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L’ Alterità come valore per una Politica della Natura
Massimiliano Scuderi PDF




Le urgenze dovute ai mutamenti globali in atto, stanno condizionando fortemente i nostri comportamenti e le nostre abitudini quotidiane rispetto al rapporto con la natura e con l’habitat, ponendoci nei loro confronti in una posizione di distanza ed estraneità, non essendo noi ancora  in grado di comprenderne la reale portata.
Come scrive il filosofo Byung-Chul Han1 negli ultimi anni sono state formulate diverse teorie sociali - attraverso modelli mutuati dalla scienza immunologica - che denunciano la scomparsa dagli schemi organizzativi della categoria dell’alterità, fondamentale nell’immunologia. L’estraneità è ciò che determina la reazione immunitaria e così vogliamo intendere, in senso simbolico. In questo senso alcuni intellettuali ed artisti hanno inteso indagare i mutamenti in atto nei sistemi urbani contemporanee, percependo questi contesti come gli scenari in cui stanno avvenendo le trasformazioni più interessanti, sottoponendoli ad analisi che tengono in conto aspetti diversi, incluso il contributo adattativo di piante ed animali. Le loro opere rappresentano quindi delle riflessioni e l’innesco per trovare una reazione all’alterità. Già nel passato si possono rintracciare i segni della matrice culturale di una nuova sensibilità, armonizzatrice del rapporto tra natura e individuo.
Nell’età classica la prima forma di storia che venne sviluppata fu quella naturale. Essa infatti, dice Michel Foucault, non ha bisogno per edificarsi che di parole applicate senza mediazione alle cose stesse2. La storia di un essere vivente era articolata da un reticolo semantico che lo univa al mondo. I documenti di tale storia non sono archivi e cataloghi di dati, ma la giustapposizione di cose ed esseri, gli uni accanto agli altri. La curiosità per piante e bestie determinava la nascita di giardini botanici e di collezioni zoologiche che successivamente, nel Rinascimento, figurarono sotto forma di cortei spettacolari. La distanza silenziosa tra le cose e le parole si schiuse quindi attraverso la rappresentazione, un nuovo modo di connettere le cose allo sguardo e al discorso3. Nel settecento tali classificazioni saranno determinanti nella riorganizzazione della natura in un nuovo ordine e daranno vita, solo nel secolo successivo, ad una vera e propria storia liberata dalla razionalità e restituita alla violenza irruttiva del tempo. Goethe condusse una riflessione profonda sul fenomeno naturale e sulle sue metamorfosi, affermando che chiunque vi si dedichi con attenzione ed impegno può giungere ad abbracciare in una visione globale il Tutto, e ad affrontare lo sguardo nel Particolare4.
Con il pensiero Moderno - e qui mi riferisco alle considerazioni presenti nel libro Politiche della Natura di Bruno Latour - determina una distinzione del mondo in rappresentazioni e valori, una dialettica degli opposti come razionale ed irrazionale, scienza e società, cultura e natura, esternalizzando5 quegli aspetti importanti - in positivo o in negativo - non considerati all’interno dei calcoli. La modernità ha tracciato la via delle Grandi Narrazioni e con essa i grandi disastri, avendo considerato la natura esterna alla vita sociale.  Le risposte alle gravi calamità - come l’ecologismo - si sono rivelate degli inutili paliativi, opposti al modello della Naturalpolitik,6 ovvero al tentativo di includere il mondo naturale nella questione sociale e politica dell’uomo.
Dio è morto, l’uomo è morto ed ora anche la natura! L’importanza della crisi ecologica sta nell’impossibilità di considerare distinte la politica dalla natura che le servirebbe insieme da unità di misura, da spauracchio, da riserva, da risorsa e da discarica pubblica7. Il mondo così come ci è stato restituito dalla modernità ci pone nella condizione necessaria di non considerare più l’esistenza umana frontale rispetto alle cose, ma immersa all’interno di esse. Per esempio se prima bere da una bottiglietta di plastica ci poneva esclusivamente di fronte al dubbio sulle qualità intrinseche del liquido contenuto, nella contemporaneità quest’azione include inevitabilmente la considerazione delle proprietà del materiale del contenitore e di quanto questo possa incidere sul nostro metabolismo, quanto il liquido possa o meno essere contaminato dalle particelle del materiale plastico. Questo comporta che il nostro rapporto con la natura non troverà una risoluzione armoniosa, se non nel momento in cui l’alterità, ovvero l’elemento estraneo, verrà considerato e ponderato come parte fondamentale dei nostri comportamenti, della nostra esistenza, in quanto sarà proprio l’elemento ‘altro’ a modificarla, trasformando i nostri modelli, il modo di organizzarli, fino al nostro modo di pensare la vita pubblica. Già la distinzione tutta modernista tra politica e natura veniva risolta attraverso la definizione contemporanea di ecologia politica, un ambito in cui non è più possibile distinguere tra modernizzazione ed ecologia.
