Parole chiave: Strade, Pandemia, Infrastrutture urbane, Mobilità, IoT | Streets, Pandemic, Urban infrastructures, Mobility, IoT
Abstract:
IT:
La città, pur intrinsecamente adattiva, sarà sempre più investita da questioni ambientali, economiche e sociali, le cui cause ed effetti si alimentano con la tendenza all’inurbamento della popolazione mondiale. A queste si è aggiunta anche la pandemia da Corona virus.
Poiché studi scientifici rilevano probabili correlazioni tra contagiosità del virus, densità urbana e inquinamento atmosferico, è urgente reclamare quanta più superficie fruibile in città, senza consumare suolo, disincentivando la mobilità veicolare privata, e riqualificando spazi degradati.
Le infrastrutture urbane per la mobilità, in particolare le strade, diventano così un serbatoio di spazi negletti da sfruttare al meglio attraverso strategie di tactical urbanism, rimodellazione della viabilità e uso di tecnologie IoT.
EN:
The city, despite being inherently adaptive, will be increasingly affected by environmental, economic and social issues, the causes and effects of which feed on the tendency to urbanize the world population. The Corona virus pandemic was added to these.
Since scientific studies reveal probable correlations between virus contagiousness, urban density and air pollution, it is urgent to reclaim as much usable surface in the city, without land-consumption, discouraging private vehicular mobility, and regenerating degraded spaces.
Urban infrastructures for mobility, in particular roads, thus become a reservoir of neglected spaces to be exploited to the fullest through strategies of tactical urbanism, remodeling of viability and roads and the use of IoT technologies.
Questioni urbane e pandemia: la città come presidio sanitario
Le città sono costruzioni fluide, in continua mutazione, in cui criticità emergenti sono risolte in modo transitorio (Secchi, 2013). É però opinione condivisa che la città contemporanea stia attraversando una crisi senza precedenti dovuta alla sua urgente necessità di trasformarsi, così come l’intero sistema produttivo, economico, sociale, tecnologico (Castells, 1996). Una necessità che, in una prospettiva storica, è sempre stata presente nell’idea stessa di città, poiché la sua essenza consiste proprio nella capacità di adattarsi.
Tuttavia, questa capacità richiesta alla città non è mai stata così urgente né così rapida; così come non è mai stato tanto veloce il tempo di ritorno del susseguirsi di eventi climatici catastrofici e di crisi che il pianeta sta affrontando (Wallace-Wells, 2020).
Le città, in quanto luoghi di vita di un’eccezionale quantità di persone, sono centri di produzione di beni e servizi, crocevia dei flussi di merci e informazioni, terminali di qualsiasi rete di distribuzione; ma sono anche i luoghi di massimo consumo di risorse, nonché tra i principali agenti della crisi ambientale.
Inoltre, poiché entro il 2050 più del 64% della popolazione mondiale vivrà in un’area urbana, con punte oltre l’80% in molte parti del mondo (UN, 2018), la situazione è destinata ad aggravarsi ulteriormente.
Ai tanti problemi che affliggono la città, quali: l’inquinamento di aria, acqua e suoli, lo smaltimento dei rifiuti, l’impermeabilizzazione del terreno e degli alvei naturali, la frammentazione di ecosistemi, la perdita di biodiversità e risorse naturali, l’isola di calore urbana e l’innalzamento dei fenomeni connessi, il diradamento delle relazioni sociali prodotte da un modello insediativo esteso (sprawl urbano) e incentrato sul trasporto veicolare privato (inquinamento), o al contrario l’alta densità abitativa urbana con le occasioni di conflitto spaziale, sociale, economico e ambientale che spesso genera; dal marzo 2019, si è aggiunta anche la pandemia da Corona virus, che è principalmente ricaduta sulle spalle delle città e delle loro amministrazioni pubbliche, quanto a gestione della crisi sanitaria e organizzazione delle disposizioni prescrittive per limitare i contagi in relazione all’uso e alla frequentazione di spazi pubblici, servizi essenziali (e non), luoghi di lavoro, etc. (FEEM, 2020).
Come si è visto durante i lockdown dovuti al Covid 19, in assenza di vaccini e cure specifiche, sono state proprio le città, con il loro spazio fisico e la fruizione organizzata, i principali presidi di prevenzione contro la diffusione delle malattie, in attesa di soluzioni meno transitorie (Gehl, 2020).
