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La Via Istmica Sibari-Lao
Per un atlante della memoria
Fabrizia Berlingieri, Dipartimento di Architettura e Studi Urbani, Politecnico di Milano 

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Parole chiave:           transetto territoriale; territori fragili; architetture della memoria; dispositivi progettuali
                              territorial transect; fragile territories; architectures of memory; design devices

 

Abstract:
               
Rispetto alla direttrice di attraversamento longitudinale nord-sud, consolidata nella via ab Rhegium a Capua e oggi sostanzialmente rintracciabile nel percorso autostradale, il periplo costiero e le direttrici trasversali restituiscono il complesso palinsesto territoriale calabrese, rivelandone la natura di crocevia terrestre e marittimo del Mediterraneo. Il contributo di ricerca assume il tracciato istmico Sibari-Lao1 quale paradigma indiziario dei caratteri insediativi e dell’intrinseco e conflittuale rapporto che le eterogenee testimonianze storico-architettoniche intessono con il paesaggio naturale ed antropico, traghettandole in un’inedita narrativa comune all’interno delle attuali dinamiche di trasformazione e riappropriazione culturale.




 

Un transetto territoriale di attraversamento

La Calabria, oggi per lo più attraversata e percepita nella sua direttrice longitudinale, custodisce uno stratificato palinsesto di connessioni che testimonia il ruolo di crocevia terrestre e marittimo del Mediterraneo. Durante le colonizzazioni greche (VIII-III sec. a.C.) e poi con il monachesimo basiliano (VII-XI sec. d.C.), la regione è stata abitata ed attraversata utilizzando almeno tre importanti trasversalità: da Locri a Rosarno-Gioia Tauro; da Squillace a Lamezia Terme; da Sibari a Lao- Belvedere-Nocera Terinese (Mollo, 2018). Tali direttrici sono caratterizzate dalla presenza di importanti aste fluviali o dalla natura eccezionalmente pianeggiante del territorio e rintracciano ancora oggi, anche se in modo frammentario, le principali vie terrestri di collegamento tra i due mari (fig. 1). Sono state vie di commercio e di comunicazione tra popoli e culture differenti posti a contatto come i grani di un rosario, in una regione la cui internità offre riparo, ma anche isolamento.

Sibari, al tempo degli Achei e dei Dori, contava una popolazione di circa trecentomila abitanti2. La città non era solo popolata nel suo centro, ma si estendeva fino alle pendici del sistema collinare e montuoso che disegna tutt’ora la stanza paesaggistica della foce dei fiumi Crati e Coscile, l’antico Sybaris per l’appunto (Federico, 1976). Un’estensione inimmaginabile osservando oggi il paesaggio antropico della Piana. Rifondata e distrutta più volte, la città di Sibari è stata il centro di un complesso sistema territoriale comunicante con la costa tirrenica e l’alta valle del Crati, rappresentando il più importante insediamento coloniale greco della storia italica, seppure per un breve periodo (Delia e Masneri, 2013).
Nell’arco di trecento anni circa, che intercorrono dalla sua fondazione (metà VIII sec. a.C.) alla sua prima distruzione per mano dei Crotoniati sul fiume Trionto3 (510 a.C.), Sibari esplora e assoggetta ai suoi culti religiosi ed ai suoi costumi sociali diverse popolazioni autoctone o ancora persistenti nella regione4, seguendo tre direzioni principali che collegano la polis magno-greca dallo Jonio al Tirreno, stabilendovi alcuni porti commerciali. Partendo da Sud si trova Temesa, collocabile nei pressi dell’attuale territorio tra Falerna-Nocera Terinese-Amantea, lungo i fiumi Grande e Savuto. Risalendo la costa verso Nord, si tramanda l’esistenza della località Scydrus, non ancora esattamente identificata ma verosimilmente compresa tra i centri di Belvedere e Cetraro, seguendo il corso del fiume Esaro per poi ridiscendere la catena appenninica. Infine, la terza via verso il Tirreno è quella di Laos (Greco e La Torre, 1999), al limite del Golfo di Policastro, la cui struttura insediativa è stata individuata sulle pendici collinari in prossimità della città di Scalea e vicino la foce dell’omonimo fiume Lao. Proprio il rinvenimento dell’originario impianto urbano (Aversa e Mollo, 2010) costituisce evidenza di questo attraversamento commerciale, anche se l’esatto tracciato, il percorso, non è stato mai identificato con precisione (fig.2).

