Parole chiave: Adattività, Agenda 2030, Meta-Spazio, Open Project, Metaprogettazione
Keywords: Adaptivity, Agenda 2030, Meta-Space, Open Project, Metadesign
Abstract:
IT) Nell’Agenda 2030 il concetto di adattamento assume un ruolo centrale in quattro SDGs, coinvolgendo qualità dei suoli, gestione dei rischi, cambiamenti climatici, istruzione e rendendo ormai obsoleti i progetti che tentano di definire l’adattabilità delle città secondo logiche prescrittive o predittive. L’adattamento, infatti, risulta sempre da processi non lineari co-evolutivi e pre-adattativi tra persone, tecnologie, natura e società che richiedono piuttosto capacità metaprogettuali previsionali e retro-prospettive.
In tale scenario, la metaprogettazione tecnologica ambientale può contribuire a contestualizzare il progetto dell’adattività della città entro un quadro aperto, plurale e interattivo di relazioni e connessioni fra aspetti tecnico-materici, organizzativi, ambientali e informazionali.
EN) According to the 2030 Agenda, the concept of adaptation plays a central role in four SDGs, because involves soil quality, risk management, climate change and education. This aspect makes ineffective all the projects that define the adaptability of cities through prescriptive or predictive logics. In fact, the adaptation always results from non-linear co-evolutionary and pre-adaptive processes between people, technologies, nature and society, requiring rather forecasting and back-casting metadesign skills.
In this scenario, the technological-environmental metadesign can help to contextualize the project for city adaptivity within an open, plural and interactive framework of relationships and connections between technical-material, organizational, environmental and informational aspects.
Transizionalità e trasversalità dei processi adattivi della città
All’interno del quadro sempre più instabile dei cambiamenti della società contemporanea, il tema delle nuove relazioni instaurabili tra progetto urbano per la sostenibilità e sfide dell’adattività delle città non può essere affrontato senza alcune precisazioni preliminari che riguardano il concetto di adattamento. È innanzitutto necessario puntualizzare che per mettere una città in grado di assumere forme di adattamento, ovvero di modificarsi con il cambiare del contesto ambientale, può essere utile una distinzione fra i termini adattabile e adattivo.
Nel primo caso, il processo di adattamento comporta nelle componenti del progetto urbano una rispondenza ai requisiti dell’adattabilità. L’adattamento è visto come esito di una potenzialità (nel significato del verbo latino adaptare1 o anche dell’aggettivo inglese adaptable2) come capacità in essere, ma tendenzialmente passiva e statica. Ne consegue che l’adattamento della città potrebbe anche manifestarsi come raggiungimento di una condizione di assestamento passivo alle mutazioni ambientali e tecnologiche; una città adattata (o ri-adattata) senza più resistenze e reazioni o, forse, adatta e specificamente idonea solo per determinate funzioni. Nel secondo caso, il termine adattivo (o anche adattativo), derivato dall’inglese adaptive3, rimanda a uno stato in divenire che può favorire il processo di adattamento in senso attivo e dinamico. La città adattiva assume molteplici livelli di adattamento attraverso modificazioni configurative strutturali, morfologiche e informazionali, nonché mutazioni di tipo performativo e comportamentali.
Questa doppia declinazione evidenzia quindi due diverse possibilità di riorientamento di contenuti e modalità di sviluppo del progetto urbano in vista della mobilitazione di quelle risorse – materiali, energetiche, umane, tecnologiche e informative – che possono contribuire ad attivare la modificazione della città per fronteggiare i cambiamenti climatici, sociali, sanitari ed economici in atto. Tuttavia, è soprattutto la seconda declinazione, quella riferibile all’adattività, che sembra aprire il maggior numero di opportunità operative spendibili nel progetto urbano per almeno due ragioni: sia perché include nella sua stessa definizione l’idea di transizione da uno stato di capacità adattabile a una manifestazione effettiva di abilità di adattamento; sia perché restituisce la trasversalità dei processi di adattamento che, nei sistemi complessi socio-tecno-ecologici quali sono le città, coinvolgono sempre in senso pre-adattativo e co-evolutivo differenti entità, attori, livelli, scale e cronologie.
I processi adattivi implicano importanti cambi di paradigma nelle diverse culture del progetto, anche in vista delle nuove sfide della sostenibilità individuate nell’Agenda 2030. L’adattività delle città, infatti, comporta il superamento della progettualità che si concentra soltanto sulla definizione materica, geometrica e funzionale dello spazio urbano. Si esclude così la possibilità di rifugiarsi nel riduttivismo adattevole delle soluzioni generaliste e universalizzanti per tutte le stagioni e gli utenti ma anche il reiterarsi di tentazioni di pianificazione a esclusivo contenuto prescrittivo (Clementi, 2016), prive di una riflessione sullo spazio urbano abitabile, o circoscritte a illusori contenuti predittivi di ciò che si dovrebbe fare (Carta, 2014; Ricci, 2014).
