Call for Paper Narrazioni mediterranee

torna su

PDF

Tradizione insediativa e infrastrutture a grande scala tra le due sponde del Mediterraneo: un primo rapporto
Gentucca Canella, Paolo Mellano




Parole chiave: Architettura d’oltremare, Mediterraneo, Infrastrutture a grande scala, Rotte pendulum, Pianificazione energetica

Abstract:                 

Cosa può significare oggi volgere lo sguardo verso un altro Mediterraneo? Questo primo rapporto di una ricerca condotta tra le Scuole di Architettura di Milano e Torino, indaga l’opportunità che il progetto di architettura, in contesti non ancora contaminati dalla corsa all’Occidente, torni ad assumere un ruolo decisivo nella trasformazione degli assetti insediativi e, su un terreno più strettamente compositivo, possa verificare tradizioni ed esperienze anche distanti nel tempo e difformi negli esiti formali ma apparentate da analoghi caratteri di radicamento, identità, destinazione, contribuendo alla costruzione di una comune civiltà espressiva.




1. La quarta sponda, l’Oltremare

«Le grandi stagioni dell’architettura coincidono con periodi in cui emerge una forte autorità religiosa o politica. È stato così nel Settecento, e anche durante il fascismo e lo stalinismo e, superando la pregiudiziale politica, diciamo che in Italia durante il fascismo c’è stata parecchia architettura di qualità. [...] Sulla cosiddetta “quarta sponda” si avverte che sopravvivono forti legami con la cultura italiana d’origine. Siamo sempre lungo una costa del Mediterraneo. L’architettura dell’Italia meridionale o della Grecia… la ritroviamo in Libia in palazzi, banche, uffici di Alberto Alpago Novello e Ottavio Cabiati, o nelle case di Umberto Di Segni… Tra Roma, il Sud Italia e il Nord Africa vi sono similitudini di clima, di paesaggio, di colori. È un capitolo che andava studiato e che assolutamente non va più separato dal contesto del Novecento italiano»1 (Aldo Rossi, 1993).

Un primo approfondimento della ricerca2 ha teso a individuare alcuni processi di pianificazione urbana e insediativa del secolo scorso, in particolare nel confronto tra l’esperienza italiana e i territori d’oltremare di Libia, Algeria, Tunisia, Marocco, Eritrea, nel loro effettivo apporto alla costruzione dell’architettura e del paesaggio mediterraneo.
Si tratta del ridisegno infrastrutturale compiuto nei primi anni Trenta da una scuola minore di “tecnici-condotti” italiani (perlopiù architetti e ingegneri, civili e militari) trasferiti in A.O.I. (Africa Orientale Italiana) durante le campagne di popolamento. Di estremo interesse è risultata in particolare la costruzione di un repertorio, anche iconografico, degli interventi progettati e realizzati durante l’occupazione italiana, in parte pubblicato nei preziosi volumi Gli Annali dell’Africa Italiana3 della fine degli anni Trenta, che documenta l’effettivo contributo dell’intervento di pianificazione territoriale alla trasformazione dello stesso paesaggio africano (approvvigionamento idrico, demanialità delle acque, interventi di bonifica a fine agrario e sanitario; ridisegno generale del sistema dell’energia e della rete delle arterie di collegamento, redazione di nuovi piani particolareggiati ad opera municipale maggiormente compatibili con le realtà locali) e alla costruzione di una nuova architettura d’oltremare nella sua articolazione funzionale e figurativa (scuole e istituzioni educative, assistenza sociale e dopolavoro, industria, residenza, ospitalità e turismo, commercio) e nelle rispettive varianti tipologiche.
Così che in conclusione a quelle premesse, mantenendo viva una memoria critica tanto sulle ripetute occupazioni coloniali e le successive dittature militari quanto sulle recenti ingerenze di “benefattori” stranieri, veniva delineata la possibilità per i territori africani di costa di ripensare agli effettivi risultati derivanti, sul lungo periodo, da un nuovo processo di pianificazione urbana e di ridisegno infrastrutturale, a partecipazione statale, nel quale il progetto di architettura tornasse ad essere coinvolto nelle fasi di gestione (sociale, urbana, economica) e di trasformazione del territorio.

