Condizioni per l’intervento

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Verso un progetto co-evolutivo di riverfront
Filippo AngelucciPDF




Parole chiave:          Co-evoluzione, Exattamento, Adattamento, Simbiosi, Metamorfosi.
Keywords:               Co-evolution, Exaptation, Adaptation, Symbiosis, Metamorphosis.

 

Abstract:

La progettazione del riverfront urbano sottende oggi un complesso quadro problematico che riguarda l’evolutività delle scelte d’intervento. Nel ripensare le relazioni tra acqua e città è necessario passare dall’idea di progetto univoco, chiuso e immutabile, alla definizione aperta di un processo progettuale polisemico, multidimensionale e a-scalare.
La sfida da affrontare non riguarda solo l’evoluzione di forme, geometrie e soluzioni ma, più in generale, la ricerca di una condizione co-evolutiva della progettazione che mette in gioco più attori, processi, configurazioni e organizzazioni. Questo nuovo processo dovrà permettere al sistema di frontiera città-acqua di co-evolvere con il proprio ambiente secondo risposte ridondanti: modificando le fragilità, rafforzando le resistenze e robustezze, valorizzando le resilienze e anche traendo vantaggi da eventuali situazioni sfavorevoli.




Predizione e previsione nel progetto dei riverfront urbani

I fiumi hanno sempre svolto un ruolo centrale nei processi di costruzione, trasformazione e anche devastazione di città e territori, configurando il campo delle possibilità evolutive degli insediamenti antropici. Contrapposte all’affascinante e temibile immagine del mare – manifestazione della forza incontrollabile della natura – le acque fluviali sono state spesso identificate con la capacità tecnica di gestire le dinamiche idrologiche a favore dello sviluppo delle civiltà (pesca, agricoltura, trasporti, commercio, energia). Questo equilibrio dinamico fra natura e società si è conservato fino alle fratture indotte dai modelli industriali di sfruttamento intensivo del territorio (Ranzo, 1996).
Nel tentativo di anticipare le criticità indotte da eventi naturali imprevisti e limitare le vulnerabilità degli insediamenti, le azioni riguardanti il governo dei corsi fluviali hanno sempre costituito anche un tema centrale per la progettazione urbana. Nelle rappresentazioni paesaggistiche e cartografiche non mancano esempi che evidenziano l’importanza del riverfront per il mantenimento della vitalità urbana, o delle opere di regimazione delle acque, per la conservazione della vita stessa della città. Le culture del progetto si sono confrontate di continuo con la sfida costante fra controllo, governo e uso appropriato dell’acqua, cercando di pre-dire con sempre maggiore precisione le possibili mutazioni di assetto del fiume. È stata però una questione che ha sollevato anche il tema più ampio della capacità evolutiva dei progetti dei corsi d’acqua al variare delle condizioni ambientali. Un’antica leggenda cinese sul Controllo delle acque del grande Yu (2205 A.C. circa) documenta la ricerca di armonie evolutive fra umanità e acqua narrando che «[…] dopo la costruzione di dighe, la potenza delle acque d’inondazione ostruite diventò maggiore, rompendo subito gli argini. Dopo numerose prove, Yu ne capì la ragione: “Solo l’ostruzione è impraticabile; dove è necessaria occorre procedere, ma dove si rende utile lo scarico, occorre farlo”».