Forme plurali dell’adattività
La natura transizionale e trasversale dell’adattività presuppone un riposizionamento delle differenti culture e ontologie del progetto entro una visione della città in continuo divenire. Entrano in gioco relazioni e connessioni fra capacità e abilità, nonché fra risorse e attività, destinate ad assumere configurazioni in perenne cambiamento rispetto al contesto.
In primo luogo, l’adattività comporta una diversa collocazione dell’esperienza progettuale per la città secondo modalità intersistemiche e cross/inter-disciplinari.
Usando i termini di un’analogia utilizzata da Richard Schmidt e Craig Wrisberg nei loro studi sull’apprendimento motorio e le prestazioni fisiche4, le capacità possono essere identificate con l’hardware di un computer, mentre le abilità possono essere paragonate al software. La dotazione fisico-materica-strumentale (hardware) è senz’altro importante per l’apprendimento motorio come per qualsiasi altro processo di acquisizione di conoscenze o assunzione di decisioni. È però sempre fondamentale un esercizio continuo di sviluppo (software) del potenziale di apprendimento in azioni e attività operative che possono modificarsi con il mutare delle condizioni di contesto. Camminare, correre, muoversi tra potenzialità, vincoli e opportunità dell’ambiente, del resto, simboleggiano a pieno titolo le complessità del processo (iter) di elaborazione e costruzione di un qualsiasi progetto che si confronta con le variabilità, anche impreviste, del contesto ambientale. Il progettista si muove facendo leva su risorse e riferimenti contestuali come un flaneur (Cullen, 1961; Benjamin, 1982) e sono per lui importanti la pratica dell’indugio, dell’osservazione attenta, del sopralluogo esperienziale (Eco, 1995; Sansot, 2000).
Questo parallelismo fra terminologia delle macchine computazionali e capacità/abilità di muoversi delle persone non deve far pensare alla metafora moderna della città macchina, sdoppiata tra componenti materiche e di flusso. Il passaggio concettuale sottende un più ampio livello di complessità che riguarda le relazioni simbiotiche che possono stabilirsi fra persone e tecnologie abitative in una rete di contesto ambientale. Citando Milan Zeleny, rispetto a qualsiasi tecnologia, l’hardware (apparato fisico-logico), il software (regole e modalità) e anche il brainware (ragioni e finalità) non solo non possono essere disgiunti, ma devono sempre far parte di una complessa rete di sostegno fatta di relazioni fisiche, informazionali e socioeconomiche. Secondo questa posizione, Zeleny parla di tecnologie fuori posto, adatte (di mantenimento), o superiori (in grado di gestire le discontinuità) (Zeleny, 1985). Dentro questa definizione si possono collocare le risorse tecnologiche intese sia in senso patrimoniale-materiale (edifici, infrastrutture, spazi), sia strumentale-immateriale (dispositivi normativi, piani, progetti).
Trasposte nell’ambiente costruito urbano, queste analogie esplicitano la natura transizionale dei processi adattivi che assumono consistenza solo nel momento in cui i contenuti progettuali riescono a tradurre il potenziale di adattabilità (capacità) di abitanti, spazi, oggetti e infrastrutture in un reale sistema di risposte comportamentali e soluzioni (abilità) efficaci per fronteggiare in modo flessibile i cambiamenti. La città adattiva (hardware) dovrà essere progettata per abilitare al cambiamento e sviluppare diversi gradi o possibili programmi evolutivi (software) e psico-comportamentali (brainware) fra natura, tecnologie, individui e società.
In questa direzione si orientano diverse linee di ricerca teorica, metodologica e operativa che auspicano il progetto dell’adattività in termini abilitanti.
