Parole chiave: Paesaggio culturale, Percorsi, Geografia culturale, Architettura alpina, Comunità.
Cultural landscape, Trails, Cultural geography, Alpine architecture, Communities
Abstract:
La ricerca tenta di individuare e riconoscere la permanenza dei percorsi che, nei secoli, hanno sedimentato un patrimonio costruito diffuso nell’Europa meridionale, per provare a recuperare una dimensione dei luoghi attraverso la rete delle “vie” che li hanno attraversati e trasformati in contesti insediativi e in paesaggi; in particolare quei percorsi che hanno unito i territori tramite le lingue, le reti della circolazione delle culture tramite le arti o i saperi della cultura materiale, oppure i percorsi dei pellegrinaggi. E ancora le vie commerciali (degli scambi leciti o del contrabbando), che hanno prevalso nel tempo sulle altre fino a diventare una matrice riconoscibile e progettuale del territorio europeo.
Il Mediterraneo, durante i secoli, è sempre stato un luogo di incontri fra le culture di questa porzione del mondo. Fernand Braudel1 sostiene che la sua peculiarità non stia solamente nelle caratteristiche geografiche, ambientali e climatiche, ma soprattutto dall’essere “un mare fra le terre” attraverso il quale le tradizioni, la memoria, le identità e le culture dei popoli possono intrecciarsi, scambiarsi, arricchirsi reciprocamente in un confronto ricco e virtuoso, basato sulla continua contaminazione e ibridazione dei differenti modi di concepire l’uomo ed il mondo.
L’obiettivo generale della nostra ricerca sta nel cercare di individuare e riconoscere, nella fitta e complessa trama infrastrutturale contemporanea, la presenza, la permanenza dei percorsi che, come fili, hanno intrecciato nei secoli gli insediamenti, i paesaggi, le comunità e un patrimonio culturale nell’Europa meridionale, cioè lungo il limite settentrionale del Mediterraneo.
Si tratta di un lascito, una legacy, che appare oggi offuscata da una crescita insediativa e infrastrutturale dai caratteri pervasivi, diffusi e incrementali, che ha reso questi territori di confine un tappeto magmatico di strade, cavidotti infrastrutturali, case e capannoni nei quali è difficile riconoscere, se non puntualmente, la continuità di questa sedimentazione di lunga durata.
Oggi occorre – crediamo – recuperare questa dimensione fisica, geografica dei luoghi attraverso la rete dei percorsi, dei tracciati, delle “vie” che l’hanno attraversata e trasformata in contesti insediativi e in paesaggi, e in particolare i percorsi che hanno unito i territori tramite le lingue – la lingua occitana, ad esempio, che, come vedremo, ha raccolto i territori della fascia mediterranea tra Spagna, Francia e Italia –, le reti della circolazione delle culture tramite le arti o i saperi della cultura materiale, oppure i percorsi dei pellegrinaggi quale rete di circolazione delle persone e di costruzione di un patrimonio artistico di eccellenza lungo tutta la fascia mediterranea dell’Europa meridionale. E infine le vie commerciali – come le vie del sale, o quelle degli scambi leciti o del contrabbando –, che hanno prevalso nel tempo sulle altre fino a diventare l’unica matrice riconoscibile e progettuale del territorio europeo. (fig. 1)
A partire da una ricognizione delle indagini già svolte, e delle progettualità in corso – le reti delle ciclovie, i percorsi religiosi, le reti di trekking, ecc. – è possibile costruire una prefigurazione di scenari e di progetti in contesti locali – quale ad esempio il sistema vallivo e pedemontano dei versanti delle Alpi franco-italiane – utili a riconquistare quella dimensione geografica e culturale, oggi sovente sottovalutata, che può alimentare le visioni e i contenuti delle pratiche di riequilibrio territoriale.