Il concetto di evoluzione è entrato in gioco recentemente nella progettazione urbana con la diffusione dei paradigmi della sostenibilità ambientale e il trasferimento dei principî delle scienze della complessità ai progetti riguardanti le frontiere tra artefatti e natura. Tuttavia, come nelle discipline sociopolitiche, tecno-produttive ed economiche, anche in campo progettuale urbano e architettonico, la prima stagione di applicazione del concetto di evolutività è stata influenzata soprattutto dal modo di definire l’evoluzione, in senso selettivo e competitivo, sulla base degli studi darwiniani. Il processo evolutivo è stato equiparato al progresso tecnologico-scientifico delle società umane e ricondotto alla storia degli individui di una singola specie, selezionati per essere sempre più idonei rispetto a un predefinito e predestinato spazio fisico (Norgaard, 1997).
Questa interpretazione del concetto di evoluzione si è manifestata anche nel programmare interventi di riprogettazione degli ambiti fluviali urbani, conducendo a contraddire gli stessi obiettivi della sostenibilità dai quali le nuove pratiche sembravano voler ripartire. È una posizione che ha prodotto risultati contrapposti. In alcuni casi, la natura del fiume è stata soggiogata interpretando le potenzialità tecnologiche come strumenti di “selezione darwiniana” che la specie umana sviluppa per dominare altre forme di vita. In altri casi, ci si è rifugiati in interventi esclusivamente difensivi, attraverso l’innalzamento delle robustezze infrastrutturali e la resistenza alla forza del fiume.
I recenti studi sui sistemi ecologici hanno invece evidenziato che i processi evolutivi non seguono traiettorie lineari che fanno distinguere in modo netto fragilità, robustezze, forme di resilienza e comportamenti opportunistici. L’evoluzione si manifesta insieme alla comparsa di forme di adattamento non passive, attraverso processi di “exattamento” (exaptation) e l’attivazione di capacità metamorfiche per co-evolvere insieme all’ambiente, con risposte plurime e ridondanti, dove anche condizioni penalizzanti possono diventare elementi di vantaggio (Kratochwil & Schwabe, 1999; Ceruti, 2018).  
Anche in termini progettuali, negli ambiti d’intervento in cui si confrontano entità antropiche e naturali, non si può parlare semplicemente di cambiamento di scelte, forme, geometrie e soluzioni.
La città convive con le sue componenti naturali, tra le quali i fiumi, comportandosi come un complesso organismo ecosistemico, con processi, ciclicità e dinamiche metaboliche. È per questo necessario ricercare condizioni co-evolutive che mettono in gioco più attori, processi, configurazioni e organizzazioni in grado di modificare i propri assetti e comportamenti con il mutare dei contesti. Contesti che appaiono però sempre più instabili e variabili, alla luce dell’intensificazione dei fenomeni indotti dai cambiamenti climatici, dalla densificazione demografica e edilizia, dalle recessioni economiche e, viste le recenti vicende, anche dalle emergenze sanitarie.
Predire il futuro appare sempre più difficoltoso. È invece importante ricercare molteplici gradi di reattività, delineando pre-visioni dei futuri desiderabili, possibili e probabili (Caffo & Muzzonigro, 2019), attraverso la proiezione di più scenari, vision e concept di progetto (Lambertini, 2008).
Adottare il paradigma della co-evolutività nel progetto delle frontiere comprese fra città e fiume comporta due vantaggi. In primo luogo, permette di determinare il superamento dalla concezione del progetto univoco, chiuso, resistente, predittivo e immutabile. Nello stesso tempo, può avviare una più ampia riformulazione di approcci, strumenti e soluzioni favorendo il passaggio all’idea di progetto come processo aperto, in grado di definire sistemi polidimensionali di interpretazioni e risposte, adattive e flessibili.

