Materiali didattici

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Un’alternativa per la costa orientale di Napoli.
Dal conflitto città-porto all’integrazione nel progetto di rivendicazione di nuovi spazi urbano-portuali
Michelangelo Russoa, Anna Attademoa, Marica Castiglianoa, Maria Gabriella Erricoa, Francesca Garzillia, Bianca Paganob, Martina Pizzicatoa

a Dipartimento di Architettura, Università degli Studi di Napoli Federico II
b Architetto libero professionista




Parole chiave:          città-porto, didattica, progetto, integrazione
                            port-city, teaching, design, integration




Abstract:

L’espansione infrastrutturale dettata dal traffico dei container costituisce ancora un punto nodale nelle interazioni porto-città. Nel 2006, l’ex Autorità Portuale di Napoli ha stabilito di realizzare ad est del porto, sul margine della periferia ex industriale, la colmata di una darsena allo scopo di incrementare il trasporto merci con nuove aree per la logistica. Tale progetto, non ancora completato, ha a lungo tempo ignorato la complessa realtà urbana del quartiere ex operaio di San Giovanni a Teduccio, da anni in attesa di una nuova immagine di città costiera. Questo scenario incompiuto permette oggi di portare sul tavolo del dibattito decisionale e scientifico questioni centrali come la sostenibilità energetica, il cambiamento climatico e la vulnerabilità sociale. Il paper affronta il ripensamento del rapporto città-porto lungo la costa orientale di Napoli attraverso le esperienze didattiche tenutesi presso il Dipartimento di Architettura dell’Università di Napoli Federico II.