Un primo esempio di questo intreccio di ricerca è riconducibile agli studi tesi ad indagare le realtà locali che hanno abitato, nei secoli, le terre fra Spagna, Francia e Italia, lungo il limite meridionale dell’Europa: si tratta delle comunità della Langue d’Oc, che a seconda della regione in cui hanno sviluppato le loro culture, assumono diverse denominazioni: in questo senso, la tesi di dottorato di R. Rudiero2, recentemente pubblicata, ha approfondito il ruolo delle “comunità patrimoniali” nelle Valli Valdesi (fig. 2), attraverso i processi di identificazione, studio, conservazione e valorizzazione del patrimonio culturale, a partire dalla Convenzione di Faro (2005) recentemente ratificata anche dal Parlamento italiano. Oggi più che mai occorre preservare e tutelare l’eredità culturale delle piccole comunità, al fine di scongiurare il rischio della cancellazione dei valori identitari a fronte dell’omologazione e dell’uniformità di stereotipi spesso avulsi dai contesti locali, e frutto soltanto delle deformazioni indotte dalle regole dell’economia e del mercato internazionale. (fig. 3)
Altro caso di studio sono le borgate alpine a cavallo del confine fra Italia e Francia o, se preferite a scala regionale, fra Provenza e Piemonte, un tempo cuore pulsante della microeconomia delle “terre alte” e oggi nuova frontiera per sviluppare i valori dell’abitare ecologico e della valorizzazione del patrimonio ambientale.
Qui il paesaggio racconta di insediamenti costruiti in armonia con la natura, con l’orografia, sfruttando i materiali del luogo, oggi diremmo “a chilometro zero”, e improntati all’ecologia e all’adattività alle condizioni del contesto.
In queste valli a circa mille metri e oltre di altitudine, in modo quasi repentino, fra il secondo dopoguerra e la fine del XX secolo, gli insediamenti dell’uomo hanno vissuto l’abbandono perché non più redditizi e, pur sempre, luoghi di estrema fatica.
Qualche anno fa, un gruppo di docenti della Scuola di Architettura del Politecnico di Torino, coordinato da Lorenzo Mamino e Paolo Mellano, ha intrapreso la catalogazione e la schedatura del patrimonio edilizio delle alte valli della Provincia di Cuneo, nel Sud del Piemonte: la collana degli Atlanti dell'edilizia nelle alte valli del cuneese3 (fig. 4) non vuole però costituire una nuova manualistica, né una raccolta di codici o regole per il buon fare; questi volumi non vogliono essere una raccolta di good practices, bensì più semplicemente una ricognizione e conseguente schedatura, un inventario parziale, anzi parzialissimo, di ciò che è stato trovato ancora intatto e che si reputa significativo, caratterizzante l’architettura dei luoghi alpini, che costituisce la memoria collettiva di chi questi luoghi ha vissuto e praticato: che siano edifici fatti bene o male interessa poco, e che rispondano alle regole delle discipline che governano il nostro mestiere (la tecnologia, o la scienza delle costruzioni, o la fisica tecnica, ecc.) importa ancor meno – anche se, spesso, queste discipline hanno attinto le proprie teorie proprio dallo studio di questi tipi arcaici –.
È curiosa, invece, l’immagine forte che questi edifici (fig. 5) conferiscono alle terre alte del cuneese: le costruzioni realizzate come ricovero dai produttori dei formaggi di alpeggio (margari), o per lo stoccaggio dei prodotti (fienili, oppure seccatoi, scapíte), o comunque come edifici a servizio della produzione agricola (costruzioni ipogee – trüne – per la produzione e conservazione dei formaggi, forni, mulini, ecc.), sono state realizzate da chi viveva in montagna senza un progetto architettonico, senza l’aiuto né la competenza degli architetti, ma solo e soltanto per rispondere alle esigenze impellenti del momento, quasi in autocostruzione.
Si tratta di un patrimonio edilizio che rappresenta un utilissimo repertorio di tipi, tecniche e materiali per chi opera in questi territori ed è chiamato a progettare ex-novo, o ristrutturare: sapere come si faceva un tetto in paglia o in grosse scaglie (scàndole) di legno, come si realizzavano le capriate arcaiche dei fienili di alta montagna, i basamenti dei seccatoi, come si approntavano le coperture delle séle (fig. 6) in pietre e terra (l'antesignano del tetto verde, per conservare il latte, il burro e i formaggi di alpeggio) possono diventare spunti da riprendere, da citare, da rielaborare per un architetto che voglia porre la propria opera in continuità con la storia, i caratteri e le identità del territorio (il che, si badi bene, non vuol dire mimesi, o peggio ancora semplice ripetizione o acritica riproposizione).
