Parole chiave: città aperta, rigenerazione urbana sostenibile, progetto urbano, dispositivo architettonico, aree marginali
Keywords: open city, urban sustainable regeneration, urban project, architectural device, marginal areas
Abstract
A partire da una serie di osservazioni e riflessioni, sviluppate nell’ambito di una borsa di studio –presso il Dipartimento di Architettura, Università degli studi di Napoli Federico II – con oggetto usi condivisi degli spazi aperti per comunità resilienti; l’articolo prova ad indagare il ruolo del progetto urbano – come dispositivo, nella sua possibile e necessaria dimensione strategica – per la costruzione di luoghi urbani contemporanei, con particolare attenzione alle questioni della rigenerazione urbana sostenibile. Il contributo ri-cerca e descrive progettualità contemporanee che hanno trasformato spazi in attesa – espressione delle condizioni post globali che influivano in modo negativo sul benessere delle comunità e sul paesaggio urbano – in luoghi catalizzatori di processi virtuosi.
Starting from a series of observations and reflections, developed within the framework of a scholarship - at the Department of Architecture, University of Naples Federico II - with the subject open spaces’ shared uses for resilient communities; the article tries to investigate the role of urban design – as a device, in its possible and necessary strategic dimension – for the construction of contemporary urban places, with particular attention to the issues of sustainable urban regeneration. The contribution re-searches and describes contemporary projects that have transformed “waiting” spaces, expression of the post-global conditions and that negatively affected the welfare of communities and urban landscape; into catalyst places for virtuous processes.
Equilibri de-liranti
La riqualificazione degli spazi pubblici, incidendo sulla qualità della vita degli abitanti e sul loro senso di appartenenza ai luoghi può costituire un fattore decisivo nella riduzione delle disparità tra quartieri ricchi e poveri, contribuendo a promuovere una maggiore coesione sociale: […] gli interventi si devono porre l’obiettivo della riqualificazione delle infrastrutture urbanizzative e il trattamento delle tematiche sociali, economiche, ambientali. 1
Nel XXI secolo la città può essere definita l’habitat naturale dell’uomo (Turpin, 2013) e infatti, secondo le previsioni degli enti e delle organizzazioni internazionali (UN-HABITAT, ONU etc.), si stima che entro il 2030, il 60% della popolazione mondiale vivrà in città e, in modo sempre più chiaro, si prefigura il crescente trend dell’inurbamento che è una delle sfide prioritarie del tempo presente e del futuro prossimo. Di fatti i fenomeni di rispazializzazione, alla scala planetaria, comportano diversi livelli di criticità ai sistemi urbani; questi ultimi sono contemporaneamente fonte di opportunità e di problematicità per la qualità della vita delle persone. Ad ogni modo, la città è sempre stata il luogo nel quale leggere spazialmente la storia e i cambiamenti umani e, nel contesto dei grandi mutamenti (Ricoeur, 2013), resta lo spazio privilegiato per osservare le metamorfosi in corso. La crescita esponenziale investe da un lato la superficie della post global city e dall’altro i dati relativi alla popolazione mondiale urbana: le città fagocitano i territori inglobando le aree agricole, moltiplicando i centri e i non-luoghi, aumentando le enclave e lasciando pezzi andare alla deriva; tanto da poter ritenere attuali le pre-figurazioni della fine degli anni ‘60, che vedevano il mondo diventare un’unica grande città e al contempo le città accogliere diversità, differenze, variazioni e alterità.
Le configurazioni di città-mondo e di mondo-città condensano la complessità e le contraddizioni della nostra epoca, le condizioni illustrate finora espongono i complessi sistemi urbani ad un numero sempre maggiore di disequilibri antropici e naturali. I centri urbani sono i punti planetari di accumulazione – nodi strategici nella griglia globale della geografia economica (Sassen, 2003) e habitat delle unità residenti che esprimono necessità minute e locali (Sennett, 2018) – proprio per questo, “sintetizzano” un elevato numero di rischi…economici, sociali, ecologici etc. Se B. Secchi affermava che la città era in crisi, oggi è più corretto affermare che le condizioni continuano a cambiare e che la città versa in uno stato dinamico, di ‘policrisi’.