Ma qual è il legame tra queste considerazioni e l’estetica, o meglio tra politica ed estetica? Jacques Ranciere intende questo rapporto come condivisione non di mezzi, ma di ambiti. In Il disagio dell’estetica8, politica ed estetica condividono lo stesso spazio in quanto entrambe si occupano della configurazione del mondo sensibile comune : il rapporto tra estetica e politica è allora, più precisamente, il rapporto tra questa estetica della politica e la “politica dell’estetica”, cioè la maniera in cui le pratiche e le forme di visibilità dell’arte intervengono esse stesse nella partizione del sensibile e nella sua riconfigurazione, ritagliando spazi e tempi, soggetti e oggetti, comune e singolare9.
Negli ultimi decenni la ricerca artistica, anche a causa degli effetti della globalizzazione, deglo stravolgimenti geo-politici e ambientali, si è rivolta verso tematiche complesse. L’artista al giorno d’oggi pone l’accento sul recupero di una capacità desiderante autonoma o collettiva10 rispetto ad uno spazio condiviso che può essere risignificato o ancora compreso e svelato.
Nella produzione di lavori e di architetture di Philippe Rahm ricorre come la tecnica del displacement, nel caso specifico si intende la produzione artificiale di un clima, di un momento in un tale ambiente, di un insolita geografia adatta a funzioni specifiche di spazi, al limite del concetto di eterotopie. Quest’idea di sfasamento determina come Rahm stesso definisce alterazioni nella percezione del fuso orario, acclimatazione, viaggio nel tempo, ibernazione, ma anche slittamento verso dimensioni limite, ubiquità, channeling, polifonia, spettralità, esperienza al limite della morte.
L’architettura stessa può intendersi a partire dal concetto di adeguamento di parametri naturali dati, in senso spaziale e temporale. Il concetto stesso di comfort ha in sé un’ idea di adattamento, ad esempio del clima naturale al metabolismo umano, diciamo con un quaranta per cento di umidità e ad una temperatura di circa 25 gradi. La riflessione di questo architetto svizzero, di base a Parigi, nacque nel mondo nell’arte per essere approfondita nel campo dell’architettura. Pensare ad esempio al principio per cui le case d’inverno vengono riscaldate, significa concretamente mettere in atto una decontestualizzazione geografica e temporale, ricreando climi e ambienti atmosferici esotici in spazi abitativi che non hanno queste caratteristiche, attraverso un’infrastrutturazione ad hoc.
Mentre gli artisti della Land Art a partire dagli anni ’60 intervenivano sul paesaggio e sugli elementi naturali di un luogo specifico per creare sculture di gusto Minimalista11, declinando l’idea di natura all’interno degli assiomi dell’arte concettuale, in una fase successiva associarono a questi metodi un intento lirico e/o politico12. Molti artisti successivamente, partendo da quelle esperienze, approfondirono le questioni strettamente legate alla crisi ambientale. Ad esempio Peter Fend si ispira in tutte le sue azioni artistiche ai quattro libri sull’architettura di Leon Battista Alberti, per cui l’ambiente, per essere abitabile, deve possedere alcune caratteristiche precise quali aria pulita, acqua limpida e spazio dove sia possibile muoversi. Questi precetti intersecano il suo percorso formativo, legato ad esperienze condivise con altri artisti quali Dennis Oppenheim, tra gli altri, o riferito per l’impegno ecologista e antropologico a figure fortementi influenti come Joseph Beuys.
Con la proposta di un Corridoio senza petrolio, nel 1993, viene promossa una produzione globale di energia alternativa generata attraverso l’impiego del Giant Algae System, un brevetto della Ocean Earth13. La mappatura dei siti prescelti comprendeva un asse che dall’Islanda attraversasse il mare del Nord, l’ex Yugoslavia, fino a comprendere luoghi simbolici come il monte Athos, il Sinai o la Mecca. Nella costruzione di una cartografia ragionata che mette in collegamento le potenzialità dei bacini idrici e le ricadute di un impiego visrtuoso delle risorse energetiche, rientra anche l’Africa, progetto sviluppato in tanti anni che implica inevitabili ricadute sociali sui territori, creando le opportunità per far crescere comunità operose e autonome, nate sulla produzione di energie alternative attraverso la raccolta delle alghe, una visione che, tra il verosimile e l’utopico, coglie nelle possibilità dell’arte gli strumenti per un progetto innovativo.
