Parole chiave: Mura, porte, centro storico, città fuori le mura,
Keywords: Walls, gates, modern history, historical center, city outside the walls,
Abstract:
Le mura aureliane sono uno dei monumenti antichi più trascurati della città. Pur essendo onnipresenti, non sono mai stati oggetto di un approccio progettuale complessivo. Questo contributo ripercorre il rapporto difficile fra le mura e la città, sottolineando le occasioni perse per farle diventare un elemento di collegamento invece che di separazione fra la città storica e quella post-unitaria. Il crescente interesse per le mura rappresenta un’opportunità per rimediare agli errori del passato e per ripensare il ruolo delle mura come soggetto trainante della trasformazione in chiave sostenibile di Roma.
“These noble walls, which have so often saved the
city from pillage and destruction, on the face of which
our history is written almost year by year, (…), are
now doomed to disappear. State and city have with
equal promptness declined to undergo the expense
of keeping them in repair.” (Lanciani, 1897, p. 86)
Introduzione1
Le parole di Lanciani, scritte più di un secolo fa, non suonano diverse da quelle pronunciate da tanti dopo il crollo di un tratto delle mura aureliane il giorno di Pasqua, 15 aprile 2001. L’accaduto fu considerato inevitabile, visto la mancanza di interesse da parte delle istituzioni per un monumento che era diventato da molto tempo un inutile e ingombrante ostacolo all’espansione della città piuttosto che uno dei più eccezionali ed unici esempi di mura cittadine antiche conservate in una metropoli moderna europea. Vorrei in questo breve contributo offrire al lettore, attraverso gli occhi di chi a Roma è arrivato per studiare la città, una lettura positiva delle mura aureliane e del loro rapporto con la città, frutto di molti anni e tante camminate lungo il loro tracciato. Spero che la mia lettura possa così contribuire a comprendere meglio l’enorme occasione che le mura aureliane rappresentano oggi per il futuro della città.
Sono arrivato a Roma nel 1987, avevo due valigie e una borsa di studio di dieci mesi per avviare un dottorato in archeologia sulla storia della città in epoca tardoantica. Come tanti “forestieri” ero appassionato dalla città, i suoi monumenti, le aree archeologiche, i musei; come tanti altri, dopo più di trent’anni mi trovo ancora qui. In questo arco di tempo ho abitato al Flaminio, Torrevecchia, Primavalle, Monteverde e Porta Maggiore, quartieri più o meno periferici della città che mi hanno fatto conoscere storie diverse da quelle più note del centro storico. Insegno storia urbanistica di Roma presso alcune università americane a Roma, dove gran parte delle lezioni si svolge in situ. Questo mi ha permesso di confrontarmi di continuo con la realtà materiale dell’oggetto di studio: la città con le sue dimensioni e distanze, la sua visibilità e “inavvicinabilità”, i suoi contesti culturali in senso stretto e largo, e, soprattutto il suo rapporto con la propria storia, consolidato in una stratigrafia complessa e quasi infinita. Così sezionando la città, strato dopo strato, per poi ricomporla, si riesce a comprendere la sua storia unica e travagliata. Un monumento che da solo somma un’infinità di questi strati, sono proprio le mura aureliane.
Le mura aureliane sono un monumento unico nel panorama delle mura urbiche conservate non solo in Italia, ma in tutta Europa, per vari motivi: cingono una città che fu la più grande del mondo antico; risalgono al III secolo e precedono dunque di molti secoli il gran numero di mura medievali che sono conservate altrove; inoltre non sono state demolite come è successo in tante altre capitali europee; e finalmente, sono ancora un monumento vivo, che viene usato come museo, come abitazione, come scenografia per il cinema e le istallazioni artistiche, con le sue porte che fanno da ingresso e uscita dal centro storico e dai quartieri periferici.
