EcoWebTown Journal of Sustainable Design
Rivista semestrale on line | Online Six-monthly Journal
Parole chiave: Collage, Bunker, Archeologia, Roma, Rigenerazione, Practice based research
Abstract:
La città contemporanea come luogo dove conflitto e contraddizione diventano operanti. Oggi è “normale” incontrare un checkpoint a presidio dei monumenti storici delle nostre metropoli. Ma se esiste (come ha dimostrato Paul Virilio in «Bunker Archeology») un’istanza estetica delle costruzioni militari, allora possiamo trasformare questa condizione di ambiguità in un’opportunità progettuale.
Le architetture con funzione militare sono pensate per difendere e proteggere dall’attacco di agenti esterni: rappresentano, alla luce degli scenari dell’emergenza odierni (pandemia e cambiamento climatico), un utile riferimento ed un possibile nuovo «luogo» del progetto.
I Bunker sono oggetti che intercettano qualità archetipiche e simboliche in grado di essere trasportate all’interno di un nuovo repertorio operativo
Roman Bunker Archeology. Il collage come progetto di architettura.
1.
Atemporalità della forma e transitorietà della funzione sono invarianti dell’architettura ricorrenti attraverso la storia. Riconoscere queste qualità ontologiche del manufatto, nel suo sviluppo diacronico, osservando quindi le mutazioni (o la permeabilità ad esse) che una determinata configurazione subisce nel tempo, ci permette di interpretarla nel suo complesso, di leggerla in modo esaustivo e consapevole.
L’instabile pericolosità della condizione contemporanea, sia antropologica che sociale, richiede alle discipline del progetto una radicale ridefinizione delle proprie istanze (funzionali, morfo-tipologiche, tecnologiche, etc.) nel quadro di una ricollocazione delle stesse, all’interno di uno scenario di sviluppo e di ricerca condiviso, trasversale e proattivo.
Per far questo oltre all’analisi iconografica di un determinato episodio (o “reperto”) per scomposizione delle sue parti (Prati, 2016), risulta necessario riconoscere e sottoporre a verifica, attraverso il collage digitale visto come progetto in sé per sé (Prati, 2018), le teorie contemporanee che hanno fondato il proprio pensiero sul ruolo determinante della forma architettonica in rapporto al tempo ed alla storia.
In questo senso, ritengo fondamentale il contributo offerto alla disciplina dal filosofo, scrittore ed urbanista francese Paul Virilio che nel 1975, dopo aver assunto la direzione dell’ESA (Ecole Spéciale d’Architecure), organizza presso il Museo di Arti Decorative di Parigi la mostra “Bunker Archéologie” ed edita la relativa pubblicazione, dedicata ad una magistrale lettura critica dei bunker del Vallo Atlantico (l’ampio sistema di fortificazioni costiere costruito dal Terzo Reich durante la seconda guerra mondiale ed esteso lungo tutte le coste dell'Europa nord-occidentale).
