Parole chiave: Adattamento, Sostenibilità Multispecie, Abitare Emergente, Tecnolgie Digitali
Keywords: Adaptation, Multispecies Sustainability, Emergent Dwelling, Digital Technologies
Abstract:
IT: Il contributo è un saggio critico finalizzato ad esplorare i contenuti di innovazione semantica attribuiti ai concetti di adattamento e sostenibilità alla luce di alcuni recentissimi eventi la recente esperienza pandemica, gli approfondimenti del dibattito della comunità scientifica e della ormai diffusa consapevolezza delle possibilità tecnologiche del genere umano. In una prospettiva more-than-human, il focus della riflessione è diretto ad esplorare le possibilità per la produzione di habitat ecologicamente efficienti, funzionali a garantire il sostentamento e la sicurezza dal rischio per tutti i viventi, individuando nella richiesta di nuove, emergenti condizioni dell’abitare il fattore di discontinuità (culturale e politico) per una diversa e più inclusiva relazione tra le specie viventi e le risorse disponibili.
EN: The paper is a critical essay aimed at exploring the emergent significants given to the concepts of adaptation and sustainability in the light of some extraordinary occurrences (the augmented digital capacities, the pandemic experience, and the impacts of the latter in the philosophical debate). The paper looks at the development of a more-than-human design approach as a more equal and safe perspective for the urban environment. In order to proof this thesis, the paper explores the cultural conditions for designing more efficient habitats fit to guarantee sustenance and safety conditions for all living beings. Within this context, the paper identifies a request for a kind of emerging dwelling, inspired by a more inclusive relationship between living species and the available resources.
More-than-Human Future
In un futuro indeterminato, e forse non troppo lontano, un grande tavolo di quercia lungo quattro metri attende, perfettamente imbandito, gli ospiti di un banchetto immaginario. Chiamati a condividere il desco sono animali, uccelli, piante, funghi, e naturalmente esseri umani, sopravvissuti ai disastri della contemporaneità e portatori di un messaggio di pace biologica, di democrazia e resilienza tra (e per) le diverse forme di vita del pianeta. Uno schermo LCD fa da sfondo all’installazione: rappresenta una finestra aperta, luminosa e attraente nonostante tutto, dove le piante, con inesauribile forza vitale, riprendono possesso dello spazio urbano (fig. 1).
L’installazione Refuge for Resurgence proposta alla Biennale di Venezia 2022 dal gruppo anglo-indiano Superflux è una delle possibili risposte alla domanda che Hashim Sarkis ha posto a fondamento dell’esposizione: How will we live together? La domanda è rivolta agli artisti invitati ma investe anche (e potentemente) l’intera comunità del progetto, sempre più consapevole della mutata condizione dello spazio contemporaneo, della sua fragilità e della responsabilità collettiva verso lo stesso.
La metafora del cenacolo multi-specie è dunque occasione per portare attenzione allo stato di salute del sistema di risorse naturali indispensabile alla vita di creature biologicamente diverse ed eguali nel diritto all’esistenza. Un’attenzione che trascende i confini del conservazionismo tout-court delle battaglie ambientaliste del secolo scorso per focalizzarsi su un’idea di ecologia culturalmente audace (Gausa et al. 2001), in grado di associare la qualità dei cicli biologici e dei sistemi ambientali ad una nuova etica dell’abitare. Un'ecologia in cui le questioni tipicamente legate a spazio, forma e tecnica si saldano con quelle etologiche dei comportamenti e degli stili di vita, con le politiche della tolleranza e dell’inclusione, spingendo la disciplina del progetto ad aprire il dibattito sui nuovi e più complessi significati che la ricerca deve attribuire ai concetti di adattamento e sostenibilità (fig.2).
Nella prospettiva di un futuro more-than-human1, adattamento e sostenibilità diventano allora elementi essenziali di un dibattito sull’uguaglianza che riguarda, in primo luogo, la disponibilità di habitat ecologicamente efficienti, funzionali a garantire il sostentamento e la sicurezza a tutti i viventi, individuando un fattore di discontinuità (culturale e politico) in una diversa e più virtuosa relazione inter e infra-specie (Steele et al. 2019).