 

La co-evolutività per un progetto integrato del riverfront

Assumere un approccio co-evolutivo nella progettazione del riverfront urbano significa accogliere nel processo decisionale e ideativo alcuni elementi che caratterizzano le interazioni e le dinamiche di adattamento reciproche dei sistemi bio/fisio-ecologici.
Se si considerano soltanto i processi di evoluzione nell’accezione darwiniana, infatti, si riscontra che le specie viventi evolvono per effetto di tre fattori. I fattori selettivi che includono le condizioni climatiche e i processi di competizione per accedere alle risorse. I fattori mutageni che comprendono agenti fisico-chimici in grado di modificare le informazioni utili per il mantenimento delle funzioni biologiche. I fattori di ricombinazione che costituiscono le variabili casuali d’ibridazione tra le diverse specie.
Partendo da questi tre fattori di evoluzione, il progetto dei sistemi fluviali in ambito urbano potrebbe comportare solo interventi di protezione, manutenzione e ripristino ambientale, limitandosi a supportare ed eventualmente riattivare le ciclicità naturali attraverso soluzioni compatibili, difensive o riparative. Tuttavia, la presenza del fiume in ambito urbano rimanda a una complessità di relazioni immateriali e connessioni fisiche fra vita urbana e fluire del tempo che coinvolgono morfologie naturali e artificiali, elementi identitari e sociali, limiti e soglie fra clima, suoli e presenza umana (Battaglini, 2020).
Un progetto finalizzato ad affrontare il connubio spazio-temporale tra fiume e città non può quindi fondarsi esclusivamente sull’evolutività in senso selettivo, mutageno e ricombinatorio.
Le dinamiche di adattamento, in realtà, assumono un carattere co-evolutivo e sono basate sulla reciprocità interattiva fra specie e ambiente. Questa constatazione pone il progetto di un sistema fluviale in una relazione completamente diversa con la città, il territorio e i suoi abitanti. Come emerge dagli studi di Richard Norgaard sulle relazioni fra società e ambiente, l’influenza reciproca tra fattori ambientali e sistema sociale è l’elemento fondante dei processi co-evolutivi.
Lo sviluppo può essere rappresentato allora come un processo in cui co-evolvono conoscenze, valori, organizzazioni, tecnologie e sistemi ambientali. Secondo la prospettiva co-evolutiva, la cultura determina l’ambiente e l’ambiente determina la cultura (Norgaard, 1994). È evidente come il quadro interattivo ipotizzato da Norgaard sottenda una visione più estesa dell’ambiente abitativo, in cui è impossibile disgiungere le entità biotiche da quelle abiotiche; entrambe diventano elementi ineludibili per lo sviluppo dell’habitat umano, delle sue componenti naturali e delle sue comunità insediate (Dierna & Orlandi, 2005).
Tornando al tema del fiume e ai rapporti che in esso s’instaurano fra risorse idriche, società e innovazioni tecnologiche, è lecito ipotizzare che il paradigma co-evolutivo possa ampliare l’esperienza del progetto a comprendere più variabili riguardanti macro-sistemi e micro-sistemi che non solo sono collegati tra loro, ma evolvono insieme in più direzioni. Qualsiasi progetto perde così i suoi caratteri predittivi e direzionali, trasformandosi in un laboratorio continuo di sperimentazione dagli esiti incerti e comunque aperti.
I processi con i quali la co-evoluzione prende forma possono quindi entrare a far parte anche di una visione progettuale urbana e tecnologico-ambientale del fiume. Così si può manifestare il mimetismo con cui si sviluppano capacità imitative comportamentali necessarie per la convivenza adattiva. Oppure la simbiosi che produce vantaggi associativi per più specie e sistemi senza comportare effetti negativi irreversibili. Ancora, la cooperazione e la collaborazione che delineano i campi di possibilità ma anche i limiti d’azione per lo sviluppo di strategie di sopravvivenza condivise. Infine, le metamorfosi che attivano processi di modificazione di strutture, organizzazioni e linguaggi per fronteggiare le imprevedibilità e le emergenze ecosistemiche.
In particolare, il progetto del riverfront può diventare espressione di un più ampio processo integrato di indagini, proposte, politiche e decisioni che intervengono sul sistema socio-tecnico-ecologico urbano: risolvendo le fragilità e diminuendo le vulnerabilità; rafforzando le resistenze e robustezze di artefatti ed ecofatti; valorizzando le capacità di reattività e resilienza; mettendo in gioco anche le antifragilità, cioè traendo vantaggi opportunistici da eventuali condizioni sfavorevoli.

 

Alcune esperienze esemplificative

Quando nel progetto di riverfront urbano entrano in gioco i principi della co-evolutività, è impossibile distinguere in modo netto elementi di scenario, strategici, programmatici, tattici e operativi. È il paradigma stesso della co-evoluzione che presuppone una visione ampliata dell’esperienza progettuale come espressione di un modo di pensare e agire fondato non su insiemi di oggetti e forme, ma su processi in cui sistemi di entità oggettuali e relative forme mutano nel tempo, secondo traiettorie multiple.
In questo senso, gli aspetti strategici e programmatici non possono essere disgiunti dalla capacità di incorporare nel progetto più scenari alternativi, sin dalle sue prime fasi di elaborazione.
Il paradigma della co-evoluzione comporta però anche un altro aspetto; la traduzione degli elementi progettuali generali in azioni tecniche territorializzate deve dotarsi di più visioni tattiche che permettono di variare l’assetto degli interventi, determinando, di fatto, una molteplicità di “configur-azioni” esecutive, tra loro combinabili o sostituibili.
Un progetto co-evolutivo del riverfront assume quindi caratteri intersistemici e a-scalari. Anche quando si ricercano esperienze per esemplificare le interpretazioni possibili dei principî della co-evolutività in una visione progettuale organica, è difficoltoso estrapolare elementi del progetto intesi come entità oggettuali/formali. È necessario ragionare per componenti che, solo nella loro mutua interazione, restituiscono la funzionalità e l’efficacia del progetto. In questo quadro, si pone al centro del progetto il rapporto che può determinarsi tra persone, natura, terra e processi idrologici attraverso differenti modalità d’impiego delle risorse tecnico-costruttive.
In definitiva la co-evolutività del riverfront può emergere solo da un’adeguata concezione ideativa-produttiva che tende alla costruzione di un “progetto” che agisce su più scale, attori e processi e in cui le componenti tecnologico-ambientali stabiliscono differenti gradi di mutua interazione fra artificio e natura.
In considerazione di queste diversità interattive tecnologico-ambientali sono individuabili alcune famiglie di esperienze progettuali esemplificative.

