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Il recupero dei paesaggi della Via Appia Antica da Roma a Brindisi
Simone Quilici
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Parole chiave:          Appia, strade, paesaggio, recupero
                            Appia, streets, landscape, recovery

 

Abstract:

Quali sono i criteri e i metodi per il recupero del paesaggio di un’antica strada dall’elevato valore storico e simbolico e dalla complessa vicenda evolutiva? Le possibili chiavi di lettura includono: l’analisi del rapporto tra paesaggio, archeologia e infrastrutture, lo studio dell’adattamento delle tecniche stradali storiche ai caratteri fisici del territorio, ma anche dei criteri di recupero della strada in relazione ai diversi paesaggi attraversati, l’integrazione delle problematiche del restauro del paesaggio con quelle del restauro archeologico e monumentale, la realizzazione di parchi archeologici e lineari, l’individuazione di itinerari culturali e la progettazione di cammini.

 

 

La strada

Nella storia dell’umanità la strada risponde a un’esigenza fondamentale dell’uomo nei suoi rapporti con il territorio: è la strada che nelle differenti epoche ne ha permesso i movimenti, lo spostarsi da una regione all’altra, il trasferirsi da quelle più povere a quelle più ricche, ovvero stabilendo rapporti secondo movimenti periodici, funzionali allo scambio dei beni economici. Ed è la strada che via via ha rispecchiato la stessa evoluzione della tecnica, dal sentiero primitivo in terra battuta alle strade carrabili dotate di una pavimentazione in pietra, a quelle in grado di superare ostacoli naturali grazie a costruzioni in rilevato, viadotti e ponti.
Prima di Roma la strada non era ancora stata concepita come strumento dell’organizzazione militare ed affermazione di potenza territoriale. Né, di conseguenza, era stata strumento di espansione economica, colonizzatrice e “civilizzatrice”. Ciò accadde con Roma, lungo un intero millennio e in parte continuò anche in seguito al crollo dell’Impero d’Occidente avvalendosi della permanenza di tracce che si erano impresse durevolmente, lente nel cancellarsi, mai scomparse.
Oggi, grazie anche a tecniche sofisticate di studio, si è in grado di apprezzare in pieno la loro consistenza. Non è retorica la meraviglia che si prova nel considerare quanto i Romani avessero ridotto i vincoli di lontananza spazio-temporale, trasformando la Via Appia in un modello. Un modello di regolarità, di fedeltà al principio di brevità del tracciato. La funzione originaria dell’Appia fu infatti quella di congiungere i centri che l’espansione militare di Roma, a partire dalla prima Guerra Sannitica, aveva sottoposto al proprio dominio. I congiungimenti avvennero per fasi, a partire dal 312 a.C., inizialmente per collegare Roma con le colonie maritimae di Minturno e Sinuessa, poi verso Capua, Benevento e Taranto. Infine, prevalendo Brindisi come sbocco marittimo, il suo porto sostituì quello della metropoli di Taranto.


Le trasformazioni

La Via Appia nel corso dei secoli ha subito destini diversi nei suoi vari tratti ed è stata di conseguenza segmentata in parti differenziate per caratteri e funzioni. Il tratto a sud di Roma, dove il tracciato aveva perso l’originaria funzione di collegamento perché sostituito dalla via Appia Nuova, è stato oggetto di importanti azioni di tutela e restauro a partire dall’Ottocento, su altre parti si sono sovrapposte nuove strade, altri tratti ancora sono stati invece semplicemente abbandonati.
Nei primi anni del Novecento la nuova strada statale n. 7 Appia, nella sua funzione di principale via di collegamento dell’Italia centro-meridionale, assunse il ruolo di connessione tra importanti aree in via di sviluppo. Tra queste, le aree agricole con relativi borghi nei territori della bonifica post-unitaria: nella Campagna Romana, nella Pianura Pontina, nell’Agro Falerno e nel Tavoliere delle Puglie.
La recente storia della via Appia, oltre a essere collegata all’evoluzione socioeconomica del paese, è dolorosamente segnata dalle drammatiche vicende belliche del secolo scorso. Durante la Seconda Guerra Mondiale la Via Appia si trasformerà in campo di battaglia, con conseguenti ingenti danni bellici. Numerosi saranno, infatti, i ponti minati e distrutti durante la ritirata tedesca verso nord.
Nel secondo Dopoguerra, infine, la strada fu interessata dall’insediamento, in prossimità del tracciato, di numerose aree di sviluppo industriale, realizzate sotto l’impulso della Cassa per il Mezzogiorno. Si tratta delle aree dell’agro pontino, del casertano, dell’Irpinia e quelle in territorio pugliese.