1. Verso un nuovo approccio al progetto della città-porto tra periferia e infrastruttura 

Le città del Mediterraneo intrecciano la loro storia urbana con l’acqua divenuta mezzo per accorciare distanze, produrre ricchezza, favorire scoperte e mescolanze. Come racconta Carl Schmitt nel saggio “Terra e mare” (Schmitt, 1942), le complesse interazioni tra i due elementi sono state il motore generatore di rivoluzionari ordinamenti spaziali planetari, come quello alla base dell’odierna Europa, che fin dal primo secolo ha cominciato a configurarsi come potenziale unità politica grazie al controllo che la navigazione consentiva anche su territori lontani. Ma le vicende del mondo marittimo e quelle del mondo terrestre hanno sinergicamente contribuito non solo a cambiare l’idea ed il concetto di spazio nella storia, le attività portuali in particolare hanno trasformato la conformazione fisica dello spazio delle città costiere, adattandola alle esigenze della navigazione e del commercio. Questa costante mutazione della soglia terra-acqua prima, e del territorio regionale poi (Notteboom e Rodrigue, 2005), costituisce un trait d'union tra l’evoluzione storica e le sfide delle città portuali contemporanee. Le complesse relazioni tra identità storica, norme programmatiche, risorse spaziali e ambientali e visioni di futuro, offrono un importante campo di indagine per osservare cause e conseguenze dei fenomeni di glocalizzazione nelle città portuali del Mediterraneo.
Gli studi sull’evoluzione, anche conflittuale, tra porto e città hanno individuato il fenomeno della containerizzazione come punto di svolta nel trasporto marittimo e nelle mutate esigenze degli spazi portuali (Hoyle, 1989). La necessità di aree infrastrutturali più ampie da dedicare allo stoccaggio e alla movimentazione di grandi quantità di merci ha portato alla delocalizzazione delle macchine portuali, consentendo di guardare alle aree di waterfront come zone “liberate” da integrare alla città storica (Pavia e di Venosa, 2012). La scala globale di questi eventi e degli avanzamenti tecnologici ha inaugurato, alla fine del XX secolo, un’intensa stagione di progetti urbani nelle più importanti città-porto che hanno saputo ripensare l’affaccio della città sul mare attraverso la rigenerazione di ex aree ed edifici industriali, convertiti principalmente ad usi culturali e ricreativi (Bruttomesso, 1999; Meyer, 1999).
Il ritardo del porto di Napoli sulla competizione mediterranea – legata soprattutto all’adeguamento delle aree della logistica costiera – permette oggi di ragionare sul progetto della città-porto in nuovi termini, allargando il punto focale dell’integrazione urbano-portuale dal centro storico fino alle aree densamente abitate della prima corona periferica. Diversamente da quanto avvenuto nelle città-porto oggetto di rigenerazione dalla fine degli anni ’80, l’idea di ampliare il terminal container in continuità con il porto esistente e in prossimità di aree urbane svantaggiate dal punto di vista economico e sociale, richiede un nuovo approccio progettuale e una nuova lente di indagine multiscalare che non si limiti a recuperare le storiche aree portuali dismesse ma che sappia guardare sistemicamente ad una visione di sviluppo integrata, ove porto e città continuano a coesistere. Sul tavolo del dibattito decisionale e scientifico si pongono oggi questioni centrali come la sostenibilità energetica, il cambiamento climatico, la vulnerabilità sociale ed il ruolo del terziario avanzato con le potenzialità offerte dagli innovation districts. L'individuazione di possibili scenari di sviluppo tramite attività di ricerca didattica1, nasce in risposta all’intenzione dell’ex Autorità Portuale di Napoli (attuale Autorità di Sistema Portuale del Mar Tirreno Centrale) di realizzare ad est del porto, ai margini della periferia napoletana ex industriale, una colmata denominata “Darsena di Levante” allo scopo di incrementare il trasporto merci grazie a nuove aree per la logistica e nuove infrastrutture ferroviarie (fig. 1). Tale progetto, approvato nel 2006, avviato nel 2011 ed ancora in corso, ha a lungo tempo ignorato la complessa realtà urbana presente alle spalle di una fascia costiera inclusa in un’ampia area SIN (Legge 426/98) e caratterizzata da irrisolti fenomeni di abbandono di aree ex industriali (la fabbrica Corradini) e di frammenti del patrimonio storico (i resti dell’antico forte di Vigliena). Ad est dell’attuale area portuale infatti, il quartiere di San Giovanni a Teduccio costituisce la ex periferia della classe operaia in attesa di una nuova vocazione dopo la dismissione delle grandi attività produttive (e.g. aree Cirio, Corradini, Manifattura Tabacchi, etc.). L’immagine di città delineata dal PUA del 2009 (Formato, 2014) è attualmente sospesa tra la riconquista del mare – promossa dal progetto, poi abbandonato, del “Porto Fiorito” destinato alla nautica da diporto – e la lenta trasformazione avviata dal nuovo polo universitario federiciano, l’“Apple Developer Academy”, completato nel 2016 e realizzato come parte del progetto di riqualificazione dell’area ex Cirio.
Il paper affronta il ripensamento del rapporto città-porto lungo la costa orientale di Napoli attraverso l’esperienza didattica del Laboratorio di Urbanistica – tenuto nell’ambito del Corso di Laurea in Urbanistica, Paesaggio, Territorio e Ambiente – ed il contributo di una tesi elaborata a conclusione del Corso di Laurea in Architettura 5UE presso il Dipartimento di Architettura dell’Università di Napoli Federico II. Gli studenti hanno lavorato all’individuazione di strategie progettuali innovative per le città-porto del XXI secolo anche nell’ambito di un workshop internazionale organizzato in collaborazione con l’università TU Delft presso il porto di Rotterdam, osservando strategie e progetti dell’esperienza olandese. Il paper intende sottolineare il contributo delle esperienze didattiche all’avanzamento del tema di ricerca sostenendo l’importanza di legare i processi di formazione accademica alle contemporanee trasformazioni territoriali.

 