In un primo ambito sperimentale si collocano i progetti basati sull’impiego di tecnologie nature based o sui principî della bio-mimetica (bio-mimicry).
È il caso di proposte quali il Wild Mile Project per il riverfront di Chicago dello studio Skidmore, Owings & Merrill o del progetto per il Sanya River Mangrove Park dello studio Turenscape.
Co-evoluzione e adattamento artificio-natura sono supportati da soluzioni a bassa invasività ambientale finalizzate a due obiettivi. Accompagnare il mantenimento dei processi naturali di motilità e vitalità degli ecosistemi fluviali, utilizzando materiali bio-ecocompatibili, rigenerabili e a manutenzione quasi zero. Oppure, riattivare e sostenere i processi regolativi e rigenerativi delle risorse biotiche con dispositivi che imitano la natura e le sue capacità di evoluzione spontanea.

Wild Mile Project, Chicago. Nel Wild Mile Project per il Chicago river, la proposta di SOM muove da una Community Vision che, attraverso alcuni workshop partecipati da diverse categorie di attori, individua le potenzialità del riverfront come un asset strategico-ambientale e ricreativo per l’intera città. Il Wild Mile Framework Vision Plan pone in primo piano la ricostituzione della wilderness del sistema fluviale per favorire una wildlife urbana, re-integrando nella natura le attività educative, lavorative, di volontariato, ricreative, sportive e per la salute. Il riavvicinamento urbanità-natura è declinato in tre ambiti (Turning Basin, North Reach e South Reach) secondo cinque strategie: Urban Wildlife, Expanding Public Access, Connecting People with Nature, Creating a Place for Everyone e Leading the World.
Il progetto agisce sul sistema delle frontiere terra-acqua (ecotoni) per definire nuove green buffer zone entro le quali ristabilire forme e processi ibridi naturali/artificiali (fig. 1a). Nella riva ovest del fiume, gli interventi mirano a de-canalizzare il fiume dalle opere di sbarramento esistenti, attivare processi di green retrofitting, aumentare le superfici verdi di bordo con ecotoni e zone umide bio-matrix based, diversificare il mosaico degli habitat ecologici, definire le superfici di protezione dalle inondazioni (fig. 1b). Nella riva est s’interviene con componenti modulari leggeri a supporto delle attività antropiche: sistemi strutturali galleggianti che imitano la complessità geometrica delle forme naturali, percorsi e piattaforme galleggianti, rampe sospese (fig. 1c) (SOM, 2019).

Sanya Mangrove Park, Sanya City.Il progetto per il Sanya Mangrove Park, dello studio Turenscape, traduce la volontà della municipalità di Sanya City di invertire le logiche di sviluppo urbano incentrate sugli usi intensivi, impattanti e deregolamentati del sistema fluviale. Il progetto punta a ristabilire condizioni di equilibrio dinamico attraverso quattro fattori chiave: vento (protezione dalle sollecitazioni estreme dei monsoni); acqua (interferenze fra correnti marine monsoniche e acque fluviali); inquinanti (danni alle comunità di mangrovie); accessibilità (modalità di accesso alle acque pubbliche).
Le strategie progettuali conseguono all’adozione del principio “form follows processes” per raggiungere quattro obiettivi. I materiali reperiti in situ sono usati per modellare fasce ecotonali costituite da corsi d’acqua e habitat ripariali su differenti livelli (fig. 2a). Un reticolo di bordi terra-acqua, con geometria “a dita intrecciate” (inter-locked fingers) (fig. 2b), amplia l’effetto protettivo dalle onde oceaniche e dalle tempeste tropicali. Un sistema di terrazzamenti e fossati definisce differenti gradi d’uso delle sponde fluviali (con il variare del livello delle acque) e, nello stesso tempo, intercetta e filtra le acque di runoff provenienti dalle superfici pavimentate urbane (fig. 2c).
I percorsi pedonali sono configurati secondo le morfologie del suolo, su più livelli sospesi rispetto all’acqua, e conducono nei piccoli padiglioni di testata che fungono da ripari, punti di osservazione, aree per il birdwatching.