La stringente attualità di questa testimonianza emerge dalle parole di Virilio quando afferma che
“Il bunker del Vallo Atlantico ci ammonisce meno sugli avversari di ieri, piuttosto che sulle guerre di oggi e di domani: guerra totale, rischio diffuso, istantaneità del pericolo, la grande fusione tra militare e civile, omogeneità del conflitto. (…). Anacronistico in periodi normali, in tempo di pace, il bunker appare come una macchina di sopravvivenza, come un sottomarino naufragato sulla spiaggia” (Virilio 1994)
Esso è un “oggetto” architettonico in grado di esprimere una metafisica implicita, propria di ogni opera ďarte (ovvero il suo essere solidale con un principio ed un’idea assoluta), una qualità che lo proietta in una condizione temporale sospesa tra continuità e discontinuità
“questa attuale frattura archeologica mi porta a riconsiderare il problema degli archetipi architettonici: la cripta, l’arco, la navata (…). Una serie completa di memorie culturali si affacciano alla mente: le Mastabas egiziane, le tombe etrusche, le strutture atzeche…come se questo pezzo fortificato di artiglieria potesse essere identificato con un cerimoniale funebre” (Virilio 1994)
Ma non solo, attraverso la sua peculiarità tipo-morfologica, il bunker perviene ad una ambivalenza di fondo, è una forma in equilibrio tra due dimensioni opposte
“La funzione di questa struttura così particolare è di assicurare la sopravvivenza, di essere rifugio per l’uomo durante tempi di crisi, il luogo dove si sotterra per esistere. Se essa allora appartiene alla cripta che prefigura la resurrezione, il bunker appartiene anche all’arca che salva, al veicolo che allontana dal pericolo scavalcando rischi mortali” (Virilio 1994)
Questa stratificazione di significati e di funzioni che nel tempo si sono sovrapposte ad una forma assoluta (di cui il bunker intercetta pienamente le caratteristiche dimensionali e spaziali), configura una possibilità di lettura della storiografia architettonica, che si oppone alla linearità di un ragionamento “evoluzionistico”, ossia rivolto a reificare il progetto rispetto all’oggetto.
In questo quadro il bunker costituisce una sorta di laboratorio processuale del Movimento Moderno; il filosofo francese è in particolar modo colpito, nel corso dei suoi sopralluoghi in Normandia, dalla compresenza tra cluster di housing suburbani e bunker tedeschi.
“Perché continuare a sorprendersi delle forme dell’architettura moderna di Le Corbusier? Perché parlare di “brutalismo”? e, sopratutto, perché questo habitat così ordinario per così tanti anni? (…) questo paragone immediato tra habitat urbano e rifugio, tra un ordinario edificio per appartamenti ed un bunker abbandonato (…) era duro come uno scontro, un collage tra due realtà dissimili” (Virilio, 1994)
Forse è proprio in ragione di questo scontro tra realtà dissimili che possiamo comprendere perché la stanza, la casa, l’edificio, il quartiere e la città nel corso del Novecento diventeranno luoghi dapprima familiari poi inospitali e via via sempre più scenari di catastrofi e spazi di conflitto. In tal senso, Nicola Emery nel suo recente studio dedicato al rapporto “entropico” che lega architettura a distruzione ci parla di una
“mutilazione della sfera pubblica, ibernata, ridotta letteralmente ad un generico cimitero, lasciando affiorare un completo rovesciamento della promessa di felicità nella sfera dello spaventoso, del radicalmente inabitabile. L’esperienza ´semplicemente´ cronachistica, della ´casa-ossario´ oltre a confermare – come aveva previsto Adorno – che «la casa è tramontata» e che «abitare non è più praticamente possibile», fa sorgere il dubbio che l’essere «imbalsamati vivi» e l’essere sepolti da vivi non siano affatto condizioni estranee all’esperienza contemporanea.” (Emery, 2011)
In questo senso casa ed abitare oggi (in tempo di pandemia e relativo distanziamento sociale) ricordano il rientro “primordiale” dell’uomo nella sua caverna: la verticalità dell’edificio si ribalta proiettandoci in una “vita capovolta” che è “casa sepolcro” ma anche “stanza astuccio”
2.
Questa duplicità di interpretazione ed ambiguità di senso è caratteristica essenziale, in termini psicoanalitici, del simbolo; infatti, se focalizziamo ľ attenzione sul rapporto di consequenzialità tra contraddizione e immagine archetipica, la lettura di Virilio si avvalora ulteriormente: il simbolo (la manifestazione segnica dell’archetipo) unifica coppie di opposti, come descrive Jolande Jacobi storica collaboratrice e seguace di Carl Gustav Jung.