Secondo gli studi della Resilience Alliance, partendo dagli assunti di Holling, Folker e Walker, le condizioni di reattività adattiva di sistemi socio-ecologici come le città conseguono alle capacità di assorbire i disturbi (resilienza degli ecosistemi), di adottare comportamenti appropriati per gestire collettivamente la resilienza (adattabilità di attori e utenti) e di attivare soluzioni abitative alternative (trasformabilità di spazi e attrezzature) (Walker et al., 2004). La progettualità per l’adattamento non può quindi prescindere dalla natura policentrica e multiscalare (panarchia) della resilienza (SRA, 2010) che si manifesta rispetto a quattro ambiti contestuali principali (flussi metabolici, reti di governance, dinamiche sociali e ambiente costruito). L’adattamento diventa funzione di una progettualità aperta che si snoda in un circolo di continui interventi cross-scalari di riorganizzazione, uso, conservazione e rilascio (Gunderson & Holling 2002). Tali interventi però non potranno che essere implementati all’interno di un quadro di progressive transizioni reversibili, in cui anche gli obiettivi della sostenibilità dell’Agenda 2030 si posizionano in modo non generico, ma secondo priorità ineludibili5. L’adattamento dovrà avere sempre alla base le azioni per la conservazione e la rigenerazione delle risorse della biosfera, al centro le attività e le tecnologie che possono incidere sull’evoluzione virtuosa dei comportamenti individuali e sociali e, solo più in alto, le conseguenti attività di produzione, consumo e crescita (SRA, 2016; Ronchi, 2018).
Sulla stessa traiettoria si muove l’Organizzazione Mondiale della Sanità che, nella sua classificazione ICF (International Classification of Functioning, Disability and Health), individua i Fattori ambientali che vanno dall’ambiente più vicino alla persona a quello più generale, come componenti che interagiscono con la qualità della vita degli individui. Oltre all’ambiente naturale, ai prodotti, alle tecnologie e alle pratiche comportamentali, i Fattori ambientali includono anche servizi, sistemi e politiche per l’architettura, la costruzione, la pianificazione e i trasporti (WHO, 2006). L’OMS attribuisce quindi alle attività, ai processi e agli strumenti di pianificazione, progettazione, costruzione e conservazione di edifici, spazi e infrastrutture il ruolo di facilitatori o di barriere, perché possono influenzare positivamente o negativamente le funzionalità, le attività e i gradi di partecipazione delle persone, comportandosi come interfacce materiali o immateriali che abilitano o disabilitano.
Secondo questa prima modalità di interpretazione del concetto di adattività lo spazio della città è visto come un’interfaccia tra le persone, le loro pratiche abitative e la variabilità delle condizioni contestuali. È un’accezione, che rivisita il concetto di “membrana di interfaccia regolativa” tra forze ambientali, forma dello spazio e utenti come fu definita da James Marston Fitch, nella prima stagione della cultura del progetto ambientale (Fitch, 1968/1999). La progettazione a scala urbana e le risorse tecnologiche che attraverso di essa sarebbero messe in gioco nei processi di gestione e trasformazione adattiva della città, dovrebbero svolgere un importante ruolo di empowerment di abitanti, spazi e tecnologie per assumere condizioni di adattamento con i fattori di contesto.
Tuttavia, esiste un’altra interpretazione del concetto di adattività che verte più sul ruolo trasversale del progetto urbano come processo multi-attoriale, multi-temporale e a-scalare. Anche in questo caso si può partire da un’analogia esemplificativa. Essa riguarda le dinamiche pre-adattive e co-evolutive dei sistemi socio-tecno-ecologici in cui i cambiamenti, anche quelli più imprevisti, non avvengono mai secondo azioni sequenziali e lineari (nel tempo e nello spazio), bensì attraverso combinati exattativi (da exaptation6) con i quali i sistemi biologici stabiliscono più traiettorie di potenziale adattamento che potrebbero attivarsi fra più agenti naturali e artificiali e in linee temporali e dimensioni scalari multiple. Mauro Ceruti suggerisce un’efficace analogia del processo di preadattamento exattativo, partendo da una suggestione che fa riferimento allo spazio. Infatti, spazializza il percorso di esplorazione e definizione delle strategie e tattiche di adattamento attraverso il concetto di “paesaggio adattativo”, costituito da picchi, corrispondenti ai punti di massima efficacia delle soluzioni, e valli, riguardanti i punti di massimo disadattamento (Ceruti, 2018). L’esplorazione del campo delle possibilità di azione per raggiungere soluzioni di successo adattative richiede tempi differenziati (per scalare un picco e affrontarne le difficoltà) ma, soprattutto, fa leva su risorse umane, naturali, sociali e tecnologiche molteplici ed eterogenee. È quindi un processo in cui si integrano azioni di preadattamento e di co-evoluzione fra più attori, fattori e agenti che si basa non solo sulle capacità di resilienza. L’exattamento, infatti, è caratterizzato da ridondanze che si manifestano nella molteplicità delle traiettorie esplorative, nella variabilità e reversibilità delle soluzioni, nella diversità delle risorse coinvolte e nella possibilità di considerare anche gli errori come esperienze utili per correggere le scelte non efficaci (Ceruti, 2018; Giorello & Donghi, 2019). Entrano in gioco allora elementi contestuali vulnerabili che potranno essere impiegati come risorse di sacrificio, robustezze consolidate nel tempo che contribuiranno a un primo adattamento resistivo, ma anche capacità di antifragilità che abiliteranno ulteriori risorse adattative traendo vantaggio persino dalle condizioni più sfavorevoli (Taleb, 2012; Cecchini & Blecic, 2016).
