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Progetto urbano e ambientale per il sistema dei Casali della città di Napoli
Tracce storiche, transizione ecologica, nuove centralità
Mario Losasso
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Parole chiave: sviluppo locale, principi insediativi, progetto ambientale, transizione ecologica.
Keywords: local development, settlement principles, environmental design, ecological transition.




Abstract:

Valorizzare le caratteristiche abitative dei distretti urbani considerando le tracce e le principali regole che sono all’origine degli insediamenti storicamente consolidati, costituisce un indirizzo per la costruzione di modelli di sviluppo locale, nuove forme di comunità, processi di economia circolare, transizioni ecologiche dei distretti urbani. Il sistema dei Casali dell’area metropolitana di Napoli può essere riconvertito a partire dalla comprensione delle dinamiche connesse alle sue origini, nel riferimento ai propri fondamentali punti di radicamento, ai valori della cultura abitativa che si sono integrati nella recente evoluzione urbana e ai fattori di innovazione dettati dalla ricerca di nuove centralità e da una innovativa rispondenza alle sfide ambientali.




Il progetto urbano: conoscenza e consapevolezza dei contesti

La comprensione degli assetti dei territori delle aree metropolitane rappresenta, nella contemporaneità, uno degli obiettivi principali per una nuova attribuzione di senso, di assetti fisici e di funzioni allo spazio dei contesti periurbani e rurali messi fortemente in crisi da fenomeni di degrado, consumo di suolo, perdita di riconoscibilità dei luoghi, mancanza di inclusione sociale, impatti ambientali. La difficoltà della vivibilità delle aree di margine e periferiche è l’esito non solo di decenni di crescita incontrollata, di deregulation, di sprawl urbano, ma anche di incapacità di interpretare le coerenze degli spazi, di non aver utilizzato appropriati strumenti di governo del territorio, di non aver avuto visioni per armonizzare in maniera sostenibile la moltiplicazione non controllata di abitazioni, infrastrutture, attività. In ambito metropolitano, le aree periurbane e rurali si dispiegano come parti delle periferie ormai in chiave indistinta, espressione di irreversibili modalità di ibridazione e di “paesaggi dell’abbandono” sganciati dalle regole costitutive delle identità dei luoghi. Le regole insediative astratte e dettate dal processo lineare società-produzione-funzioni economiche, si sono sovrapposte al processo tradizionale società-ambiente-autosostentamento attuandosi attraverso un utilizzo di risorse sempre più deterritorializzate.
Gli anni ’90 sono stati cruciali per le aree metropolitane del nostro Paese: dopo l’intensa conurbazione successiva al boom economico e la transizione degli anni ’70-‘80, i fenomeni delle ultime espansioni urbane pianificate e della diffusione pervasiva di nuove lottizzazioni si sono sommati in irreversibili processi di urbanizzazione e degrado. Alle soglie degli anni ‘2000, numerose sono state le prese di posizione del mondo della cultura e della ricerca urbana, fondate anche in termini di critica radicale sugli «effetti devastanti e insostenibili della forma metropoli fordista», in cui viene evidenziata la necessità di una svolta per contrastare i processi di crescita globale a danno della dimensione locale (Magnaghi, 2000). Bruno Latour ha recentemente delineato l’insostenibilità dell’avanzamento di un processo di contrapposizione fra globale e locale in cui spesso la figura reattiva e nostalgica del locale appare solo per contrasto al globale (Latour, 2018). Il superamento di questa dicotomia è individuato da Latour nella necessità di oltrepassare il deficit di rappresentazione fra le due polarizzazioni e delle fughe scomposte verso uno dei due attrattori, in cui se il globale rappresenta la modernizzazione astratta e alienante, il locale si caratterizza soprattutto come “anti-globale”. «Appartenere a un suolo, volere restarci, mantenere la cura di una terra, attaccarsi ad essa, è diventato reazionario solo per contrasto rispetto alla fuga in avanti imposta dalla modernizzazione»: una volta che si smette di attuare questa fuga, il legittimo desiderio di radicamento assume i tratti della prospettiva ecologica e motiva scenari culturali, politici e socioeconomici di coesistenza fra componenti planetarie e locali, direzionate verso la categoria del “terrestre” in cui convergono in maniera interdipendente gli aspetti antropici e biofisici naturali (Latour, 2018).