Il paesaggio

L’andamento della linea costituita dal tracciato dell’Appia Antica è legato all’interazione di due componenti: l’orografia dei luoghi e l’individuazione del più corto tracciato possibile tra i nodi da collegare. Nei tratti di pianura, dunque, in assenza di ostacoli, la strada tende ad assumere l’andamento rettilineo. Nei tratti litoranei, con entroterra montuoso posto a ridosso del mare, la strada segue la linea, generalmente sinuosa, della costa. Nei tratti di mezzacosta e di crinale la strada assume un tracciato curvilineo legato all’andamento delle curve di livello. L’intersezione della linea della strada con i segni del palinsesto paesaggistico determina una vasta serie di forme più o meno complesse nel territorio. Il rapporto della strada con il paesaggio è notevolmente differenziato: in molti tratti, l’Appia taglia i segni del territorio, in altri li asseconda, in altri ancora ne costituisce la traccia ordinatrice. Vi sono inoltre numerosi casi in cui il palinsesto paesistico ha cancellato la strada stessa o vi ha sovrapposto nuovi elementi, in sintonia o in contrasto con la traccia sottostante. L’esempio del tracciato della Via Appia nella pianura pontina è un caso significativo di strada che taglia in diagonale la struttura agraria ortogonale di epoca precedente, la centuriazione romana. La successiva opera di bonifica pontificia che comportò la realizzazione delle miliare, insiemi di canale e strada posti ortogonalmente alla Via Appia alla costante distanza di un miglio, costituisce invece un esempio di come la strada abbia costituto la traccia ordinatrice della nuova strutturazione agraria a forma di pettine, che cancellò quella di epoca romana ruotata rispetto alla nuova di 45°. È interessante notare come la bonifica di epoca fascista abbia ripreso ed esaltato, nell’impianto generale, la struttura delle miliare, proseguendo alcune di queste fino alla fascia costiera di Latina e Sabaudia.
In numerosi casi l’inserimento di nuovi elementi costitutivi dei caratteri del paesaggio ha esaltato il segno della strada. È questo il caso, ad esempio, della piantata a duplice filare di olmi nell’Agro Pontino risalente all’epoca dei restauri tardo-settecenteschi della Via Appia. Verso la fine degli anni Venti, all’epoca della costituzione dell’Azienda Autonoma Statale delle Strade e dell’adeguamento della Strada Statale 7, agli olmi si sostituirono, in linea con la retorica fascista del mito dell’antica Roma, i pini che ancora oggi fiancheggiano la strada.
La tutela paesaggistica dell'Appia è oggi garantita dai numerosi vincoli, apposti a partire dagli anni Cinquanta del secolo scorso, e dai piani paesistici al cui interno ricade il tracciato della strada. Si tratta di vincoli legati alla presenza del tracciato stesso o in alternativa che, nati per la tutela di altri elementi del paesaggio da tutelare, includono singoli tratti della strada. All'interno di queste aree vincolate, cui si spera se ne possano aggiungere altre in futuro, si dovranno applicare i principi sanciti dalla Convenzione Europea del Paesaggio e da quella di Faro, in particolare per quanto riguarda il coinvolgimento della popolazione nella conoscenza della percezione sociale del paesaggio.
Nel caso dell'Appia sarebbe molto utile uno studio che analizzi, lungo i vari tratti della strada, il livello di consapevolezza da parte delle popolazioni della presenza della stessa e dei valori ad essa attribuiti. Relativamente alle fasi evolutive del paesaggio dell'Appia e alla loro stratificazione in un palinsesto paesistico fortemente integrato con i caratteri naturali del territorio bisognerà individuare lo stato di conservazione dei diversi ambiti di paesaggio individuati.


