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Tre interventi necessari
Franco Purini
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Sarebbe senz’altro possibile e necessario che le relazioni tra l’Antico e le stratificazioni successive siano più esplicite e che ad alcune importanti strutture siano assegnate nuove funzioni. La prima di queste relazioni riguarda il tracciato delle Mura Serviane a Roma, di cui restano in qualche punto della città, soprattutto a ridosso e sotto la Stazione Termini notevoli ruderi del muro che governava l’aggere del recinto di cui la parete di tufo era il supporto statico, la sua spina dorsale. Penso che, come a Parigi dove il perimetro della distrutta Bastiglia è visibile perché tracciato sull’asfalto della piazza e delle strade che hanno ridisegnato il sito sul quale la fortezza sorgeva, si possa pensare a un sistema analogo, e più avanzato, che mostri il recinto serviano nella sua intera ampiezza. Non so quante persone anche colte riescano a decifrare nella città attuale il percorso delle seconde mura di Roma, dopo la città quadrata palatina. Credo poche. Stampare con un semplice inserto nell’attuale perimetrazione e porre qualche segno verticale tracciato su edifici significativi, come fosse una sezione, consentirebbe a tutti, turisti e romani, di vivere virtualmente il recinto, coscienti di attraversarne immaterialmente alcuni tratti. L’operazione sarebbe un ottimo intervento di arredo urbano di notevole natura concettuale. Sarebbe utile anche descrivere, con gli stessi mezzi, l’antichità di alcune strade precedenti la fondazione della città dei tempi delle mura serviane perché tale indicazione farebbe comprendere meglio la struttura viaria della Roma imperiale.

La seconda relazione tra un monumento antico e la Roma contemporanea che occorrerebbe ristabilire, è quello tra la cinta delle Mura Aureliane e la città. Oggi il recinto di questo precedente margine urbano è inaccessibile. Molte torri, prima occupate da studi di artisti, sono oggi vuote, così come quelle prima non utilizzate. Anche il percorso sommitale è chiuso. In più punti questo lungo recinto è ridotto a una labile traccia, come attorno al Ministero dell’Aviazione Militare, presso il Castro Pretorio, mentre altre parti della cinta muraria sono state demolite per questioni legate al traffico. Ciò che sarebbe utile fare, per riattivare un rapporto vitale con la città, è quello di restaurare le mura, nei numerosi punti in cui si stanno seriamente compromettendo, come presso la Porta di San Giovanni. Restauri che riguardano le fondazioni come nella zona appena nominata, le strutture, il camminamento, come si è già detto più volte interrotto o del tutto scomparso. Inoltre sarebbe appropriato, dove possibile, sistemare la fascia interna e quella esterna come aree che potrebbero anche essere prossime alle mura nei pochi tratti verdi che siano meno anonime di quelle attuali. Aree interrotte da piccoli spazi attrezzati dove sostare per osservare la struttura costruita da Aureliano. In tali spazi occorrerebbe sistemare scale e ascensori per accedere al camminamento superiore laddove è stato interrotto. In questo modo, quando è possibile, si restituirebbe ai turisti e ai romani una visione continua della città interna ed esterna al perimetro murario dall’altezza di circa dieci metri. Alcune torri potrebbero ospitare materiali documentari relativi alle parti di città che le mura stanno attraversando.

Il terzo intervento che si dovrebbe programmare e realizzare a Roma per restituire in modo adeguato l’Antico alla città contemporanea, conferendo alla sua presenza e alla lettura che se ne può fare ulteriori e più avanzati significati, dovrebbe riguardare l’Area Archeologica Centrale, oggetto negli ultimi decenni  di una serie di proposte, tra le quali chi scrive si limita a ricordare quella di Costantino Dardi, il progetto di Leonardo Benevolo e Vittorio Gregotti assieme dall’esito di un concorso di idee indetto tre anni fa dall’Accademia Adrianea e organizzato da Pier Federico Caliari, che ha avuto esiti di indubbio interesse. La principale questione relativa ai Fori repubblicani e ai Fori Imperiali fino al Colosseo e a qualche zona adiacente come quella della Domus Aurea consiste nella natura dell’Area Archeologica Centrale. Essa può essere infatti considerata come un’entità monumentale separata dalla città – un museo a cielo aperto – o una parte urbana speciale da vivere in una pluralità di modi, da luogo da visitare in quanto straordinaria testimonianza ma anche un distretto urbano da attraversare come ogni altro rione del centro storico. Negli ultimi anni il dibattito ha cercato di decidere in merito alla prima o alla seconda concezione dell’Area Archeologica Centrale, che secondo l’estensore di queste note dovrebbe essere un intorno libero che sia nello stesso tempo uno spazio protetto e uno spazio urbano in diretta continuità con ciò che lo circonda. Anche l’attraversamento solo con mezzi pubblici dovrebbe essere escluso e dirottato su un anello di strade circostanti. In effetti la nuova Metropolitana C può servire l’Area Archeologica Centrale e gli autobus dell’Atac potrebbero
agevolmente servirla aggirandola. Una semplice passerella pedonale, larga pochi metri dovrebbe attraversare tutta l’area liberata dalla Via dei Fori Imperiali e dal suo basamento (fig. 1).

I resti archeologici, oggi lasciati al suolo, dovrebbero essere ricomposti nei luoghi che l’avevano accolti consentendo di ricostruire almeno parte degli antichi edifici (fig. 2). Il ponte pedonale permetterebbe di osservare dall’alto i Fori Imperiali, che riguadagnerebbero la loro ampiezza reale senza essere tagliati in due sezioni come accade oggi. Lungo le passerelle sarebbero collocate scale e ascensori rendendo accessibile l’Area Archeologica Centrale sia dall’alto che a livello del terreno. Inoltre in corrispondenza della Velia sarebbe possibile realizzare un vasto spazio per i visitatori, comprendente bar, ristoranti, servizi, infermeria, alcune sale per conferenze e proiezioni, uno spazio per mostre, magazzini, ambienti di sosta (fig. 3, 4). Il Comune potrebbe istituire una Commissione formata da un funzionario della Soprintendenza, un archeologo, un architetto, uno storico, e un esperto del traffico che potrebbero delineare gli scenari teorici e operativi per realizzare questi interventi.

I tre interventi proposti sono solo alcuni tra quelli che dovrebbero essere previsti e compiuti per rendere contemporaneo l’Antico continuando al contempo a conservarlo. Gli anni di Antonio Munõz sono lontani e il suo lavoro, spesso ammirevole, così come il lavoro svolto negli ultimi decenni della Soprintendenza, non riesce a far esprimere all’Antico quei contenuti, rimasti in ombra, in grado di essere compresi. Come è noto, l’architettura, quando è veramente tale, è capace di rigenerare il proprio significato periodo dopo periodo. Riavvicinare il passato al presente consentirebbe al patrimonio monumentale di essere non solo il senso di un momento trascorso della vita urbana, senz’altro straordinario, avvolto nel mito, sempre uguale a sé stesso, ma una testimonianza attiva e mutevole della contemporaneità metamorfica del passato e delle promettenti prospettive del futuro.

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