Oggi, con riferimento alla questione africana si ritiene, come allora, ancor più auspicabile procedere in primo luogo attraverso un riconoscimento – per le regioni del Nord Africa e dell’Africa orientale – di una condizione di appartenenza a un “bacino mediterraneo allargato”, che potrebbe trovare riscontro attraverso una rinnovata e sinergica riorganizzazione politica ed economica tra i paesi rivieraschi restituendo, e prolungandone gli intenti, il senso braudeliano di comune civiltà: «Nel paesaggio fisico come in quello umano, il Mediterraneo crocevia, il Mediterraneo eteroclito si presenta al nostro ricordo come un’immagine coerente, un sistema in cui tutto si fonde e si ricompone in un’unità originale»4 (Braudel, 1977).
Nel recente rapporto Africa’s Development Dynamics 2018: Growth, Jobs and Inequalities5, curato nel 2018 dalla Commissione dell’Unione Africana con il sostegno del Centro di sviluppo dell’Ocse, viene evidenziata la necessità, proprio per le differenze sostanziali esistenti in particolare nei processi di crescita e occupazione, di suddividere il Continente africano in cinque grandi regioni: Africa meridionale, centrale, orientale, settentrionale e occidentale. Questa seppur innovativa lettura per comparti territoriali, potrebbe trovare un’ulteriore specificità considerando le molte opportunità, per gli stati africani di costa (Nord Africa e Africa orientale), offerte dal “mare interno” inteso nel suo ruolo poleogenetico e propulsore, crocevia di un’area territoriale e culturale estremamente più estesa: «Un Mediterraneo più vasto, dunque, circonda e avvolge il Mediterraneo in senso stretto, servendogli da cassa di risonanza»6 (Braudel, 1977).
Se sono quindi oltremodo condivisibili le conclusioni riportate nel documento del 20187 che orientano le nuove politiche dell’Africa settentrionale a un’incentivazione degli scambi commerciali attraverso un investimento nelle infrastrutture e una semplificazione e riduzione delle barriere tariffarie e doganali – «armonizzando standard e normative…»,e puntando su «procedure superiori di branding, commercio al dettaglio e ricerca e sviluppo per le catene di valore incentrate sull’Africa» – i vantaggi derivanti, sul lungo periodo, dalla libera circolazione di persone, capitale e servizi tra gli stati africani tesa a «incoraggiare i servizi transfrontalieri come l’istruzione e la salute»,risulta forse meno convincente quando riferita a programmi di scambio di studenti e professionisti finalizzati alla formazione di «centri regionali di eccellenza»7.

Si tratterebbe in controtendenza, per evitare la rincorsa di modelli cosmopoliti e transcontestuali oggi così diffusi, di mettere in campo strade alternative, nuove alleanze culturali e geografiche per esempio, in questo caso, riconsiderando l’effettivo ruolo che in un futuro quanto mai prossimo sarà riservato ai paesi del cosiddetto Corno d’Africa – Eritrea, Etiopia, Gibuti e Somalia – al centro di recenti programmi di investimento internazionale.
Ma anche l’opportunità di rapportarsi a soluzioni già sperimentate in positivo da culture altre (periferiche, mediterranee, d’oltremare, perfino caraibiche), con le quali stabilire feconde comparazioni per analogia e differenza, così presenti negli ideali di acculturazione transcontinentale che hanno sostenuto la riorganizzazione sociale e territoriale del più importante polo ricreativo all’ovest dell’Avana, incentrato sul complesso scolastico delle cinque Scuole Nazionali d’Arte di Garatti, Gottardi, Porro, costruite tra il 1961 e il 1963 e destinate alla formazione di studenti di Africa, Asia e America latina.

 

2. Verso un altro Mediterraneo

«Forse è troppo presto (non abbiamo ancora messo in campo, infatti, le risorse del mare) per redigere un bilancio complessivo della zona mediterranea»8 (Braudel, 1977).