Interpretazioni

Per comprendere i caratteri del paesaggio dell’Appia e prima di poterne definire future proposte di assetto, risulta utile far riferimento ad un ampio e integrato spettro disciplinare, al fine di poter usufruire di un’adeguata strumentazione di analisi e valutazione. Analizzare il paesaggio dell’Appia significa studiare i caratteri geografici di una considerevole sezione dell’Italia centro-meridionale che interessa il territorio di ben quattro regioni: il Lazio, la Campania, la Basilicata e la Puglia.
Una simile operazione non può prescindere dunque dall’indispensabile riferimento ai fondamentali capisaldi della descrizione geografica dell’Italia: dai primi, empirici, testi dal sapore pionieristico come il “Bel Paese” di Antonio Stoppani (1908) ai più scientifici testi del Marinelli (1921), del Biasutti (1947), dell’Almagià e del Migliorini (1963) e del Sestini (1963).
La metodologia analitico-descrittiva della geografia fisica introduce il tema dell’interpretazione scientifica dei caratteri del paesaggio e dell’individuazione dei suoi principali tipi e unità. Se il tema del paesaggio dell’Appia è stato finora affrontato, in questa sede, in termini estetici di forma e immagine così come percepita dal fruitore/osservatore, è necessario infatti integrare tali letture con modalità di tipo sistemico, tra le quali quelle legate alla scienza, relativamente nuova, dell’ecologia del paesaggio.
I metodi dell’ecologia del paesaggio, secondo Sandro Pignatti, “permettono di giungere all’articolazione del territorio, cioè a distinguere unità caratterizzate da un determinato paesaggio: questa unità è il sistema paesistico. Si tratta di unità che risulteranno omogenee dal punto di vista del substrato e di quello della vegetazione, e di conseguenza anche del clima (in quanto la vegetazione è dipendente da quest’ultimo” (Pignatti, 1994).
Tra i sistemi paesistici individuati dal Pignatti, prevalentemente attraverso lo studio della componente vegetazionale, cinque dei complessivi trentuno paesaggi italiani interessano il territorio dell’Appia Antica: il paesaggio della campagna romana, quello pontino, quello del litorale tirrenico, quello sannitico-lucano e quello delle Murge e Salento. Si tratta, evidentemente, di una suddivisione in sistemi del territorio nazionale, strutturata per macroaree dai caratteri vegetazionali assimilabili, che, pur nella scientificità del metodo, costituisce solamente un primo avvicinamento al tema delle “unità di paesaggio” così come generalmente intese. Se è ormai diffusamente riconosciuto che l’individuazione dei “sistemi di paesaggio” si basa sulla sovrapposizione tra matrici geologiche e climatiche, gli studiosi afferenti alla disciplina paesistica non sono altrettanto concordi nell’individuare le modalità di definizione delle “unità di paesaggio”: ad approcci empirici, basati sulle sensibilità dei singoli nell’individuazione di regole unificanti, si accompagnano metodologie scientifiche legate allo studio degli aspetti percettivi, sia individuali che collettivi, o all’analisi sistemica e dinamica di tipo ecologico. Aldilà dei differenti approcci metodologici, si ricorre spesso tuttavia, a livello di prassi conoscitiva, nella sovrapposizione cartografica tra sistemi e classi di uso del suolo. Da ciò ne consegue dunque che le suesposte “unità fisiografiche di paesaggio” siano assimilabili piuttosto a dei sistemi, mancando ogni riferimento agli usi del suolo prevalenti nelle varie porzioni di territorio individuate.
Ai rischi, ben delineati da Valerio Romani (1994), relativi ad un eccesso di schematizzazione nella classificazione per tipi e unità di paesaggio, soprattutto se assimilati alle aree omogenee utilizzate in campo pianificatorio, ai fini dell’applicazione di normative standardizzate, si può porre rimedio, sempre secondo il Romani, facendo riferimento alla natura dinamica della realtà paesistica, attraverso l’analisi delle matrici generatrici dei sistemi, e a quella statica, legata alle componenti del paesaggio. Tali matrici possono essere distinte, in grandi linee, tra quelle di tipo naturale, legate ai processi fisici abiotici e quelli di formazione ed evoluzione della materia vivente, e quelle antropiche che concernono le attività umane nel loro complesso, legate sia alle necessità essenziali dell’uomo sia a quelle più immateriali di tipo culturale, e le relative ricadute negli assetti territoriali.
Alla lettura di tipo sistemico-ecologico, tipica dell’analisi dei caratteri naturali del paesaggio, si affianca lo studio dei palinsesti, cioè della stratificazione delle strutture territoriali nel corso della storia, che fornisce una appropriata metodologia per l’individuazione dei caratteri dei paesaggi culturali. Tale approccio risulta particolarmente adeguato all’analisi dei paesaggi antropizzati e, in particolare, dei paesaggi agricoli, dove la scala minuta di numerosi suoi elementi (canalizzazioni, siepi, alberature, ecc.) determina una notevole quantità di sovrapposizioni di segni e tracce riferibili alle strutture territoriali storiche.
Nel caso dell’Appia, il paesaggio interessato dal suo percorso è contraddistinto –  per definizione – da un elemento della componente antropica che ne determina il carattere generale: il tracciato della strada stessa. Quest’ultimo, tuttavia, è posto all’interno di paesaggi notevolmente variegati, in riferimento ai caratteri geologici, orografici, fito-climatici, insediativi e storico-culturali del territorio attraversato.