Contemporaneamente, è ancora nelle città che si sono registrati i più alti livelli di contagio da Corona virus, sia in ragione della densità della popolazione e della difficoltà di rispettare il distanziamento fisico (AGEI, 2020; Bozzato, 2020), sia perché probabilmente esiste una correlazione tra inquinamento atmosferico (PM 2,5 e 10) e persistenza del virus nell’aria, che potrebbe aumentare l’incidenza del Covid 19 (Goumenou et al., 2020; Fattorini, Regoli, 2020; Fiasca et al., 2020).
Tuttavia, poiché le pandemie saranno sempre più ricorrenti nel futuro della società globale (Quammen, 2020), e poiché si è osservato in questa pandemia che i presidi sanitari generali devono essere poi declinati localmente, secondo le specificità dei territori, perché siano efficaci; le città saranno chiamate sempre più spesso ad avere un ruolo determinante nella gestione delle emergenze (Balducci et al., 2021).
Il combinato disposto di pandemia, tendenza all’inurbamento globale e densità urbana, con in più la variabile dell’inquinamento atmosferico , impongono di guardare alla città e alla sua pianificazione e progettazione con una nuova attenzione all’adattabilità, alla flessibilità e alla temporaneità delle trasformazioni.
Soprattutto, impongono di cercare nelle città stesse le risorse per risolvere le sfide che dovranno affrontare, perché negli anni della policrisi (Morin, 2020) le città saranno «more and more, places where creative problem-solving flourishes (sometimes out of necessity, sometimes by purposeful construct) even when such issues as climate change, migration, and economic inequality are at the forefront of change makers.» (Concilio, Tosoni, 2019, p. 2).
Infrastrutture per la mobilità e neglected spaces
La pandemia, essendo stata un acceleratore di criticità sociali, economiche e ambientali, che erano già presenti e ben conosciute, è stata anche, proprio per questo, un forte stimolo per progetti e innovazioni nell’uso dello spazio urbano e dei suoi servizi che, altrettanto, si stavano già sperimentando (Curci, Pasqui, 2022).
È il caso del tactical urbanism, un approccio alla rigenerazione urbana dal basso, che si è dimostrato molto efficace come strumento per l’adattabilità della città durante il periodo pandemico, avendo come obiettivo finale quello di reclamare nuovo spazio pubblico per le persone, aumentando così le possibilità di distanziamento fisico, andando a cercarlo anche laddove non si pensava di poterlo trovare: ad esempio, negli spazi urbani trascurati, abbandonati, sottoutilizzati o di solo passaggio pedonale o veicolare.
Sono i neglected spaces, ovvero tutti quegli spazi in cui si presentano contemporaneamente tre o più condizioni di discomfort ambientale e percettivo (rumoroso, maleodorante, ostile, trafficato, sporco, oppressivo, senza segnaletica e informazioni, senza protezione dagli agenti atmosferici, etc.), e che contribuiscono a rendere l'immagine della città più opaca, degradata e inospitale (Osei et al., 2020).
Le infrastrutture urbane per la mobilità, tra cui le strade, in particolare quelle in cui le carreggiate e gli stalli per la sosta veicolare predominano sugli spazi pedonali, sono un serbatoio enorme e poco considerato di spazi negletti da riqualificare e sfruttare al meglio, attraverso strategie di tactical urbanism, di ri-modellazione della viabilità e l’uso di tecnologie IoT , al fine di ottenere una città in grado di adattarsi e trasformarsi rapidamente e reversibilmente per assorbire l’urto di fenomeni critici ogni volta più dirompenti.
Per la loro dimensione, invasività e impatti, le infrastrutture per la mobilità spiccano tra le reti di distribuzione di cui la città è innervata (De Francesco, 2017). Si tratta di ferrovie, viadotti, ponti, tunnel, parcheggi, e anche le strade stesse che ne rappresentano l’unità minima sulla quale tutto si innesta, il tessuto epiteliale che connette tutte le reti e ogni altra struttura.
