Editoriale

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Ancora innovazioni alla prova
Alberto ClementiPDF




Dopo dieci anni, è forse il tempo di provare a tirare un primo bilancio della nostra rivista EcoWebTown. Molte delle intuizioni anticipate nel programma di lavoro iniziale sono maturate nel tempo, ed oggi appaiono perfino scontate. L’Europa come noto ha deciso di finanziare la priorità del Green Deal e dell’innovazione digitale per cambiare il nostro modo di abitare e costruire il mondo. Ha delineato anche la filosofia a cui va riferita la trasformazione delle nostre città al fine di accedere ai cospicui finanziamenti messi a disposizione. Ci si aspetta città sempre più green (ovvero sostenibili ambientalmente), più produttive (ovvero generative di nuove opportunità di lavoro e di crescita del reddito soprattutto nella prospettiva dell’economia digitale e dell’intelligenza artificiale), e infine più solidali (in altri termini, più giuste ed inclusive socialmente). Questa impostazione comunitaria resiste anche nei nostri giorni, nonostante l’insorgere di impreviste difficoltà in particolare sulla effettiva disponibilità dell’energia e sul suo costo, che stanno imponendo un sostanziale rallentamento del programma.
Nella prospettiva del cambiamento comunque riaffermato dalla UE c’è da aspettarsi che le traiettorie finora separate della sostenibilità (eco) e dello smartness (web) siano destinate finalmente ad intrecciarsi reciprocamente, rafforzandosi l’una con l’altra. Per conseguenza, aggiungiamo noi,  il territorio e la città dovranno essere sempre più interpretati come una combinazione multilivello e interdipendente di ecodistretti dal metabolismo autobilanciato rispetto ai flussi d’ingresso e uscita delle risorse anche energetiche necessarie al loro funzionamento, e rispetto ai cicli di vita che sfruttano al meglio le dotazioni ambientali e territoriali locali esistenti, con il vantaggio di ridurre sensibilmente i consumi esterni nella logica della sostenibilità. Per fortuna la gestione appropriata dei complessi metabolismi ecosistemici che sostengono la città potrà contare sempre di più sulle straordinarie potenzialità delle tecnologie smart, con sensori e sofisticati algoritmidisegnati apposta per monitorare e regolare lo stato delle diverse variabili in gioco.
È esattamente questo il programma che aveva ispirato dieci anni fa in modo lungimirante la rivista EcoWebTown e che oggi sembra finalmente alla nostra portata, anche sotto il profilo tecnologico e politico. Con una precisazione importante. Ben consapevoli dei limiti sostanziali dell’ambientalismo convenzionale, gli ecodistretti di cui si occupa l’architettura e l’urbanistica dovranno essere considerati non soltanto come espressione dei caratteri di naturalità di un determinato territorio. Tenderanno più complessivamente a incorporare una quantità di variabili eterogenee, in particolare le relazioni istituite localmente con gli stili di vita e le forme di socialità della popolazione; con le dotazioni insediative e infrastrutturali esistenti e con i loro modi di uso da parte degli utenti; con le tecnologie e le forme di economia evolute; e infine con le stratificazioni della storia e della cultura impresse nel paesaggio, dispiegando in modo innovativo quanto aveva già intuito liminalmente Reyner Banham più di cinquanta anni, fa con il suo libro fondamentale sulle ecologie di Los Angeles (Banham, 1971).
In definitiva, EWT assume che nel futuro le città dovrebbero essere interpretate tendenzialmente come combinazioni specifiche di ecodistretti multilivello, autobilanciati, iperconnessi, identitari e culturalmente qualificati, con i loro caratteri profondamente diversificati in ragione dei mutevoli equilibri tra naturale e artificiale, tra ambiente e storia, tra locale e globale.