Paesaggi della natura e della storia

L’analisi degli aspetti naturalistici è strettamente legata al problema dell’individuazione di un ambito di indagine e di una scala di riferimento. Per uno sguardo d’insieme degli aspetti fitosociologici del territorio attraversato dall’Appia un’utile descrizione ci è fornita da Carlo Blasi (2002). L’individuazione di numerose aree dove la vegetazione reale non coincide con quella potenziale fornisce utili chiavi di lettura e spunti progettuali nell’ambito di una corretta pianificazione ambientale.
Notevoli sono i tratti in cui la via Appia attraversa paesaggi culturali: dai numerosi siti archeologici e centri storici, preesistenti alla sua costruzione o che ad essa devono il loro sviluppo, ai territori agricoli, che sopravvivono tra le varie zone più intensamente urbanizzate.
Nel tratto della campagna romana da Roma a Velletri il paesaggio rurale è caratterizzato da seminativi – che hanno sostituito gli sconfinati latifondi a pascolo di epoca preunitaria - punteggiati dalla folta presenza di ruderi emergenti di epoca romana, cui si sovrappongono spesso le tipiche strutture svettanti delle torri medievali di avvistamento e presidio del territorio e le grosse masse murarie dei casali di epoca moderna. Questi lasciano il posto, nell’agro pontino tra Velletri e Terracina, alle stazioni di posta pontificie realizzate alla fine del Settecento lungo la strada, alla maglia ortogonale dei canali e filari di eucalipti e alla ordinata distribuzione dei casali della bonifica fascista.
Una volta varcato lo storico confine tra Stato Pontificio e Regno Borbonico, situato a sud di Terracina presso i Torrioni della Portella, nella piana di Fondi (fig. 1) e lungo la costa del golfo di Gaeta fino a Minturno, i casali cedono progressivamente il passo alle masserie campane. Superato il Garigliano (fig.2), più numerose sono le strutture agricole nell’agro falerno fino a Caserta, anch’esso bonificato in epoca moderna e contemporanea, nel Sannio da Caserta a Grottaminarda e, attraversate Benevento (fig. 3) ed Aeclanum (fig. 4), in Irpinia (fig. 5) fino a Candela (fig. 6). Oltrepassato l’Ofanto (fig. 7), alle masserie delle gravine lucane e pugliesi, da Venosa (fig. 8) a Massafra, si aggiungono quelle delle Murge tarantine fino a Oria, per arrivare alle colonne terminali dell’Appia a Brindisi (figg. 9 e 10).