Dal punto di vista architettonico le strade e le infrastrutture per la mobilità sono un’occasione spesso trascurata, ma invece ricca e fertile di idee e spunti per migliorare la qualità e adattività della città, grazie all’innovazione tecnologica di cui sono suscettibili, al cambio di regime del loro utilizzo rispetto ai bisogni che le hanno generate, al tipo di manutenzione che richiedono, all’epoca nella quale sono state costruite e alle tecnologie impiegate.
Inoltre, occupano una quota importante dello spazio a disposizione delle città. Basti pensare che dei 22.000 km2 che costituiscono la superficie delle aree urbanizzate italiane, il 28% è destinato a infrastrutture per la mobilità (comprensive delle ferrovie), tra cui le strade; e che, sempre in Italia, le stesse infrastrutture pesano per quasi il 50% sul consumo di suolo annuale (Munafò, 2020).
Inoltre, tornando anche alla questione pandemica, i trasporti sono i responsabili del 25% di tutte le emissioni di CO2, nonché tra i principali responsabili del rilascio in atmosfera di PM 2,5 e 10.
Bisogna quindi prendere atto, e intervenire, relativamente al fatto che, nella città contemporanea, sono state date erroneamente troppa importanza e troppa superficie alle automobili a discapito di tutti gli altri utenti (Coccia, 2020).
Strategie per la rigenerazione delle strade
Il tactical urbanism è una strategia di breve periodo per la trasformazione e riqualificazione degli spazi urbani negletti, su piccola scala, intesa come sperimentazione sul campo per una successiva riqualificazione definitiva, che sappia fare tesoro delle indicazioni degli utenti e delle valutazioni tecniche che si sono potute fare nel corso della prova (Lydon, Garcia, 2015).
La temporaneità e reversibilità degli interventi, oltre al coinvolgimento attivo di cittadini e realtà locali, ne sono caratteristiche tipiche, sia per l’esiguità dei mezzi e delle abilità degli operatori con cui vengono realizzati, sia perché si tratta di sperimentazioni; caratteristiche che hanno reso l’approccio del tactical urbanism molto pratico, durante la pandemia, come strumento per adattare gli spazi della città per rispondere alle nuove prescrittive richieste di fruizione urbana.
Se durante la pandemia il coinvolgimento dei cittadini è stata un’attività critica a causa delle limitazioni di incontro, contemporaneamente una gestione non più solo di coordinamento, ma anche attuativa e realizzativa, da parte delle pubbliche amministrazioni, ad esempio Milano, Parigi, Barcellona, Dublino, Londra, Berlino, nonché Bogotà, Philadelphia, Minneapolis, Vancouver e Mexico City (Daly et al., 2020), secondo le modalità di intervento tipiche dell’urbanismo tattico, ha permesso di adeguare rapidamente la città alle nuove esigenze relative alla mobilità ciclabile, all’installazione di parklet e dehors rimodellando la viabilità locale e, in generale, alla riappropriazione di spazi urbani altrimenti destinati alla sosta veicolare.
La capacità di rimodellare, in modo rapido ed efficace, la viabilità nelle città, permettendo un uso flessibile delle strade carrabili, anche rispetto alla sosta, è un altro tema di ricerca e sperimentazione che nella pandemia ha trovato nuove urgenze, stimoli e necessità.
Strettamente connessa con il tactical urbanism, come occasione per aumentare l’adattività urbana nel periodo pandemico, la ri-modellazione della viabilità nella città, secondo un’ottica più sostenibile e a tutto vantaggio della pedonalità, della mobilità dolce e del trasporto pubblico, è una rivendicazione di vecchia data, mai soddisfatta, che solo recentemente ha trovato nuova linfa nell’ambito della crisi ambientale ed energetica (Martincigh, Di Guida, 2016).
Ritornano così alla ribalta concetti come “la città dei 15 minuti” (Balducci, 2020), le isole ambientali , il tema dell’isolato a corte (Dondi, Morganti, 2022) e del super-isolato (Muller et al. 2020), i cui tratti distintivi sono l’individuazione di aree urbane e quartieri più o meno omogenei, o da rendere tali, la presenza di un mix funzionale adeguato, la pedonalità e, soprattutto, lo spostamento del traffico veicolare sul perimetro delle aree individuate, inibendone l’attraversabilità carrabile e la sosta, per permettere alle persone di riappropriarsi della città e dei suoi spazi.