Quest’altra posizione interpretativa dell’adattività comporta anch’essa una profonda revisione dell’idea di progetto dell’ambiente costruito urbano. Il progetto diventa espressione di un fare corale entro cui agiscono figure esperte e creatività diffuse. I progettisti si comportano come bricoleur che attingono a un’eterogeneità di elementi per configurare pattern di adattività variabili e in cui il tema dell’adattamento coinvolge in modo trasversale diversi ambiti d’intervento (Manzini, 2015; Gasparrini, 2014; Ceruti, 2018). Il progetto non si limita alla predizione di soluzioni tecniche di adattamento del sistema urbano, tantomeno all’indicazione prescrittiva delle cosiddette “buone pratiche” spesso ridotte alla normazione di presunte linee comportamentali unificate e standardizzate che ignorano qualsiasi confronto con le condizioni locali di contesto.
Rispetto a tale quadro di riferimento, la città è soprattutto una “metapolis”: rappresenta la matrice fisica in cui prendono forma le possibili combinazioni informazionali e relazionali, ogni volta diverse e dinamiche, fra contesti, luoghi e processi di sviluppo (Gausa, 2003). Anche per queste ragioni, l’adattività può assumere una particolare importanza per il miglioramento delle performance di sostenibilità urbana. Con riferimento agli obiettivi dell’Agenda 2030, infatti, essa può agire trasversalmente rispetto a quei temi chiave che costituiranno le principali sfide del progetto dell’habitat urbano nel prossimo futuro, quali7: la capacità di adattamento ai cambiamenti climatici e agli effetti dei fenomeni meteorologici estremi (UN 2015); la qualità dei suoli e la loro produttività soprattutto in periodi di recessione economica; l’adeguatezza degli spazi per rispondere alle diverse abilità, culture ed esigenze degli abitanti, anche in caso di emergenze di natura sociale e umanitaria; l’appropriatezza di edifici e infrastrutture per limitare i consumi energetici e di risorse non rinnovabili, nonché per supportare la produzione e la condivisione di energia prodotta da fonti rinnovabili all’interno di comunità energeticamente responsabili.
Non mancano esperienze che hanno già sviluppato in termini progettuali questa seconda declinazione dell’adattività.
Progetti integrati quali il Copenhagen Climate Adaptation Plan, la Rotterdam Climate Change Adaptation Strategy, la One New York Initiative (che integra i contenuti riguardanti sostenibilità e resilienza del Plan New York) la London Managing Risks and Increasing Resilience Strategy (che si affianca alla Climate Change Mitigation and Energy Strategy), il Barcelona Climate Action Plan, per citare solo alcuni tra i più significativi, affrontano il tema dell’adattamento della città nelle sue dimensioni di piano, senza perdere però di vista le sue ricadute attuative alla scala del progetto urbano. Partendo dalle dinamiche generali esigenziali e dalle vulnerabilità del sistema urbano, queste esperienze connettono le analisi di scenario e le scelte strategiche generali di lungo periodo con le vision di medio e breve periodo concernenti interventi rigenerativi e preventivi a livello locale.
Sempre in tema di estensione delle strategie di resilienza e adattamento alle componenti che non riguardano soltanto la dimensione strategica e di piano, anche la City Resilience Framework,elaborata per l’ONU con il coordinamento della Rockefeller Foundation e dalla ARUP non si limita alla definizione esclusiva di indicazioni preventive e predittive generali. Il modello di intervento, incentrato sul City Resilience Index, fa riferimento a 4 dimensioni (infrastrutture/ecosistemi, gestione/strategia, salute/benessere, economia/società), 12 obiettivi, 52 indicatori e 156 quesiti per favorire la condivisione delle esperienze progettuali sperimentali locali dentro una rete di città globali. Obiettivi, risultati, successi, ma anche fallimenti, entrano a far parte di un network collaborativo evidence based, in cui la misurabilità dei livelli di sostenibilità locale degli interventi diventa bagaglio comune di conoscenze per migliorare sempre più la performatività dei progetti di adattamento a livello globale (UN, Rockefeller & ARUP, 2014).