Numerose aspettative dell’abitare contemporaneo in aree critiche presentano ancora margini per ripartire da un approccio che veda nella valorizzazione delle qualità locali un indirizzo per la costruzione di uno sviluppo locale auto-sostenibile accanto alla crescita della «coscienza di luogo», a nuove forme di comunità, di economia solidale, di produzione e di scambio con finalità etiche (Magnaghi, 2000). L’alimentazione di una conoscenza critica, da attivarsi non solo tra i rassicuranti recinti dell’autonomia disciplinare, richiama la necessità di comprendere le ragioni storiche e il senso dei processi di formazione e crescita dei contesti. I deficit di conoscenza e la mancanza di considerazione dei fattori esogeni accrescono lo smarrimento culturale e operativo del progetto urbano nelle periferie. L’alienazione dell’abitare contemporaneo progredisce irrimediabilmente e ciò significa che l’uomo è sempre di più esterno all’abitare stesso, che non appartiene più al suo essere così come il costruire non è il soddisfacimento di un suo bisogno ma soltanto un mezzo per soddisfare bisogni estranei: per questo motivo, la costruzione della città in epoca capitalistica è diffusamente caratterizzata dalla frattura fra l’uomo e il suo prodotto, tra la sua essenza e la sua esistenza (Renna, 1980).
Rinvenire le radici e farne emergere le tracce diventa, allora, un esercizio che rende denso il processo che è alla base del progetto urbano in particolare per le aree periferiche e di margine. Oltre ai principi di tutela conservativa o trasformazione re-interpretativa, va compreso che qualsiasi assetto debba misurarsi con l’interdipendenza fra insediamenti e ambiente e con le finalità di sviluppo sostenibile e contrasto al cambiamento climatico quale prospettiva prioritaria dettata dalle strategie internazionali come l’Agenda 2030 delle Nazioni Unite o il Green Deal europeo. Nascono nuovi valori che direzionano il progetto urbano e che possono prendere forma da alcune condizioni locali, a partire dalle tracce della storia in cui rinvenire le motivazioni di un rapporto più sano in termini di comunità, di economie, di protezione ambientale. Nel confronto con la moltiplicazione delle condizioni di rischio ambientale è necessario adattarsi, mitigare, attivare pratiche di sviluppo sostenibile alla scala locale, attuare transizioni ecologiche ed energetiche, rinvenire il senso di appartenenza e del valore dei luoghi, attivare processi circolari.
Il valore del radicamento alla dimensione locale può svolgere un ruolo importante nei nuovi scenari, a partire dal rintracciare le principali regole secondo cui le fasi storiche hanno inciso sull’assetto del territorio. Questo approccio introduce motivazioni di senso, che fanno comprendere le ragioni dei principi insediativi coerenti con l’ambiente in termini simbiotici piuttosto che in termini di sfruttamento del capitale naturale disponibile. In tal modo, il progetto urbano per le aree periferiche è chiamato a misurarsi non con regole astratte ma con le motivazioni ecologiche che hanno definito, in una fase storica di equilibrio, l’interazione fra antropizzazione, sistemi biofisici naturali, habitat (fig. 1).
Da questo punto di vista, non si tratta di salvaguardare la nostalgia o rileggere i rapporti di produzione di un tempo. Una esemplificazione è fornita da Emilio Sereni, quando richiama la riappropriazione del passato come consapevolezza sociale di una storia fatta da soggetti collettivi e non da singoli individui o eventi. Le analisi andrebbero focalizzate sia sugli aspetti formali che sui rapporti sociali e di produzione che hanno determinato gli assetti dei territori. I nessi tra tecnica, economia e società si applicano al metodo comparativo e regressivo applicato all’indagine storica. Sereni esplicita un richiamo al lavoro di Fernand Braudel sulla longue durée di alcune tracce storiche sul territorio – strutture che resistono con forza alle sollecitazioni – in cui si saldano il piano della politica e dell’intervento individuale con il piano profondo e spontaneo delle rappresentazioni collettive. Sereni elabora una lettura delle permanenze non in chiave formalistica né fenomenologica: a proposito della forma del paesaggio agricolo italiano in epoca romana, afferma che «solo l’immensa accumulazione di energie umane assicurata, (…) sfruttamento del lavoro servile, può spiegare quella massiccia e spietata potenza di «una seconda natura che opera a fini civili» di cui parlava Goethe. (…) La forma della centuriatio romana ha potuto imprimersi con il suo reticolo della viabilità vicinale e col rigore dei suoi confini su buona parte della pianura italiana: nel cui paesaggio essa ha segnato l’impronta che resta forse, a tutt’oggi, la più larga e la più duratura» (Sereni, 1979).