Dalla scala macro-territoriale di Fend, si passa al concettualismo radicale di Peter Bartos che impiega la sua intera esistenza a progettare la città in cui risiede, Bratislava, conoscendone ogni suo dettaglio. Esponente della nuova avanguardia slovacca,  parte dalla pittura per sviluppare un’estetica capace di modificare la vita. Le sue opere rappresentano il ciclo vitale legato a Bratislava che diventa per Bartos il luogo della sperimentazione continua - un microcosmo capace ti definirsi per piccole ma sostanziali modificazioni dell’ assetto urbano. Tra il ‘69 e il ’79, anno in cui venne assunto come landscape designer per lo zoo di Bratislava, sviluppò un concetto sperimentale di cultura ecologica occupandosi non solo della selezione e generazione di animali - famose le sue ricerche sui piccioni - ma anche della terra coltivata dagli uomini in un insieme di olismo e di sentimento avanguardistico. Nel ’69 concepisce uno schema pluralistico a tre dimensioni, attraverso le quali colleziona materiali diversi e comuni come la neve, denominati A) concentration, B) accumulation e C) diffusion che appaiono nel suo Physico-optical Manifesto (1969). Questa predisposizione alla catalogazione ci permette di accostare la sua figura ad altre di altre latitudini e tempi. Molti artisti post-concettuali faranno della pratica archivistica e del collezionare il fulcro della loro ricerca estetica attraverso la quale elaborare un linguaggio specifico e perseguire i propri interessi. Mark Dion con scrupolosità scientifica, costruisce vere e proprie Wunderkammer ricche di rimandi semantici, in cui elementi culturali e naturali ricreano ecosistemi possibili, risultato di un lungo processo di accumulazione e archiviazione di biodiversità e di comportamenti adattativi. Per Dion produrre un lavoro significa descrivere un processo di acquisizione di dati dove nulla è escluso o gettato via, tutto è visibile allo spettatore. Quando l’atto del collezionare è completato, il lavoro è finito e con esso l’azione. Con il suo incisivo approccio archeologico, l'artista esamina i principi di raccolta, organizzazione e visualizzazione delle informazioni. Una strategia espositiva che, pregna di un certo humour noir, restituisce l’atmosfera di un museo di storia naturale o dei gabinetti di curiosità.
Concrete jungle del ’92 fu un’interessante ricerca condotta da Mark Dion e Alexis Rockman sul complesso ecosistema che regola il rapporto tra l’uomo e la natura nei contesti urbani.  Proprio su queste tematiche i due artisti costruirono un apparato iconografico ricco che trae il metodo dai taccuini di viaggio che compilavano insieme nei primi anni Novanta, durante le escursioni nei tropici. La tesi di Concrete Jungle descrive come le piante e gli animali14 - in cui quotidianamente ci imbattiamo - vengono classificati dai biologi che osservano come le specie vengano ri- selezionate. Numerosi, mobili e adattabili, questi organismi dimostrano l’abilità di avere un pieno vantaggio sullo spazio antropizzato. Per noi solamente animali nocivi, come ratti, piccioni, blatte ecc., in verità diffondendo malattie, hanno contribuito al drastico declino delle bio-diversità. Così come l’uomo distrugge la fragile relazione con l’ambiente, così le aggressive specie ri-selezionate dislocheranno nuovamente piante e animali che continueranno a proliferare e a dominare il mondo biologico nel futuro.
Il tema del rapporto tra natura, politica e antropologia è il tratto distintivo di tutta l’opera di Piero Gilardi che dal ‘68 partecipa alle esperienze artistiche più interessanti e innovative della contemporaneità, come l’Arte Povera e la Land Art. Interessato ai processi interattivi, le sue opere, come i tappeti natura, definiscono un ambito estetico preciso in cui il paesaggio, in quanto artificio culturale, esprime tutta la sua ambiguità. Tra naturale e virtuale, la natura ritorna ad essere lo strumento per una riflessione sul rapporto tra l’uomo e il mistero della sua esistenza. Gilardi esprime efficacemente la necessità di un modello di sviluppo che si esprima attraverso una creazione basata sull’interazione con altri artefici di forme di vita quotidiana (ad esempio, gli agricoltori) e integrata nel continuum evolutivo organico di tutto ciò che è vivente (piante, animali, individui, etc.)..15
La natura, nella rappresentazione pianificata dal potere mediatico, ha lo scopo di rafforzare la coesione sociale interna: sia che si tratti di mostrare le immagini edulcorate ed edulcoranti della natura vergine e rassicurante di alcuni spot pubblicitari, sia che vengano proposte le raccapriccianti conseguenze di una calamità naturale come il Tifone perfetto, titolo di una sua opera interattiva. La macchina, un tapis roulant, è sovrastata da una palma in gommapiuma che, in modo esausto, avverte il fruitore dell’l’immanente tragedia di cui un video ne descrive dettagliatamente la fenomenologia. L’oggetto di Gilardi perde le sue caratteristiche “lisce”16, per divenire ibrido e contaminato attraverso un processo di decontestualizzazione culturale, di postproduzione delle immagini mediatiche, di verifica di impreviste potenzialità valoriali e linguistiche.
L’alterità quindi è il parametro che pone in evidenza un nuovo sentire, che ci induce all’ascolto attento delle istanze di questi artisti contemporanei, maestri nell’anticipare le urgenze e nell’indagare la realtà partendo dalle problematiche strettamente connesse al rapporto tra individuo e natura, discorso che implica inevitabilmente l’ambito anche della politica, delle scienze e della democrazia. La natura diventa il contesto dei conflitti, anche sociali, e l’arte l’ambito possibile da cui trarre gli strumenti per far fronte alle necessità future.




