“(...)la storia non è solo una scienza, ma anche e non meno una forma del ricordo. Ciò che la scienza ha «stabilito», può essere modificato dal ricordo. Il ricordo può fare dell’incompiuto (la felicità) un compiuto e del compiuto (il dolore) un incompiuto” (Benjamin 2000).
Per questo numero di EcoWebTown costruito attorno a un’idea di Mediterraneo come contenitore di comunanze, come grande “manuale” di pratiche e forme dell’abitare condivise, luogo di potenzialità e possibilità ancora inespresse, vogliamo proporre la lettura di un volume che ne ricostruisce il “mito di fondazione” in modo sorprendente.
Fondazione, sì, perché i due giovani autori, Marino Amodio e Vincenzo del Vecchio, invertendo l’immagine geografica del grande mare-lago su cui poggia l’interpretazione di Braudel (Braudel 1987), raccontano di un passato remoto ipotetico in cui il Mediterraneo era una grande terra circondata da ogni parte da molti mari, ed era abitata dai popoli originari con le loro città. Un’isola, Terraneo. Questo luogo viene trasformato, attraverso un’operazione di montaggio, in un accentratore, un punto di convergenza di miti e leggende che girano attorno alle origini del mare nostrum provenienti da molte e diverse direzioni.
Il volume è stato pubblicato in Italia da Gallucci, nell’agosto 2018, (dopo una prima edizione spagnola a cura di Eldevives che gli è valso il premio “Internacional Álbum Ilustrado”). Consigliato dai 7 ai 99 anni, recita il retro della copertina: Terraneo è una favola delle origini narrata attraverso 20 meravigliose tavole, disegnate da Vincenzo e accompagnate da brevi testi di Marino. La mappa rovesciata della grande isola apre alla descrizione di sei città costiere: Gibilterra “un grande volto” che protegge la costa occidentale dell’isola; ScillaCariddi (unica città di fantasia) rappresentata come due uomini seduti schiena contro schiena intenti a “custodire” la sottile lingua di terra che tiene insieme le “regioni dello Ionio e del Tirreno”; Venezia a cui si deve “l’unico tentativo di abitare il mare”; Il Cairo, una grande mano protesa verso il cielo che mostra con orgoglio i suoi “gingilli”, le piramidi; Atene che nasce dall’incontro tra la terra e il mare, e che tiene insieme la vita quotidiana dei suoi abitanti con la dimensione sacra che gli ha dato forma; Istanbul, la porta est, in cui “tre donne annunciano al mondo l’alba di ogni nuovo giorno”, la città che ha dato i natali a tutti gli abitanti di Terraneo, “si dice”.
Può forse sembrare strano proporre una recensione di un libro che non solo è stato pubblicato ormai da un po’, ma che, almeno apparentemente, non condivide con la letteratura scientifica quasi nulla. La verità è che questo ipertesto-multilivello non è un libro, somiglia piuttosto ad una nuova cartografia di un possibile incompiuto che però esiste e che continua con perseveranza ad agire nel presente.
E quindi questa non è una recensione, ma un punto di vista attraverso il quale provare a raccogliere e a condividere alcune delle suggestioni che il libro contiene (in forme più o meno esplicite); a partire da quella che dipinge questa terra-mare e le sue città come un unico sistema tenuto insieme dai “lunghi e continui cammini che la attraversavano” e dai “molti viaggiatori che percorrevano le sue strade”. E non è un’immagine poi così lontana da quell’idea complessa e stratificata, ricca di storia e di storie che questo numero della rivista ha voluto provare a tracciare a partire dalle ricerche e dai contributi di chi ha vi ha partecipato.
Un uomo si propone il compito di disegnare il mondo, trascorrendo gli anni, popola uno spazio con immagini di province, di regni, di montagne, di baie, di navi, d’isole, di pesci, di dimore, di strumenti, di astri, di cavalli, e di persone. Poco prima di morire, scopre che quel paziente labirinto di linee traccia l’immagine del suo volto (Borges 1999).
"Questa nostra isola di Terraneo è delimitata dalla linea di costa su cui sorgono nella realtà tutte le città portuali. Ti permette di capire che il Mediterraneo è un'unica nazione. E chi lo abita si somiglia. È il senso del libro, e realizzare una mappa invertita ci è sembrato il modo più semplice e diretto per restituirlo", racconta Del Vecchio in un’intervista a Repubblica1; in questo ipotetico passato remoto in cui tutto è ribaltato restano quindi, del mondo che oggi conosciamo, le grandi città costiere che sembrano però essere rivolte dalla parte opposta rispetto a quella che ci è familiare: guardano cioè quelle che sono oggi le nostre terre e che erano allora oceani popolati di creature fantastiche e mostri marini. Ognuna delle città assume un aspetto antropomorfo (in verità bisognerebbe dire “bio-morfo”, Venezia infatti viene rappresentata come un pesce, non come un uomo) e prende forma a partire dai suoi “tratti caratteriali”, che sono poi quelli dei loro abitanti e ne rappresentano le paure e i desideri. Evidentemente alcuni di questi caratteri sono comuni a tutte le città che tracciano la linea di costa di questa isola e che costruiscono una mappa di viaggio tra queste nuove “città invisibili”. Il desiderio di conoscenza, la spinta verso lo spaventoso ignoto - rappresentato dalla sconfinata massa d’acqua - che porta gli abitanti di Terraneo a sfidare i limiti delle proprie possibilità, si ritrovano in forme diverse in tutte le città.