La centuriatio sostituisce il vecchio sistema agrario dei campi ad erba e in esso si adeguano rapporti di produzione, di proprietà e giuridici, fino a diventando guida metrica e spaziale per gli assetti del territorio (fig. 2). La centuriatio rappresenta una “legge d’inerzia” del paesaggio agrario italiano e, anche quando sono scomparsi i rapporti tecnici, produttivi e sociali che ne hanno determinato l’origine, vi è una persistenza del suo reticolo capace di determinare nuove organizzazioni sulla base di assetti fisici idonei ad altre epoche e ad altri rapporti di produzione o di riproduzione sociale (fig. 3). È come la città di Clarice richiamata da Italo Calvino nel suo libro Le città invisibili: pur susseguendosi le popolazioni, restano il nome, le ubicazioni e le parti persistenti della città, in cui ogni nuova Clarice sfoggia quel che resta dell’antica (Calvino, 1972). Comprendere le ragioni e le intenzionalità di assetti fisici e funzionali consente di ripartire da questi, fornendo un’attualizzazione di senso per abitare la contemporaneità senza reinterpretare arbitrariamente i caratteri locali laddove si abbiano motivazioni culturali, fisiche e funzionali della loro persistenza.
Nel progetto urbano dei contesti periferici in cui si sommano l’urbano, il periurbano e il rurale, le tracce della storia potrebbero così rappresentare i punti di riferimento e gli elementi di radicamento a partire dai quali possano poi svilupparsi sperimentazioni e inclusioni complementari negli assetti spaziali. Il rapporto con il contesto dovrebbe collocarsi in uno spazio intermedio – che richiede ancora molti margini da esplorare - fra i due estremi di una condizione di tutela e di una riconfigurazione re-interpretativa. Nell'impossibilità di ricomprendere la complessità del reale in un discorso conoscitivo unico, proprio delle grandi narrazioni, si tratta di rafforzare un metodo di lavoro basato sul rintracciare temi e vocazioni urbane come chiavi per il progetto in una condizione di nuova interdipendenza con l’ambiente.

Alimentando la linea di ricerca progettuale in cui il progetto urbano “apprende” dal contesto, vanno mantenute con esso relazioni culturali, strutturali, sociotecniche e ambientali. Il superamento dell’estraniazione dell’abitare non può prescindere da un ragionamento critico sulla realtà esistente e il progetto urbano, nella sua aspirazione a essere reale, deve acquisire la consapevolezza di poter essere uno dei fattori di conflitto interno alla città, in quanto elemento di valutazione critica di un assetto non ritenuto soddisfacente.
La relazione con le tracce della storia esprime – fra le tante opzioni possibili – una specifica scelta di campo. Ciò esclude discutibili approcci basati su un mondo dell’apparire o dell’esercizio “calligrafico” (Gregotti, 2013) che non si misura con le contraddizioni della realtà, alimentando solo un sovraccarico di coscienza storica (per esempio, la tutela fine a sé stessa), una manipolazione delle fonti, un uso acritico di citazioni, un senso della perdita con il mescolamento di elementi provenienti da fonti diverse, un’introduzione di una concezione metanarrativa. La perdita dell’accuratezza storica e della prospettiva di interdipendenza ambientale può favorire cattive informazioni, “disturbi” che le manipolano e distorsioni imprevedibili, inducendo infine uno scontro fra identità ricercata e precarietà dell’identità ridefinita.


Fra urbano, periurbano e rurale: il sistema ambientale dei Casali dell’area napoletana*