“La psiche, come specchio ed espressione del mondo interno ed esterno crea simboli e li trasmette da anima ad anima. “Habentibus symbolum facils est transitus” ama citare Jung da un vecchio trattato di alchimia, intendendo il “passaggio” tra tutti gli opposti psichici, ossia inconscio e coscienza, oscurità e chiarezza, tra illibertà e liberta e così via. Il concetto junghiano di “bipolarità” del simbolo si fonda da un lato sul già menzionato duplice aspetto dell’archetipo, rivolto in avanti e alľ indietro, senza spazio e senza tempo (..) e dall’ altro sulla sua proprietà di unificatore di coppie di opposti, anzitutto quella della coscienza e dell’inconscio e successivamente anche di tutte le altre qualità antitetiche ad esse collegate.” (Jacobi, 1971)
Il bunker, come abbiamo visto, traduce molto chiaramente in architettura questo assunto psicanalitico, unificando diverse e riconoscibili qualità antitetiche (vita-morte, guerra-pace, protezione-aggressione) ed inserendosi di fatto in quel ristretto serbatoio di architetture che hanno la capacità di rappresentare quelle che Jung definisce immagini primordiali o archetipi, ossia
“Urtümliches Bild, Urbild, ove ľaggetivo urtümlich significa originario, primordiale, il sostantivo Bild, immagine; il sostantivo Urbild, equivalente semantico delľ espressione formata da aggettivo e sostantivo, nasce dalla composizione di Bild col prefisso ur, che designa tutto ciò che è arcaico o antico” (Vitolo, 1977)
Esse sono alla base del concetto di inconscio collettivo capaci cioè di generarsi autonomamente, percepibili dalla coscienza, ma originate da una matrice inconscia condivisa da tutti i popoli.
“Questo strato più profondo è il cosiddetto “inconscio collettivo”. Ho scelto l’espressione “collettivo” perché questo inconscio non è di natura individuale, ma “collettiva” e cioè, al contrario della psiche personale, ha contenuti è comportamenti che (cum grano salis) sono gli stessi dappertutto e per tutti gli individui. In altre parole, è identico per tutti gli uomini e costituisce un substrato psichico comune di natura soprapersonale presente in ciascuno” (Jung, 1977)
quindi in estrema sintesi, gli archetipi sono nuclei di energia psichica in grado di manifestarsi attraverso il simbolo e la rappresentazione simbolica, a prescindere dalla volontà della persona.
L’architettura del bunker rappresenta una manifestazione tangibile, attraverso la sua forma mitica e primordiale di un archetipo assoluto del costruire, una forma immanente e trasversale ai tempi ed alle funzioni a cui di volta in volta viene predestinata.
“il bunker è diventato un mito, presente ed assente allo stesso tempo: presente come oggetto di disgusto piuttosto che una trasparente ed aperta architettura civile, assente nella misura in cui l’essenza della nuova fortezza è ovunque, sotto i nostri piedi, d’ora in avanti invisibile” (Virilio 1994)
3.
Tutte le considerazioni precedenti, determinano il riconoscimento consapevole di una forma architettonica simbolica, in grado cioè di aggregare in sé temi e problemi di evidente attualità (difesa/protezione, distanziamento/prossimità, etc). Le architetture con funzione militare sono pensate per difendere e proteggere dall’attacco di agenti esterni: rappresentano, alla luce degli scenari dell’emergenza odierni (crisi sanitaria e cambiamento climatico), un utile riferimento ed un possibile nuovo «luogo» del progetto.
Questa qualità dell’oggetto bunker è transitiva, ovvero si travasa anche all’interno dell’immagine che lo rappresenta. Inoltre in quanto “unificatore di coppie di opposti” ovvero di “realtà dissimili” il collage digitale è l’unica tecnica di rappresentazione che mi permette, rendendo evidente questo conflitto tra elementi iconografici antitetici, di comporre nuovi oggetti architettonici significanti.
