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L’Insostenibile sofferenza della periferia
Le periferie napoletane dagli anni ’50 ad oggi
Filippo Barbera




Guida editori, Napoli, 2021, pagg.541.

 

Dalle periferie napoletane alle periferie delle città italiane
Paolo Colarossi

Le periferie: un tema difficile e complesso, a cominciare dalla definizione di periferia, e che richiede di essere trattato con ampiezza di visione e con articolazione e connessione di problematiche.
Tema che proprio così viene svolto da Filippo Barbera nel suo libro: libro complesso e articolato come il tema stesso richiede.
Libro che propone con efficacia una lettura dei diversi aspetti delle situazioni attuali delle periferie napoletane, una analisi critica dei presupposti culturali e dei processi che quelle situazioni hanno prodotto, e prudenti proposte e valutazioni di possibili soluzioni future.
Libro che, pur parlando delle periferie napoletane dagli anni ’50 ad oggi e delle loro davvero rilevanti e specifiche problematiche, si offre alla lettura anche come un libro che parla di tutte le periferie delle città italiane.
Di quelle parti delle città italiane costruite a partire dalla metà dello scorso secolo e che ad oggi formano almeno un 60-70% delle aree urbane: la città recente.
Parti di città nelle quali possiamo riconoscere molte delle situazioni, dei presupposti e dei processi che caratterizzano le periferie di Napoli.

Le articolazioni tematiche del libro sono essenzialmente tre: la storia della costruzione delle periferie napoletane e una lettura critica di questa storia, una valutazione della situazione delle periferie napoletane oggi, e idee e indirizzi su cosa e come fare per la rigenerazione di quelle periferie.
E sono ancora tre i punti di vista dai quali gli stessi tre temi vengono trattati: quello urbanistico, quello sociale e quello economico.
E ancora tre risultano essere le scale di lettura che occorre praticare per la piena comprensione del fenomeno periferie, quella locale, quella urbana e quella delle grandi dimensioni urbane, regionali e globali.
Ne risulta un intreccio tra i diversi temi, punti di vista e scale ricco di connessioni e di rimandi, di argomentazioni e di associazioni, di valutazioni, di obbiettivi e di proposte di indirizzi di azione che costituisce una delle qualità rilevanti di questo libro.

Qui mi interessa sottolineare alcuni contenuti del libro che hanno a che fare più strettamente con questioni urbanistiche: in relazione ad alcuni aspetti della storia della costruzione delle periferie napoletane (storia che può essere letta anche come una analisi critica sull’urbanistica dal dopo guerra ad oggi) e in relazione ad alcune proposte sulla rigenerazione delle periferie.

L’analisi critica sulla urbanistica (ma si può anche dire sulla cultura urbana) dal dopoguerra a oggi può essere sintetizzata nella constatazione del prevalere della grande dimensione, sia concettuale che fisica, nelle concezioni e nelle produzioni degli urbanisti. Dimensione che ha prodotto degrado, segregazione, scarsa o nulla attenzione ai contesti di intervento, scarsa o nulla attenzione alla piccola dimensione e in particolare alle esigenze degli abitanti.
Degrado e segregazione: “La grande dimensione dell’architettura, caratterizzata dai grandi segni perentori e dalla rete infrastrutturale (strade, autostrade, viadotti, reti ferroviarie) si realizzeranno in modo disarmonico e spesso in tempi diversi. (…) Ne è scaturito un paesaggio urbano caotico e disordinato, ad elevato tasso di inquinamento dell’aria, fatto di superstrade, tangenziali, svincoli e bretelle che disarcionano il territorio, generano barriere spesso invalicabili, accrescono le separazioni tra “zone” invece di collegarle, favoriscono l’isolamento socio-spaziale di interi rioni e quartieri della periferia”.1
Segregazione anche spesso dovuta alle scelte di localizzazione dei nuovi quartieri (che nel caso di Napoli sono i quartieri della ricostruzione post-terremoto 1980). Quartieri che: “ (…) furono ubicati, in alcuni casi, in posizioni separate e distanti persino dai quartieri di più antica formazione, in aree di margine, determinando una condizione di isolamento (…)2

Scarsa attenzione ai contesti dell’intervento: “I due schemi adottati per i piani di zona di Ponticelli e Secondigliano mal si adattarono alle delicate caratteristiche ambientali e storiche dei territori di pertinenza.3

Scarsa attenzione alle esigenze degli abitanti per la qualità dell’abitare: “Molte persone affermarono che le strade non erano fatte «per passeggiare e per fare amicizia»4 (con riferimento a Secondigliano).