Paesaggi della contemporaneità

I paesaggi culturali residui raramente presentano un carattere di integrità assoluta rispetto alla conservazione dei valori storico-identitari; non di rado, infatti, la loro struttura agraria è stata stravolta in conseguenza della meccanizzazione delle tecniche agricole. Ancor più spesso essi sono interessati dal diffuso fenomeno dell’edificazione sparsa di tipo residenziale, cui si aggiunge l’inserimento aggressivo nel paesaggio di grandi capannoni, serre (in particolare nell’agro pontino) ed altri elementi estranei ai caratteri locali.
Ai centri di interesse storico si accompagnano altrettante periferie densamente urbanizzate in tempi relativamente recenti. Le zoneinteressate dal maggiore grado di urbanizzazione si concentrano intorno alle principali città attraversate o lambite dal tracciato dell’Appia: Roma e la sua immensa periferia, Terracina e il suo entroterra, Formia e gli insediamenti costieri del golfo di Gaeta, l’hinterland di Caserta, Benevento e la sua conca, i poli costieri pugliesi di Taranto, Brindisi e Bari.
Si tratta di aree dove la forte pressione antropica, dovuta a ridistribuzioni territoriali della popolazione piuttosto che a fattori di crescita demografica, si accompagna al fenomeno dell’abusivismo edilizio, assai diffuso in tutto il territorio posto a sud della capitale. Una indagine compiuta per conto del Ministero per i Beni e le Attività Culturali, nell’ambito dei lavori della Carta del Rischio predisposta dall’Istituto Centrale per il Restauro, ha efficacemente messo in evidenza, con una serie di sovrapposizioni cartografiche, come questo fenomeno costituisca, insieme con quello della dispersione dell’urbanizzazione e del conseguente consumo di suolo, un importante fattore di rischio per la tutela dei beni culturali del paese in generale e del paesaggio in particolare (Ricci, 2003).