Infatti, rimodellare la viabilità, mettendo al centro il pedone e non più il veicolo, vuol dire principalmente canalizzare il flusso automobilistico in modo rigido, creando percorsi obbligati che possano trasformare gli incroci in piazze, le strade in playground e i parcheggi, quando necessario, in spazi per attività sociali di vario tipo, ripensando completamente il sistema della sosta.
In questa logica di trasformabilità, anche solo temporanea, delle strade e modificazione della viabilità e dei parcheggi, un ruolo fondamentale possano giocarlo invece le nuove tecnologie IoT, fornendo agli utenti informazioni sulle variazioni in tempo reale: ad esempio, dove trovare stalli di parcheggio liberi nelle vicinanze (smart parking) oppure, in modo più strutturato, modificando autonomamente la viabilità fisicamente, in relazione alla tipologia di utenti più diffusa in un determinato momento (on-demand).
Sono moltissime le potenzialità di una vera integrazione informatica tra elementi urbani e utenti: dalla valutazione costante della qualità dell'aria in aree affollate, parchi, etc. grazie a sensori, al monitoraggio del rumore, come vetri infranti quali indicatori di possibili criticità (risse, effrazioni, vandalismi, etc.), al controllo del traffico, già parzialmente applicato, teso al decongestionamento in tempo reale e quindi alla diminuzione di CO2, al consumo di energia per ottenere una stima completa del fabbisogno energetico di vari servizi urbani, fino allo smart lighting, cioè la variazione della luminosità dei lampioni stradali in base all’orario, alle condizioni meteorologiche, alla presenza di persone, alla temperatura e umidità, per garantire ottimali livelli di comfort outdoor (Cicirelli et al., 2019).
L’integrazione di questi quattro elementi: il bacino potenziale di nuovi spazi da riqualificare offerto da strade e infrastrutture per la mobilità, le rapide strategie di intervento del tactical urbanism, una nuova centralità del pedone come fondamento della viabilità, e lo sviluppo delle tecnologie urbane IoT; rappresenta una sfida per imparare a progettare la temporaneità, l’alternanza di e tra funzioni e utenti, e la multifunzionalità di spazi urbani, strutture e infrastrutture, per non incorrere nel loro inutilizzo e conseguente degrado.
Progetti e strategie per la trasformazione temporanea o dinamica delle strade
Durante la pandemia qualcosa è stato fatto rispetto alla riappropriazione dello spazio pubblico su strada in favore dei pedoni, sia per la costruzione di parklet per le attività di somministrazione di cibi e bevande, cercando di favorirne così la sopravvivenza durante la crisi sanitaria; sia per facilitare gli spostamenti in bicicletta (o con altri mezzi simili) attraverso il tracciamento di piste dedicate in sola segnaletica.
Tutte le grandi città europee hanno attuato interventi di questo tipo, tra queste si sono contraddistinte Milano e Barcellona. Quest’ultima, per consentire a ristoranti e bar di rimanere aperti rispettando i requisiti di distanziamento, ha autorizzato più di 3000 parklet; inoltre la pandemia è stata un’occasione per accelerare progetti già in corso come Superilla, che ricalca il concetto di isola ambientale urbana, individuando macro-isolati in grado di essere quasi totalmente pedonalizzati, inibendo il traffico veicolare di attraversamento per spostarlo sul perimetro dei macro-isolati (fig. 1, 2).
Invece il Comune di Milano, già in tempi pre-pandemia, a partire dal 2018, ha iniziato ad applicare una politica di restituzione ai cittadini di spazio pubblico sottratto dalla sosta delle autovetture, attraverso strategie di tactical urbanism.
Si tratta del progetto Piazze Aperte, ascritto al Piano Quartieri, e realizzato in collaborazione con Bloomberg Associates, a cui ha fatto seguito il progetto Strade Aperte per la realizzazione di piste ciclabili.
Il progetto Piazze Aperte persegue due obiettivi: l’ottimizzazione di strade, piazze e parcheggi che, attraverso la deviazione del traffico veicolare possano essere (di nuovo) fruiti dalle persone; e l’attivazione di spazi esistenti, già pedonali, ma con problemi di fruizione (sosta selvaggia, insicurezza, degrado, assenza di attrezzature, etc.); attraverso interventi di solo arredo e, soprattutto, l’engagement della popolazione residente.