La qualità dello spazio di cui disponiamo, la sua tutela e la sua riproducibilità sono infatti elementi cruciali di un ragionamento non più eludibile sulle possibilità di sviluppo degli ambienti antropizzati. E analogamente non possiamo non interrogarci sulla forma che tali spazi devono assumere, né sulle funzioni che questi stessi devono assolvere, né su quali capacità tecniche dobbiamo attivare per la produzione e la gestione di questi stessi. Quest’ultimo punto, in particolare, è già da molto tempo il cardine di una riflessione teorica che, in continuità con il mito fondativo di origine platonica, colloca il dono di Prometeo in una logica di risarcimento e di riparazione, facendo della tecnica l’elemento sfidante per dare consistenza fisica ai luoghi di un futuro sostenibile, adattivo ed equo (Antonelli, 2019; Coccia, 2021). Lungi dall’essere mero strumento attuativo, la tecnica resta il nodo culturale ed etico da cui molto oggi dipende, poiché «The Planet is not naturally accomodating to the human species. Architecture is the art of adapting to the planet, in all of its characteristics, not only to domesticate it, but also and above all to be domesticated by it. It is for this reason that architecture is a transcendental form of technology» (Coccia, 2021, pp.267).
Pensiero tecnico e processo predittivo restano dunque gli elementi (mai neutrali) da cui molto dipende. Il progetto è infatti la più evidente espressione dell’intelligenza euristica caratterizzante il genere umano (Nardi, 1998) e, in quanto tale, dispositivo necessario per riportare in equilibrio la relazione tra la nostra specie e il resto dei viventi, impulso istintivo oltre che imprescindibile azione adattiva volto a generare fenomeni di co-evoluzione tra la civiltà dell’uomo e l’ambiente. Intelligenza euristica come fondamento logico ed etico di un’architettura avanzata, in grado di combinare arte ed ecologia, tecnica e adattamento, e di interfacciarsi con la molteplicità dei contesti che descrivono la realtà del nostro tempo, siano essi naturali, costruiti o virtuali (Gausa et al., 2001).
The times are changing
L’appello di Bob Dylan (1964) è un incipit adeguato a descrivere la straordinaria spinta al cambiamento generata dall’esperienza della pandemia Covid-19. Quest’ultima, in particolare, ha reso immediatamente evidente gli effetti della riduzione degli habitat naturali sulla salute umana, la vulnerabilità degli stili di vita contemporanei, la connessione mondiale della popolazione e delle specie. Ci ha dato contezza del ruolo imprescindibile delle infrastrutture digitali quale vero connettivo della civiltà contemporanea: grazie all’efficienza delle reti abbiamo potuto produrre in tempi record ambienti virtuali su cui spostare gran parte del sistema produttivo e molte relazioni sociali, abbiamo sperimentato la potenza dell’intelligenza collettiva nella lotta al virus e per la ricerca dei vaccini, abbiamo gestito informazioni e condiviso gli avanzamenti scientifici per il contenimento dei contagi.
Con lo slancio e l’urgenza imposte dagli eventi anche le scienze del progetto sono scese in campo, hanno accettato il confronto con queste realtà e hanno spinto gli orizzonti di ricerca verso le nuove esigenze dell’abitare generate dal confinamento e dal bisogno di autosufficienza che ne è derivato. Nell’arco di pochi mesi, la pandemia ha innescato una riflessione sulle forme e sulle funzioni degli spazi urbani finalizzata a posizionare più precisamente il sapere disciplinare all’interno di una grammatica dell’agire adeguata a soddisfare richieste emergenti, e in quanto tali, ancora non completamente definite (Tucci, 2020; Losasso & Rigillo 2022).
Ed è dunque a partire da tale, mutato scenario, che i concetti di adattamento e sostenibilità diventano gli indicatori del clima culturale in cui siamo immersi, della capacità di reazione propria delle specie viventi di fronte a condizioni ambientali emergenti e degli indirizzi possibili per una risposta di tipo co-evolutivo. Gli eventi testé ricordati hanno infatti spinto la comunità scientifica ad estendere il significato dei due termini, riconoscendo al primo un imprescindibile valore di progettualità connaturato all'istinto alla modificazione della propria nicchia ecologica (adattamento costruttivo, secondo la definizione di Telmo Pievani 2014), e al secondo, la necessità di adottare un approccio non utilitaristico per governare le interazioni sociali e l’utilizzo degli strumenti tecnologici in una prospettiva more than human (Rupprecht, et al., 2020).