Scenari

I toni usati da Franco Purini nel descrivere la drammaticità delle condizioni del paesaggio italiano, nel noto articolo pubblicato sul numero monografico di “Casabella” del 1991 dedicato al Disegno del paesaggio italiano, hanno anticipato di trent’anni l’attuale dibattito sul tema della necessità di integrare gli strumenti di tutela con misure volte al recupero del degrado diffuso.
Secondo Purini, per il restauro di questo paesaggio altamente degradato si stanno profilando – a livello teorico piuttosto che pratico – tre alternative possibili, di cui la terza più delle altre può costituire – a suo vedere – una valida risposta ai problemi attuali. Nella prima ipotesi il progetto si configura come “uno strumento destinato non più ad aggiungere ma a togliere” in un’operazione di “vasta demolizione di quegli strati edilizi che si sono sovrapposti al paesaggio distruggendone in molti casi l’individualità e la stessa riconoscibilità”.
Nella seconda ipotesi, figlia della cultura della conservazione e del restauro, il progetto è teso a risanare il costruito: se il primo scenario, che si può identificare in alcune proposte provocatorie di Benevolo e Cederna peccherebbe – secondo Purini – di un “radicalismo utopistico”, la seconda sarebbe tuttavia manchevole di una “visione unitaria”.
La terza proposta, che riconosce il valore dell’unità del paesaggio non nella sua semplice continuità ma come “relazione tra differenti scene”, è tesa a “rivelare un altro strato del testo” attraverso penetrazioni e sovrapposizioni del nuovo sull’esistente.  È un’ipotesi che, implicitamente, rilancia il ruolo del progetto di architettura – dopo anni di svilimenti e denigrazioni a livello di comune sentire delle popolazioni – come elemento qualificante del paesaggio.
Riprendendo un’immaginifica definizione dell’Italia, descritta da Purini come una casa suddivisa in tre grandi ambienti continui, l’Appia può essere interpretata come una linea di sezione che attraversa l’impervio corridoio della dorsale appenninica, passando dalla stanza tirrenica a quella jonico-adriatica: “All’Appennino, ‘corridoio’ italiano oggi in gran parte marginalizzato sarebbe consegnato il compito di ricostruire un paesaggio originario nella forma di un immenso bosco costellato dai nuovi ruderi di centri finalmente lasciati liberi di tornare alle loro remote memorie” (Purini, 1991).
Si tratta di un’immagine già delineata alcuni decenni fa, come noto, da Manlio Rossi-Doria a proposito degli scenari possibili per il Mezzogiorno d’Italia. È una prospettiva che corrisponde a numerose attuali istanze ecologiste, che vedono nel vistoso fenomeno in atto della rioccupazione da parte del bosco delle aree a pascolo e agricole abbandonate per le difficoltà legate all’orografia dei luoghi, un positivo fattore di rinaturalizzazione del territorio nazionale, in cui la superficie boscata può andare a costituire un valido polmone verde per il paese.
Allo stesso tempo un simile scenario risulta significativamente in linea con le scelte già indicate nella proposta di piano per il parco dell’Appia Antica redatto negli anni Settanta sotto la guida di Vittoria Calzolari, che prevedeva la rinaturalizzazione a bosco delle aree di versante e dei pianori compresi tra le incisioni idrografiche che solcano il territorio della campagna romana (Italia Nostra, 1984).
Per quanto riguarda il paesaggio delle due stanze separate dal corridoio appenninico si potranno distinguere ambiti d’intervento legati ai caratteri paesistici prevalenti. 
Per i paesaggi della storia si dovrà ipotizzare la valorizzazione dei palinsesti (centuriazioni, canalizzazioni, alberature, ecc.). In tal senso, si dovrà prevedere una doppia azione: valorizzazione del rapporto strada – paesaggio tuttora esistente e recupero di un rapporto interrotto (tratti dove la strada è in condizioni di degrado per isolamento dal contesto o dove non è più esistente).
Per quanto riguarda i paesaggi della contemporaneità si dovrà prevedere una adeguata riqualificazione dei tessuti spontanei che non escluda coraggiose demolizioni intorno a quelle permanenze archeologiche in condizioni di degrado per mancanza di rapporto con il contesto.