2. Indirizzi metodologici e obiettivi della didattica
 
Le esperienze didattiche hanno lavorato a metà tra lo studio di caso e la ricerca applicata, mettendo in campo un tentativo di posizionamento all’interno del dibattito sull’evoluzione e il destino delle città-porto, sia a livello internazionale che con particolare riferimento ad un orizzonte di confronto (e messa in discussione) con le scelte di una specifica governance locale.
Il punto di partenza della ricerca si fonda su un tema, l’interpretazione di processi di governo neo liberista che producono forme di espropriazione (dispossession, Athanasiou e Butler, 2013) spaziale, sociale, economica, culturale.
Le strutture di potere e di governo neoliberista producono alcuni luoghi (e persone) come propriamente vivibili, a misura d’uomo (e.g. i classici waterfront delle grandi operazioni di urban renewal; Tallon, 2013), e altri luoghi come escludenti, non accessibili, dis-umani. Questi luoghi coincidono con politiche settoriali, individuano grandi “macchine serventi” per il funzionamento del metabolismo della città (Kennedy et al., 2007), e allo stesso tempo costruiscono margini politici e sociali, dove abitano fasce di popolazione che diventano i prodotti di scarto di un ordine sociale capitalista (wasted lives, Bauman, 2004).
La questione posta alla base dell’analisi di caso, individua in queste parti di città una storia di sottrazioni mascherata da progresso, nella negazione estesa di un diritto alla gestione delle risorse (acqua, suolo, aria, etc.) e di un diritto a sedere al tavolo delle decisioni insieme alle amministrazioni e ai decisori politici. Il secondo tema, quindi, posto al centro delle esperienze di didattica e ricerca, ruota intorno alla trasformazione del paesaggio costiero storico attraverso la progressiva specializzazione della “macchina porto”. Questo processo trasforma il paesaggio in attore politico, oggetto di slow violence (Nixon, 2011). Quest’ultimo concetto è spesso associato a forme più o meno visibili di inquinamento ambientale e spoliazione delle risorse naturali, che si dispiegano lungo una dimensione sensibilmente variabile: il tempo.
La violenza sul paesaggio e la popolazione insediata non è qui solo strutturale, ma soprattutto lenta, i.e. un processo graduale di inquinamento delle risorse e del diritto alla vita, che ha necessità di essere reso visibile per poter essere adeguatamente interpretato, contrastato, progettato. La ricerca ha proposto, quindi, di superare un atteggiamento fatalista nei confronti dei processi di sottrazione identificati, e di proporre l’alternativa del progetto in quanto strumento di intervento in grado di agire sul tempo dell’espropriazione, arrivando potenzialmente ad invertire alcune questioni di fondo.
La questione del ritardo della decisione politica sul destino delle attività portuali nel caso studio analizzato, è stata metodologicamente interpretata come opportunità per orientare la rivendicazione al diritto d’uso. In analogia con quanto sostenuto da Formato (2016), si è proposto di avanzare secondo l’attitudine del progetto italiano alla differenza, interpretata come prospettiva basata sul riconoscimento della natura contestuale, degli usi e della conformazione materica dei luoghi. Il progetto di cui si stimola la costruzione è dispositivo minimale, in grado di alimentare visioni inedite e attrarre accadimenti imprevisti, lavorando nello scarto che esiste tra differenti conformazioni possibili. Abbandonando gli scenari stabili, il fattore temporale aiuta il progetto a comunicarsi attraverso spunti ed immaginari, in grado di agire direttamente sulla costruzione di una critical agency per contrastare la dispossession, obiettivo primario di una comunità che rivendica identità e valori.
I concept urbani, le allusioni e le strategie di rivitalizzazione dello spazio pubblico conteso tra città e porto lavorano ad una mobilitazione degli affetti (Viderman e Knierbein, 2019) che chiama in causa capacità individuali e collettive per ri-negoziare l’appartenenza e la proprietà (simbolica) degli spazi, e contestare l’alienazione dei diritti e delle accessibilità. Gli approfondimenti delle funzioni e degli usi suggeriti nell’esperienza didattica fondano su una comunità di luoghi nuovamente impegnati dalla vita quotidiana, non escludenti, che ricuciono le divisioni socio-spaziali, sfidando l’espropriazione e posizionandosi come alternativa su cui aprire il dibattito (anche al di fuori delle aule universitarie).