Una seconda fase della ricerca9 ha visto la costruzione di una serie di progetti e tesi di laurea fondati sull’idea che nella nuova geografia delle rotte marittime mondiali affermatasi all’inizio del Duemila (le cosiddette rotte pendulum, che da Oriente attraverso il canale di Suez passano per il Mediterraneo per andare nei porti del Nord Europa o proseguire per New York), i porti del Sud – il Mezzogiorno d’Italia e le regioni del Nord Africa – in virtù della loro posizione baricentrica, possano drenare almeno una quota parte del traffico e dei commerci transitanti nel Mediterraneo.
Ancora oggi crediamo che una innovativa fase industriale, prioritariamente fondata sulla produzione energetica e sull’integrazione delle reti infrastrutturali trasporti/energia (per esempio in una corrispondenza tra grandi impianti solari termodinamici in aree desertiche e interventi di ristrutturazione urbana e nuova fondazione nei territori di costa), potrebbe consentire anche un ragionamento più generale sull’effettivo ruolo che alcuni programmi di investimento internazionale – tra i più recenti, quelli di iniziativa cinese Belt and Road (BRI) e Global renewable-energy grid, gigantesco piano di produzione energetica mondiale tra deserto africano e Antartide – sembrano riservare all’area mediterranea nei prossimi anni, interessando solo marginalmente gli stati coinvolti e effettivamente produttori.
Se infatti la Belt and Road cinese, la “nuova via della seta”, può rappresentare un’opportunità di sviluppo delle esportazioni verso nuovi mercati e di crescita anche produttiva per i paesi coinvolti, l’utilizzo eccessivo del credito finanziario da parte del colosso asiatico, in particolare nei confronti di regioni meno evolute o più deboli finanziariamente, potrebbe dare luogo a incontrollati indebitamenti o trasformare la posizione della Cina da stato investitore-creditore ad azionista.
Una prima risposta in questo senso viene delineata, nel 2018, sul numero monografico della rivista «Mondo Cinese» dal titolo È tutta seta ciò che luccica? L’Italia e Xi: bilancio e prospettive della Via della Seta. Tra gli approfondimenti la proposta di Filippo Fasulo (Direttore del Centro Studi per l’Impresa della Fondazione Italia Cina) appare di particolare interesse:«Se, dunque, i porti della sponda Nord del Mediterraneo dovessero acquisire un graduale vantaggio relativo rispetto a quelli dell’Europa del Nord, allora ci potrebbe essere anche un effetto di ricollocazione delle principali aree manifatturiere europee verso Sud cambiando nel medio lungo periodo la geografia economica europea, al netto di altri fattori, riequilibrando il baricentro industriale europeo… […] La scelta italiana di aprirsi alla Belt and Road Initiative di Pechino assume un significato diverso… infatti, la potenzialità logistica italiana come canale di passaggio delle merci tra l’Europa e l’Oriente resta inalterata»10. Si tratta di un’importante conferma anche per le linee di indirizzo della ricerca universitaria concretizzata, tra il 2007 e il 2013, attraverso una serie di progetti e tesi di laurea coordinati da un gruppo di docenti delle Scuole di Architettura del Politecnico di Milano e di Torino11.
Con la convinzione, infatti, che la didattica del progetto debba essere fortemente connessa con la ricerca, come insegnava Roberto Gabetti12, si è pensato che coinvolgere gli studenti sui grandi temi dell’attualità potesse costituire, oltre che un collaudato metodo pedagogico, anche un modo per alimentare, da un lato, il dibattito e fecondare, dall’altro, le idee e le soluzioni possibili, così da arricchire il tavolo dell’indagine scientifica e del confronto disciplinare. Si sono così indirizzati alcuni allievi a concentrare le proprie tesi di laurea su un’ipotesi di intervento puntuale alla scala urbanistica e architettonica, in grado di incidere progressivamente anche sull’assetto produttivo e sull’infrastrutturazione territoriale delle regioni italiane del centro-sud, nella configurazione di un nuovo sistema portuale meridionale (con capofila i porti di Taranto, Gioia Tauro e Crotone in sinergia con quelli di Genova e Trieste), organizzato su “retroporti” con strutture per logistica, attività produttive, ricerca e formazione, e capace di incrementare nuove strategiche lavorazioni (manipolazione dei container, assemblaggio, confezionamento, imballaggio, terziario) e nuove filiere produttive (meccanica strumentale pesante, mezzi di produzione per l’industria di base, per l’industria ferroviaria, per la movimentazione delle merci, per la cantieristica navale, per l’industria energetica, eccetera). 
Può dunque essere questa l’occasione per precisare meglio alcuni risultati, entrando nel merito delle funzioni di destinazione e del progetto compositivo, in particolare soffermandosi su tre casi studio (di cui si riportano, nelle immagini, alcune rappresentazioni):