Da queste premesse, risulta quindi necessario un ripensamento dello sviluppo delle città, come modificazione, capace di abbracciare i “nuovi” paradigmi della rigenerazione urbana. Sostenibilità, ecologia e resilienza sono parole abusate dalla letteratura ma, come scriveva già nel 2011 Gregotti «forse ci siamo dimenticati che oikos, l’ecologia è [...] al di là del problema ambientale delle risorse e dell’inquinamento, problema dell’abitare che […], insieme a quello del costruire, è essenza dell’architettura, anche se questo non toglie nulla alla drammaticità della critica situazione ambientale e al tema dello sfruttamento delle risorse». A testimonianza della necessità di tenere insieme le questioni complesse del nostro tempo, gli obiettivi dell’Agenda 2030 esplicano il superamento dell’idea che la sostenibilità sia esclusivamente una questione ambientale e ribadiscono come sia fondamentale tenere a sistema, tra le altre cose, l’inclusione sociale e la tutela dell’ambiente, ponendo l’accento sull’urgente necessità di incrementare la resilienza e l’adattività dei sistemi urbani.
Di fronte alle condizioni multirischio e alla possibilità di considerare la crisi come momento in cui bisogna ripensare per reagire, l’idea stessa di progetto architettonico e urbano deve uscire dai confini della dimensione puramente formale e compositiva, per misurarsi con la sua natura strategica e processuale, che studia le condizioni per generarne altre, virtuose che stabiliscono un equilibrio dinamico con la ‘magmaticità del presente’.
I modelli sviluppati di città come sistema socio-ecologico, sociotecnico-ecologico (Resilience Alliance, 2014), ecologico-proiettivo (Reed, 2012), evolutivo-adattivo (ARUP/Rockefeller Foundation) hanno condotto a ripensare anche la rigenerazione urbana come una matrice di intervento per ricostruire relazionali tra le componenti della città. Il concetto di resilienza allude ad una città come organismo, in grado di riorganizzarsi per fronteggiare eventi traumatici che ne turbano gli equilibri e dunque impone una riflessione non soltanto sugli aspetti e sulle ricadute materiali di un progetto ma anche su quelle immateriali, primo tra tutti la capacità di definire spazi nei quali le comunità possano riconoscersi. Una “città resiliente”, però – con Gianni Dominici – è anche una città che aiuta gli abitanti a comprendere i rischi del proprio territorio e dunque l’informazione e la misurazione dei dati sono parte integrante del processo di “modificazione” e di configurazione di una nuova idea di città: sostenibile, adattiva e aperta.
Pre-testo, per un pensiero adattivo
Il progetto architettonico e urbano, però, non può diventare la mera traduzione di un dato in forma, dal momento che la deduzione è sempre una metodologia anticreativa (Gregotti, 2011); può/deve, invece, servirsi di intuizioni creative, per investire la trasformazione di spazi. Il progetto può modificare la conformazione fisica, il dimensionamento, la disposizione e la relazione degli e tra gli spazi delle realtà contemporanee, complesse e difficili da decodificare. Innescare mutazioni al fine di risignificare…e per riuscire a fare questo, bisogna ricercare e se necessario inventare (nel senso latino di invenire) una metodologia che sappia tradurre il contesto, i dati e le sollecitazioni della realtà esterna, in figure di progetto; in modo da superare quell’impasse, tutta disciplinare, che Aravena identifica nel bivio che ha origine negli anni ‘70: momento in cui una parte di architetti ha abbandonato l’idea di comprendere la realtà escogitando la strategia dello shock (auto)proclamandosi star; dall’altra parte coloro i quali, per affrontare e comprendere la complessità delle condizioni reali, hanno abbandonato il progetto, pagando lo scotto dell’irrilevanza. Si aprono dunque scenari di ricerca che intercettano la rilettura dei termini adattività eapertura; due parole che investono il pensiero sul progetto come dispositivo: una matassa in perenne disequilibrio in cui operano molteplicità complesse (Deleuze, 1989), capace di generare, citando Agamben, un modo di pensare.
In un momento in cui l’incertezza è la nuova norma, il ruolo del progetto, per fuggire dalle “eco/ego-ipocrisie”, diventa di fondamentale importanza per costruire la qualità della vita all’interno delle città, considerando la responsabilità dell’architettura rispetto al degrado ambientale e al difetto di soluzioni di abitabilità (Nicolin, 2014).