3. Napoli e il mare: premesse di un caso studio e sperimentazioni progettuali

La scritta che domina Napoli dal terrazzo del museo Madre, “Il mare non bagna Napoli”, realizzata dagli artisti Giovanna Bianco e Pino Valente e che riprende il titolo di una raccolta di racconti di Anna Maria Ortese (1953), porta ad una paradossale riflessione: Napoli è una città sul mare piuttosto che di mare. Un manifesto di una condizione contemporanea, che contrappone al mito di una città che sorge dal mare, l’impossibilità quasi totale di accesso e godimento dello stesso. Il lavoro artistico si basa sull’analisi dei fenomeni legati alla visione e alla percezione ed è questo l’assunto da cui si è partiti nel Laboratorio di Urbanistica: come creare possibili connessioni tra il mare, la città consolidata, laddove il mare “non bagna Napoli”. Lavorando dunque sulla ricostruzione di un sistema di relazioni e caratteri identitari che possano capovolgere la condizione attuale, facendo un passo indietro, si restituiscono suggestioni che richiamano la visione di Napoli dal mare della tavola Strozzi (1472-1473) (fig. 2) in cui la connessione tra mare, città e orografia costituivano elementi di paesaggio riconoscibili ed indissolubili. 
In particolare, il tratto di costa studiato è quello orientale, con un focus sul tratto compreso tra la Darsena di Levante e il museo di Pietrarsa, emblema delle attuali contraddizioni urbane. A partire dall’800 questa zona di Napoli ha iniziato a cambiare la sua morfologia, passando da terreno paludoso, irrorato da canali che alimentavano il Sebeto, a zona industriale produttiva, solcata da fasci ferroviari e strade a scorrimento veloce. Un cambiamento visibile nel Piano di Luigi Piccinato degli anni ‘30, in cui era già presente l’intenzione di destinare l’area est ad area industriale, rendendo impermeabili i terreni paludosi e agricoli per far posto alle industrie, passando così da un paesaggio agricolo fatto di masserie e mulini a una distesa frammentaria di grandi insediamenti produttivi e case popolari. Il brusco cambiamento di uso del suolo, seguito dallo spostamento della produzione industriale a nord di Napoli, ha comportato la successiva dismissione di alcuni tratti ferroviari e di interi comparti industriali generando l’attuale paesaggio fatto di scarti, di spazi liminali, barriere verso la linea di costa, recinti, zone in-between. Una frammentazione diffusa a cui se ne aggiunge una ancora più netta e lineare, determinata dalla fitta rete di binari ferroviari che attraversa longitudinalmente la città arrivando fino alle aree vesuviane. La linea ferroviaria, percorrendo quella che veniva chiamato il Miglio d’Oro, ha determinato la cesura netta tra città e mare, trasformando la linea di costa in una barriera tra città e mare. Il risultato finale è quello di un arcipelago eterogeneo in attesa di cambiamento con una grande potenzialità soprattutto in termini ecologici.
Agli studenti del Laboratorio di Urbanistica2 è stato chiesto di guardare la città considerando le numerose tracce che insistono sull’area focus. Il punto di partenza è stato l’analisi interpretativa dei luoghi che svelando i molteplici punti di vista, prospettive, micropaesaggi, leggesse il paesaggio in quanto materia stratiforme che necessita una profonda lettura (Lassus, 1998).  Inoltre, l’analisi del contesto e del tessuto residenziale ha evidenziato le dissimmetrie sociali, disuguaglianze nella distribuzione delle risorse e le criticità spaziali e ambientali. A partire dal materiale cartografico di base, dai piani e dal progetto fornito dell’autorità portuale per la Darsena di Levante, il primo step è stato quello di leggere tali mappe, discretizzandole, seguendo una logica di lettura per layer in grado di restituire mappe sensibili sullo stato di diritto, sul sistema insediativo, infrastrutturale, ambientale e dei drosscape (Berger, 2006). Un approccio che riprende l’insegnamento americano del landscape urbanism (Waldheim, 2006)e che affonda le sue radici nell'avveniristico concept mchargiano del design with nature (McHarg, 1969). 
Il corso, infatti, con il suo modulo integrato di architettura del paesaggio, ha dedicato a questa parte analitica una grande attenzione, basandosi proprio sull’idea che il processo di mappatura e di lettura dello stato dei luoghi costituisce il punto di partenza per la definizione di un progetto come processo, fatto di scale e tempi differenti. Per la definizione del progetto di rigenerazione urbana, gli studenti hanno tenuto conto: della multiscalarità dell’intervento, del recupero della percezione del paesaggio, dell’approccio ecologico nell’uso di nuovi materiali e nel recupero di quelli di scarto, della valutazione dei vari interventi nel tempo, del lavoro con la popolazione residente attraverso l’uso di questionari.
Una fase intermedia fondamentale tra analisi e progetto è stata dedicata alla realizzazione dei concept, linee guida per indirizzare i masterplan.  Da prime intuizioni, sono stati individuati tre argomenti principali rispetto ai quali orientare le scelte progettuali dei vari gruppi, ovvero:

Nello stabilire le nuove forme di interazione tra città e waterfront gli studenti hanno cercato di rendere permeabile e interagente l’area portuale con quella urbana intervenendo, non negli ambiti tecnico operativi, ma su aree filtro in cui poter creare nuovi poli di attrazione più vicini alle necessità dei residenti per le attività del tempo libero. Con questo obiettivo, attività educative e del terziario legate all’avanzamento tecnologico ed informatico in ambito nautico sono state localizzate in prossimità del porto commerciale in un “innovation dock” di raccordo tra l’area costiera di San Giovanni prossima alla nuova stazione della metropolitana ed il nuovo molo (fig. 3). Maggiori funzioni ricreative d’uso pubblico, come un’area piscine, un mercato e un parco agricolo, sono state collocate verso est, dove la costa urbana va progressivamente ad allontanarsi dal porto e si presta ad ospitare attrezzature e spazi pubblici attualmente carenti nella periferia orientale di Napoli.
In particolare, agli studenti è stato chiesto di lavorare sui contesti ambientali lacerati, sviluppando strategie rigenerative, lavorando sul metabolismo urbano, ripensando lo scarto, il drosscape, come risorsa da reimmettere in un nuovo ciclo di vita. In questo senso il lavoro sullo spazio pubblico diventa occasione per creare nuove connessioni con il tessuto residenziale compatto, collegando gli spazi verdi interstiziali e creando nuove dorsali di paesaggio perpendicolari alla linea di costa (fig. 4).  
Inoltre, gli studenti hanno avuto modo di confrontarsi con un’altra realtà universitaria, quella della TU Delft. Infatti, grazie alla collaborazione con il corso della prof.ssa Carola Hein e del prof. Henri van Bennekom, MSc2 “Architecture and Urbanism Beyond Oil”, è stato possibile esplorare nuove spazialità e opportunità urbane per il tratto di costa orientale di Napoli. Tale scambio culturale è stato fortificato dal viaggio di studio a Rotterdam e dalla partecipazione ai tre giorni di conferenza Port City Future3 durante la quale gli studenti hanno presentato anche la loro esperienza didattica e le loro proposte progettuali (fig. 5).
L’esperienza di Rotterdam ha dato la possibilità di un confronto diretto tra realtà portuali in trasformazione, grazie alla partecipazione attiva a sessioni intense di workshop, seminari e site visit. La visita del nuovo porto “Maasvlakte” ha costituito la parte fondamentale di questo viaggio: una grande opera di bonifica, rigenerazione territoriale e di ingegneria civile. Maasvlakte costituisce un enorme ampliamento a ovest del porto, creato negli anni '60 recuperando la terra dal Mare del Nord, alla quale nel 2008 è stato aggiunto un’estensione, “Maasvlakte 2”. L’opera coniuga aspetti logistici legati all'industria e al commercio, con aspetti ambientali. Al progetto del porto con le industrie e le aree container si affiancano grandi aree di compensazione ambientale, costituite da un sistema di dune che separano le aree per la logistica da una vasta spiaggia artificiale dove si svolgono attività sportive e ricreative. Questo progetto costituisce un grande esempio per Napoli, mettendo in luce la necessità di dotarsi di strumenti e risorse adeguate alla definizione di paesaggi che possano essere flessibili ed adattivi. Consapevoli che lavorare sulla costa, su un paesaggio così fragile e vulnerabile, richiede una collaborazione tra discipline e competenze diverse. Risulta dunque quanto mai evidente la necessità di trovare un giusto equilibrio tra le necessità economiche e politiche di ampliamento e quelle ambientali che possano mitigare i rischi derivanti dai cambiamenti climatici.

 