Il tema del rapporto fra città e aree periferiche metropolitane rappresenta un elemento cruciale dell’attuale dibattito sulle identità e sulle trasformazioni dell’abitare. L’ambiente antropizzato in maniera pervasiva richiede una interpretazione dei principi insediativi ma innovativa su quanto si è ormai stabilizzato senza soluzione di continuità.  Nelle tracce degli habitat storicizzati si rinviene una efficace relazione di interdipendenza con il contesto ambientale e il clima: l’architettura tradizionale ha dovuto sempre fornire, in maniera complessa ma flessibile, risposte appropriate alle condizioni ambientali. Per esempio, l’assetto del territorio e i caratteri architettonici e costruttivi delle pianificazioni greche e romane nella loro razionalità “aperta” hanno espresso esempi che hanno consentito margini di variabilità all’interno di regole di assetto generale. Come per le aree rurali italiane, anche l’area napoletana ha visto una riorganizzazione dello spazio agricolo attraverso la centuriatio di epoca romana e gli insediamenti delle masserie – derivazione delle domus cultae o massae, veri centri di riorganizzazione agraria nel periodo longobardo e bizantino – e dei “casali”, i castra fortificati (fig. 4). A queste tipologie compatte si affiancarono, in epoca successiva, gli impianti urbani a corte aperta sui campi, derivati dall’altro sistema insediativo del vicus di tradizione romana, impostato con domus elementari isorientate (figg. 5 e 6) e attestate lungo gli assi viari (Caniggia, 1984). La masseria nella sua forma consolidata ha poi assunto le forme di edificio con funzione produttiva ma, in alcuni casi, anche difensiva e fortificata, secondo le due varianti tipologiche a corte e con corpi di fabbrica più compatti, a blocco isolato o in forme aggregate; il “casale”, con struttura più complessa, si è configurato nel tempo come piccolo insediamento, divenendo testimonianza dell’evoluzione del vicus e del castrum (Sereni, 1979; Losasso, 2010).
Nella distribuzione di tipo “stellare” dei Casali della città di Napoli (fig. 7), dislocati nelle loro forme più compiute nella piana a nord, i principi insediativi erano in alcuni casi ben riferiti agli schemi della centuriatio, degli assi territoriali, degli elementi naturali, dell’assetto produttivo agrario. Nel corso dei secoli si sono determinate sostanzialmente due condizioni di sviluppo dei Casali, una prima con un ruolo di servizio e di maggiore interscambio con la città, una seconda con insediamenti ubicati ai margini prossimi alla città e, quindi, tendenzialmente assorbiti in essa. I caratteri dell'impianto urbano dei vecchi nuclei rimandano alla relazione tra i processi di trasformazione del territorio e le condizioni ambientali ed economiche che rappresentavano la risposta di una determinata società, dotata di propri tratti culturali distintivi, ai temi dell'abitare (Losasso, 1985).

Secondo tale mediazione culturale, venivano selezionate le forme e i modi dell’abitazione congruenti con i livelli economici e sociali raggiunti e con il sapere tecnico e le risorse disponibili.
Nel principio insediativo dei Casali napoletani si riflettono gli elementi di un sistema ambientale caratterizzato dai rapporti locali fra uomo e natura che hanno espresso un'economia fondamentalmente rurale agganciata tuttavia alla presenza di un importante centro mercantile e produttivo come era Napoli già a partire dal ‘700. Uno studio sulle “tracce della storia” può ancora rinvenire in filigrana i modi di produzione che esprimevano una positiva interazione fra città e campagna, poiché il sistema dei Casali era espressione di una società contadina indissolubilmente vincolata alla natura che ne costituiva il bene primario.
I vecchi nuclei dei Casali erano strutturati secondo precisi rapporti tra tracciati agricoli, impianto viario, elementi primari e abitazioni in quanto fattori adeguati a definire caratteri di identità e radicamento alla realtà locale. Le forme abitative contemporanee che li hanno spesso fagocitati sono ovviamente prive di questi riferimenti fondamentali, che sono stati spinti “sotto traccia” determinando la perdita di riconoscibilità e la destrutturazione di un intero territorio che ha abbandonato la propria vocazione produttiva senza autoproporsi con altri indirizzi e prospettive. Tra l'obsolescenza degli insediamenti tradizionali e la proliferazione dell’edilizia contemporanea fatta di palazzine, parchi o ville dal discutibile stile, nella contemporaneità si è definitivamente modificata la struttura di un habitat un tempo nato su un equilibrato rapporto fra edifici, risorse e ambiente, e del quale si sono ancora presenti alcuni elementi caratterizzanti.
Se lo spazio abitativo dei Casali napoletani si è definitivamente saturato e disarticolato, non può essere esclusa nel presente la possibilità di riprendere un filo interrotto facendo emergere da tracce persistenti alcuni valori, magari legati a nuove modalità di organizzazione del mondo rurale e integrandoli funzionalmente con il costruito recente. «Non si tratta di far rivivere modi di abitare e di costruire del passato (…) ma di sottolineare i pregi di un positivo dialogo tra società e ambiente» restituendo un senso a una periferia a partire dall’essere parte integrante, in alcuni casi ancora riconoscibile, del frammentato paesaggio italiano (Vittoria, 1985a). All’interno di questo inquadramento, acquista senso indagare ancora oggi il complesso sistema dell'organizzazione dei tracciati, dei vincoli e della struttura del sistema ambientale dei Casali nel rapporto fra edifici e forma dell’insediamento e tra essi, la natura e l’habitat (fig. 8). Vanno approfondite le relazioni fra gli insediamenti e i fattori come il clima, l'orientamento, gli aspetti geomorfologici, le risorse economiche, le infrastrutture, le tecniche di produzione agricola e le altre attività produttive.