Le mura come storia della città2
I dati di base delle mura aureliane sono ben noti (Pisani Sartorio, G., 1996; Carafa, P., 2012). Furono iniziate dall’imperatore Aureliano fra il 270 e il 275 d.C. e finite dal suo successore Probo fra il 276 e il 282. All’inizio del V secolo furono alzate dall’imperatore Onorio fino all’altezza attuale di ca. 10-12 metri. In quell’occasione furono anche ristrutturate alcune porte (p.e. la porta Appia-S. Sebastiano) e fu aggiunta una galleria al suo interno. Le mura erano lunghe quasi 19 km e circondavano un’area di ca. 14 km2 dove vivevano ca. 600.000-700.000 persone ad altissima densità abitativa. Includevano per la prima volta anche una parte della città al di là del Tevere e correvano parzialmente lungo il fiume stesso. C’era una torre ogni 100 piedi romani e 17 porte permettevano il passaggio delle vie più importanti mentre un numero imprecisato di piccole posterule completavano il collegamento fra la città dentro le mura e la campagna fuori. Altre posterule nel tratto lungo il fiume permettevano l’accesso alle banchine per lo scarico delle derrate ed altre merci. Una caratteristica particolare delle mura è l’inclusione di numerose strutture preesistenti nella loro costruzione. Le più conosciute sono la piramide Cestia presso la porta Ostiensis - S. Paolo; il Amphitheatrum Castrense presso Santa Croce in Gerusalemme; porta Maggiore, in origine una doppia arcata per il passaggio degli acquedotti Claudio ed Anio Novus al di sopra della via Praenestina e via Labicana, e i Castra Praetoria, la caserma dei pretoriani, fra la porta Tiburtina e la porta Salaria. A questi esempi si possono aggiungere numerosi altri, più piccoli e spesso di carattere funerario, che furono scoperti per caso in epoca recente in occasione di restauri o demolizioni di parti delle mura e delle sue porte.
Sebbene sembri logico assumere che le mura furono in primis costruite per difendere la città, non si può escludere che si volesse anche ri-confermare lo status di Roma come capitale dell’impero e sede del potere imperiale. Infatti, nel corso del III secolo l’Impero Romano attraversò un periodo di forte instabilità politica e militare con continue tensioni sulle frontiere sia in occidente che in oriente. Gli imperatori furono costretti a passare la maggior parte del loro tempo nelle zone di guerra, riducendo al minimo la loro presenza a Roma. Le sorti dell’impero iniziarono a cambiare con l’ascesa al trono di Aureliano che riformò il sistema annonario e monetario e costruì a Roma, fulcro della sua riforma religiosa, un grandioso tempio per il Dio Sole - che si trovava all’incirca dove oggi c’è piazza S. Silvestro. La costruzione di una nuova cinta muraria attorno alla città può dunque essere letta come parte dello sforzo di Aureliano di confermare la città come unica sede del potere imperiale.
Dall’epoca di Aureliano in poi le mura hanno vissuto, e spesso anche subito, tutti i momenti salienti della storia della città fino al 20 settembre 1870, quando le truppe italiane aprirono una “breccia” nel tratto di mura fra le porte Pia e Salaria, che permise loro di conquistare la città. I danni arrecati furono considerevoli e necessitarono il restauro della stessa porta Pia, del tratto dove i bombardamenti dell’artiglieria avevano creato il varco, e la completa ricostruzione di porta Salaria. Non fu la prima volta che le mura dovettero subire gli effetti di un assedio durante il Risorgimento. Dall’altra parte della città e del Tevere durante il periodo della Repubblica Romana (1848-1849) la porta Aurelia - S. Pancrazio fu completamente distrutta dai bombardamenti dei francesi. Dopo la restaurazione dell’autorità papale fu ricostruita a fundamentis da Vespignani. Pochi anni dopo aver finito i lavori, lo stesso Vespignani iniziò la ristrutturazione di porta Pia, che fu completata nel 1869, appena un anno prima dell’assalto del 20 settembre 1870. Fu d’altronde lo stesso Vespignani che curò la ricostruzione della porta Salaria, finita nel 1873 (Cozza, 1993; Cozza, 1994; De Carlo, Quattrini, 1995; Festuccia, 2005).