Note


1 Byung-Chul Han, La società della Stanchezza, Gransasso nottetempo, Milano, 2012.

2 Foucault M. Le parole e le cose, Un’archeologia delle scienze umane. Bur, Milano, 2007, pag.147

3 Ibidem, pag.147

4 J.W. Goethe, Metamorfosi degli animali, ed. SE, Milano, 1986.

5 Termine usato dagli economisti per designare ciò che non si può prendere in considerazione ma svolge un ruolo importante (in positivo o in negativo).

6 Dice Latour sul modello della Realpolitik, si designa così la deviazione dell’ecologia politica che pretende, per opposizione all’ecologia militante,  di rinnovare la vita pubblica pur mantenendo intatta questa idea di natura inventata per avvelenarla Latour B. Politiche della Natura. Per una democrazia delle scienze. Cortina editore, Milano, 2000, pag 267

7 ibidempag.20

8 Ranciere J., Il disagio dell’estetica, a.c. Paolo Godani, ETS, Pisa, 2009

9 Ranciere J., Il disagio dell’estetica, a.c. Paolo Godani, ETS, Pisa, 2009

10 Pietromarchi B.(a cura di), Il luogo (non) comune, Actar, Barcellona, 2005.

11 Kastner J. , Wallis B., Land art e arte ambientale, Phaidon, Londra, 2004

12 Kastner J. , Wallis B., Land art e arte ambientale, Phaidon, Londra, 2004

13 La società Ocean Earth, diretta da Fend, è stata la prima che ha venduto immagini satellitari ai mass media per documentare i disastri ambientali, fase alla quale è seguito l’impegno in progetti ecologisti di rilievo planetario. La stessa società per realizzare i suoi programmi operativi ha studiato e brevettato prototipi come l’Offshore Soil Rig, progettato insieme a Marc Lombard nel 1993: uno strumento sofisticato per la produzione di energie alternative.

14 Tratto da M. Dion and A. Rockman, Concrete Jungle, Re-search publications, Juno books, New York, 1996

15 Tratto da I. Bernardi, Piero Gilardi e la “Biopolitica del Vivente”, Scritti dal 1964 al 2014, Arte e Critica n. 85, Roma, 2016 .pagg. 72/78

16 Latour distingue tra gli oggetti “lisci” della modernità, ovvero quelli ininfluenti nella vita dell’uomo, da quelli “arruffati” della postmodernità che, come soggetti ibridi, determinano fortemente il corso della vita collettiva dell’individuo.