«Per la loro doppia alleanza, da un lato coi Milesi, dall’altro con gli Etruschi, i Sibariti si assicurarono, nel commercio dell’Asia minore con l’Etruria, un’analoga missione di depositari e d’imprenditori del transito fra il mar Jonio e il mar Tirreno, ed è a ciò che dovettero la loro prodigiosa e pronta ricchezza. Il punto che avevano scelto per la loro residenza, con una notevole sicurezza d’intuito, presenta una strozzatura marcatissima lungo la parte meridionale della penisola italiana, quasi un istmo racchiuso tra il golfo di Taranto e l’estremità est del golfo di Policastro; nel contempo in siffatta strozzatura, un colle di facile accesso, quello di Campotenese, offriva un comodo passaggio per traversare le montagne che separano i bacini dei due mari. In due giornate in carretto, ovvero a dorso di bestie da soma, una balla di mercanzie, sbarcata al porto di Sibari nel mar Jonio, era consegnata al porto di Laos nel mar Tirreno.» (Lenormant, 1881)

Le principali ipotesi sul tracciato fanno riferimento ad alcune cartografie storiche5, agli studi archeologici condotti sul campo (Romanelli, 1963) ed alla morfologia del territorio, cioè alle modalità di attraversamento favorite dalla condizione orografica, individuando il percorso che da Sibari, seguendo il corso del fiume Coscile6, raggiunge il valico di Campotenese a quota 1.108m per intercettare il fiume Lao e ridiscendere verso la costa tirrenica7.

Accanto all’etereità del tracciato, alla sua invisibilità rispetto all’originaria configurazione, coesistono due aspetti importanti che la ricerca assume come quadro di riflessione critica. Il primo riguarda la preminenza del valore paesaggistico della via istmica che si definisce nell’attraversamento di tre stanze territoriali: la Piana di Sibari, eccezionalmente descritta dallo stesso Lenormant (1881); l’altopiano di Campotenese nella direttrice nord-sud del percorso autostradale che traguarda i due mari alle spalle del Massiccio del Pollino e delle sue cavità abitate; la stretta e angusta ridiscesa del Lao caratterizzata da una natura ancora oggi indomita. Il secondo aspetto riguarda il tema di una persistenza insediativa.
Come accennato in precedenza, infatti, l’attraversamento greco non avviene in un territorio disabitato, al contrario scandito da numerose testimonianze archeologiche appartenenti a diverse epoche che lo hanno utilizzato prima e dopo il periodo sibarita. Si tratta di villaggi paleo e neolitici, necropoli italiche, grotte abitate per secoli, città greche, statio e masserie romane, chiese e monasteri bizantini, santuari ed eremi rupestri basiliani, fortificazioni e castelli longobardi e normanni. Proprio il tracciato, seppure nella sua invisibilità, è ciò che è perdurato nei secoli, testimoniato ancora oggi dalla presenza di diversi centri interni, minori e in fase di abbandono o decadimento, con un continuo farsi e disfarsi delle civiltà che li hanno abitati. Civita, Castrovillari, Mormanno, Morano, Laino, Papasidero si sono ricostruiti più e più volte a partire dai resti del passato e dal reimpiego dei materiali da costruzione senza soluzione di continuità, in una prospettiva di riciclo insediativo ante litteram (Teti, 2011). Una varietà di testimonianze e popoli che hanno percorso la via di transito e disegnato un complesso palinsesto territoriale, culturale e storico-architettonico oggi quasi dimenticato, visibile solo in ormai muti e disconnessi frammenti8.