La funzione primaria delle mura aureliane era rimasta dunque quella a difesa della città e questo fino all’epoca di Pio IX, che fu l’ultimo papa che fece eseguire degli interventi alle mura in questo senso (Cozza 1993; Cozza 1994). Durante tutto questo periodo le mura furono oggetto di numerosi interventi di restauro o ricostruzione che ne garantirono la conservazione, eccetto per le parti lungo il fiume che sparirono abbastanza presto, probabilmente già nel corso del VI-VII secolo. Dopo il saccheggio di S. Pietro per mano di scorribande saracene nel 846, papa Leone IV (844-855) ordinò la costruzione delle prime mura attorno alla chiesa e l’abitato che si era formato fra essa e Castel S. Angelo. Il devastante Sacco di Roma per mano dei Lanzichenecchi di Carlo V nel 1527, spinse Paolo III a sostituire, dove necessario, le antiche mura aureliane con fortificazioni più adatte a resistere alle nuove tecniche di assedio dell’epoca. Per questo motivo fu demolito un tratto di ca. 400 m. da via Cristoforo Colombo in direzione di largo G. Chiarini. Particolare attenzione fu data durante il Rinascimento e periodo barocco alla “monumentalizzazione” delle porte urbiche, trasformate in vere “biglietti d’ingresso” per impressionare chiunque arrivò a Roma. Gli esempi meglio noti sono la porta Flaminia, ristrutturata nel XVI e XVII secolo, le nuove porte Pia di Pio IV (1559-1565) e S. Giovanni di Gregorio XIV (1572-1585), accanto all’antica porta Asinaria, e la porta Aurelia - S. Pancrazio sul Gianicolo, completamente ricostruita da Urbano VIII. Altre porte come la porta Appia - S. Sebastiano, la porta Tiburtina - S. Lorenzo e la porta Ostiensis - S. Paolo godevano di costante manutenzione perché erano passaggi obbligatori verso popolari mete di pellegrinaggio (Cozza, 1992; Cozza, 1994; Di Carlo, Quattrini, 1995; Dey, 2011). Le mura della città furono poi ampliate con la costruzione di una nuova cinta attorno al Vaticano sotto Pio IV e le mura gianicolensi di Urbano VIII che raccolsero il Vaticano e Trastevere all’interno di un solo circuito, mettendo fuori uso la parte meridionale delle mura aureliane e l’antica porta Portuensis, sostituita dall’attuale porta Portese ca. 500 m. più a nord (Cozza, 1987-1988).3
Nel loro insieme, le mura racchiudevano uno spazio che fu molto più ampio di quello abitato, che occupava l’area fra via del Corso e il Tevere e da piazza Venezia a Santa Maria Maggiore. Oltre il fiume si trovavano due nuclei più piccoli: il borgo vaticano e Trastevere. Il resto dello spazio all’interno delle mura fu maggiormente occupato da ville, vigne, monasteri, chiese e rovine dell’antica Roma, continuando in qualche modo al di là delle mura nella campagna romana, caratterizzata da casali, torri medievali, tombe romane e le rovine degli antichi acquedotti, immortalati dai pittori e i primi fotografi. L’aspetto della città “dentro le mura”, così come si presentava alla fine dell’Ottocento, fu la conseguenza della drammatica trasformazione della città fra la fine dell’antichità e l’inizio del medioevo. All’epoca di Aureliano la popolazione di Roma era già in declino e la città si sarebbe svuotata sempre di più, soprattutto fra la metà del V e VI secolo fino ad assestarsi su ca. 40.000-50.000 abitanti. La popolazione sarebbe poi “risalita”, specialmente dal XIII secolo in poi, a ca. 200.000 abitanti all’epoca della conquista di Roma da parte delle truppe italiane. Al suo apice, Roma antica contava ca. 1.000.000 di abitanti con una densità altissima, attorno ai 70.000-80.000 per km². Nonostante questo, la città antica aveva ampi spazi vuoti, chiamati horti, che si erano sviluppati dall’altra parte delle mura arcaico-repubblicane, dopo che esse avevano perso la loro funzione difensiva. Questi horti vennero a costituire una vera cintura verde attorno al centro urbanizzato della città dal Pincio o collis hortulorum a nord, passando per il Quirinale, Viminale ed Esquilino, fino al Celio e l’Aventino. La Roma imperiale divenne così una città aperta dove il paesaggio urbano si tradusse lentamente in paesaggio rurale. Mentre la storia urbanistica di Roma dopo l’abbandono delle mura arcaico-repubblicane fu quella di una città in espansione, quella di Roma post-mura aureliane fu dunque l’opposto: una città in contrazione, dando il via alla distinzione all’interno delle mura aureliane fra abitato e disabitato (Krautheimer, 1983²).4 Questa situazione, in cui lo spazio costruito rappresentava solo una frazione dello spazio disponibile all’interno delle mura, si sarebbe più o meno mantenuta fino al momento della proclamazione di Roma capitale d’Italia.