La fruizione

Il tema della tutela e della valorizzazione di un bene storico-archeologico e paesaggistico non può prescindere dall’analisi delle dinamiche relazionali all’interno delle quali si collocano le attività umane ad esso connesse e che ne definiscono i caratteri di bene ecologico in senso lato.
Nell’ipotesi del recupero dell’originario ruolo di connessione territoriale di un’antica strada, i potenziali fruitori sono allo stesso tempo osservatori dei fenomeni esterni e attori posti all’interno del fenomeno osservato, capaci di interagire con il contesto e, in qualche misura, di modificarne la sua realtà percepibile. La questione si pone in termini anche di movimento ed è dunque indispensabile individuare le diverse categorie di percorrenza oltre alle varie caratteristiche dei tratti della strada e del contesto. È evidente, infatti, che le dinamiche relazionali risulteranno profondamente differenti in base al tipo di percorrenza (veloce o lenta), alla consistenza fisica del tracciato e cioè alle caratteristiche e al grado di conservazione dei vari tratti di strada: tratti con basolato o tracciato antico evidente, tratti conservati affiancati da nuove infrastrutture, tratti coperti da nuove infrastrutture, tratti scomparsi con segni di permanenza, tratti scomparsi senza segni di permanenza. Allo stesso modo, determinanti saranno i diversi caratteri del paesaggio attraversato, sia relativamente ai suoi aspetti fisiografici (di pianura, collinare, di valle, montano) che a quelli legati agli usi del suolo di tipo antropico o naturale (centro storico, periferia compatta, periferia diffusa, area agricola, area boschiva, ecc.).
In un ipotetico progetto di fruizione turistico-culturale della strada, si possono indicare diversi modi di percorrenza, legati alle caratteristiche del tracciato e dei contesti e alla presenza di emergenze storico-archeologiche che ne scandiscono le tappe.
L’Appia Antica può essere percorsa in modo veloce, in automobile, in pullman o in treno, rincorrendone le numerose tracce presenti lungo il tragitto. Il tracciato della strada statale n. 7 Appia ricalca infatti, in numerosi tratti nel Lazio e in Puglia, la strada romana, consentendone una fruizione con mezzi rapidi e garantendo, allo stesso tempo, una visione cinematica del paesaggio circostante.
In altri tratti il tracciato antico è affiancato da moderne vie di scorrimento; in questo caso la percorrenza veloce lungo queste strade consente un interessante sguardo ravvicinato laterale della strada romana. Un significativo esempio è rappresentato dalla compresenza di un doppio tracciato, antico e moderno, sugli opposti versanti delle gole di Itri, dove chi percorre in automobile la strada statale può osservare sul lato opposto della stretta valle le imponenti sostruzioni della strada romana (Quilici Gigli e Quilici, 2017).
Nel caso della percorrenza veloce si devono necessariamente prevedere dei punti di sosta e di visita. Si può, in tal senso, ipotizzare una valorizzazione delle antiche stazioni di posta, che per lo più coincidono con i luoghi di addensamento delle permanenze archeologiche. Queste stazioni spesso costituiscono delle vere e proprie soglie, che cadenzano il percorso e che segnalano altrettanti passaggi, così come i guadi, costituiti dalla infinita serie di ponti che consentono l’attraversamento dei principali fiumi (Garigliano, Volturno e Ofanto) e dei corsi d’acqua minori.
Il confronto incrociato tra le caratteristiche fisiche del tracciato e quelle dei contesti attraversati consente di individuare, per ciascun tratto compreso tra le successive soglie, altrettante unità di percorso. Al loro interno sarebbero riconoscibili particolari sequenze di organizzazioni spaziali e se ne potrebbero osservare i principali elementi costitutivi, monumenti isolati percepibili a distanza, moduli della centuriatio romana apprezzabili nella loro ritmicità, ecc. Ogni unità si caratterizzerebbe così come entità spaziale identificabile per una propria specificità organizzativa e tematica dominante.
Come significativi esempi di unità di percorso possono essere citati: i rettifili del basolato sulla colata lavica di Capo di Bove nella Campagna Romana e del tracciato della strada statale coincidente con l’Appia Antica nella piana pontina, gli attraversamenti urbani di Formia e dell’hinterland di Caserta, il tratto tortuoso – passate le Forche Caudine – tra Montesarchio e Benevento, la strada di crinale dopo Aeclanum, il tratto coincidente con il tratturo tarantino tra Venosa e Gravina.
È importante sottolineare come la fruizione veloce della strada può contemplare anche dei trasferimenti, con soluzione di continuità, tra unità di percorso non contigue.
Per una più profonda comprensione di queste sequenze, l’Appia Antica può essere percorsa in modo lento, a piedi, in bicicletta o a cavallo, come una vera e propria via verde per la fruizione dolce da parte del camminatore-osservatore del paesaggio circostante. Sono questi i casi in cui l’Appia si presenta nel suo aspetto originario, spesso con il basolato romano tuttora evidente: all’interno dei Parchi dell’Appia Antica a Roma e nella valle di Itri e delle aree archeologiche di Minturno, di Egnazia e di Herdoniae.
Ma si possono ipotizzare ulteriori casi di fruizione lenta lungo tratti alternativi al tracciato originale, in particolare laddove l’Appia risulti interessata da intensi flussi di traffico veicolare o dove i particolari caratteri orografici dell’area consentono la possibilità di uno sguardo dall’alto. È il caso, ad esempio, dell’Agro Pontino, dove è in corso di costruzione una pista ciclo-pedonale lungo l’argine del canale settecentesco chiamato Linea Pio VI, il quale fiancheggia la strada statale n. 7 Appia – in questo caso perfettamente coincidente con il tracciato romano – nel tratto compreso tra due delle trentacinque antiche stazioni di posta dell’Appia Antica: Forum Appi (oggi Borgo Faiti) e Ad Medias (oggi La Mesa). Allo stesso tempo, nella medesima area pontina è stata realizzata una variante di mezza–costa del percorso lungo le tracce dell’Appia, che, sviluppandosi ai piedi dei monti Lepini, consente la più ampia visuale, di tipo panoramico, del paesaggio della pianura sottostante.
Alle diverse intensità, legate alla dimensione temporale, del ritmo del percorso (veloce in automobile, medio in bicicletta, lento a piedi), si affiancano, infatti, diverse possibilità, legate alla dimensione spaziale, di percorrenza, grazie alla presenza di diramazioni, lungo tracciati secondari, che si allontanano dalla strada. Questi possono diventare punti di osservazione verso l’Appia: non più, dunque, l’osservazione del paesaggio dall’Appia, ma del paesaggio dell’Appia.