Oggi, forse perché sono rimasti cristallizzati e pressochè intatti nel tempo, questi paesaggi attraggono la nostra attenzione, ci interessano e appassionano in quanto la loro natura di luoghi e ambienti in cui la costruzione ed il suolo che la ospita sono diventati un unicum, sono divenuti rappresentativi di un mondo del quale riscopriamo valori che si erano perduti nel tempo, e dei quali, invece, vorremmo di nuovo godere.
In quest’ottica si può allora aprire un campo di lavoro in quanto la montagna, almeno in Piemonte, in queste vallate, è il paesaggio per antonomasia – paesaggio culturale, delle relazioni tra popoli - e sfondo di tutti i territori – scenario fisico che abbraccia la pianura - e quindi riferimento per ogni progetto di sviluppo e di valorizzazione alla scala regionale e transalpina.
È in questa logica che, nelle montagne cuneesi, può essere osservato un ultimo esempio: si tratta del piccolo comune di Ostana (fig. 7), nell’Alta Valle Po, che rappresenta un paradigma contemporaneo della rinascita possibile di una comunità. Una rigenerazione fondata su una mixité di soggetti e attori, di valori in campo - sociali, culturali, ambientali - e di pratiche che hanno invertito la rotta del declino demografico, traghettando il comune dai sei residenti degli anni ’80 agli oltre ottanta abitanti attuali, dopo la grande depressione che in poco più di mezzo secolo aveva visto “scomparire” dall’insieme delle borgate – verso il sud della Francia prima, verso Torino poi – gli oltre mille e duecento abitanti censiti all’inizio del XX secolo.
In questo processo di rinnovamento, attuatosi in quasi tre decenni, il cardine della visione strategica è stato proprio l’intreccio tra il riuso e il rinnovamento del patrimonio architettonico, la promozione culturale – a partire dalla lingua e la cultura Occitana – e il sostegno e lo sviluppo delle micro-economie locali – accoglienza, agricoltura in primis –.
Il rilancio dell’architettura, e con essa dei valori del paesaggio locale, è stato avviato negli anni ’80 dall’architetto locale Renato Maurino ed è proseguito, negli ultimi due decenni, con i progetti e le attività di accompagnamento all’amministrazione da un insieme di docenti del Politecnico di Torino – coordinati in varie occasioni da Massimo Crotti e Antonio De Rossi – e di alcuni professionisti – tra i quali ricorrono i nomi degli architetti Marie-Pierre Forsans e Luisella Dutto – che hanno messo a punto un numero articolato di interventi4 fondati sui princìpi del riuso adattivo del costruito in abbandono e sulla reinterpretazione e innovazione dei caratteri della tradizione architettonica alpina. (fig. 8)
L’altro volano centrale nel processo di rinascita di Ostana, e reciprocamente legato al precedente, è stata la promozione di azioni culturali con al centro la valorizzazione della lingua e della cultura Occitana – attraverso le attività del comune e dell’associazione culturale Chambra d’Oc – la quale ha consentito di istituire il Premio Ostana – Scritture in lingua madre (arrivato alla XIII edizione), la Scuola di cinema L’AURA coordinata da Giorgio Diritti e Fredo Valla e il Centro studi dei fiumi alpini Alpstream. Attività che, insieme a molte altre iniziative – mostre, incontri, laboratori, proiezioni –, hanno trovato “casa” dal 2015 nel Centro Culturale Lou Pourtoun5(fig. 9), l’intervento identitario e simbolico della rinascita del piccolo borgo montano.
Il terzo caposaldo del processo rigenerativo è stata la riattivazione dell’economia locale – capace di utilizzare proficuamente il sostegno delle risorse pubbliche dentro una visione strategica – che si è fondata sull’accoglienza turistica – alternativa, consapevole, misurata – e sui servizi ad essa associati, oltre che sulla ripresa dell’agricoltura montana e di nuove piccole attività produttive e commerciali, tra cui quella di un fornaio dopo decenni di assenza.