Un atlante come paradigma indiziario

La ricerca assume il palinsesto territoriale del transetto Sibari-Lao non solo come sostrato materiale e insieme di memorie delle dinamiche storico-insediative susseguitesi per secoli (Corboz, 1985), ma anche quale condizione di campo in cui i processi di metamorfosi e alterazione sono parte integrante di un costrutto culturale, dove le pratiche sociali costruiscono o resistono allo stesso substrato fisico (Romolina e Kuipers, 2004). Tale precondizione permette una riformulazione semantica dello stesso transetto, innestando una narrativa comune, un filo che tiene assieme i luoghi e le specifiche condizioni ambientali. In questo quadro, architettura e luoghi si intrecciano con la dimensione territoriale, attraverso la compresenza di scale spaziali e temporalità differenti. L’eterogeneità di osservazione, territoriale ed architettonica, e la dimensione diacronica con cui la ricerca si misura costruiscono uno specifico approccio di metodo per l’articolazione dello studio, una seconda precondizione specifica di ricerca. Alla scala ampia il transetto Sibari-Lao è rappresentato attraverso l’aporia del tracciato cartografico (Fig.2), e la sua narrazione si snoda in un racconto fotografico delle tre stanze paesaggistiche che esso attraversa con una rinnovata attenzione alla costruzione dinamica del paesaggio, dei suoi usi e delle sue manipolazioni (Fig.3;4;5).

Alla scala architettonica i luoghi sono rappresentati nella loro consistenza fisica e materiale, come oggetti paradigmatici di un insediamento stratificato che di volta in volta si esprime attraverso compresenze conflittuali, come ad esempio quelle riguardanti le presenze archeologiche e le dotazioni infrastrutturali. Rovine silenziose che ingaggiano un dialogo controverso con le dinamiche spaziali attuali e che rivendicano nuove azioni progettuali. La doppia ossatura, che comprende un livello di osservazione ed uno di restituzione, si concretizza nella redazione di un atlante topologico.

«Topological maps are graph-like spatial representations. Nodes in such a graph often represent states in the agent’s configuration space and edges represent system trajectories that take the agent from one state to another». (Romolina e Kuipers, 2004)

La definizione di un atlante topologico, costituito da materiali eterogenei e ricollegati da una narrativa comune, ha come obiettivo restituire valore ai luoghi ed al tempo stesso ridefinirne possibili relazioni. Da un punto di vista linguistico il termine topologia si esplica con differenti gradi di ambiguità. Da un lato esso, infatti, esprime un valore descrittivo, un topos, un luogo o un luogo comune nel discorso, dall’altro costituisce argomentazione stessa del discorso in sé. È quindi al tempo stesso descrizione e motivo di argomentazione, come nella ricerca i luoghi sono descrizione di un tracciato invisibile e al tempo stesso argomentazione dell’obiettivo del contributo: ritrovare una possibile narrazione della direttrice Sibari-Lao, nel tentativo di traghettarla all’oggi e di restituirne le relazioni proprio attraverso il perdurare del tracciato nella memoria collettiva. La topologia viene assunta anche, e soprattutto, come risorsa concettuale per il contributo proposto, la cui declinazione suggerisce, infatti, un’idea di architettura intesa come costruzione di uno spazio non metrico ma qualitativo, foriero di relazioni, e aderente a una concezione fenomenologica.

«Topology is meant to wave meaningful symbolism back into a particular place by understanding its terrain and surface condition, as well as by modifying the inherent significance of natural features as they interact with the purpose of human being, daily life and destiny.» (Girot, 2013)

L’atlante è esso stesso spazio topologico, dove le tessere o i luoghi del tracciato sono ordinati in inedite relazioni manifeste nella ragione del palinsesto. Esso mette assieme frammenti eterogenei per riformarli in nuove strutture di significato. La ricognizione, catalogazione e mappatura dei luoghi di interesse archeologico e storico-architettonico – azione difficoltosa per la frammentarietà dei dati reperibili – restituiscono un quadro ampio e diacronico delle modalità insediative, tracciandone i profili tipologici per riscrivere, in maniera volutamente falsificata, l’itinerario istmico (Fig.6).