- Trieste: polo logistico e industriale verso l’est balcanico e mediorientale.
Il progetto ha investito l’intero fronte a mare sia rafforzando vocazioni già radicate contestualmente, sia promuovendo nuove destinazioni (dagli storici docks portuali esistenti alla riproposizione degli schemi progettuali del Concorso per gli Uffici regionali di Trieste di Guido Canella e di Aldo Rossi, fino alle nuove destinazioni per istruzione superiore e direzionalità). In particolare sulle aree libere del Porto nuovo risultanti dalla riorganizzazione dello scalo ferroviario esistente, si sono confermate e potenziate le funzioni produttive del porto triestino attraverso una serie di interventi puntuali rimandando, nella funzione e nella figurazione, alla tradizione dell’architettura industriale tedesca dei primi del Novecento; nel Porto industriale, ad incremento dello scalo legname esistente, è stata prevista la nuova Borsa legname (esposizione, spazi di contrattazione e agenzie); infine nelle aree del Porto Franco vecchio viene previsto un campus dell’istruzione superiore (Architettura, Psicologia, Ingegneria Navale) e della direzionalità triestina, organizzato su una griglia di corpi in linea sui quali aggettano in testata aule, laboratori, dipartimenti, uffici.

- Tra Messina e Reggio Calabria: attraversamento in alveo, logistica, ricerca e produzione per la Metropoli futura dello Stretto. Una nuova «idea di città-regione dello Stretto, di area metropolitana cui offrire una direzione di sviluppo che sia il riscatto di una delle zone più favorite del Mediterraneo»13 (Samonà, 1969).
Il problema dell’attraversamento stradale e ferroviario viene risolto nel progetto con la soluzione in alveo del cosiddetto Ponte di Archimede (disposto a metri - 40 sotto il livello del mare), più idonea per garantire relazioni organiche con i contesti di Reggio Calabria e Messina. Tra sponda calabrese e sponda siciliana si creano così le condizioni per un nuovo sviluppo metropolitano integrato, fondato su potenziati ruoli produttivi (siderurgia di seconda lavorazione a Reggio Calabria, cantieristica specializzata per il trasporto marittimo a Messina, entrambe già parzialmente esistenti), su nuove strutture logistiche e commerciali per le “Autostrade del Mare”, sulle connesse attività direzionali, di ricerca e formazione. Il progetto, muovendo dal luogo centrale della Real Cittadella destinata a stazione di risalita passeggeri e attività congressuali e di ospitalità, si sviluppa da un lato verso la zona Falcata con un nuovo polo della cantieristica e strutture per il tempo libero, mentre dal lato opposto prevede un nuovo fronte a mare mediterraneo con strutture portuali, di stoccaggio e prime lavorazioni per le attività delle “Autostrade del Mare”.

- Hassi R’Mel (Algeria): città di fondazione per l’energia solare termodinamica sulle coste d’oltremare in un’ipotesi di mercato alternativo. «Quella algerina è oggi la scommessa più massiccia, forse persino superiore a quella spagnola»14 (Rubbia, 2007).
Sulla sponda nordafricana, ad Hassi R'Mel (sede del più grande giacimento di gas naturale del continente africano), la Neal (New Energy Algeria) controllata dalla compagnia energetica di Stato, insieme alla spagnola Abengoa, nel 2007 era in procinto di realizzare una centrale a concentrazione solare-gas a ciclo combinato per 160 megawatt, con specchi parabolici distribuiti su una superficie di 180.000 metri quadrati.
Si tratta di un progetto pilota che prelude ad un programma molto più ambizioso: esportare in Europa attraverso cavi sottomarini l'energia prodotta dai grandi impianti solari africani. Nel progetto la città di Hassi R’Mel diventa quindi un caso studio per sperimentare, tra retroterra desertico e territori di costa, la costruzione di un sistema policentrico a rete di nuove centrali solari termiche, connesso a insediamenti di nuova fondazione strutturati per attività di ricerca, formazione e produzione nel settore energetico ma anche di trasformazione insediativa, residenza di prima accoglienza, servizi collettivi e attività di vita associata.

 

3. “Alternativa meravigliosa15, anche per l’attuale condizione di emergenza
«Eppure, sono certo, questa architettura è senza macchia. Forse per la prima volta in epoca moderna avevamo messo degli uomini ad abitare in un monumento.  Questi uomini, che erano i più poveri dell’Algeria povera, lo capirono. Sono stati loro che hanno battezzato la grande piazza “le duecento colonne”»16 (Pouillon, 1968).