Ciò che Ostana ha messo in atto, e che ha rappresentato la sua principale forza, è stato un intreccio concentrato di valori e di azioni: radicato nelle relazioni del territorio e attivo nella duplice dimensione locale/globale, capace di recuperare le matrici di lunga durata – la rete della Langue d’Oc, l’architettura alpina, il paesaggio – e di cogliere le opportunità, e il sostegno, dei network di una comunità plurima – i nuovi abitanti, le università e gli istituti di ricerca, i promotori economici e culturali – che appare ormai irreversibilmente estesa al di là dei confini locali.6
Ostana, ovviamente, costituisce un caso di studio particolarmente virtuoso, che ha visto nel tempo affermarsi straordinarie sinergie fra gli abitanti, l’Università, il mondo delle imprese e delle professioni, e il mondo della politica, locale e regionale, che hanno consentito la realizzazione di operazioni di valorizzazione e riqualificazione del territorio – in parte ancora in atto – con risultati di grande qualità. Forse si tratta di una “congiuntura astrale” particolare o di più o meno fortuite coincidenze che i protagonisti dei processi di trasformazione hanno saputo cogliere con sapienza e lungimiranza, ma è importante osservare che la realtà di Ostana oggi non è più un caso isolato, perché sull’arco alpino occidentale stanno fiorendo, prevalentemente nelle Valli del cuneese e del torinese, ma non soltanto, alcune operazioni se non simili negli esiti, affini nell’impostazione bottom-up e nella partecipazione attiva e sinergica di operatori pubblici e privati.
In tutte queste esperienze, seppure circoscritte geograficamente, ci sembra emerga, e si consolidi, l’idea che la sponda settentrionale del Mediterraneo rappresenti, ancora oggi, un territorio vivo e dalle identità articolate, nel quale le culture dei popoli, delle comunità si intrecciano e si alimentano vicendevolmente, acquisendo nei propri caratteri e tradizioni elementi tratti dal confronto con l’altro, ma in modo autonomo e resiliente rispetto al paesaggio culturale locale.
Queste caratteristiche, a nostro giudizio, sono essenziali e ci consentono di descrivere e considerare il Mediterraneo come il luogo – “mare fra terre” – dell’incontro tra identità e memorie differenti che, attraverso le molteplici interrelazioni, avviano un dialogo straordinario e paritetico, senza prevaricazioni di valori, ma anzi, al contrario, dimostrando che sono tutte in grado di ripensarsi autonomamente intrecciandosi fra loro.
Note
1 Fernand Braudel (a cura di), La Méditerranée. I, L'éspace et l'histoire; II, Les hommes et l'héritage, Paris, Arts et Métiers Graphiques, 1977-1978, trad. it. Il Mediterraneo. Lo spazio, la storia, gli uomini, le tradizioni, Milano, Bompiani, 1987
2 Riccardo Rudiero, Comunità patrimoniali tra memoria e identità. Conoscenza, conservazione e valorizzazione delle Valli Valdesi, Perosa Argentina (TO), LAR Editore, 2020
3 Sono usciti finora 7 volumi, tutti editi dal Politecnico di Torino: Le valli Monregalesi (a cura di Lorenzo Mamino, 2001), La valle Varaita (a cura di P. Mellano, 2003), La valle Tanaro (a cura di L. Mamino, 2004), La valle Pesio (a cura di L. Mamino, 2006), La valle Maira (a cura di Claudia Bonardi, 2009), Le valli Vermenagna, Gesso e altre valli confluenti (a cura di L. Mamino, 2011), la valle Stura e le altre valli confluenti (a cura di L. Mamino e Roberto Olivero, 2013)
4 I principali interventi pubblici realizzati dal gruppo di progettisti nel comune di Ostana sono:
5 Lou Portoun è un centro polifunzionale e culturale nella Borgata Mirabrart di Ostana; realizzato con finanziamenti del PSR 2007-13, è gestito da un’associazione di giovani della valle e accoglie, oltre a una caffetteria, la maggior parte degli eventi pubblici e culturali che animano la nuova comunità del piccolo borgo alpino.
6 Massimo Crotti, Ostana, alta Valle Po. La rinascita di un borgo alpino, in: “ECO WEB TOWN Journal of Sustainable Design”, n. 19, I/2019, giugno 2019, Ediz. Spin Off SUT – Università di Chieti-Pescara.