Un secondo ambito di sperimentazione include progetti dedicati alla qualificazione delle condizioni abitative del riverfront e mirati a far convivere processi e robustezze naturali in simbiosi con le attività antropiche. Due esempi possono essere considerati significativi: il Bishan-Ang Mo Kio Park a Singapore del Ramboll Studio Dreiseitl e lo Yangtze Riverfront Park a Wuhan del team SASAKI.
Le logiche di piano e progetto, insieme alle soluzioni tecnologiche d’intervento tendono alla costruzione di paesaggi ibridi basati su interazioni di adattamento del tipo win-win. Naturalità e urbanità traggono reciproco vantaggio dalla compresenza co-evolutiva e dalla mutua relazione tra le loro componenti. Le risorse e i processi bio-ecologici accrescono la qualità urbana, migliorando le condizioni di comfort abitativo a contatto con il fiume (acqua, aria, verde). Le attività e la presenza umana supportano la qualità ecologica del sistema fluviale (ricerca scientifica, monitoraggio, manutenzione, sorveglianza, funzioni educative, servizi eco-sistemici).

Bishan-Ang Mo Kio Park, Singapore.Il caso del Bishan-Ang Mo Kio Park a Singapore, progettato dal Ramboll Studio Dreiseitl, è esemplificativo di una filosofia d’intervento che trova nel downgrading del precedente assetto del sistema fluviale l’occasione per riconfigurare il riverfront come un ambito complesso a elevate capacità simbiotiche tra funzioni ecologiche e urbane.
Il progetto fa parte del programma ABC Waters che è mirato alla trasformazione e rinaturalizzazione dei corpi idrici a elevato grado di artificializzazione, in spazi in cui le componenti naturali tornano a dialogare con le funzioni e attività della città. Al posto del canale di drenaggio esistente, di 2,7 km, si inserisce un nuovo alveo sinuoso di 3,2 km, contenuto da superfici e terrazzamenti ripariali che si estendono per quasi 62 ettari (fig. 3a).
L’immagine uniforme del parco-giardino urbano, delimitato dal canale di drenaggio, è sostituita da un sistema a maggiore complessità dove il fiume torna a scorrere all’interno di habitat ecosistemici diversificati (fig. 3b). I terrazzamenti definiscono più ecosistemi ripariali rispetto ai diversi livelli di piena fluviale, attraverso varie soluzioni tecnologico-ambientali (fig. 3c). Tali interventi sono mirati a favorire: la stabilizzazione dei versanti, il rallentamento del runoff, la mitigazione dell’erosione dei suoli (bioingegneria); il drenaggio, la purificazione dei flussi d’acqua e l’evo-traspirazione delle superfici (fitodepurazione). Infine, le infrastrutture preesistenti di canalizzazione non sono demolite, ma reintegrate negli interventi a supporto delle attività ricreative, sportive e culturali.

Yangtze Riverfront Park, Wuhan. La proposta dello studio SASAKI per lo Yangtze Riverfront Park riflette lo spirito co-evolutivo che ha caratterizzato i rapporti storici fra lo sviluppo di Wuhan e il Fiume Azzurro. Questa “cultura fluviale” è talmente forte che, dopo quasi due secoli di sviluppo industriale, gli abitanti continuano a frequentare le sponde del fiume per avere un contatto diretto con l’acqua, anche durante le piene alluvionali. La strategia d’intervento è stata definita con il coinvolgimento di abitanti, gruppi civici e giovani artisti che hanno contributo attivamente alla progettazione con commenti, informazioni, incontri pubblici, visite guidate e rappresentazioni di possibili vision.Il progetto prevede la costruzione di micro-ambienti eterogenei per accogliere vari ecosistemi (fig. 4a) (aree fangose alluvionali, zone umide, paludi, corridoi d’acqua navigabili, stazioni per birdwatching).
Le fluttuazioni dell’acqua trasformano il riverfront in un paesaggio in continua evoluzione secondo le variazioni stagionali del fiume. Gli spazi collettivi e le attrezzature ricreative (fig. 4b) sono organizzati per non interferire con gli habitat delle specie locali e, durante le inondazioni, sono temporaneamente restituiti al fiume, per il ripopolamento di specie animali e vegetali acquatiche. Anche i manufatti della fase industriale entrano a far parte di questo paesaggio evolutivo, in un percorso integrato di binari, vecchi approdi, passeggiate, giardini e piazze galleggianti (fig. 4c) e, nella confluenza fra Fiume Azzuro e Han, il Museo dello Yangtze che sembra quasi emergere dagli argini fluviali.