Da queste ipotesi e premesse, nell’ambito del Progetto PLANNER2, il gruppo della progettazione architettonica3 ha (ri)cercato, selezionato e analizzato alcune best practices circa progetti di rigenerazione urbana sostenibile. I casi studio sono stati selezionati al fine di offrire un quadro di sintesi riguardante approcci e strategie volti alla costruzione di nuove tipologie di spazio pubblico e comunità resilienti, nella logica di ridurre gli impatti ambientali delle città, di mitigare e adattarsi ai fattori derivanti dal cambiamento climatico; e di rispondere alle disuguaglianze.
Aperture urbane, racconti brevi
Giacché lo spazio urbano, come afferma B. Secchi, è il luogo delle mutazioni e da esso si può ripartire per adottare strategie locali che fanno riferimento a questioni globali, la selezione dei casi paradigmatici è riferita a spazi aperti ed è basata sulla presenza di precise condizioni: l’attenzione alle questioni riguardanti la resilienza urbana; la mitigazione di fenomeni urbani come l‘isola di calore; la flessibilità degli usi; il rapporto con la comunità e con il quartiere di riferimento.
I casi sono ritenuti paradigmatici rispetto alla centralità del progetto nel rispondere a fattori di stress derivanti dal Climate Change e alla possibilità di promuovere nuove spazialità pubbliche. Nel panorama dei progetti contemporanei ne sono stati selezionati alcuni – 103rd Street Community Garden, Harbour Family and children’s Center, Blake Hobbs play-za, Jardins Voisins IVRY, TåsingePlads, The Grand Ensamble Park,Parco Naturale S U N D,Eco-boulevard Madrid, Passaggio Saint Juan, Biblioteca degli Alberi – che hanno trasformato spazi che influivano negativamente sul benessere delle comunità e sul paesaggio urbano, privi di identità, in luoghi attrattori e/o catalizzatori. Si è scelto di ricercare e studiare casi appartenenti a sistemi e contesti urbani differenti, per poterne ricercare e identificare le invarianti da cui quindi poter elaborare strategie progettuali. Uno degli obiettivi, nella prima fase della ricerca, è stato la costruzione di una metodologia di lettura dei progetti che, a partire da dati oggettivi, portasse all’individuazione di nuove categorie, stavolta interpretative, in grado di “raccontare” il ruolo e il significato degli spazi progettati rispetto ai contesti nei quali si inseriscono. Il diagramma – come strumento per pensare e per descrivere i dispositivi (e non i tipi) – è stato quindi usato per elaborare una lettura interpretativa e critica dei progetti, sistematizzando l’inquadramento urbano e la lettura dello stato pre/post progetto, rendendone evidenti le azioni e le specifiche.
Tra i progetti elencati precedentemente se ne espongono, a titolo esemplificativo, quattro: Jardin Voisin IVRY, Grand Ensemble Park – che lavorano su spazi marginali e in attesa in contesti di edilizia pubblica della città europea – Eco Boulevard Madrid e Passaggio S. Juan – che interessano infrastrutture con forte carattere urbano – tutte condizioni rintracciabili negli spazi che connotano le Moderne periferie pubbliche, oggetto di studio di molteplici ricerche contemporanee.
Da questi “racconti brevi” emergono dunque alcune parole ricorrenti – spazi tra, zone grigie, comfort ambientale e climatico, possibilità di usi, comunità e ancora adattività, incrementalità, apertura – sono queste le parole del lessico della modificazione che “informano” le ricerche rispetto alla possibilità del progetto di architettura di innescare processi virtuosi per rendere le città contemporanee e del futuro prossimo, quanto più adattive.
A seguito della rielaborazione dei casi studio, considerando la categorizzazione dimensionale, sono state individuate e indicate le seguenti “classi di taglia”:
Avere una classificazione oggettiva risulta fondamentale per rendere confrontabili le progettualità esaminate con possibili aree studio. Inoltre, questo passaggio per il dato oggettivo permette l’identificazione delle relazioni e del ruolo che i progetti assumono nel sistema-quartiere e nel sistema-città. Il parametro dimensionale, accompagnato quindi dalle letture critiche ha permesso una sistematizzazione delle informazioni eclettiche (fig.9) utilizzando il diagramma per descrivere e comparare i fenomeni urbani studiati.