Le mura nella città post-unitaria
Dal momento che Roma diventò capitale d’Italia la funzione delle mura come parte della città sarebbe completamente cambiata. Era prevedibile che entro poco tempo le mura avrebbero costituito un ostacolo all’espansione e dell’ammodernamento della città. La prima vittima illustre della trasformazione della città in epoca moderna, di poco anteriore agli eventi del 1870, non furono però le mura aureliane bensì quelle “serviane” o arcaico-repubblicane (Cifani, 2012). Infatti, la costruzione della prima stazione Termini, i cui lavori iniziarono durante gli ultimi anni della Roma pontificale e che fu inaugurata nel 1873-1874, portarono alla quasi totale distruzione dell’agger, uno dei tratti meglio conservati di questa cinta, fra le terme di Diocleziano e Santa Maria Maggiore (Weststeijn, Whitling, 2017). Nel frattempo, prendeva anche forma la nuova infrastruttura istituzionale della capitale d’Italia con la costruzione del ministero delle Finanze in via XX Settembre. Durante questi lavori vennero alla luce i resti della porta Collina, mentre altri resti della prima cinta di Roma furono trafitti dalle nuove strade della lottizzazione del quartiere adiacente. L’impressione è che l’espansione della città “dentro le mura” fosse inarrestabile. Oggi le mura arcaico-repubblicane appaiano come lacerti sparsi quasi per caso in varie parti della città, spesso incomprensibili agli occhi dei passanti e senza nessuna relazione fra di loro o con la città che li circonda (Fabbri, 2009).5 La distruzione dell’agger fu accompagnata dalla distruzione delle ville storiche e giardini che occupavano gran parte della città non costruita all’interno delle mura. Una dopo l’altra sparivano villa Montalto-Peretti, villa Ludovisi Boncompagni, villa Massimo, e tante altre, sacrificate sull’altare del facile guadagno immobiliarista (Insolera, 2018).
La stessa sorte sarebbe potuta toccare alle mura aureliane. Infatti, nei primi piani regolatori la città programmata finiva alle mura aureliane, ma presto lo spazio “dentro le mura” si esaurì e il piano regolatore del 1908 previde per la prima volta l’espansione della città “fuori le mura” (Sanjust di Teulada, repr. 2008). Anche in questo caso ci fu un precedente, cioè la creazione del quartiere di san Lorenzo a ridosso dei binari della stazione Termini, che dimostra nel suo rapporto con le mura la mancanza di visione per il ruolo che queste avrebbero potuto avere nello sviluppo della città. Per collegare il nuovo quartiere fuori le mura tramite la nuova via Tiburtina con piazza Vittorio Emanuele, al centro del nuovo quartiere dell’Esquilino, fu demolito un pezzo delle mura a ca. 150 m. dalla porta Tiburtina. Inoltre, le abitazioni arrivano quasi a ridosso delle mura, lasciando libero appena uno stretto spazio per il passaggio. La demolizione del tratto di mura appena descritta e la mancanza di un’area di rispetto lungo le mura sono il preludio delle politiche urbanistiche moderne, che avrebbero escluso le mura da qualsiasi progettazione urbanistica per molti decenni a venire.6
Così a pari passo con la crescita della città aumentarono sempre di più i varchi che vennero aperti nelle mura. Nel maggior parte dei casi furono interventi di media-grande dimensione, che non risparmiarono neanche le porte. Gli esempi più eclatanti furono la demolizione della porta Salaria nel 1921 per aprire piazza Fiume e i quattro grandi fornici aperti nelle mura per il passaggio della via Cristoforo Colombo nel 1938. Anche l’ultima guerra lasciò il suo segno sulle mura, quando nel 1944 una bomba distrusse il tratto di muro che legava la porta Ostiensis - S. Paolo alla piramide Cestia. Il varco, senza nessun riguardo per il rapporto fra i due monumenti, venne subito declassato a passaggio per le automobili e per il trasporto pubblico, trasformando la porta stessa in una rotatoria brutta e caotica. Una simile situazione si riscontra anche a porta Maggiore. Infatti gli interventi, a partire dalla demolizione sotto Gregorio XVI nel 1838, delle porte Labicana e Praenestina - che inglobavano ciò che oggi viene chiamato porta Maggiore - e la sistemazione del 1955, hanno creato uno spazio esclusivamente dedicato allo smistamento del traffico in entrata e in uscita dalla città, condizione ulteriormente aggravata dal passaggio della ferrovia Termini-Giardinetti (Coates-Stephens, 2004). Per il passaggio di tram, autobus, macchine, e pedoni, si contano più di 20 passaggi nelle mura e negli acquedotti che qui confluiscono. La situazione è complessa ma, al momento, è affrontata solo in termini di flusso del traffico e non nella valorizzazione delle strutture antiche.