Ripartendo dagli assunti e dai risultati di quegli anni, e dai successivi approfondimenti di ricerca17, si possono oggi tentare, per l’area del Mediterraneo, percorsi paralleli e complementari: sia estendendo la consueta geografia mediterranea (Penisola balcanica, Asia Minore, Italia, Complesso iberico, Africa del Nord) fino a lambire da un lato le coste dell’Africa orientale, dall’altro le isole caraibiche, oltrepassando “stretti”, “canali”, “porte marine” ormai resi sempre più accessibili dall’intervento infrastrutturale dell’uomo, sia provando a dare risposte al pressante stato di emergenza demografica, migratoria, sanitaria, sociale e ambientale, una strada parallela ma consapevole degli obiettivi strategici dei programmi della politica internazionale.
Se infatti una nuova pianificazione energetica (confermata anche da recenti processi di revisione delle direttive sulle energie rinnovabili e sull’efficienza energetica per il Green Deal europeo) e la regolamentazione delle rotte del gas naturale per la decarbonizzazione delle economie18 vedranno protagonisti, negli anni a venire, il Mediterraneo e i paesi in via di sviluppo, allo stesso modo riteniamo ci sia margine per ipotizzare che in questi territori anche le trasformazioni sociali, urbane e ambientali, al pari del progetto di architettura e di un suo ruolo operativo e rappresentativo, possano trovare riferimento in esperienze anche geograficamente distanti ma assimilabili, per tradizioni e linguaggio, a una comune civiltà mediterranea.

Provando allora a tracciare una linea figurativa che prende avvio, negli anni Trenta, dalle coste di Libia, Eritrea, Etiopia, Dodecanneso – in un confronto con esempi in Madrepatria quali la Prima Mostra Triennale delle Terre Italiane d’Oltremare a Napoli (ideata nel 1940 da Marcello Canino) e forse, ancor prima, a partire dal 1929 fino agli anni Cinquanta, nella plasticità strutturale della Palazzata di Messina di Giuseppe Samonà –, quella stessa solarità mediterranea filtrata da aspettative e comportamenti di carattere sociale e collettivo appare ricorrente in alcune realizzazioni esemplari. La si ritrova nei caratteri di contestualità, radicamento, identità di un possibile Laboratorio mediterraneo, dove emergono i segni di una storia culturale e figurativa della regione nordafricana. Risultano ricorrenti, per esempio per il caso algerino, tra gli altri: nel boulevard de la République del Genio militare; nel Plan Obus di Le Corbusier; nelle “200 colonne” di Fernand Pouillon a Climat de France, grande piazza pubblica monumentale, luogo di lavoro, residenza, mercato e scambio di una cultura dei “tre mondi” per la popolazione mussulmana più emarginata di Algeri; e possono arricchirsi anche di più recenti apporti  provenienti dalle vicine terre dell’Africa orientale: le scuole e le piscine in Eritrea di Arturo Mezzèdimi; l’albergo statale all’Asmara di Guido Canella, il Junior College a Mendefera di Roberto Gabetti e Aimaro Isola.

Così che nella attuale situazione di emergenza possono divenire altrettanto significative, per confronto, esperienze “a Sud del mondo” meno radicate a un contesto costruito ma che hanno inciso profondamente sull’organizzazione dello stato sociale e sui sistemi dell’istruzione, del lavoro, dell’abitare: in Eritrea, la ricostruzione da parte del Fronte popolare per l’indipendenza eritrea (EPLF) del sistema dell’istruzione con la fondazione, nel 1976, della Zero School, una linea di aule in trincea (più di centocinquanta centri di formazione scolastica e professionale per guerriglieri e civili) diffusa su tutto il territorio, organizzata con strutture provvisorie per evitare i bombardamenti e affiancata da ospedali da campo, laboratori, officine artigianali, tipografie; a Cuba, la “campagna di alfabetizzazione” promossa dal governo nel 1959 e la costruzione delle “scuole da campo”, sperimentali anche negli innovativi sistemi di prefabbricazione19, prodotto e simbolo, sul piano linguistico e tipologico, della più audace operazione di trasmutazione culturale della Rivoluzione.