Il terzo ambito entro cui si possono definire condizioni co-evolutive per il progetto del riverfront riguarda l’integrazione di interventi capaci di cambiare il loro assetto funzionale e la loro forma con il variare del contesto. Appartengono a questo ambito progetti quali lo Yanweizhou Park, a Jinhua City, dei Turenscape e la proposta BIG U-Dryline per Manhattan, sviluppata dal Bjarke Ingels Group.
Questi esempi vanno oltre le capacità di evolvere degli organismi biologici, non esplorano i meccanismi co-evolutivi naturali per imitarli attraverso le tecnologie, e non si fermano alla ricerca di condizioni simbiotiche di convivenza fra natura e artefatti. La sfida è adesso proiettata verso una visione della co-evolutività basata sulle capacità resilienti e metamorfiche del progetto e dei suoi esiti spaziali, pre-vedendo cambiamenti di utenze, flussi e funzioni, campi di variazione morfo-tipologica e anche differenti livelli di sacrificio di componenti spazio-ambientali.

Yanweizhou Park, Jinhua City.Nel progetto per lo Yanweizhou Park, nel centro di Jinhua, la componente del cambiamento è centrale nell’organizzazione degli ambiti d’uso del parco e delle soluzioni impiegate. Il parco si trova nell’area di confluenza dei fiumi Wuyi e Yiwu, caratterizzata da un’elevata frammentazione ecologica e funzionale, dalla presenza impattante di cave di sabbia e scarsamente utilizzata, nonostante la presenza del Teatro dell’Opera Wuju.
Le sfide affrontate dal team Turenscape hanno riguardato: la protezione dell’habitat ripariale residuale, il controllo dei flussi d’acqua nelle fasi alluvionali, la reintegrazione delle infrastrutture culturali preesistenti e la riconnessione del paesaggio fluviale con i vari distretti urbani (fig. 5a).
Il progetto definisce “concordanze dinamiche” attivando più livelli di resilienza, per adattarsi alle inondazioni monsoniche, ai diversi flussi di acqua e persone e ai vari usi temporanei degli spazi. Le cave di sabbia sono state riutilizzate e integrate con sistemi di bioswale di forma circolare, per ricostruire gli habitat ripariali. Un sistema di terrazzamenti permeabili a copertura vegetazionale autoctona costituisce l’alternativa alle opere di sbarramento cementizie (fig. 5b); l’acqua, durante piene e alluvioni, allaga completamente l’area, depositando uno strato di limo vitale per il mantenimento delle funzionalità ecologiche. Nelle fasi alluvionali, il ponte sinuoso che richiama la tradizione cinese della Danza del Drago, è l’unico elemento artificiale di percorrenza che resta sospeso sulle acque e continua a collegare le diverse parti della città (fig. 5c).

BIG-U,New York.Nonostante sia nato per proteggere la Lower Manhattan in seguito all’uragano Sandy, il progetto Big U del team Bjarke Ingels Group ridefinisce integralmente il rapporto fra New York e le acque dell’Hudson e dell’East River. La vision, elaborata per il concorso Rebuild by Design, si è avvalsa di un processo partecipativo in cui le comunità hanno espresso e condiviso esigenze e richieste riguardanti gli usi collettivi delle aree di progetto. La proposta ha condotto a un sistema di infrastrutture, nello stesso tempo protettive, sociali e ambientali, che modificano forma e funzioni dell’area. Il comparto Westside diventa un parco sopraelevato in cui sono integrati giardini a mare con funzione protettiva-drenante, attrezzature collettive, percorsi pedonali/ciclabili, barriere antialluvione. Nel comparto centrale Lower un’ampia infrastruttura verde avvolge le volumetrie esistenti trasformandosi in una berma che sale progressivamente di quota verso est (Harbor Berm) (fig. 6a), fino a includere l’edificio della Guardia Costiera ripensato come acquario da cui osservare dall’interno le variazioni del livello delle acque. Per il comparto Eastside il tema della protezione è declinato in diverse varianti: sistema integrato di berme, ponti e rampe a copertura vegetazionale (bridging berm) (fig. 6b); sistema di barriere ribaltabili, ubicato sotto le infrastrutture stradali che si chiudono durante le tempeste o si aprono ad accogliere padiglioni espositivi, winter market, aree attrezzate per sport, spettacoli e attività ricreative (fig. 6c) (BIG, 2020).