Questa seconda accezione dell’adattività, anche senza fare esplicito riferimento agli obiettivi dell’Agenda 2030, testimonia l’impossibilità di operare sulla città per singoli interventi e documenta l’incremento dello sviluppo di pratiche del progetto urbano basate sull’interattività e la condivisione di più attori e progettualità. Le relazioni di piano e di progetto con le vulnerabilità, le robustezze preesistenti e le capacità di resilienza del sistema urbano diventano centrali per raggiungere più gradi di adattamento della città che siano però sempre coerenti con gli obiettivi di miglioramento delle performance di sostenibilità, rispetto a differenti scale e cronologie.
I progetti assumono una configurazione aperta, in cui si giocano le connessioni di sussidiarietà e integrabilità tra elementi support e infill, come li aveva prospettati John Habraken, in uno scambio proficuo di ruoli e competenze tecniche e spontanee (Habraken, 1998), entro cui anche le soluzioni efficaci meno codificate e prevedibili possono contribuire a orientare le politiche e le progettualità verso un miglioramento continuo della qualità di adattamento urbano.
La metaprogettazione tecnologico-ambientale per l’adattività urbana
Le questioni problematiche, le sfide progettuali e le esperienze integrate fra piano, processo e progetto, finora enunciate, evidenziano un quadro di cambiamenti che comporta anche una rideclinazione delle progettualità da attivare per raggiungere gli obiettivi dell’adattività urbana.
La città non è più un insieme di oggetti isolati edilizi e infrastrutturali che contengono funzioni, attività e persone, perché è necessaria una loro integrazione e correlazione continua, affinché possano contribuire a elevare le capacità adattive dell’intero sistema urbano.
Inoltre, nei sistemi urbani di qualsiasi dimensione, ormai coesistono aspetti pubblici e individuali del vivere insieme che assumono contorni sfumati; aspetti che si svolgono in luoghi fisici localizzati e altri più immateriali globalizzati, ma anche in spazi aperti pubblici, collettivi e privati che appaiono frammentati fra città, periferie, campagna e che non possono più rispondere alle esigenze di adattamento solo attraverso la riproposizione di tipologie del passato, quali strade, viali, piazze, parchi e giardini (Settis, 2017; Koolhaas, 2021).
Le continue instabilità indotte nei sistemi urbani dai cambiamenti climatici, sociali, sanitari e geopolitici determinano una condizione di imprevedibilità cronica degli assetti urbani che richiede la capacità di ideare e governare nel tempo configurazioni ad assetto variabile. Di conseguenza, anche alcune dicotomie quali spazio/luogo, piano/progetto, deduttivo/induttivo, top down/bottom up, universale/specializzato, ricorrenti nei dibattiti teorici e pragmatici progettuali, sono destinate a essere superate. Dal sistema polisemico e polidimensionale che continuiamo a chiamare città – che dovrebbe invece essere identificato come la metapoli delle eterogeneità ipotizzata da François Ascher o anche come la “non più città” di cui parla Rem Koolhaas (Ascher, 2001; Koolhaas, 2021) – emerge un’evidenza: l’adattività non può che essere progettata attraverso una concezione del progetto aperta, dialogica e processuale che pone al centro delle proprie esplorazioni la ricerca delle molteplici configurazioni contextual sensitive & responsive (Clementi, 2014; Losasso, 2017) che il sistema urbano potrà assumere nel breve, medio e lungo termine.
È in questo senso che torna ad assumere importanza il momento metaprogettuale, soprattutto nella sua declinazione tecnologico-ambientale che si incentra sullo studio delle interazioni fra tecnologie, natura, individui e società (Dierna & Orlandi, 2005). L’esperienza metaprogettuale tecnologico-ambientale, infatti, è fondamentale per andare oltre la pratica predittiva forecasting based che si concentra su “cosa” deve accadere nella città, puntualmente, per fronteggiare i cambiamenti attraverso l’adattabilità delle sue componenti. Si predilige invece un processo multidimensionale che, facendo interagire più sistemi di risorse, attori, istituzioni e soluzioni tecniche, si estende a esplorare diverse alternative di adattività per il futuro, seguendo un processo di azioni progettuali aperte, basato sulla continua reiterazione di cicli di foresighting e backwarding (Arnaldi, 2012; Pacinelli, 2012; Caffo e Muzzonigro, 2018).