Dall’altra parte della città, si sarebbe potuto intervenire da tempo nel tratto da porta Pinciana a porta Flaminia, oggi costeggiato dal viale del Muro Torto. Mentre la presenza di villa Borghese e la passeggiata del Pincio avrebbero potuto facilitare l’integrazione delle mura in un contesto monumentale-paesaggistico più accessibile ai cittadini e visitatori, si è invece preferito trasformare un sentiero in un’arteria per il traffico automobilistico a scorrimento medio-veloce senza neanche un marciapiede abbastanza largo per i pedoni (Cozza, 1992). La sottrazione delle mura allo sguardo dei cittadini appare anche in un altro esempio, di scala minore ma non meno significativo, e riguarda la cosiddetta Porta Chiusa, nascosta ed inaccessibile in fondo ad un vicolo dal nome altisonante: Via della Sforzesca, fra la Biblioteca Nazionale e la Direzione Generale dell’ANAS SpA (Cozza, 1998).
Conclusione. Il ruolo delle mura nella città del futuro
In questi ultimi anni si sono susseguiti numerosi incontri, convegni, progetti, sostenuti da università, istituti di ricerca, comitati di quartiere, associazioni, enti pubblici, etc. Probabilmente è la conseguenza diretta del riconoscimento delle mura Aureliane come uno dei cinque “Ambiti di programmazione strategica” e dunque considerate “particolarmente importanti ai fini della riqualificazione dell’intero organismo urbano” nell’ultimo piano regolatore del 20087. Questo “riconoscimento” riprende l’idea del parco lineare ciclo-pedonale lanciato all’inizio del nuovo millennio ma sostanzialmente rimasto lettera morta, eccezion fatta per il tratto lungo il viale Metronio fra la porta omonima e la porta Latina, ovvero appena 800 metri dei 19 km del perimetro originale delle mura aureliane.
È chiaro che il ritrovato interesse per le mura cittadine da parte delle istituzioni, è stato influenzato da eventi drammatici che si sono verificati in tempi recenti. Infatti, come abbiamo già accennato all’inizio del nostro contributo, fece molto clamore il crollo nel 2001 di una parte delle mura aureliane fra la porta Appia - S. Sebastiano e la Cristoforo Colombo a causa di infiltrazioni d’acqua. Purtroppo, ci sono stati nel frattempo altri crolli, come quello del 2007 lungo il viale Pretoriano vicino all’incrocio con la via dei Ramni, oppure quello più recente (2017) poco prima di Porta Pia per chi viene da piazza della Croce Rossa8. Inoltre, lo stato precario della cinta aureliana non è solo limitato ai soli tratti murari, ma riguarda anche le torri, come quella con lo stemma di Clemente XI (1700-1721), puntellata di recente a via di Porta Labicana a san Lorenzo, e quella fra la porta Appia-S. Sebastiano e la via Talamone con lo stemma di Urbano VIII (1623-1644). In tutte queste occasioni la causa dei problemi fu attribuita alla mancata manutenzione del monumento9.