Inoltre, la più approfondita declinazione dei concetti di adattamento e sostenibilità avviata dalla pandemia, ha aperto verso una progettualità al progetto dell’ambiente urbano più consapevole, ispirata ad sorta di altruismo reciproco,2 che spinge verso strategie di cooperazione complesse, in cui la produzione di habitat sostenibili diventa obiettivo condiviso con altre comunità biotiche; un obiettivo che si avvale di apparati cognitivi e strumentali molto avanzati che spingono ad immaginare condizioni in fieri e la necessità di ecologie emergenti.3 Questo termine esprime, infatti, in modo compiuto la natura in divenire dello spazio abitato e descrive la condizione complessa delle comunità del futuro, che saranno multi-etniche, multi-genere, multi- specie, ibridate dalla presenza di intelligenze artificiali con le quali già siamo (e sempre di più saremo) in relazione.
In questa prospettiva, alcune esperienze recenti hanno cercato di sperimentare un possibile frame-of-action per dare consistenza fisica e razionalità sociale ad un’idea di adattamento e sostenibilità basata su principi di altruismo e diversità (Rupprecht, et al., 2020). La logica di tali iniziative è quella di introdurre nel dibattito pubblico un diverso punto di vista sulla qualità dello spazio urbano e di mostrare i vantaggi di un approccio multi-specie.4 Eventi di educazione ambientale, progetti di urban gardening e urban agricuture, installazioni artistiche, manifestazioni pubbliche e richieste alla politica rispondono ad una logica piece-by-piece che, nell’interrogarsi sul futuro dell’ambiente urbano, apre ad una prospettiva di reciprocità e uguaglianza tra tutte le sue componenti. Questa prospettiva, fa perno sulla ri-semantizazzione dell’idea di biodiversità degli habitat urbani, che si aggancia ad una rinnovata cognizione dei valori di democrazia e giustizia, ma anche alla richiesta di salubrità e benessere dello spazio abitato.5 L’aggettivo emergente diviene così significativo di un rinnovato approccio alle forme e alle funzioni dell’abitare, in una visione fortemente tarata sulle esigenze di convivenza inter e infra-specie.
In particolare, l’idea di sostenibilità per lo spazio abitabile si caratterizza per l’articolazione di un nuovo set per i requisiti espressivi e prestazionali, funzionali a garantire l’efficienza ecologica di habitat inclusivi, aperti alla diversità di organismi e oggetti, tutti egualmente necessari in una prospettiva di efficienza e bellezza (figg.3 e 4). La compresenza di materiali biotici e abiotici diventa così il fulcro del processo creativo e delle relazioni che governano il progetto, depotenziando sia il connotato deterministico a questi attribuito, sia l’idea di authorship (Attaianese & Rigillo, 2021). Si fa strada, viceversa, l’idea del progetto come fattore catalizzante di eventi fisici, sociali ed ecosistemici solo in parte prevedibili, che si sviluppa attraverso una combinazione di «intentional and unintentional futures shaped by ecology and human intervention» (Cantrell & Holzmann, 2016, pp. 4). Il progetto diventa l’impalcato di una matrice culturalmente ingegnerizzata che realizza le condizioni ecosistemiche per generare nuove forme e relazioni con il luogo, con gli abitanti e con le tecnologie disponibili, ne accetta l'imprevedibilità come parte del suo potenziale, anche identificando nuove opportunità nel dominio cognitivo del digitale (Rigillo, 2022).6 Ecologie emergenti ed adattive definiscono allora quelle sperimentazioni progettuali che mettono al centro la possibilità di lavorare con tecnologie responsive, in grado di misurare, monitorare, modellare e simulare lo stato dei luoghi e le trasformazioni, riducendo il rischio di insuccesso ma allo stesso tempo lasciando libertà co-evolutiva ai processi di ecological + digital thinking in una prospettiva di adattamento tecnologico e site-specific: «Scripts may include rules for some kind of responsive adaptations to various external or environmental conditions, thus making the evolutionary process almost self-selective». (Carpo, 2012, pp.100).7
Alla luce di queste brevi riflessioni, possiamo immaginare di estendere un significato dell’idea di adattamento all’interno del fare architettura. L’attenzione ai processi diventa infatti predominante e orienta il progetto verso un approccio euristico che vede: «il primato degli aspetti tecnologici della conoscenza su quelli prettamente strumentali, della tecnologia del pensiero sulla tecnologia che produce effetti materiali» (Perriccioli, 2020, pp.12).