L’azione progettuale in contesti di saturazione abitativa e infrastrutturale, nonché di degrado fisico e socioeconomico, richiede un ribaltamento di visuale secondo il quale far emergere gli elementi di un radicamento ancora rintracciabile accanto a necessari elementi di innovativa naturalità rurale e periurbana, infrastrutturale e socioeconomica. Se alcuni cicli sono da ritenersi inevitabilmente conclusi, per attuare un nuovo equilibrio co-evolutivo è necessario attribuire nuovi valori alle preesistenze, inducendo il territorio delle periferie a definirsi come “altro” e ponendo una sua riconoscibilità genetica come alternativa al declino. L'operazione di interpretazione nella contemporaneità è delicata perché deve evitare che relazioni di subalternità siano acriticamente assunte come un riferimento. L’azione da condurre dovrebbe esprimere un giudizio critico in cui le tracce della storia vengono considerate come un materiale per il progetto urbano e ambientale, potendo rappresentare degli elementi ordinatori capaci di restituire un radicamento e un principio di appartenenza per la rinascita della dimensione locale.
Da un lato vanno rintracciati i valori di interazione tra architettura e ambiente, in cui l'architettura popolare dei Casali si è costruita in relazione alle necessità e alle esigenze collettive secondo regole rintracciabili e identificabili. I principi insediativi storici hanno espresso una irrinunciabile necessità di sopravvivenza di comunità «non nel senso naturalistico di uniformare la casa al luogo quanto piuttosto in quello più pertinente di proteggere le abitudini e le forme di vita e di lavoro dalla variabilità degli elementi primari, l'acqua, il vento, il sole che di fatto tendono a contrastare l'abitabilità della terra. L'originalità dello spazio rurale, nel contesto fisico di una regione o di una zona, risiede appunto in questa possibilità di abitare, cioè di vivere a tutti i livelli le intrinseche qualità della natura» (Vittoria, 1985a).
Dall’altro possono ancora essere oggi individuati come contributi di qualità i numerosi interventi di ricucitura urbana e ambientale avvenuti con l'edificazione post sismica del Programma Straordinario di Edilizia Residenziale a Napoli (PSER). Quartieri d’autore, interventi di conservazione dei tessuti storici, salvaguardia di una dimensione semi-rurale, attrezzature e infrastrutture concepite con il Programma attuato a valle del 1980 (fig. 9), possono essere considerate come ulteriori risorse e riferimenti culturali per un progetto rigenerativo in cui le periferie a nord di Napoli possano diventare luoghi di nuove centralità, dotando di senso il continuum tra insediamenti, ambiti periurbani e rurali che ne caratterizza l’attuale assetto territoriale (fig. 10).