La co-evoluzione può entrare in gioco nel progetto del riverfront anche laddove le relazioni fra fiume e città sono state completamente compromesse. È in questo ambito che si delinea un quarto modo possibile di co-evolutività progettuale in cui, invece di restaurare una naturalità ormai infranta, si re-inventano completamente le relazioni immateriali e le connessioni fisiche fra l’acqua e la città.
Appartengono a questa visione esempi quali il Parque Rìo Manzanares a Madrid, progettato dai West 8 e gli studi Burgos & Garrido, Porras & La Casta, Rubio & Álvarez-Sala, o il parco sul fiume Cheong Gye Cheon, a Seoul. Qui il paradigma della co-evolutività è interpretato nei suoi significati estremi. Criticità, debolezze e impatti negativi generati dalle errate politiche del passato diventano gli elementi fondativi per ridefinire integralmente e in senso antifragile i rapporti spaziali, di processo e funzionali fra progetto, fiume e città.

Parque Rìo Manzanares, Madrid. Nel caso del Rio Manzanares, il fiume torna a vivere nel centro della città dopo una lunga assenza provocata dalla cesura indotta dalla circonvallazione urbana M-30, che correva parallelamente al percorso fluviale. Tra il 2003 e il 2007 l’amministrazione locale decide di interrare l’infrastruttura stradale; bandisce quindi un concorso per il ripensamento delle superfici riconquistate dopo l’interramento, vinto dal team West 8 e dagli studi Burgos & Garrido, Porras & La Casta, Rubio & Álvarez-Sala (fig. 7a).
Invece di restaurare una finta naturalità sovrapposta alle infrastrutture, il progetto intesse un network verde e blu di spazi di diversa entità, punteggiato da architetture, padiglioni e ponti (Franchini & Arana, 2011). Il masterplan prevede interventi volti a reintegrare il fiume nella scena urbana, definire un set di spazi verdi per la città, riorganizzare i flussi della mobilità e accessibilità urbana, migliorare la qualità ambientale di aree periferiche e centrali. Viali, giardini e parchi a sviluppo lineare e areale si sovrappongono e integrano con la rete interrata della mobilità carrabile e con l’alveo fluviale, che torna a essere protagonista della vita urbana (fig. 7b).
Il progetto ha ristabilito di fatto  una continuità spaziale, ambientale e di flussi, usando materiali in prevalenza naturali, per costruire un paesaggio che, pur nella sua marcata artificialità, riesce a combinare la biodiversità ambientale con le tecno-diversità della città (fig. 7c).

Cheong Gye Cheon, Seoul. Il progetto di riattivazione del Cheong Gye Cheon, a Seoul, è il risultato di un lungo processo di trasformazioni iniziate nel 1918, quando si avviarono i lavori di copertura parziale dell’alveo fluviale per risolvere problemi sanitari e di esondazione. Il fiume fu completamente coperto tra il 1958 e il 1961 e quindi occultato dalla realizzazione di una superstrada nel 1971. Il progetto di restauro è stato sviluppato dal team formato da Cheongsuk Engineering, Saman Engineering e Dongmyung Engineering, i paesaggisti SeoAhn Total Landscape e la supervisione del Seoul Metropolitan Government. Si ristabiliscono circa 3,6 miglia di corridoio ecologico-fluviale, si riconnettono le sponde ripariali restaurate inserendo ponti pedonali, carrabili e ciclabili, si alimenta il flusso idrologico immettendo acqua intercettata dal fiume Han, si ricostruiscono habitat ripariali e zone umide impiegando materiali naturali (fig. 8a). Tutto ciò senza negare le preesistenze infrastrutturali che vengono invece integrate nella riconfigurazione del fiume (fig. 8b) (Robinson & Myvonwynn, 2011).
Anche se il progetto presenta in alcuni settori una spiccata artificializzazione, la sfida del restauro ambientale ha condotto a un ulteriore grado di co-evoluzione (fig. 8 c) fra Cheong Gye Cheon e Seoul, dimostrando come anche l’uso delle risorse tecnologiche sia in alcuni casi necessario per ri-orientare la qualità urbana, ripartendo dalle negatività del passato.

 