Prende forza, in particolare, un metodo di progetto incardinato sul governo del ciclo di vita (di artefatti, sistemi biologici e infrastrutture digitali), orientato al riequilibrio dei metabolismi territoriali, alla rivisitazione dei principi di produzione di oggetti e materiali, alla messa a punto di nuove soluzioni costruttive. Soprattutto, il sodalizio tra pensiero adattivo, cultura digitale e obiettivi di sostenibilità multi-specie sta orientando linee di ricerca material-first, in grado di progettare nuovi compositi, o di rinnovare materiali già in uso. Un approccio che dà enfasi all’idea di architettura come processo generativo dello spazio abitabile, in cui una più avanzata idea di matericità definisce superfici, tessiture e colori realizzati secondo principi di tailor-made design (Wallis & Rahmann, 2016).
Un esempio, in questo senso, è la ricerca Material Ecological, di Neri Oxam, orientata a criteri di biologically driven design in cui «new ways of manufacturing […] have been designed to perfectly fit the environment they inhabit. Stiffness, elasticity, color, transparency, conductivity, even smell and taste, can be individually adjusted for each 3D pixel of a physical object» (https://oxman.com/). Analogamente, (Brownell & Swackhamer, 2015), mettono in tensione fenomeni naturali, processi biologici e proprietà fisiche per costruire un nuovo catalogo di prodotti iper-naturali, indirizzati a resettare l’immaginario collettivo rispetto alle possibilità degli spazi del futuro (fig. 5).
Ispirata da analoghi principi, ma con risultati e prodotti dichiaratamente finalizzati all’adattamento climatico, le soluzioni Nature-Based (NBS) stanno occupato spazi sempre più significativi nella ricerca tecnologica e nel design (Mussinelli et al. 2018; Losasso et al. 2020). In questo caso, le funzioni biologiche dei sistemi vegetali vengono addomesticate attraverso il progetto, e ricondotte a configurazioni e servizi che implementano la risposta degli spazi urbani e degli edifici nel contrasto al rischio climatico ed ambientale (fig. 6). Tradizionalmente concepite secondo una logica fortemente antropocentrica, le NBS stanno occupando spazi sempre più interessanti nell’ambito del design e raccontano di una realizzata ibridazione tra habitat naturali ed artificiali, e di ecologie emergenti, nella misura in cui configurano spazi, usi e comportamenti assolutamente inediti.
How will we live together?
La domanda How will we live together? resta dunque il quesito centrale. Che tipo di spazi dovremo produrre? Con quali tecnologie? Per rispondere a quali desideri?
Con una velocità e una potenza senza precedenti, la combinazione di eventi di tipo ambientale, investe direttamente i diritti dell’ambiente e delle specie viventi, affermando con forza l’importanza di adattamento e sostenibilità come chiavi interpretative per configurare un ambiente eco-socio-tecnico più equo e sostenibile.
In una visione solo apparentemente futuribile, la ri-semantizzazione dei termini adattamento e sostenibilità diventa allora occasione per riflettere sull’occupazione degli spazi abitabili, sul governo delle risorse biotiche e abiotiche, sulla forma e sulla qualità degli habitat del futuro, sugli usi che sapremo farne e sui comportamenti che decideremo idonei (Latour, 2014; Coccia 2021). Nel nostro futuro prossimo, possiamo verosimilmente immaginare la comparsa di habitat emergenti ed ibridi, ispirati dall’idea di una potenziale e feconda mescolanza tra entità diverse dove «Tutto è in tutto, perché nel mondo tutto deve poter circolare, trasmettersi, tradursi […] lo spazio è l’esperienza in cui ogni cosa si espone a essere percorsa da ogni altra cosa e si sforza di attraversare il mondo, in tutte le sue forme, consistenze, colori, odori» (Coccia, 2018, pp.83).