Come intervenire sui gravi difetti delle periferie della città recente?
Dalle esperienze di Napoli si può ricavare un indirizzo prioritario: un approccio integrato alla rigenerazione urbana. Sotto due aspetti in particolare: quello del “dove” intervenire per la rigenerazione, e quello della integrazione, nella cultura e nella pratica, tra urbanistica, ambiente e socio-economia.
In primo luogo: è bene essere assai prudenti nel praticare l’idea che un intervento di nuova costruzione in aree interne o contigue ad aree di periferia urbana e che siano disponibili alla trasformazione (aree dismesse o aree agricole abbandonate – le aree “molli” o “luoghi dello scarto”5) possa produrre effetti soddisfacenti di riqualificazione-rigenerazione nelle stesse aree della periferia esistente (le aree “dure”).
Questo per vari motivi che vanno dalla scelta dei modelli di intervento, non sempre adeguati, al rischio che i nuovi interventi diventino rapidamente aree segregate (in quanto aree privilegiate rispetto alle aree urbane circostanti e, per questo, spesso recintate) nei confronti proprio di quelle periferie che avrebbero dovuto riqualificare.
Dunque gli interventi di rigenerazione dovrebbero, quanto meno, coinvolgere in sincronia e in coordinazione aree molli e aree dure6.

In secondo luogo: la rigenerazione urbana non può essere solo rigenerazione urbanistica, basata cioè su interventi fisici.
L’approccio integrato suggerisce e richiede che, in parallelo agli interventi fisici su spazi pubblici e su edifici, vengano anche attuati interventi di carattere sociale. E, per quanto possibile, anche interventi rivolti allo sviluppo di attività economiche nelle parti di città soggette a politiche di rigenerazione.

Sono molte le idee e le questioni che la lettura di un libro come questo sollecita e contribuisce a generare, anche come integrazione e ideale prosecuzione dei contenuti del libro stesso.
Provo ad accennare ad alcune, che a me sembrano più importanti ai fini di efficaci risultati degli interventi fisici di miglioramento del paesaggio delle periferie.

Credo che bisogna essere consapevoli che una forma di segregazione delle periferie e nelle periferie riguarda anche la quasi totale mancanza di bellezza. Di quella bellezza che è sempre una esigenza della persona umana. Di quella bellezza che è molto legata alla sensazione di bene-essere che può essere percepita in un paesaggio urbano come effetto dei suoi assetti fisici e funzionali. E che è una delle condizioni di un buon abitare. E che può essere un aspetto della generale questione di equità distributiva delle risorse urbane: gli abitanti delle periferie hanno diritto anche a livelli adeguati, almeno minimi, di bellezza.
Nel migliorare il paesaggio degli spazi urbani della città esistente delle periferie (per introdurre anche piccoli episodi di bellezza) dovrebbe avere un ruolo rilevante l’assetto dello spazio pubblico. E dunque un ruolo rilevante la piccola dimensione, intesa come concetto e metodo, come tecnica e dimensione dell’intervento e come modalità di rapporti con gli abitanti.

La questione della rigenerazione delle periferie è di grandissima urgenza, complessità e complicazione. Ma forse occorrerebbe pensare anche a procedere un piccolo passo per volta, con piccoli interventi diffusi ma significativi sia urbanistici, sia sociali, sia di sviluppo economico. Interventi che potrebbero innescare una catena di successivi interventi.

I progetti di rigenerazione urbana, inoltre, dovrebbero essere sempre accompagnati da progetti e attività di manutenzione e cura degli edifici e degli spazi pubblici, anche con il coinvolgimento degli abitanti.

Infine, va risolto il problema degli strumenti urbanistici attualmente disponibili. Che non sono in grado di indirizzare, controllare e gestire gli interventi complessi e integrati di rigenerazione urbana. Occorrono nuovi strumenti flessibili e capaci di efficacia e di adattamento ai tempi reali della attuazione degli interventi: ogni intervento al tempo giusto della sua maturazione e con regole adatte.

Nelle periferie italiane dobbiamo rimediare agli errori, a volte disastrosi, del periodo degli ultimi settanta anni, quello di una crescita urbana che mai, peraltro, si era avuta nel corso della storia dell’umanità.
La rigenerazione delle periferie dovrà essere il compito della cultura urbana (politica, sociale, imprenditoriale, tecnica) nei prossimi decenni.
Con la consapevolezza che: “Cambiamenti rilevanti non si possono conseguire in breve tempo, ma occorre un lavoro tenace, perseverante e di lunga lena, (…).7




Note


1 Pag. 120 e 121.

2 Pag. 183.

3 Pag. 128.

4 Pag. 139.

5 Pag. 197.

6 Vedi pag. 434.

7 Pag. 450.