Questo modo di procedere non colloca il metaprogetto tecnologico-ambientale come uno strumento sostitutivo della pianificazione urbanistica, paesaggistica e ambientale, tantomeno come una soluzione alternativa alla progettazione di specifici interventi. Al contrario, prevedere un’adeguata metaprogettazione tecnologico-ambientale permette di supportare le varie fasi del processo progettuale per l’adattività, potendo agire, allo stesso tempo, a livello strategico, tattico e operazionale. Da questo punto di vista, si prospettano anche altre implicazioni innovative. Il ruolo delle tecnologie di progetto si modifica, assumendo una valenza abilitante attraverso la produzione e lo scambio continuativo di conoscenze, progettualità e retroazioni, esperte e spontanee, che possono favorire più gradi di adattamento, anche imparando dagli errori. La natura con le sue risorse (idriche, energetiche, biologiche) entra a far parte di un progetto continuo di mantenimento delle dinamiche utili per l’adattamento simbiotico fra abitanti e fattori di contesto. Il progettista, da figura autoriale, diventa “metaprogettista” che può assumere differenti ruoli come coordinatore, co-regista e armonizzatore di processi d’interpretazione e ideazione di attività, progettualità e interventi che possono interagire positivamente a favore dell’adattività. Inoltre, il coinvolgimento di più attori, con differenti esigenze, capacità e competenze, alimenta il monitoraggio dell’efficacia degli interventi; i vari progetti non si fermano quindi alla loro definitiva esecutività, ma si estendono a comprendere anche le fasi di esercizio, diventando così parte integrante di una proiezione narrativa aperta con cui si definiscono più opportunità e più gradi di relazione e connessione fra processi di adattamento e variabilità di contesto.
Le modalità di sviluppo del metaprogetto tecnologico-ambientale possono coinvolgere tre differenti ambiti informazionali del processo analitico, conoscitivo, ideativo, implementativo e gestionale della progettazione per la città adattiva.
In primo luogo, perché il metaprogetto agisce per logiche aperte e scenaristiche, permettendo di esplorare più scenari evolutivi (probabili, possibili, desiderabili, plausibili) in cui le relazioni fra adattamento e contesto assumono un peso che va oltre l’approccio strategico-programmatico del piano. Attraverso il coinvolgimento sincronico e diacronico di entità biologiche e fisico-materiche eterogenee (attori, agenti, fattori, oggetti), connettività materiali in essere o potenziali (processi, filiere, cicli), nuove sfide funzionali (condivisioni, cooperazioni, riduzioni) e nuove relazioni immateriali (comunicative, formative, informative), la metaprogettazione tecnologico-ambientale può estendersi a prevedere, in modo a-scalare, multidimensionale e attuativo, più scenari configurazionali alternativi ed evolutivi di adattamento città-contesto.
In secondo luogo, perché la pratica metaprogettuale permette di anticipare, attraverso le vision, le forme dell’adattamento (anche tattiche) nel tempo medio che intercorre tra previsioni strategiche e di scenario di lungo periodo e progettazione esecutiva di breve periodo. L’elaborazione di vision tecnologico-ambientali può contribuire alla definizione di più gradienti d’intervento metamorfici per orientare ma anche modificare le forme dell’adattività urbana secondo i principali vettori della sostenibilità. Le vision metaprogettuali permettono quindi di esplorare i diversi gradi di ridondanza performativa, relazionale e di processo che possono essere messi in gioco per migliorare l’adattività delle città, facendo leva su capacità regolative-adattive quali la resilienza, l’antifragilità, l’inclusione, la vitalità, la smartness, l’healthiness, l’accessibilità integrata.
In terzo luogo, perché attraverso il metaprogetto tecnologico-ambientale si può procedere nella concettualizzazione dei molteplici e variabili livelli di qualità urbana che è sempre necessario attivare o mantenere per supportare i processi di adattività urbana. I principali ambiti di concettualizzazione metaprogettuale per l’adattività possono coinvolgere relazioni tra elementi oggettivi parametrico-prestazionali e variabili contestuali individuali e localizzate, quali: le relazioni economie/spazio (produrre, mantenere, rigenerare risorse a fronte dei cambiamenti); le relazioni ecologie/spazio (conservare e innovare abitudini, comportamenti, usi e pratiche individuali e collettive per favorire l’adattamento); le relazioni transizioni/spazio (interfacciare entità fisiche e immateriali per supportare e mediare le evoluzioni adattive antropico-naturali). Appare evidente come la metaprogettazione tecnologico-ambientale possa positivamente contribuire a supportare un processo progettuale fatto di piani, programmi, strategie, tattiche e azioni puntuali che, per tendere verso l’adattività della città, deve mantenersi il più possibile aperto, flessibile e reversibile. Le qualità di adattamento della città assumono valore non solo in termini morfo-generativi, ma anche in senso eco-relazionale. Il metaprogetto, attraverso una continua elaborazione/verifica/correzione di scenari, visioni e concetti, ricopre un ruolo centrale per tradurre le potenzialità/capacità di adattamento (adattabilità) in abilità adattive effettive di tutte quelle componenti urbane morfologico-reattive che possono contribuire e interagire proattivamente per affrontare i cambiamenti, anche mediante processi retroattivi che possono comportare re-visioni e inversioni e modifiche in itinere di decisioni e interventi.