In questa idea di città che riproponiamo convintamente, l’enorme complessità dei metabolismi urbani da regolare al fine di ridurre il dispendio di risorse non riproducibili appare trattabile soltanto con sofisticate strumentazioni smart, possibili con algoritmi sempre più potenti. Al tempo stesso, la indispensabile diffusione dei processi di partecipazione informata della cittadinanza attiva alla gestione dell’ambiente urbano è facilitata dalla condivisione di tecnologie avanzate attraverso cui diventa possibile sperimentare un uso produttivo dei social networks e delle altre reti dedicate di comunicazione tra utenti dei servizi urbani.
In sostanza, parlare in questo momento di Smart city vuol dire riferirsi all’impiego di una molteplicità di tecnologie intelligenti che ricorrono a poderosi database (Big Data), attraverso cui si mira a gestire al meglio le diverse funzioni della città. Gli algoritmi sempre più potenti a disposizione risultano decisivi, perché appoggiati ad una adeguata rete di sensori consentono di controllare le molteplici variabili in gioco nei processi di trasformazione urbana e soprattutto di prendere in carico i loro sistemi d’interdipendenza, che sono effettivamente di grande complessità. L’obiettivo ultimo di Smart city dovrebbe diventare in definitiva di indurre positive modificazioni nei comportamenti degli abitanti e nei loro modi di usare la città, al fine di contenere gli effetti climatici negativi e accrescere al tempo stesso l’efficienza funzionale delle strutture insediative, stimolando a questo scopo processi di trasparenza e di partecipazione sociale impensabili nel passato.
Tutte queste sfide che incombono nel nostro futuro prossimo inducono ad un profondo cambiamento della cultura del progetto, che naturalmente riguarda in misura rilevante anche il lavoro della nostra rivista. In sintesi, la nuova cultura su cui dovremmo puntare è quella del Sustainable and Smart Urban Design, cioè del progetto riferito alla città, ambientalmente sostenibile e tecnologicamente smart, nei modi che sono stati definiti in precedenza.
Si tratta di una cultura invero assai innovativa, che richiede specifiche competenze ancora da formare in modo adeguato sia nell’università che nella professione e nell’amministrazione pubblica. Risultano decisive le nozioni di sostenibilità ambientale (la quale rinvia al controllo del metabolismo urbano, con l’obiettivo come si è detto di ridurre i processi di inquinamento ambientale e di riciclare al meglio le risorse disponibili al fine di impedire un loro deterioramento irreversibile). E poi quella dello smart digitale, il quale a sua volta impone il ricorso a sofisticati algoritmi di gestione della funzionalità dei sistemi in gioco (in particolare acqua, energia, mobilità e verde) da sempre appannaggio degli ingegneri e delle aziende di servizio pubblico.
Rimane comunque il problema assolutamente irrinunciabile della qualità (architettonica, urbana) degli interventi, che purtroppo tende spesso ad essere sacrificata di fronte alla maggiore complessità cui è chiamato a far fronte il progetto: con il risultato che le nostre città -anche quando cercano di diventare più sostenibili e intelligenti- vedono però scadere drammaticamente la qualità morfologica del loro spazio, e quindi la loro stessa vivibilità. Come abbiamo affermato altre volte, tutto sembra congiurare ad esempio perché la rapida cantierabilità degli interventi -sempre più spesso invocata ai fini della effettiva spendibilità dei fondi erogati- si risolva nella colpevole rinuncia a programmi intersettoriali di inevitabile complessità: programmi che potrebbero invece contribuire in modo decisivo alla rigenerazione delle città, imprimendo una significativa accelerazione al loro cambiamento positivo. Noi intendiamo opporci energicamente a questa deriva inaccettabile del progetto, che purtroppo sta diventando sempre più indifferente ai valori di forma.