Dispositivi, un ruolo possibile
Come si evince dalla restituzione dei casi studio, individuati i rischi e valutati i fattori di vulnerabilità, il progetto deve costruire “specie di spazi” secondo logiche di adattamento proattivo e di mitigazione dei rischi, innervandosi e dialogando con le politiche urbane, lavorando sul disegno urbano, sulla gestione e sugli usi da parte delle comunità, lasciando spazio ad una certa imprevedibilità. La risignificazione degli spazi della città passa per le modificazioni fisiche e per la costruzione immateriale di nuovi sistemi di significati e valori, necessari per il benessere delle persone – si tratta di quella dimensione umana ricercata da J. Gehl, il quale non perde mai di vista la funzione sociale dello spazio urbano che “contribuisce agli obiettivi di sostenibilità sociale e di società aperta e democratica” (Gehl, 2017).
A conclusione del lavoro, messi a sistema gli aspetti metodologici, processuali e le letture dei casi studio, si sono identificate alcune figure progettuali, dispositivi strategici per la configurazione di tipologie di spazi urbani resilienti, che lasciano spazio all’indeterminatezza programmatica e ad un pensiero aperto all’incrementalità. Le figure, come output della ricerca, sono “infrastrutture” che, specificandosi di volta in volta con i contesti, possono concorrere al miglioramento della qualità ambientale e del rapporto della comunità residente con lo spazio pubblico, alla scala locale e urbana.
Polo, spina e bordo, prodotto di ipotesi creative e letture eclettiche, sottendono strategie multilivello e tengono insieme i layers della complessità.
Le tipologie di spazio identificate possono presentarsi fuori scala e/o ibridate tra loro, è chiaro, e lo si dichiara, che non è possibile definire precise soluzioni progettuali perché queste sono teoricamente infinte e legate agli aspetti specifici di ogni luogo quali morfologia, clima, tessuto urbano, comunità residente etc. ma ciò che si prova a far emergere è la potenzialità dei processi di rigenerazione urbana sostenibile, nella loro capacità di produrre senso di appartenenza ai luoghi e di costruire la dimensione pubblica degli spazi. Qualsiasi sia la strategia, apertura e adattività ritornano, nelle figure di progetto, riammagliano gli indizi sparsi che la città lascia nel paesaggio contemporaneo…si tratta di immaginare «un’architettura non impegnata nel realizzare progetti definitivi, tipici della modernità classica, ma sotto-sistemi imperfetti e incompleti, tipici della nuova modernità del XXI secolo» (Branzi, 2016).
Note
1 CNAPPC (2012), Il Piano Nazionale per la Rigenerazione Urbana Sostenibile
2 Ci si riferisce al lavoro svolto, con assegnazione di borsa di studio, nell’ambito Progetto POR FESR CAMPANIA – STRESS – PLANNER: Piattaforma per La Gestione dei rischi Naturali in ambienti urbanizzati – Università degli studi di Napoli Federico II, Dip. di Architettura, Referente: Prof. Valeria D'Ambrosio
3 Responsabile gruppo della progettazione architettonica: Prof. Paola Scala
Riferimenti bibliografici
Aravena, A. (2007), Rilevanza vs Shock, in Aravena Aleandro, Progettare e costruire, Electa, Milano, pp.13.
Branzi, A. (2006), Modernità debole e diffusa. Il mondo del progetto all’inizio del XXI secolo, Skira, Milano, pp.10.
Deleuze, G. (1989), Che cos’è un dispositivo? (trad.it.) (ed.2010) Antonella Moscati, Cronopio, Napoli.
Gehl J. (2017), Città per le persone, Maggioli Editore, Santarcangelo di Romagna.
Gregotti, V. (2011), le ipocrisie verdi delle archistar, sul Corriere della sera,18 febbraio.
Nicolin, P. (2014), Lotus International, Commons, n.153.
Reed, J., (2012) Unicity, in T. Cohen, Telemorphosis. Theory in the Era of Climate Change, vol. I, Open Humanities Press.
Report Urban Resilience (2014): Life+Projects and European policies.
Ricoeur, P (2013), Riva F. (a cura di), Leggere la città, Castelvecchi, Roma.
Sassen, S. (2003), Le città nell’economia globale, Il Mulino, Bologna.
Sennett, R. (2018), Costruire e abitare: Etica per la città, Giangiacomo Feltrinelli Editore, Milano.
Turpin, E. (2013) Architecture in the Anthropocene, encounters among design, deep time, science and philosophy, Ann Arbor, Michigan Publishing.