In questa ricostruzione di scenario, la nostra Aumentata Umanità (Guerrero et al.2022) diventa il fattore determinante per ripristinare condizioni di efficienza ecologica degli spazi naturali e antropizzati, il motore di una rivoluzione cognitiva (Baricco, 2018) che permetta di pensare il pianeta come un insieme di luoghi, tutti egualmente attrezzati per sviluppare habitat sostenibili, secondo topografie e configurazioni aperte al cambiamento e alla diversità. Ed in questo scenario, la capacità di finalizzare eticamente la nostra potenza tecnologica sembra essere l’unico mezzo possibile per una proporre ecologia attiva, in grado di riqualificare e dare nuovi significati ai paesaggi della contemporaneità, in cui energia e informazione definiscono flussi altrettanto vitali quanto quelli naturali (Gausa et al. 2001).
Se svincoliamo la richiesta di nuovi spazi da ragioni di esclusivo antropocentrismo, e se accettiamo che la realtà fisica degli stessi dipenda dalla qualità delle interazioni tra i nostri bisogni ed il nostro sentire, ma anche dalla specificità del sistema di risorse che ne caratterizzano le forme ed il funzionamento (in ciò comprendendo dalla tipologia di flussi materici e digitali che ne consentono la percezione e l’utilizzo), allora saremo pronti a partecipare con la nostra intelligenza tecnica al processo di adattamento biologico e culturale che l’Antropocene richiede.
Riferimenti bibliografici
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Note
1 Il contributo utilizza il termine more-than- human nella definizione prodotta da (Steele et al. 2019, pp.413): «More-than-human theories and methods seek to dissolve binary categories, recognize the agencies and dynamism of non-humans such as plants, animals and technologies, and bring attention to everyday transspecies encounters and social practices»
2 Il termine è stato coniato da Robert Trevers nel 1971 nell’ambito degli studi di biologia evolutiva per spiegare alcuni comportamenti di adattamento inter / infra specie non riconducibili a tesi di tipo deterministico.
3 Si intende con (Kirksey, 2015, pp.1) «multispecies communities that have been formed and transformed by chance encounters, historical accidents and parasitic invasion».
4 E’ questo il caso dell’iniziativa neozelandese For The Love Of Bees (FTLOB), dove un insieme di piccoli progetti, prevalentemente incentrati sull’educazione e partecipazione sociale, condividono l’obiettivo di un habitat urbano adatto alla vita e alla riproduzione delle api (www.fortheloveofbees.co.nz/)
5 Vedi il progetto Healthy Urban Microbiome Initiative (HUMI) per la tutela e la valorizzazione dei microbioma (segnatamente quelli presenti nel suolo e nelle piante) per realizzare condizioni di maggiore salute e sicurezza nelle città. Il progetto si inquadra nella campagna One Health e vede coinvolto un ampio panel di esperti (medici, ecologi, botanici, agronomi, urbanisti) per ricreare «the immune-boosting power of high quality, biodiverse green spaces in our cities, to maximise population health benefits» (www.humicity.org/).
6 Il concorso per Downsview Park, a Toronto, Canada, 1999 è il termine a quo del dibattito sull’impredicibilità dell’intervento e per la trasposizione del concetto di emergent ecologies ai metodi del progetto.
7 I grandi alberi artificiali progettati da Grant Associate, a Singapore (Super Trees, 2006-2010) definiscono una delle possibili declinazioni di adattamento eco-socio-tecnico. Si tratta infatti di spettacolari giardini verticali, punti di riferimento nel panorama urbano, che funzionano da motore ambientale per la produzione di servizi ecosistemici (Cooled Conservatory) (Wallis &Rahmann, 2016). In modo analogo, la ricerca del gruppo spagnolo Ecosistema Urbano fa delle tecnologie responsive il fulcro di un ripensamento dello spazio pubblico e delle sue performance ambientali (https://ecosistemaurbano.com).
8 Vedi a riguardo la Air Factory realizzata da Stefano Mancuso nell’intervento di recupero dell’ex Manifattura Tabacchi a Torino