I criteri di progettazione per una città sostenibile e smart possono essere in generale desunti dalla teoria di EcoWebTown su cui molti noi hanno lavorato fino ad oggi. Come già accennato, la città viene considerata in questo senso un paesaggio insediativo open scale, prodotto dalla combinazione peculiare di una varietà di ecodistretti locali autobilanciati, iperconnessi, identitari, messi in relazione alle diverse scale attraverso la presenza multiscalare delle reti tecniche della sostenibilità e delle reti intelligenti. Le due nozioni della sostenibilità ambientale e del funzionamento smart tendono così a diventare reciprocamente complementari. La città viene considerata come una macchina ecologica che riduce drasticamente il consumo di risorse non riproducibili decarbonizzando l’atmosfera ed elevando la qualità dell’ambiente, con la prospettiva di migliorare anche la coesione sociale e di accrescere la produttività economica. Al tempo stesso viene interpretata come una macchina intelligente, una sorta di grande computer all’aria aperta, che aiuta a razionalizzare le funzionalità di sistema. E’ comunque una città che in ogni caso non intende rinunciare affatto alla qualità dei propri spazi fisici (Clementi, 2014).
Questa idea innovativa di città che intendiamo propugnare, che tra l’altro rinvia ad un nuovo sistema di government pubblico dei flussi metabolici globali in entrata e uscita, consente di individuare per ogni contesto le soluzioni più appropriate ai fini degli equilibri ambientali e sociali da conseguire. Ogni volta si dovrà fare riferimento in generale al funzionamento dei sistemi della mobilità, di uso dei suoli, di produzione e consumo dell’energia, di gestione del ciclo delle acque, di raccolta dei rifiuti e del loro trattamento, tenendo conto anche delle quantità e della natura dei beni alimentari consumati localmente. Il ricorso a tecnologie smart consentirà di gestire al meglio le diverse prestazioni, economizzando quanto più possibile le risorse impiegate, riducendo gli impatti sull’impronta ecologica, e coinvolgendo attivamente la popolazione nelle strategie di sviluppo sostenibile perseguite.
Queste riflessioni sul funzionamento metabolico e le ecologie relazionali che dovrebbero strutturare la città contemporanea generano ricadute rilevanti anche sul modo di pensare il progetto. Abbiamo più volte richiamato i profondi mutamenti delle condizioni di praticabilità del progetto di valenza urbana nella prolungata congiuntura di crisi dell’economia attuale. In breve, si può affermare che se si vuole davvero contrastare la sua crescente marginalità, occorre rivederne criticamente la filosofia d’impostazione e le strumentazioni operative ereditate dalla modernità. Mirando ad esempio ad attivare una molteplicità d’interventi concatenati flessibilmente tra loro, anche di piccole dimensioni e costruiti dal basso, piuttosto che poche grandi opere di forte impatto, si tratta adesso di favorire soprattutto processi di adattamento graduale dell’esistente, attraverso cui provare ad assorbire senza troppi danni i mutamenti epocali indotti dalle innovazioni tecnologiche, sociali ed economiche della città del Terzo Millennio, esasperati anche dagli effetti della pandemia che ha sconvolto i ritmi abituali delle città.
In questa prospettiva tende a cambiare la natura stessa del progetto a valenza urbana. Come abbiamo già affermato in altre circostanze, da proiezione al futuro di prefigurazioni definite rigidamente, in modo assertivo e cogente (come propugnato generalmente dalla modernità classica), il progetto si trasforma in stimolo operativo e morfologicamente qualificato, attraverso cui innescare una pluralità di trasformazioni del contesto, tendenzialmente autopoietiche e autobilanciate, inquadrate in una visione d’insieme, dinamica e adattabile, assunta come riferimento condiviso socialmente con cui far fronte criticamente ( non solo riconoscendo la ineluttabilità del mercato!) al divenire dei molti processi in gioco nel mutamento del paesaggio urbano.