Le mura erano state concepite non solo per difendere la città ma anche per promuoverne l’importanza come capitale dell’Impero, ma a causa della crescita della città post-unitaria diventarono un ostacolo e irrilevanti come monumento storico. L’urbanizzazione di quartieri come il Flaminio, il Salario, il Tiburtino, l’Appio Latino, etc. ha eliminato o assorbito strutture storiche che una volta facevano parte della storia dei loro assi stradali principali10. Da lì nacque la manomissione delle mura ogni volta che se ne sentiva il bisogno, per facilitare l’accesso al centro storico, aprendo varco dopo varco. Da lì anche la mancata progettazione di una fascia di rispetto, ideata come verde pubblico, che avrebbe evitato la violenza con la quale la città fuori le mura aggredì il monumento. Eppure oggi non si ragiona più sulla città senza considerare la città “fuori le mura”, che però per la maggior parte dei visitatori esiste solo per le sue catacombe e la via Appia antica, ma che ospita oramai il 95% della popolazione e costituisce il 95% del territorio comunale. Quella Roma è attualmente la parte più contemporanea della città e può fare da contrappeso alla città storica, troppo spesso ostaggio del suo passato. Da molto tempo si discute su come si potrebbe migliorare il legame fra queste due anime della stessa città. Le mura non possono non far parte di questa discussione, indubbiamente di carattere urbanistico. In altre parole, le mura non possono essere considerate come un monumento a sé, separate dalla città, ma come parte integrante di Roma nel suo insieme. Le mura diventerebbero così un elemento di giunzione fra il vecchio e il nuovo, invertendo la percezione che le accompagna adesso. In questo modo, si restituirebbe dignità alle mura aureliane, facendone un punto di riferimento per la città nel suo insieme.
Note
* Vorrei ringraziare il prof. Rosario Pavia, da molto tempo impegnato nella promozione delle mura aureliane presso le istituzioni e i cittadini, per l’invito a contribuire a questo numero della rivista.
1. Sono un archeologo con particolare interesse per la topografia e urbanistica della città antica. Spero che le idee espresse in questo articolo possano contribuire al dibattito in corso su questo monumento e il ruolo che potrebbe giocare nel futuro della città.
2. Lo studio delle mura aureliane in epoca moderna inizia con Richmond (1930). Il lavoro complessivo più recente è quello di Dey (2011) con numerosi nuovi spunti per la loro interpretazione in un contesto politico-culturale più ampio. Mancini (2001) ha individuato sulla base della tecnica costruttiva le numerose fasi delle mura. Due convegni recenti sulle mura organizzati nel 2015 (AA.VV., 2017) e 2017 (cds) illustrano il crescente interesse per questo monumento fra archeologhi, storici, restauratori, architetti, etc.
3. Sulla pianta di Nolli (1748) si possono facilmente riconoscere sia i resti delle mura aureliane che le nuove mura di Urbano VIII. I due sistemi si incrociavano più o meno all’attuale piazza Bernardino da Feltre.
4. La distinzione non fu così netta come spesso si pensa. Al di fuori dell’aree più densamente abitate, c’erano dei piccoli nuclei “urbani” attorno a Santa Maria Maggiore, S. Giovanni Laterano e soprattutto S. Pietro. Bisogna aggiungere poi concentrazioni di abitazioni vicine alle rispettive porte e lungo le vie verso queste.
5. Esempi di frammenti “abbandonati” delle mura arcaico-repubblicane si possono vedere p.e. in Largo Santa Susanna, Largo Magnanapoli, via Carlo Alberti, via Mecenate.
6. Da notare la quasi totale mancanza delle mura aureliane dalla storiografia urbanistica di Roma moderna, come p.e. in Insolera (2011), contrariamente alle discussioni sulla via Appia antica o sulla via dei Fori Imperiali.
8. Anche in passato parti delle mura crollarono, come nel 1902 in circostanze molto simili a quelle imputate al crollo del 2001, e cioè dopo un violento nubifragio. La parte interessata fu un tratto di ca. 30 metri di lunghezza ad est di S. Giovanni (Pfeiffer, Van Buren, Armstrong, 1905). Emblematico fu l’avviso del Comune ai cittadini dopo un crollo precedente nel 1893 fra porta Appia - S. Sebastiano e Santa Croce in Gerusalemme, di fare attenzione perché “another portion would soon share the same fate” (Lanciani, 1897).
9. Lo stato precario di gran parte delle mura ha reso necessario un monitoraggio continuo del monumento, coordinato dalla Sovrintendenza Capitolina, v. Marcelli, Carta, Baranello (2019).
10. Basta pensare alla grande necropoli che fu scoperta durante l’urbanizzazione del quartiere Pinciano-Parioli (1894-1923) tra l’omonima porta e la porta Salaria (Cupitò, 2007) Oggi solo l’ipogeo di via Livenza, scoperto durante la costruzione di una palazzina nel 1923, e il mausoleo di Lucilio Peto lungo la via Salaria, a ca. 500 m. da piazza Fiume, sono sopravvissuti. Per scoperte recenti in via G. Puccini e viale G. Rossini, cfr. Torri, De Loof (2012) e Marrucci, Summa (2012).
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