L’iniziazione

Quello sin qui delineato non è solo un itinerario turistico, con tutti i rischi connessi alla banalizzazione e alla commercializzazione del prodotto e all’impatto degli interventi di messa in sicurezza e valorizzazione del percorso, ma un modo di cogliere il senso dei territori attraversati, delle loro culture, partendo da un versante tirrenico (Roma), passando per un versante ionico (Magna Grecia), fino ad approdare a un versante adriatico, proiettato verso l’oriente ellenico. Si tratta, in altre parole, di un avvicinamento progressivo alla cultura mediterranea, fino all’approdo finale: l’apertura verso la Grecia. L’itinerario descritto non è dunque un pellegrinaggio, ma una sorta di iniziazione, una progressione dal mondo romano–italico verso quello greco, nel medesimo verso seguito dai romani nella conquista militare, prima, e nell’assorbimento culturale, in seguito.
Questa esperienza è stata incisivamente descritta, da Carlo Belli, che definì la Magna Grecia come “una Grecia ‘meno evidente’, e anche più aspra, specie nelle testimonianze umane, giacché il rude substrato italico, anteriore all’arrivo degli eroi omerici sui nostri litorali non andò mai interamente perduto”, dove “la natura ha peso e dimensioni diverse da quelle che possiede al di sopra del fiume Sele” e nella quale “un che di grave è diffuso ovunque, negli uomini, nelle erbe, negli animali”. (Belli, 1985).
Il viaggio lungo l’Appia diventa, dunque, occasione privilegiata per una rivelazione di senso. Non è tanto la strada in sé l’oggetto d’interesse dell’esperienza cognitiva legata alla sua fruizione, quanto la funzione didattico-ermeneutica che lungo il suo percorso pervade in modo immanente il campo relazionale uomo-ambiente.




Riferimenti bibliografici

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