Il progetto a valenza urbana si ridefinisce in definitiva come strategia multi-settoriale, multi-attoriale e trans-scalare, che combina flessibilmente reti infrastrutturali e spazi catalitici a elevata qualità ambientale e morfologica, innescando una varietà di interventi strategici a diversa grana e un insieme di azioni complementari nella prospettiva della qualità degli assetti fisici che rimane il dato ultimo dell’architettura e dell’urbanistica di sempre (Clementi, Pozzi, 2015). Tutti gli interventi nel loro insieme dovrebbero insomma tendere a migliorare le condizioni di funzionalità urbana e di qualità diffusa del contesto, offrendo al tempo stesso condizioni spaziali di accesso più egualitario al welfare locale.
In definitiva il progetto è chiamato a declinare le diverse modalità attraverso cui si realizza il principio della sostenibilità ambientale, contemperandolo con le esigenze di sostenibilità sociale ed economica delle trasformazioni, e valorizzando criticamente la sua funzionalità agli obiettivi di qualità insediativa e paesaggistica delle trasformazioni. La molteplicità e complessità delle dimensioni in gioco rinvia necessariamente alla piena utilizzazione delle possibilità offerte dalle nuove tecnologie per gestire l’interdipendenza delle relazioni, con l’intento di calibrare al meglio le soluzioni più efficaci e più condivise socialmente.
Può spaventare la complessità di un simile modo di pensare il progetto urbano, che costringe ad innovare profondamente la cultura corrente. Sgomenta soprattutto la imbarazzante incapacità progettuale attuale della amministrazione pubblica a livello sia locale che centrale, la quale tra l’altro mette seriamente a rischio l’uso dei fondi del PNRR sottoposti alle scadenze implacabili dettate dall’UE. Eppure la strada da imboccare è proprio questa, lavorare con la complessità senza inventare impossibili scorciatoie che dovrebbero consentire il mantenimento del progetto tradizionale, con pochi ritocchi da affidare a tecnologie esogene innestate strumentalmente nel corpo della città.
Del resto, l’alternativa che sta imponendosi nei fatti è purtroppo una rinuncia passiva alla necessità di un progetto sostenibile, o almeno il suo rinvio ad una sua funzione del tutto marginale che ne sancisce la reale irrilevanza nella trasformazione della città contemporanea. Quello insomma che sta già accadendo nell’urbanistica, e che rischia di estendersi rovinosamente alle altre forme di governo della città.
Contro questo stato delle cose, EWT anche nel futuro intende insistere nel suo impegno a favore di un progetto urbano di ragionevole complessità, sostenibile e strumentato digitalmente, che diventerà sempre più indispensabile nel momento in cui la cultura tecnica e quella politica si renderanno conto che non c’è altro modo di affrontare costruttivamente la transizione ambientale e digitale su cui la UE punta per il futuro delle nostre città.

L’articolazione di questo numero riflette la volontà di muovere da un primo bilancio sull’attività svolta fino ad oggi da EWT, per delineare il nuovo programma di lavoro per i prossimi anni.
Di enorme interesse appare il lungo saggio di Palermo sulle tendenze recenti delle riviste internazionali di urbanistica. A detta del suo autore, si tratta di un bilancio complessivamente deludente, che lascia poco spazio alle prove di rinnovamento auspicate da chi crede ancora nel ruolo positivo ed efficace delle discipline del planning. Resta comunque da esplorare più approfonditamente le controverse relazioni tra piano e progetti, e dunque le possibilità reali di ricorso al progetto urbano su cui sta lavorando da tempo EcoWebTown. Sarà questo l’oggetto di un futuro approfondimento sulle riviste internazionali sempre da parte di Piercarlo Palermo, che offrirà la necessaria cornice di riferimento per una rivista come EWT la quale al momento sembra essere un po’ troppo autoreferenziale e negli ultimi tempi proiettata soprattutto sulla scena nazionale.
Anche il prezioso contributo di Barbieri sulla terza missione dell’università delinea un possibile campo di impegno più finalizzato della rivista. Non rassegnandosi alla marginalità della ricerca accademica rispetto alle questioni cogenti del progetto urbano, Barbieri insiste sulla opportunità di far conoscere meglio i prodotti di un patrimonio rilevante di esperienze realizzate dai dipartimenti universitari nell’ambito delle discipline del progetto, anche al fine di orientare meglio i temi della ricerca futura. E’ un atto di fiducia che EWT raccoglie con soddisfazione, avendo da sempre creduto che le università rappresentano un patrimonio prezioso attualmente sottoutilizzato per il Paese, e che invece andrebbe impiegato meglio non soltanto per le questioni del progetto urbano.