Una, più, molte città adattive
La prospettiva del metaprogetto tecnologico-ambientale, ovviamente, non costituisce la sola possibile traiettoria di sviluppo per raggiungere l’obiettivo della città adattiva.
Molteplici e diversificate sono le direttrici di esplorazione aperte a livello nazionale e internazionale, sia nel campo della ricerca dei diversi ambiti disciplinari del progetto, sia in specifiche esperienze di pianificazione e progettazione urbana. Su tale diversità di paradigmi e visioni questo numero di EcoWebTown8 ha voluto soffermarsi per ricostruire un primo quadro di riferimento, con l’auspicio che possa contribuire ad alimentare il già ampio dibattito che si sta conducendo sulle nuove sfide del progetto urbano contemporaneo.
Come ha precisato Alberto Clementi, nell’editoriale, per orientare il progetto urbano verso il Sustainability Adaptive Urban Design, ma anche per coordinare le diverse culture della progettualità che interagiscono nella città, non è possibile disgiungere il tema dell’adattività da quello della sostenibilità. La sfida è complessa perché comporterà una necessaria estensione delle responsabilità del progetto e delle sue capacità di prevedere, andando oltre la semplice definizione di soluzioni a specifici problemi. Occorrerà armonizzare, in senso strategico, l’assunzione degli obiettivi con le capacità di mantenimento e governo “nel tempo” delle ricadute progettuali, incorporando nell’intero processo la sistematica misurabilità delle azioni di progetto, indispensabile per attivare misure e soluzioni alternative di adattamento ai cambiamenti.
Rispetto a questo nuovo quadro operativo, anche gli autori che hanno contribuito alla sezione Punti di vista sottolineano la necessità di ampliare l’operatività dell’esperienza progettuale per la città adattiva oltre le consolidate delimitazioni di ordine disciplinare e scalare.
Mario Losasso puntualizza la centralità delle connessioni esistenti fra il contesto ambientale, la dimensione operativa del distretto urbano e le forme possibili dell’adattamento climatico come presupposto ineludibile per ri-significare, attraverso il progetto, le diversità organizzazionali e le capacità della città di adattarsi. Fabrizio Tucci individua nell’estensione dei limiti spazio/temporali gli elementi fondanti per un ripensamento generale del progetto per la sostenibilità e l’adattività dell’architettura e della città, precisandone le sue intrinseche caratteristiche “di frontiera”, multi/a-scalari, multiculturali e infra-disciplinari. Maurizio Carta, ipotizza un ripensamento integrale dei paradigmi produttivi ed evolutivi del progetto urbano, incorporando il concetto di “città aumentata” e individuando i nuovi canoni di rigenerazione di un Exaptive Urbanism basato sulla processualità continua del masterprogram e sulle regole aperte del City Forming. Marina Rigillo estende le implicazioni del progetto alle relazioni antropologiche e socio-tecno-ecologiche che si instaurano fra le diverse specie che convivono nell’ambiente urbano, arrivando a ridefinire l’idea di adattamento secondo un riequilibrio dei cicli metabolici tra artefatti, sistemi biologici e infrastrutture digitali. Paolo Desideri apre a una riflessione sul senso del tempo e della durata di architetture e piani per la città, evidenziando come la definitiva eclissi del concetto di costruzione immutabile, costituisca la vera sfida progettuale da affrontare, assumendo la condizione temporanea dell’abitare come carattere imprescindibile della contemporaneità. Michelangelo Russo e Maria Simioli, esemplificano le prospettive di innovazione della disciplina urbanistica metabolica e rigenerativa che, facendo leva sui principî dell’economia circolare, estende il campo d’azione della rigenerazione degli spazi abitabili ai paesaggi di scarto e ai flussi territoriali di costruzione e demolizione. Giulia Costantino inquadra invece l’articolato sistema delle direttive e delle politiche di finanziamento europee in un percorso che interseca e rafforza l’iniziativa del New European Bauhaus, individuando fonti e approfondimenti utili per la definizione di progetti urbani sostenibili.
Nelle sezioni Lavori in corso (, Call for paper e Altre esperienze, vari docenti, ricercatori e giovani studiosi hanno contribuito a ricostruire un primo quadro di ricerche applicate, testimonianze ed esperienze sperimentali, condotte a livello nazionale e internazionale, sui temi dell’adattamento ai cambiamenti in atto e della sostenibilità urbana integrata.