Note

1 Aldo Rossi, Casetta nera bell’abissina, Intervista diEnrico Arosio, in “L’Espresso”, n. 43, 31 ottobre 1993.
2 Cfr. Gentucca Canella, Nuovi compiti dell’architettura in Nord Africa e in Africa orientale. Una linea figurativa fra pianificazione energetica e tradizione insediativa, in: A. Gusman, C. Pennacini (a cura di), L’Africa delle città/Urban Africa, Accademia University Press, Torino 2017, pp. 314-326.
3 Cfr. Ministero dell’Africa Italiana, Gli Annali dell’Africa Italiana, Mondadori, Roma 1938-1943.   
4 Fernand Braudel, Il Mediterraneo. Lo spazio, la storia, gli uomini, le tradizioni, Bompiani, Milano, 1977, 1985, 2020, p.7.
5 Cfr. AUC/OECD, Africa’s Development Dynamics 2018: Growth, Jobs and Inequalities, AUC, Addis Ababa/ OECD Publishing, Paris, 2018, https://doi.org/10.1787/9789264302501-en, trad. It. Le Dinamiche di sviluppo dell’Africa, 2018.
6 Fernand Braudel, cit., p. 56.
7 AUC/OECD, Africa’s Development Dynamics 2018, cit., pp. 47-48.
8 Fernand Braudel, cit., p. 27.
9 Cfr. Gentucca Canella, Verso un altro Mediterraneo. Architettura come strategia per il Sud del mondo, Nexo, Milano, 2016.
10 Filippo Fasulo, La Belt and Road Initiative: implicazioni geopolitiche per l’Italia, in Plinio Innocenzi e Renzo Cavalieri (a cura di), È tutta seta ciò che luccica? L’Italia e Xi: bilancio e prospettive della Via della Seta, in «Mondo Cinese», n. 165-166, 2018, pp. 70-71.
11 La ricerca dal 2007 al 2014 è stata così coordinata: Politecnico di Milano, Scuola di Architettura Civile, Gruppo docente: Enrico Bordogna, Gentucca Canella, Marco Canesi con Elvio Manganaro, Cecilia Bischeri.
Politecnico di Torino, II Facoltà di Architettura, Gruppo docente: Gentucca Canella con Cecilia Bischeri e Antonella Marzi.
12 Roberto Gabetti, Il progetto come ricerca scientifica, in Liliana Bazzanella, [et al.], Progetto, storie e teorie, ed. Celid, Torino 1984.
13 Giuseppe Samonà, Progetto di concorso per la Metropoli futura dello Stretto, 1969, in Francesco Cardullo, Giuseppe e Alberto Samonà e la Metropoli futura dello Stretto di Messina, Officina Edizioni, Roma 2006.
14 Carlo Rubbia, in «il Sole 24 ore.com», 8 novembre 2007.
15 Luciano Semerani, L’alternativa meravigliosa. Mirando al Sur - Clorindo Testa, Eduardo Urtubey, maestri dell'architettura argentina, in «IUAV», n. 4, maggio 2001.
16 Fernand Pouillon, Mémoires d’un architecte, Edition du Seuil, Parigi 1968.
17 Sui temi della ricerca si vedano anche le Tesi di laurea magistrale, Dipartimento di Architettura e Design, Politecnico di Torino, 2018 - in corso: E. M. Nisticò, G. Perotto, Lamezia Terme/aeroporto: dalla dismissione industriale alla nuova infrastrutturazione, Relatore: Ge. Canella, Correlatore B. Bianco, 2018; M. Barisone, N. Pozzi, Rapporto dall’Avana. Indagine sull’architettura cubana 1960-1990. Prime ipotesi per “Plaza de la Revolución”, Relatore: Ge. Canella, Correlatore: E. Morezzi, Politecnico di Torino, 2021; E. Pellegrino, B. Amica, La rotta mediterranea: il sistema dei magazzini del sale in un'ipotesi di conservazione e riconversione produttiva, Relatore: Ge. Canella, Correlatore: E. Morezzi, Politecnico di Torino, in corso.
18  Cfr. Gabriele Rosana, Le vie del gas son (in)finite?, in « DLui la Repubblica», febbraio 2021.
19 Cfr. Luigi Alini, Vittorio Garatti. Opere e progetti, Clean, Napoli 2020.







01 02 02b 03 04 05 06 07a 07b 08 09a 09b 10