Co-evolutività aperta

Nell’attuale condizione di cambiamento degli assetti climatico-ambientali, socioeconomici e tecnico-culturali, emerge con sempre maggiore evidenza la necessità di affrontare il progetto del riverfront seguendo i principi della co-evolutività.
Dagli esempi indicati, che di certo non esauriscono il panorama delle sperimentazioni progettuali in atto, si evincono alcuni elementi fondamentali per riconfigurare, attraverso il progetto, un nuovo quadro di relazioni tra città e fiume. In particolare, emergono la gestione razionale del ciclo delle acque, l’attenzione per gli aspetti paesaggistici, la centralità dei contributi delle scienze ecologiche e geologiche, le connessioni ineludibili con la pianificazione urbanistica, territoriale ed economica, la rilevanza delle discipline tecnologico-ambientali e architettoniche.
È necessario in definitiva un sostanziale cambiamento dell’approccio progettuale per incorporare il dato dell’aleatorietà e dell’incertezza degli eventi futuri, considerando aspetti strategici, tattici e operativi (Duffy & Jefferies, 2011). Nello stesso tempo, è altrettanto importante prevedere una gradualità di attuazione degli interventi al fine di riattivare, mantenere, adattare, sviluppare e reinventare capacità reattive, produttive e sostenibili dell’intero sistema fiume-città-società rispetto a più ambiti e cronologie di progetto.
In ambito strategico, la co-evolutività del progetto non potrà essere più assicurata solo attraverso una proposta univoca di lungo periodo, esclusivamente predittiva di trasformazioni restaurative o innovative decise una volta per tutte. Gli scenari strategici di progetto dovranno già includere l’evolversi delle condizioni di equilibrio fra città e acqua. Sia considerando le dinamiche di trasformazione del sistema città-fiume e di modificazione dei fattori di contesto (climatici, meteorologici, geologici, insediativi); sia integrando nel progetto l’eventuale verificarsi di eventi estremi (esondazioni, allagamenti, cedimenti di versante, frane), la presenza o assenza di opere idrauliche (bonifiche, canalizzazioni infrastrutture protettive), le eventuali sconnessioni che possono manifestarsi tra politiche e progetti di trasformazione del territorio, comportamenti ed esigenze degli abitanti, assetti idrogeologico-ambientale e insediativo-infrastrutturale, pratiche individuali e collettive di uso degli spazi e delle risorse idriche.
Anche per quanto riguarda gli aspetti tattici, il progetto co-evolutivo del riverfront non potrà limitarsi a facilitare interventi di trasformazione provvisoria degli spazi, nell’illusoria risposta a iniziative senza progetto promosse dal basso. Le dimensioni tattiche della co-evolutività dovranno essere espressione di molteplici vision per far incontrare e dialogare le capacità progettuali esperte e quelle spontanee, ricorrendo a tecnologie intermedie abilitanti che coinvolgeranno soprattutto le componenti interstiziali del sistema città-fiume. La co-evolutività tattica agirà quindi non solo in termini protettivi sul sistema delle acque e delle volumetrie edilizie infrastrutturali (contenimento, accumulo, drenaggio, smaltimento, riciclo, barriere, argini), ma anche sugli spazi vuoti che definiscono frontiere e bordi ecotonali fra città e acqua (masse arboree, superfici incolte/improduttive, luoghi aperti), sul sistema della mobilità, sugli usi insediativi e produttivi che si legano alla presenza e ai cicli dell’elemento acqua.
Infine, anche la dimensione operativa degli interventi subisce sostanziali ripercussioni quando si adotta un approccio progettuale co-evolutivo. È in quest’ambito che le opere sul sistema città-fiume manifestano la capacità di attivare e mantenere vive le dinamiche di co-evolutività fra artificio e natura. Configurando più temporalità, distribuzioni, modalità e dimensioni di correlazione tra le risorse ambientali e la città, le componenti tecnologico-ambientali del progetto agiranno in generale  per adattare (buffer zone, neo-ecotopi filtro) e rinforzare (bacini di espansione, argini, vasche di laminazione/esondazione); riconnettere ecologicamente (zone umide, aree di allagamento naturalistiche, corridoi ripariali, fasce e macchie vegetazionali) o funzionalmente (opere di manutenzione degli alvei, accumulo, recupero, distribuzione e smaltimento delle acque); rinaturalizzare (ricostituzione di aree a bosco planiziale/igrofilo e di drenaggio naturale) o reinventare le forme dell’artificiale (bonifiche e recupero di aree contaminate e residuali, fitodepurazione, piazze d’acqua, aree e percorsi attrezzati galleggianti).
È quindi evidente che l’approccio co-evolutivo al progetto del riverfront esclude la possibilità di intervenire solo su singole componenti del fiume, della città o del territorio. Una co-evolutività reale del progetto può emergere solo attraverso un miglioramento integrato del sistema insediativo e delle sue qualità economiche, lavorative, comportamentali, organizzative e culturali.
In questa prospettiva, il sistema fiume-città è destinato a diventare un sistema polisemico, multidimensionale e a-scalare proveniente da un processo progettuale in cui sarà prioritario stabilire connessioni e pertinenze dinamiche e mutevoli tra più ambiti e livelli d’intervento.
Nel quadro della progettualità urbana, paesaggistica, architettonica e tecnologico-ambientale, un simile processo non potrà che essere continuativo e aperto.




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