Rinvenire le tracce, dare ad esse nuovo valore e farle diventare capisaldi di un processo di trasformazione interno alle coerenze ambientali può definire una necessaria interdipendenza fra società e ambiente e fra architettura e natura, superando la stessa perdita di naturalità del paesaggio napoletano conseguente agli interventi anarchici e casuali di urbanizzazione e infrastrutturazione avvenuti negli ultimi 40 anni. Una ipotesi di lavoro individua la possibilità di attestarsi in una ricomposizione di frammentazioni, stabilizzandosi su un innovativo tessuto agro-residenziale integrato - un “habitat biotecnico agricolo” per usare le parole ancora attuali di Eduardo Vittoria - espressione di una attualizzazione ecosistemica sostitutiva di un ormai consumato e ideologico rapporto fra città e campagna (Vittoria, 1985b).
Tale rapporto va riconsiderato non come sistema chiuso ma in stretta relazione con le sequenze dello spazio periurbano e rurale riorientato verso scenari di riduzione del consumo di suolo, di economia circolare, di quote di autoproduzione energetica e alimentale, di adattamento ambientale (rispetto a impatti climatici, inquinanti, patogeni), di sviluppo sostenibile alla scala locale, di mobilità sostenibile, di greening urbano. Analogamente, lo strumento trasformativo del progetto urbano si riempie di complessità aprendosi a dimensioni scalari come i “distretti di riciclo urbano”, nei quali «sperimentare forme di vita ricicliche in cui tutto viene messo in riciclo per essere la base costitutiva di un altro ciclo di vita», per nuovi metabolismi urbani più sostenibili e progetti di rigenerazione con masterplan non deterministici, inadeguati in quanto basati sulla previsione di effetti a lungo termine e fondati sulla scarsa elasticità delle decisioni e delle azioni previste (Carta et al., 2016). Ne consegue la necessità di approcci incrementali con scenari di sviluppo in cui il masterplan morfologicamente definito e fondato sul controllo di condizioni territoriali deboli diventi una sorta di “masterprogram” strategico, basato sulla flessibilità delle azioni e dei tempi (Carta et al., 2016).
Oggi la convenzionale contrapposizione tra città e campagna viene superata da distribuzioni spaziali e funzionali a macchia di leopardo di nuovi assetti difficilmente classificabili secondo categorie prestabilite. Accanto allo sprawl si rintracciano condizioni di dross scape, spazi marginali rimasti intrappolati all’interno della crescita urbana o che rappresentano un margine e un confine rispetto ai territori propriamente rurali, come avviene per i paesaggi in-between, paesaggi de-industrializzati o in alcuni casi marginali, collocati concettualmente e funzionalmente tra paesaggio agrario e paesaggio urbanizzato (Gasparrini e Terracciano, 2016). Il sistema dei Casali con il suo territorio periurbano e rurale incluso nella vasta area metropolitana di Napoli può essere riconvertito a partire dalla comprensione delle dinamiche connesse alle sue origini, al suo metabolismo, al richiamo ai propri fondamentali punti di radicamento, ma anche ai valori della cultura abitativa che si sono espressi nella recente evoluzione urbana e ai fattori di innovazione dettati dalla ricerca di nuove centralità, dall’insediamento di nuove attività e dalla necessaria transizione ecologica delle parti urbane oggi marginalizzate.




Note

* Il tema di ricerca sul sistema dei Casali e sulle periferie dell’area metropolitana di Napoli rientra nelle attività svolte dall’Unità di Ricerca Tecnologia e Ambiente del Dipartimento di Architettura dell’Università di Napoli Federico II. Il tema delle periferie urbane nelle interazioni tra insediamenti e ambiente, tra cultura materiale e nuove interpretazioni dello spazio abitabile, tra nuove centralità e transizione ecologica dei distretti urbani è attualmente affrontato nella ricerca dipartimentale “PER_CENT/ Periferie al centro” (2019-2021, coordinamento generale di M. Losasso).




Riferimenti bibliografici

Calvino, I. (1972), Le città invisibili, Einaudi, Torino.
Caniggia, G. (1984), “Analisi tipologica: la corte matrice dell'insediamento”, in Ciccone, F. (Ed.), Recupero e riqualificazione urbana nel Programma straordinario per Napoli, Giuffrè Editore, Milano.
Carta, M., Lino, B., Ronsivalle, D. (2016) (Eds.), Re-Cyclical Urbanism. Visioni, paradigmi e progetti per la metamorfosi circolare, LiSt Lab, Rovereto (TN). Gasparrini C. e Terracciano A., (2016) (Eds.), Drosscity. Metabolismo urbano, resilienza e progetto di riciclo dei drosscape, LISt Lab, Rovereto (TN).
Gregotti, V. (2013), Il sublime al tempo del contemporaneo, Einaudi, Torino.
Latour, B. (2018), Tracciare la rotta, Raffaello Cortina Editore, Milano.
Losasso, M. (2010), “Tecnologia e progetto per l’ambiente mediterraneo”, Progetto sostenibile, n. 26.
Losasso, M. (1985), “Gli insediamenti, le risorse, l’ambiente”, La Provincia di Napoli, n.1.
Sereni, E. (1979), Storia del paesaggio agrario italiano, Laterza, Roma-Bari.
Vittoria, E. (1985a), “I Casali della provincia di Napoli”, La Provincia di Napoli, n.1.
Vittoria, E. (1985b), “Abitabilità della campagna: rapporto agricoltura-architettura”, La Provincia di Napoli, n.1.

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