È possibile però, leggendo tra le righe del testo e tra le immagini, segnalare un altro elemento interessante che richiama alla memoria uno dei racconti che Walter Benjamin scrive rievocando i suoi periodi passati in Italia, in particolare a Napoli - peraltro la stessa città, patria dei due autori, che nel continente Terraneo non viene inclusa2 (Benjamin 2002). In questo testo Benjamin fa cenno a una “antichissima lista” in cui i 7 peccati capitali possono essere attribuiti alle 7 principali città italiane perché, in qualche modo, le descrivono: Genova ha la superbia, Firenze l’avarizia, Milano la gola, Bologna l’ira, Venezia la lussuria, Roma l’invidia, Napoli l’accidia. Negli affollati e bellissimi disegni e nelle parole che narrano delle città di Terraneo è possibile leggere una nuova “lista”, nuovi “peccati capitali” che rappresentano la causa di quel che di male ha prodotto il ribaltamento mare-terra, quello che ha portato il mondo a essere come lo conosciamo oggi. Il desiderio di dominio dell’uomo sulla natura, l’ostentazione del superfluo e l’apparenza come valore, l’angoscia della preservazione e del controllo sui confini hanno trasformato (fuor di metafora) il nostro Mediterraneo da culla della civiltà a luogo della disperazione e della fuga, da grande casa di popoli fratelli a cimitero di corpi migranti. Restano tuttavia forti le tracce di questo passato mitico nei “ricordi e nelle vecchie abitudini” degli abitanti dell’isola che “continuano ad attraversare, da costa a costa, quella che resta la loro terra”. Qui è la possibilità.
In questo senso Terraneo è una mappa psico-geografica, una sorta di elaborazione collettiva di un trauma, il trauma del nostro presente. Per certi versi è analoga all’operazione che nel XIV secolo Opicino de Canistris propone con le sue cartografie (Piron 2019): se quelle parlavano del male dell’uomo che le disegnava e del suo senso di colpa, queste tracciano (in una forma e con una volontà tutta positiva) una via di fuga, il “ricordo di un oblio”, di un “passato non vissuto” (Agamben 2008)che può avere la forza di ridurre le distanze e di ricostruire quel “tracciato di lunghi cammini” che univa le coste di questa isola leggendaria.
Solo a questo punto il passato non vissuto si rivela per ciò che era: contemporaneo al presente, e diventa in questo modo per la prima volta accessibile, si presenta come «fonte». Per questo la contemporaneità, la con-presenza al proprio presente, in quanto implica l’esperienza di un non vissuto e il ricordo di un oblio, è rara e difficile […] (Agamben 2008)
Non deve stupire che un’operazione di questo genere venga proposta da due giovani architetti: il modo di raccontare questo non-vissuto come qualcosa che c’è già stato (o che avrebbe potuto essere, non fa granché differenza) e che può essere quindi recuperato, richiede uno sguardo che è già progettuale. Trasformare il vuoto in pieno (il mare in terra) consente di cambiare il punto di vista, di invertire la gerarchia tra “figura e sfondo” (Piron 2019), concentrando lo sguardo su ciò che normalmente viene escluso dalla nostra attenzione; lo faceva anche Moretti nei suoi modelli che gli consentivano di ragionare su quell’elemento inafferrabile che è lo spazio vuoto per comprenderne le implicazioni.
Ragionare così sul Mediterraneo è un tentativo di difendere una memoria mitologica che parla ancora una lingua comune ai popoli del nord Africa, dell’Europa, del Medio Oriente; una favola, una leggenda, un progetto che aspira a introdurre nuove pratiche abitative, nuove consuetudini relazionali, che “riaffiorano alla coscienza come riappaiono le spiagge al ritirarsi della marea”, di quel grande manuale che è, ancora, il nostro mare.
…E si avrà cura delle memorie e dei miti, che resteranno negli usi e nel linguaggio, ma ormai così lontani da divenire incomprensibili. Ogni nostra parola è intrisa di religioni spente, e un volo degli uccelli ci commuove perché, in un altro tempo (altro, ma tuttavia mai finito) è stato un segno.
Questo è altrettanto vero su un piano personale e su un piano storico: quello che è stato può tornare, quello che è celato riaffiorare alla coscienza, come riappaiono le spiagge al ritirarsi della marea (Levi 2018).
Note
1 E se il Mediterraneo fosse un'isola?
Gabriele di Donfrancesco
2 Alla domanda “Perché non c’è Napoli?” gli autori rispondono, ancora una volta facendo riferimento alla risposta di Marco Polo al Kublai Khan nelle città invisibili: “questo libro nasce dal nostro sentirci parte di città in cui non siamo mai nati: c'è un po' di Napoli in tutti quelle che citiamo”
(da: https://tinyurl.com/u3838zs2 )
Riferimenti bibliografici
Agamben G. (2008). Signatura rerum. Sul metodo. Torino: Bollati Boringhieri.
Benjamin W. (2000). Opere Complete IX. I Passages di Parigi. Torino: Einaudi.
Benjamin W. (2002). Opere Complete IV. Scritti 1930-1931. Torino: Einaudi
Borges J.L. (1999) (I ed. 1963) L'artefice. Milano: Adelphi.
Braudel F. (1987) Il Mediterraneo. Lo spazio e la storia, gli uomini e la tradizione. Milano: Bompiani.
Levi C. (2018) (I ed. 1946) Paura della libertà. Milano: Neri Pozza.
Moretti L. (1953) Strutture e sequenze di spazi; in Spazio. Rassegna delle Arti e dell'Architettura; n.7.
Piron S. (2019) Dialettica del mostro. Indagine su Opicino de Canistris. Milano: Adelphi