A questa azione si associa l’indagine sulla legittima dimensione storica della Sibaritide, in una inconsueta mappatura diacronica, risollevando il monito di damnatio memoriae che ha colpito più e più volte questi luoghi, e che ancora oggi non cessa di perpetuarne l’antica condanna. Essa, inoltre, trasfigura le modalità insediative e restituisce i caratteri monumentali dell’abitare in questi contesti: l’ergersi nel paesaggio, il rapporto con il suolo, l’osservazione dall’alto, l’antro come archetipo spaziale di spiritualità e ritiro. (Fig.7; 8)


Progetto e territori fragili: alcune prospettive preliminari

Il contesto progettuale in cui queste azioni si collocano opera per la ricostruzione di reti territoriali e di sinergie socio-economiche virtuose, avvicinando pratiche e posizioni che guardano alle fragilità territoriali come una sfida complessa e importante per il futuro del Paese. La consapevolezza di un cambio di prospettiva radicale, rispetto al paradigma della densità come fattore di crescita collettivo che ha il suo fulcro nel modello urbano, comporta un movimento laterale e una riflessione sul ruolo del progetto in contesti marginali. Appare necessario ripensare, infatti, le possibili relazioni tra le armature urbane più complesse e le aree interne, e quindi le possibili opportunità che le stesse possono offrire per considerare su quali premesse proporre una nuova cultura abitativa in territori marginali. Le azioni in atto, per lo più frammentarie, che nascono dal basso e che a volte trovano improvvisamente le luci del palcoscenico come best practices di livello nazionale o internazionale, in realtà incidono poco le politiche generali e l’immaginario collettivo. E allora il contributo proposto, nel suo posizionamento, fa leva sulla necessità di strategie progettuali di accompagnamento alle politiche nazionali ed alle istituzioni locali e sulla necessità di immaginare e dare forma a modelli culturali altri, non alternativi alla città, non di contrapposizione, ma di mutuo sostegno.
All’interno del percorso di ricerca la costruzione di un progetto per questi territori avviene anche attraverso la sperimentazione didattica, come forma di condivisione e di allargamento delle posizioni. In particolare, per gli anni accademici 2020-2022, il tema della Via Istmica Sibari-Lao è al centro di un’esperienza laboratoriale condivisa tra il Politecnico di Milano e TU Delft9. Gli studenti sono chiamati ad individuare non tanto programmi di riqualificazione per queste tessere dimenticate, ma di interpretarne il valore insediativo e di potenziarne la visibilità, attraverso configurazioni semplici e che guardano alle architetture ed ai luoghi come simboli di un abitare ancestrale, come archetipi insediativi (Fig.9; 10).

La ricerca, in itinere, si fa esplorazione complessa ed occasione metodologica per sondare le possibilità del progetto in contesti marginali e testare pratiche alternative di fruizione del patrimonio. Il contributo ha quindi una natura strategica di intervento metaprogettuale e diventa strumento pubblico in considerazione dell’urgenza di proporre ed attuare le necessarie misure di salvaguardia e valorizzazione di questa sezione territoriale, e dei luoghi della memoria, all’interno delle più contemporanee dinamiche di trasformazione. Inoltre, le politiche regionali e nazionali in materia di mobilità lenta e turismo sostenibile, ad esempio che guardano alla realizzazione di nuove ciclovie e sentieri storici10, possono indirizzare verso logiche di fruizione e attraversamento per queste aree, che ancora rivestono un ruolo del tutto marginale per oblio della memoria e scarsa attenzione culturale, e per i quali è necessario uno sforzo di visione.