4. Una visione di progetto integrata per la costa di Napoli Est

Perseguire sinergicamente lo sviluppo economico portuale ed il miglioramento della qualità dell’abitare l’area periferica di San Giovanni a Teduccio, è stato obiettivo della tesi di laurea di Bianca Pagano e Martina Pizzicato4.
La ricerca di tesi ha avuto avvio con il convegno “Naples Shipping Week”, tenutosi nel 2018 a Napoli, incentrato sul problema dell’espansione portuale odierna e futura, ed in particolare focalizzato su tre punti chiave: “Green Shipping Summit”, “Smart Port e Logistic” e “Nuovi mercati”. In tale convegno è stato illustrato come dovrebbe essere una città-porto del futuro, basata sull’uso condiviso dello spazio da parte della funzione industriale e quella urbana. Pertanto, il progetto e la ricerca di tesi, incentrate sul Porto di Napoli e, in particolare, sull’area costiera di San Giovanni a Teduccio, pongono come obiettivo principale quello di capire come lo sviluppo portuale, ampliamento industriale e ampliamento della logistica possano coesistere e creare un nuovo vettore per la vivibilità urbana, facendo da traino ad una visione di progetto fortemente integrata (fig. 6).
L’idea di concept nasce dalla consapevolezza che il progetto dell’Autorità di Sistema Portuale era già in costruzione solo in minima parte. La volontà di progetto non è stata quindi quella di confutare il progetto esistente, ma di reinterpretarlo, così da riconnettere città e mare e integrare sia le esigenze dei cittadini, che quelle logistiche e industriali. Mantenendo la cubatura del progetto esistente, si è deciso di separare la funzione logistica adiacente all’ex Fabbrica Corradini e all’arenile Boccaperti, creando un’isola artificiale destinata a parco urbano e centro di ricerca, che fungesse da filtro rispetto al posizionamento della funzione mista previsto nell’area di pertinenza dell’ex Fabbrica Cirio. In questo modo, anche la zona in cui è posizionato il forte di Vigliena, verrà riaperta al pubblico e inserita all’interno di un nuovo parco urbano che si affaccia sulla zona dedicata alla logistica, non più circondata da recinti, ma permeabile ed accessibile a tutti (fig. 7).
Il progetto ha previsto un’approfondita definizione di usi attraverso l’individuazione di spazi privati, pubblici e privati ad uso pubblico. La zona dedicata alla funzione di terminal container, che mantiene la dimensione originale di 1,3 km in lunghezza, risulta mediata rispetto al ri-definito waterfront cittadino attraverso la realizzazione di una cortina vegetazionale e di una promenade che avrà il suo culmine nel punto più panoramico del progetto, uno spazio che guarda a Capri e alla Penisola Sorrentina.
I corridoi verdi diventano uno dei nuovi landmark di progetto, insieme al principale protagonista: il mare riconsegnato alla comunità e all’uso pubblico attraverso la funzione balneare, quella di porto turistico e, infine, quella di porto commerciale. In particolare l’isola-filtro, essendo circondata totalmente dal mare, ha in ogni sua parte un rapporto diverso con l’acqua: in alcuni punti sono state previste delle pedane in legno dotate di sedute sul mare, in altri gli affacci degli edifici di nuova costruzione e una passeggiata panoramica. In particolare, la passeggiata diventa filo conduttore che attraversa il progetto, in quanto inizia dal forte di Vigliena fino a raggiungere il Museo Ferroviario di Pietrarsa, punto finale del progetto (fig. 8).
Per quanto concerne gli aspetti tecnologici, essendo una costa prevalentemente artificiale e occupata da residui industriali e canali di scolo delle acque, che hanno portato a sedimenti di metalli, idrocarburi e agenti cancerogeni, sono state previste strategie sostenibili come la fitodepurazione galleggiante e la bonifica da idrocarburi, in linea con le direttive 2030/2050 dell’“Agenda 2030”. A guidare le scelte progettuali su materiali e strategie sostenibili anche su piccola scala, c'è sicuramente la volontà di mitigare il fenomeno delle isole di calore, tipico nelle città in cui prevale la pavimentazione in asfalto e dove la presenza di superfici permeabili è ridotta. Il progetto ha, quindi, previsto la scelta di materiali permeabili e semipermeabili e sono state notevolmente incrementate le superfici a verde al fine di ridurre anche le emissioni di CO2.