Nella sezione Città artistica, Massimiliano Scuderi, facendo riferimento all’impossibilità di distinguere la politica, dalla natura e dall’arte, propone una rassegna di opere di intellettuali e artisti con cui evidenzia “l’alterità” come parametro per porre in evidenza un nuovo sentire per comprendere e ricostruire i rapporti tra individui, natura, scienze e democrazia. La sezione Letture, infine, grazie alle recensioni di giovani ricercatori, propone alcuni recenti testi in cui si affrontano, da diversi punti di vista disciplinari ma sempre in modo integrato, i temi dei cambiamenti climatici, delle emergenze ambientali e dell’adattamento di architetture e città.
Il bilancio aperto emergente dal numero 24 di EcoWebTown conferma ancor più l’assunto con cui si è aperta questa riflessione. Le sfide progettuali della città adattiva, considerata la loro intrinseca caratterizzazione multiculturale e intersistemica, non possono che essere affrontate secondo approcci cross/interdisciplinari, multi-attoriali, multi-temporali e a-scalari, nella stessa misura e complessità che si evince anche dall’articolazione degli obiettivi di sostenibilità dell’Agenda 2030.
È probabile che il rapporto che si è ormai instaurato tra forme di uso, produzione e modificazione delle città contemporanee, alternando e intrecciando culture globalizzate (con ritmi di cambiamento più accelerati) e saperi locali maggiormente consolidati (con tempi di resistenza più lunghi), sia destinato a diventare un elemento fondante ineludibile per progettare l’adattività urbana. Tanti sono i gradi e i livelli di adattamento necessari per continuare a stabilire relazioni e connessioni aperte con le evoluzioni naturali, antropiche e tecnologiche e non una, ma molte è plurime sono quindi le città che si dovranno ipotizzare e prevedere per il futuro.
In questo senso, la pratica della metaprogettazione tecnologico-ambientale che non si limita alle previsioni a monte del progetto, ma si estende a indagare i possibili campi di adattamento attraverso l’intero ciclo di vita urbano, può assumere un importante ruolo per supportare, in modo continuativo, la proiezione delle molteplici linee di co-evoluzione che si potranno stabilire in città fra umanità, natura e sviluppo tecnologico.
Riferimenti bibliografici
Clementi, A. (2016), Forme imminenti. Città e innovazione urbana, LIST, Rovereto, I.
Carta, M. (2014), “Per un approccio creativo, empatico e sostenibile allo sviluppo: il ruolo degli urbanisti nel tempo delle metamorfosi”. in Franceschini, A. (ed.) Sulla città futura, LIST, Trento, I, pp. 15-28.
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Note
1 Adattare, dal lat. adaptare, comp. di ad- e aptare, “rendere adatto a uno scopo determinato”. Cfr. Vocabolario Treccani, Istituto della Enciclopedia Italiana, Roma, I.
2 Adaptable, “able to be modified for a new use or purpose”, Cfr. Oxford Lexico o anche, “able or willing to change in order to suit different conditions”, Cfr. Cambridge Dictionary, UK.
3 Adaptive (composto con il suffisso latino -ivus per aggettivare il verbo to adapt) “having an ability to change to suit changing conditions”, Cfr. Oxford Dictionary, UK.
4 Cfr. Schmidt, R.A. & Wrisberg, C.A. (2000), Apprendimento motorio e prestazione, Società Stampa Sportiva, Roma, I.
5 Per la Stockholm Resilience Alliance, i 17 Sustainable Goals dell’Agenda 2030 (UN Risoluzione del 25.09.2015) devono essere interpretati secondo un’architettura di priorità (il cosiddetto schema “a torta nuziale” a tre livelli) che conferma i tre principî fondanti (ambientale, sociale ed economico) della sostenibilità. In questo senso, si collocano in basso i SDG riguardanti la biosfera 6, 13, 14 e 15, nel livello centrale i SDG 1, 2, 3, 4, 5, 7, 11 e 16 relativi alla società e, nel terzo livello i SDG 8, 9, 10, 12 e 17 più specifici dell’economia.
6 La definizione di exaptation è stata introdotta per la prima volta negli studi ecologici da Stephen J. Gould ed Elisabeth Vrba per affrontare le complessità relazionali tra i processi di evoluzione dei sistemi viventi e il loro habitat.
7 Più in particolare, nell’Agenda 2030, tale trasversalità emerge negli obiettivi di sostenibilità: 2. “Sconfiggere la fame”; 4. “Istruzione di qualità”; 11. “Città e comunità sostenibili”; 13. “Lotta contro il cambiamento climatico”.
8 Il numero 24 è stato curato da Filippo Angelucci ed Ester Zazzero.