Note

1 La ricerca è parte del Cluster Nazionale Medways. Le vie del Mediterraneo una ricerca promossa dall’Accademia dei Lincei di Roma. Essa, inoltre, è svolta all’interno dei temi e delle attività del Dipartimento di Eccellenza DAStU 2018-2022 Fragilità Territoriali del Politecnico di Milano.
2 Per una breve storia di Sibari e delle sue ricostruzioni si veda la voce Sibari, a cura di Pier Giovanni Guzzo per l’Enciclopedia Italiana Treccani, IV Appendice (1981) su https://www.treccani.it/enciclopedia/sibari_%28Enciclopedia-Italiana%29/ (ultimo accesso: 25.5.2021).
3 Dopo la distruzione di Sibari, la città venne rifondata per volere di Pericle sullo stesso sito, fondando la colonia panellenica di Thurii (443 a.C.) con un impianto urbano ippodameo e in epoca romana prende il nome di Copia, con estensioni e importanza minori, abitata fino al V-VI sec. d.C.
4 In particolare, le popolazioni Enotrie ed Italiche presenti nella piana di Sibari, e rintracciate nei siti archeologici di Francavilla Marittima (media età del bronzo e periodo protostorico sec. IX-VIII a.C.), di Favella della Corte (villaggio neolitico) e del Broglio di Trebisacce (media età del Bronzo, periodi proto-appenninico e appenninico 1700-1350 a.C.), mentre le popolazioni autoctone, come quelle dei Brettii, nella parte più interna del Massiccio del Pollino.
5 Soprattutto si fa riferimento alle carte geografiche della Tabula Italiae medii aevi. Graeco Langobardico francici accurante societate Palatina / Spinelli delineavit; Angela Baroni incid. (1680-89); ed alla carta della Calabria, ad opera di E. Danti - L. Holstein (1580-1620), nella Galleria delle Carte Geografiche presso i Musei Vaticani
6 Oggi il fiume è affluente terminale del Crati, anche se al tempo aveva un alveo indipendente e costituiva il limite nord della stessa città sibarita, identificato appunto nel’antico fiume Sybaris.
7 Ad avallare questa ipotesi recentemente sono stati effettuati scavi archeologici con il ritrovamento di un probabile insediamento intermedio alle località Santa Gada e San Primo nel territorio di Laino (Mollo,2020).
8 Già dal 1700, con l’avvento del Grand Tour in Calabria, le vestigia del passato apparivano ai viaggiatori come fantasmi, resti muti, lacerti quasi incomprensibili. Tra questi si ricordano le testimonianze lasciate da Edward Lear, Norman Douglas o ancora l’Abate di Saint-Non.
9 La sperimentazione di didattica congiunta è iniziata nel secondo semestre del 2021. I laboratori coinvolti sono Intersections Studio - Architectural Design Crossovers (docenti: Roberto Cavallo, Alper Semith Alkan, Johan van Lierop, Joran Kuijper, TU Delft) e Architectural Design Studio - Architectural and Urban Design (docenti: Fabrizia Berlingieri, Antonio Buonsante, Pierpaolo Tamburelli, Politecnido di Milano).
10 Solo per citare alcuni esempi si fa riferimento al progetto interregionale delle Ciclovie dei Parchi (2019), al progetto Nazionale Ciclovie del Mediterraneo e Ciclovia della Magna Grecia, o al progetto di mobilità lenta Sentieri Basiliani a livello regionale.

 

Riferimenti bibliografici

Aversa, G.; Mollo, F. (2010) Il Parco del Laos. Guida all’area archeologica di Marcellina, Soprintendenza dei beni Archeologici della Calabria, Scilla IT.
Corboz, A. (1985), “Il territorio come palinsesto”, Casabella, 516, pp.22-27.
Delia, G., Masneri, T. (eds.) (2013), Sibari. Archeologia, storia, metafora, Edizioni il Coscile, Castrovillari, IT.
Federico, D. (1976) Sybaris, Editrice MIT, Cosenza, IT.
Greco, E., La Torre, G.F. (1999), Blanda Laos Cerillae. Guida archeologica dell’Alto Tirreno Cosentino, Paestum, IT.
Lenormant, F. (1881), La Grande Grèce (vol. 1 et 2: Littoral de la mer Ionienne ; vol. 3: La Calabre), A. Levy libraire-editeur, Paris; (II ed. it.) Lucifero, A. (ed.) (1975), Francesco Lenormant, La Magna Grecia. Paesaggi e Storia, Litorale del Mar Jonio, vol.1, Frama Sud spa, Chiaravalle Centrale, IT.
Mollo, F. (2018), Guida Archeologica della Calabria Antica, Rubbettino Editore, Soveria Mannelli, IT.
Mollo, F. (2020), “La valle del Lao-Mercure: un quadro archeologico alla luce delle nuove ricerche a S. Gada di Laino Borgo”, Thiasos, vol.9:1, pp. 77-113.
Remolina, E., Kuipers, B., (2004) “Towards a general theory of topological maps”, Artificial Intelligence, vol.152 (1), pp. 47-104.
Romanelli, P. (ed.) (1963), Vie di Magna Grecia. Atti del secondo convegno di studi sulla Magna Grecia, Taranto 14-18 Ottobre 1962, Istituto per la Storia e l’Archeologia della Magna Grecia, L’Arte Tipografica, Napoli, IT.
Teti, V. (2011), Pietre di Pane. Un’antropologia del restare, Quodlibet Studio, Macerata, IT.






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