i valori di forma degli spazi. Viene richiesta inoltre una maggiore attenzione agli effetti collaterali provocati dai progetti, anche negli spazi circostanti rispetto a quelli trattati in modo primario dal progetto.

C5.      Un nuovo stile di pianificazione, amministrare per progetti, con tutte le implicazioni di riforma che ne conseguono. Riconoscimento del crescente protagonismo delle amministrazioni locali, chiamate a ricomporre unitariamente e su base spaziale la varietà degli strumenti di programmazione. Ricorso organico alle università per accompagnare le politiche delle amministrazioni locali, mirate agli obiettivi della sostenibilità e della transizione digitale, offrendo al tempo stesso alle università occasioni di sviluppo non autoreferenziale delle ricerche. Impiego laddove possibile di accordi di progetto come metodo per introdurre innovazione nell’ambito delle singole strategie di progetto, ad esempio sottoponendo i progetti urbani a procedure aperte di design-review secondo criteri condivisi e stabiliti in precedenza. Infine, istituzione mirata di Strutture di missione temporanee come strumento per gestire in modo integrato i progetti urbani, superando le frammentazioni di competenze amministrative.