Il disegno (digitale e analogico) per me ha infatti una piena “autonomia” architettonica, ed è quindi architettura in sé per sé; Il collage, in quanto disegno digitale, è progetto: nel collage si costruisce ed attraverso il collage si esplora lo spazio. Quindi il collage è l’idea dell’architettura non lo strumento di una mera rappresentazione, è il luogo ideale in cui pensare e fare architettura. Il disegno poi, in quanto linguaggio universale è comunicazione, è il veicolo preferenziale per un’istantanea trasmissione di un contenuto teorico complesso. Il disegno è infine generatore dell’opera e (in quanto testimonianza del ragionamento compositivo) è l’elemento che ne garantisce la trasmissibilità.
È questo l’obbiettivo tematico della serie di collage Roman Bunker Archeology: evidenziare il primato dell’oggetto sul funzionalismo ed allo stesso tempo lasciare emergere la molteplicità degli usi della nuova configurazione. Costruire sul costruito e dialogare, attraverso la rovina e l’opera d’architettura con il passato (il Rinascimento ed il Barocco), è un altro tema che desidero portare all’attenzione con i miei collages, nutrendo la convinzione che le discipline del restauro, del disegno e del progetto possano e debbano dialogare nel comune intento di formare una nuova e più attuale visione dell’architettura contemporanea da trasmettere ai nostri studenti e futuri architetti.
Concludendo, intendo chiarire il ruolo di Roma come soggetto preferenziale dei miei collages. Tra le molteplici ragioni di questa scelta, ritengo rilevante ai fini del presente testo, sottolineare quanto la città eterna sia in grado di rappresentare un efficace paradigma di non-località (Prati 2021)
«Non-località è un termine tecnico della teoria quantistica. (…) Secondo il modello di Bohm, non fai parte di un intero più grande. Tutto è ripiegato in tutto, come in un movimento fluido. L’ordine implicito è caratterizzato da un lato oscuro irriducibile fatto di rotazioni entro altre rotazioni o, per dirla con Harman, di “oggetti avvolti in oggetti a loro volta avvolti in altri oggetti”». (Morton 2018)
Roma è, secondo questa prospettiva di senso, la rappresentazione totale di un insieme fluido; ciò accentua l’interconnessione tra gli oggetti, facendo scomparire l'unità morfologica dell'insieme. La città è una entità planetaria diffusa, un agente distribuito in maniera estesa, un enorme pianeta slums, proprio come predetto da Constant Nieuwenhuys con la sua New Babylon.
Roma è un paradigma universale di città, in grado di rappresentare un caso studio ideale per mettere alla prova l’applicabilità delle teorie e delle sperimentazioni che porto avanti. Roman Bunker Archeology, denuncia inoltre il paradosso tutto contemporaneo di una Città-Guerra in cui, ad esempio, nel corso di una passeggiata (magari accedendo da Piazza del Popolo a Via del corso) possiamo incontrare un “Checkpoint”, un presidio militare in assetto antiguerriglia, ad ulteriore verifica della non località della condizione romana.
Riferimenti bibliografici
Prati, C. (2021), Iperoggetto Periferia. Bordeaux Edizioni, Roma.
Prati, C. (2018), Il disegno dell’autonomia. Per una nuova centralità dell’architettura italiana. Casa editrice Libria, Melfi.
Prati, C. (2016), Cinque architetture svizzere. Progetto, inconscio, natura. Casa editrice Libria, Melfi.
Virilio, P. (1994), Bunker Archeology, Princeton Architectural Press, New York, USA, pp.45-39, traduzione dell’autore, cfr. il testo originale
Jacobi, J. (1971) “Il simbolo”, in Rivista di Psicologia Analitica, vol. II n°2, p. 259
Vitolo, A. (1977) prefazione al testo: Carl G. Jung, Gli archetipi delľinconscio collettivo, ed. Bollati Boringhieri, Torino, pp. 8 – 9
Jung, C. G. (1977) Gli archetipi delľinconscio collettivo, ed. Bollati Boringhieri, Torino, pp. 8 – 9
Emery, N. (2011) Distruzione e progetto. L’architettura promessa Christian Marinotti Edizioni. Milano 2011.
Morton, T. (2018). Iperoggetti. Produzioni Nero, Roma.