Gaetano Fontana nel suo lungo saggio insiste invece sull’arretratezza del contesto istituzionale e amministrativo italiano, il quale comunque appare oggi più che mai determinante in particolare per la gestione dei programmi finanziati dal PNRR. Non è soltanto l’università che sconta il proprio ritardo rispetto ai processi di sviluppo in atto. Purtroppo ancora di più in affanno sembra l’amministrazione pubblica ai diversi livelli (statale, regionale, comunale), che è stata sciaguratamente depotenziata e perfino delegittimata negli ultimi anni, e che si trova oggi in gravi difficoltà nell’adempiere al proprio ruolo di programmazione e gestione delle politiche d’intervento peraltro ancora insostituibile ( va ricordato che la nostra PA è una delle più anziane al mondo per l’età media dei suoi addetti !).
Una amministrazione per progetti sostenibili richiede tra l’altro l’invenzione di nuove competenze e di nuovi strumenti, come ad esempio gli specifici uffici di missione, che in verità erano stati parzialmente già introdotti alla fine degli anni Novanta nell’ambito dei Programmi complessi e dei Progetti europei sul modello Urban, ma che oggi purtroppo sembrano abbandonati al loro destino di crescente irrilevanza e superfluità. Proprio la maggiore presenza della Unione europea nei processi di decisione dovrebbe invece stimolare una profonda riforma del sistema di governo del territorio, oggi fossilizzato dietro una realtà che è profondamente mutata, al punto da rendere ormai obsoleti gran parte dei modelli tradizionali di governo pubblico ancora in uso.
Tutte queste sollecitazioni, ed altre ancora provenienti da diversi ambienti scientifici, sono state raccolte in un documento discusso e approvato dalla redazione e dal comitato scientifico, che delinea gli indirizzi di riferimento per i prossimi anni di EcoWebTown. Il documento, presentato qui di seguito, muove dalla interpretazione delle nuove condizioni che caratterizzano in Italia la pratica del progetto nella città contemporanea, per aggiornare il precedente programma di lavoro di EWT. Il nuovo corso della rivista, pur essendo orientato in misura crescente alla volontà di collaborazione con le università e con le amministrazioni pubbliche di governo del territorio, non intende tuttavia allontanarsi dall’importanza già attribuita al progetto urbano come metodo prioritario per promuovere e attuare le trasformazioni, ponendo al centro la qualità delle condizioni di vita della popolazione e degli assetti morfologici che caratterizzano la città fisica.
La complessità degli obiettivi da conseguire in questa prospettiva postula la convergenza attiva delle principali discipline del progetto, dall’architettura all’urbanistica e alla tecnologia, come del resto ha cercato di fare fino ad oggi EWT. Tutto ciò sconta la difficoltà di superare gli atavici settorialismi tra i diversi approcci di queste discipline, ma rappresenta comunque un valore aggiunto a cui EWT non intende rinunciare.   




Riferimenti bibliografici

Banham R. (1971), Los Angeles. The Architecture of Four Ecologies, Penguin Press, London.
Carmona M. (2014), “The Place-shaping Continuum: A Theory of Urban Design Process”,in Journal of Urban Design, Vol. 19.
Clementi A. (2014), “EcoWebDistrict. Urbanistica tra smart e green”,in Zazzero E., (a cura di), Ecoquartieri, Maggioli, Bologna.
Clementi A., Pozzi C. (2015), Progettare per il futuro della città, Quodlibet, Macerata.
Palermo P.C. (2022), Il futuro dell’urbanistica post-riformista, Carocci, Roma.