Gli interventi del progetto, caratterizzati dalla temporaneità e reversibilità, sfruttano elementi leggeri di arredo urbano, quali panchine, piante in vaso di grossa dimensione, tavoli da ping-pong e da pic-nic, rastrelliere per biciclette e, soprattutto, grandi colorazioni a terra con vernici stradali ad acqua.
Se si deve fare una critica al progetto Piazze Aperte, è quella della ripetitività dell’operazione. Infatti, i vari interventi sono stati portati avanti in modo fin troppo omogeneo, sempre seguendo un modello procedurale ed estetico molto codificato che ha permesso di sperimentare solo fino a un certo punto, soprattutto relativamente alla scelta delle aree su cui lavorare, preferendo quelle meno problematiche e già predisposte per gli interventi (fig. 3).
Nell’ambito del Piano di Governo del Territorio Milano del 2030, anche il progetto Strade Aperte, relativo alla mobilità dolce, ha avuto un’importante accelerata grazie alla pandemia, realizzando nuovi percorsi ciclabili (circa 35 km da sommare ai quasi 300 esistenti) anche in sola segnaletica, incrementando le strade a velocità moderata, le zone 30 e le strade residenziali a prevalente mobilità pedonale e ciclabile, ampliando i percorsi pedonali, allargando i marciapiedi, pedonalizzando temporaneamente aree nei quartieri.
Le due famose piste ciclabili, una per senso di marcia, realizzate a tempo di record, nella primavera 2020, su corso Buenos Aires, una delle shopping street più lunghe d’Europa, sono diventate oggetto di dibattito almeno nazionale.
Molto criticate, spesso a sproposito, si sono rivelate, secondo i dati del Comune di Milano, più utilizzate del previsto nonostante siano state ricavate attraverso l’erosione della carreggiata, e usando gli stalli per la sosta temporanea come elementi di separazione dal traffico e contemporaneamente barriera di sicurezza per ciclisti e pedoni (fig. 4).
Gli interventi descritti sono sempre temporanei o comunque facilmente reversibili, e si iscrivono nel solco dell’urbanistica tattica per estetica, modalità di costruzione, nonché per l’obiettivo a medio termine di verificare se la trasformazione attuata sia vantaggiosa e condivisa, così da essere progettata per una soluzione definitiva.
Sono invece più strutturati e anche molto più dispendiosi il progetto inglese sperimentale Starling Crossing, realizzato a Londra nel 2020 da Umbrellium; e il progetto, ancora in fase di implementazione all’interno del living lab della città di Lugano, A vision for the Lugano lakefront di CRA – Carlo Ratti Associati in collaborazione con MIC –Mobility in Chain del 2020.
Questi due progetti estremizzano il concetto di temporaneità degli usi, flessibilità e adattabilità della strada attraverso approcci diversi che si avvalgono di tecnologie informatiche per perseguire lo stesso risultato: la riconfigurazione fisica della strada per usi e utenti diversi nell’arco della giornata, in tempo reale e on-demand, prefigurando una nuova relazione adattiva tra mobilità e fruizione dello spazio urbano, e interazioni completamente nuove tra pedoni e traffico veicolare.
Starling Crossing (STigmergic Adaptive Responsive Learning Crossing), realizzato a scopi dimostrativi, è, per ora, un attraversamento pedonale interattivo e che risponde dinamicamente in tempo reale alla situazione sulla strada, al fine di rendere più sicuri pedoni, ciclisti e automobilisti (fig. 5, 6).
Starling Crossing utilizza una struttura di rete neurale, in cui telecamere posizionate in ogni angolo tracciano tutti i movimenti che avvengono sulla strada, differenziando tra pedoni, ciclisti e veicoli, per calcolarne posizioni, velocità e traiettorie, prevederne i movimenti successivi, e modificarsi di conseguenza (fig. 7).
In sostanza si tratta di un grande pannello a LED, della larghezza della sezione stradale in cui viene applicato, inserito mitigando i dislivelli tra marciapiedi e strada per creare uno spazio continuo e condiviso tra veicoli e pedoni.
Pensato, almeno in questa prima fase di sperimentazione, più ai fini della sicurezza stradale che non del miglioramento dello spazio pubblico, ha delle evidenti potenzialità, potendo cambiare la texture di intere strade per segnalarne usi diversi, temporanei e alternati nell’arco della giornata, senza dover intervenire con opere edilizie.