5. Conclusioni

La città contemporanea, stratificata e mutevole, è un grande laboratorio di progettualità latenti. Proprio nelle aree marginali, interstiziali e di conflitto, emergono le risorse ambientali e sociali di una possibile transizione ecologica, spaziale e di governance, tesa a ricucire brani di territorio e ricostruire coesione attraverso scenari di rigenerazione condivisi. Intercettare la transizione (ecologica, energetica, etc.) nello sviluppo della città contemporanea, capirne le traiettorie ed integrare le eterogenee esigenze e prospettive di chi abita i territori è principio fondante per le discipline del progetto urbano e urbanistico, nell’attuazione di esperienze didattiche e laboratoriali sfidanti e operative. Attraverso percorsi di apprendimento progettati sull’attualità e la riflessione critica, la città che cambia diviene, quindi, modello di studio e opportunità di sperimentazione continua, come dimostra il caso di Napoli nell’incessante conflitto tra città e porto. A partire dallo studio delle tante esperienze di progetti di waterfront internazionali e sullo sfondo di una crisi dei decisori istituzionali, tra politiche settoriali e assenza di inclusione, le esperienze didattiche si incentrano sulla possibilità di delineare scenari innovativi di trasformazione, integrando il progetto dello spazio alla ri-costruzione di identità culturale e sociale. Il progetto-processo di un pezzo di città arricchisce il percorso di apprendimento attraverso originali spunti provenienti dalla dimensione non accademica del dato contemporaneo, dando spazio ad una fertile contaminazione di contrasti, contraddizioni e vincoli programmatici che hanno dimostrato la possibilità di intervenire nel processo decisionale attraverso l’estensione del dibattito e degli attori e attraverso il ribaltamento delle strategie spaziali, non più basate sulla riproposizione del conflitto, facendosi interpreti delle componenti plurali del territorio, dalle risorse ambientali allo spazio pubblico agli usi e alle pratiche che lo qualificano (fig. 9).
Nelle attività didattiche, la trasformazione infrastrutturale, dettata da esigenze sovralocali, è stata colta come opportunità di ripensare un quartiere, un lembo di città divenuto assemblaggio di scarti (dell’industria, del porto, della rete idrica con acque inquinate e spiagge-discarica) attraverso un approccio transcalare attento a proporre un modello trasferibile di intervento ma anche ad offrire una strategia spaziale, un masterplan, che crei le condizioni di base per tornare a investire collettivamente su un’idea di integrazione tra porto e città (Russo, 2016). Le attività del Laboratorio di Urbanistica e del lavoro di tesi si sono aperte al dibattito internazionale attraverso conferenze sia locali che internazionali strettamente imperniate sul tema di studio. Questo processo di “contaminazione guidata” si è sviluppato in parallelo con lezioni in aula di carattere teorico e di comparazione di casi studio e si è riflesso nell’approccio degli studenti all’idea di integrazione città-porto, declinata in un modello spaziale (il molo-penisola), funzionale (innovation dock) e di governance (sviluppo progettuale multiattoriale, compresenza di spazi infrastrutturali, privati, pubblici, semiprivati e cogestiti).
Le proposte progettuali esito delle esperienze didattiche sviluppate nel Dipartimento di Architettura di Napoli permettono di promuovere un’immagine di Napoli, città-porto del Mediterraneo, diversa da quella attualmente portata avanti dall’Autorità di Sistema Portuale. Il laboratorio sulla città dimostra che adottando una logica di cooperazione e non di competizione, la vera città-laboratorio può ancora investire sull’integrazione tra la nuova città abitabile e la sua linea di costa.

 

 

Note
1 Su questi temi si è sviluppata la ricerca svolta attraverso attività didattiche laboratoriali e tesi di laurea tenutesi presso il Dipartimento di Architettura dell’Università Federico II di Napoli tra il 2018 ed il 2019 con la collaborazione di docenti, ricercatori e studenti del Dipartimento di Architettura (coord. Prof. Michelangelo Russo con Anna Attademo, Marica Castigliano, Maria Gabriella Errico e Francesca Garzilli).
2 Laboratorio di Urbanistica del Corso di Laurea in Urbanistica, Paesaggio, Territorio e Ambiente, A.A.2018-2019, docente: prof. Michelangelo Russo.  Modulo integrato di Paesaggio: prof. Maria Gabriella Errico. Tutor: Francesca Garzilli.
3 17-18-19 Dicembre 2018. https://www.portcityfutures.nl/home.
4 Relatore: Michelangelo Russo, Correlatore: Anna Attademo. Dipartimento di Architettura, Corso di Laurea Magistrale in Architettura 5UE, Università degli Studi di Napoli Federico II, a.a. 2018/19. Voto 110 e lode e Dignità di Pubblicazione. La tesi di laurea è stata insignita del Premio per Tesi di Laurea “Artis Suavitas 2020” organizzato dall’Associazione “Artis Suavitas”.

 

Riferimenti bibliografici

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Contributo degli autori
Gli autori hanno contribuito unitariamente alla scrittura di questo articolo, tuttavia, il § 1 è stato sviluppato da Marica Castigliano, il § 2 è stato sviluppato da Anna Attademo, il § 3 da Maria Gabriella Errico e Francesca Garzilli, il § 4 da Bianca Pagano e Martina Pizzicato, il § 5 da Michelangelo Russo.

 

 

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