Lavora invece su oggetti urbani più fisici il progetto A vision for the Lugano lakefront di CRA – Carlo Ratti Associati in collaborazione con MIC – Mobility in Chain, per la riconfigurazione fisica degli spazi, in tempo reale, del lungolago di Lugano in Svizzera (fig. 8, 9, 10).
La visione prevede un nuovo sistema di spazi per la fruizione pubblica, caratterizzato da una strada riconfigurabile in grado di rispondere alle esigenze delle persone on-demand.
La strada che costeggia il lungolago di Lugano, principale arteria di traffico della città, separa la sponda del lago dal costruito, inibendone connessione e fruibilità.
L’idea per risolvere il problema è quella di implementare una viabilità dinamica, configurabile con zero, una o due corsie carrabili, in diversi momenti della giornata, a seconda dei carichi di traffico di autovetture e pedoni, oltre a superfici configurabili per playground e spazi di aggregazione sociale.
Conclusioni
I quattro casi di studio qui proposti sono antecedenti e/o contemporanei alla pandemia e rappresentano solo un piccolo contributo all’interno del più vasto tema di ricerca sulla rigenerazione multifunzionale delle infrastrutture urbane, soprattutto per la mobilità (Carli, Scrugli, 2021).
Hanno però tutti il merito di prendere atto che le risorse urbane spaziali e materiali siano ormai più che limitate, e che sia urgente fare di più con quanto già a disposizione in città, come dimostrano le necessità di adattamento causate dalla recente pandemia, sfruttando cioè al massimo le potenzialità di ogni elemento urbano. Se infatti il contenuto delle città è necessariamente finito, il modo in cui si usa quel contenuto è potenzialmente infinito (Burnham, 2018).
Questo vale anche e soprattutto per le infrastrutture urbane per la mobilità, strade incluse, che possono giocare un ruolo importante nella rigenerazione della città poiché hanno abilità e capacità in sovrannumero per poter svolgere funzioni aggiuntive e/o alternative rispetto al loro mandato originario (Bélanger, 2009).
I progetti presentati lavorano separatamente sui temi della ri-modellazione della viabilità, dell’urbanismo tattico e spazi negletti, e delle tecnologie informatiche per la riconfigurazione in tempo reale delle strade e del loro utilizzo; mentre sembrerebbe proprio la loro integrazione la direzione programmatica da seguire per qualsiasi progetto urbano post-pandemico.
Infatti, rispondono solo parzialmente, e in modi molto differenti, a problemi già esistenti che la pandemia ha posto con più forza alla città.
Tuttavia, questi casi di studio manifestano un’urgenza di trasformabilità e adattività degli spazi urbani, individuando nella strada potenzialità inespresse da sbloccare attraverso innovazioni relative a processi, progetti, prodotti e nuovi modi di usarle.
Nuove potenzialità che potranno essere sbloccate solo attraverso la costruzione di ecosistemi di progetto, basati su tecnologia e innovazione, applicati alle strade, alle infrastrutture urbane e allo spazio pubblico che, da elementi fissi del panorama urbano, possano trasformarsi in ambienti adattivi e responsivi, capaci di modificarsi, ospitando flussi e funzioni diversi a seconda delle condizioni di domanda.
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Note
1 L'inquinamento atmosferico è stato comunque il quinto più alto fattore di rischio di mortalità nel 2019 a livello globale (Health Effects Institute, 2019). Mentre nel 2017, oltre il 90% della popolazione mondiale ha respirato aria malsana, ovvero un’aria dove era presente una concentrazione di PM2,5 di 10 mg per m3, esponendosi così a rischio di mortalità per cancro cardiopolmonare e polmonare (WHO, 2017).
2 Internet of Things, in generale definibile come il processo di connessione, attraverso internet, tra oggetti fisici del quotidiano per l’ottimizzazione del loro utilizzo, grazie al trasferimento di informazioni.
3 Ambiti urbani composti solo da strade locali – “isole” perché interne alla maglia della viabilità principale; “ambientali” in quanto tese all’aumento della vivibilità degli spazi urbani. Sono così definite dalla Direttiva per la redazione, adozione ed attuazione dei piani urbani del traffico del Nuovo codice della strada, 1992, all’art.36.