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TRE FIUMI ADRIATICO-BALCANICI E TRE CITTÀ
Danubio/Sava (Belgrado), Miljacka (Sarajevo), Fiumara/Récina (Fiume/Rijeka)
Lorenzo Pignatti PDF




PAROLE CHIAVE: Balcani, urbicidio, frontiere, rigenerazione




I Balcani sono forse una delle regioni europee maggiormente caratterizzate dalla presenza di importanti fiumi e dal significativo ruolo che gli stessi hanno avuto per la strutturazione dei propri territori.
Il Danubio è il vero protagonista di questa regione. Grande corso d’acqua che ha origini nella parte centrale dell’Europa continentale, nella Foresta Nera, sfocia nel Mar Nero dopo aver percorso 2.800 km, attraversato ben 10 stati e le principali capitali balcaniche (Vienna, Bratislava, Budapest e Belgrado), separato in due parti l’Ungheria e lasciato a nord l’intera Romania che in realtà è geograficamente disgiunta rispetto alla parte centrale della penisola balcanica. Il bacino fluviale del Danubio è il più grande d’Europa e, insieme al Reno e al Rodano, costituisce la struttura fluviale portante dei territori Est europei. Nelle rappresentazioni allegoriche dell’Europa del ‘500, l’unico elemento di chiara riconoscibilità nella penisola balcanica è il corso del Danubio che sembra essere la spina dorsale di un territorio che si estende dal centro Europa fino all’Asia.
Il Danubio ha una sua storia e un suo fascino; costituiva il limes dell’Impero romano verso oriente separando le province dell’Impero da territori ostili che si estendevano oltre il fiume verso e oltre i Carpazi. Traiano, nelle sue due campagne militari contro i Daci capeggiati dal fiero Decebalo all’inizio del I secolo, costruì una strada che da Belgrado raggiungeva i Carpazi e che, in corrispondenza delle gole di Kazan al confine tra Serbia e Romania – le Porte di Ferro – era stata scavata nella roccia; da qui partiva un ponte che attraversava il Danubio e permetteva di raggiungere e sottomettere territori sconosciuti, che però non furono mai conquistati.

Il bacino fluviale del Danubio coincide con un territorio vastissimo anche se complesso per la sua storia e per tutte le vicende, passate e recenti, legate alla storia della penisola balcanica. All’interno di questo territorio, che è prevalentemente continentale e si affaccia al mare solo nella Dalmazia e, attraverso la Grecia, anche nell’Egeo, i fiumi hanno un loro importantissimo ruolo di infrastrutture ambientali ma anche trasportistiche, visto che per secoli sono stati i grandi corridoi della mobilità, con il Danubio che supera i confini balcanici e si spinge ben oltre, per arrivare sino al Mar Nero. Appunto per questa ragione le principali città si sono insediate prevalentemente lungo le linee d’acqua ed hanno stretto un fortissimo rapporto con loro. Tra queste Belgrado che è posizionata all’interno di un contesto paesaggistico eccezionale determinato dalla confluenza tra la Sava ed il Danubio. La Sava e la Drava, quest’ultima che nasce a Dobbiaco dando all’Italia diritto di navigabilità sul Danubio, costituiscono la spina dorsale della Slovenia e della Croazia, lambendo Lubiana e Zagabria. Oltre alle grandi capitali disposte lungo il Danubio, anche Rijeka, Novi Sad, Sarajevo e Skopje (per rimanere nell’ambito delle principali città della ex-Federazione Jugoslava) sono tutte edificate lungo le linee d’acqua e da queste dipendono commercialmente e soprattutto a livello identitario.
Appena a sud di Belgrado, la Morava confluisce nel Danubio e, attraverso la valle omonima e il prolungamento oltre Skopje lungo la valle del fiume Vardar, collega il cuore della penisola balcanica con Salonicco e l’Egeo. La parte centrale della Bosnia, collegata al Danubio dal fiume Bosna, ha come sbocco naturale la valle del fiume Neretva che, attraversando l’Erzegovina e la città di Mostar, arriva fino alla costa dalmata e all’Adriatico.

In un contesto geografico che ha visto una sequenza quasi mai interrotta di conflitti, guerre e tensioni, i fiumi hanno svolto un ruolo di linee di divisione lungo le quali si sono consumate le rivalità tra popolazioni, esodi e migrazioni. Quando Le Corbusier ha fatto il suo Voyage d’Orient nel 1911, circa trent’anni dopo il Trattato di Berlino che aveva provato a dare una configurazione politico-geografica alla penisola balcanica, aveva anche lui osservato flussi continui di migranti che si spostavano alla ricerca di luoghi sicuri.
I fiumi hanno, ovviamente, anche ponti quali elementi di connessione costruiti per collegare parti diverse di territorio, per superare confini naturali e fisici, per unire piuttosto che per dividere. Nella storia dei Balcani ci sono due ponti che rivestono un carattere mitico: il primo è quello prima citato che Traiano costruì attraverso il Danubio per consentire il passaggio di rifornimenti destinati alle legioni romane impegnate militarmente a est del fiume. Il ponte, progettato e costruito da Apollodoro di Damasco, il grande architetto del Foro di Traiano a Roma, è stato per secoli il ponte più lungo dell’antichità, estendendosi per più di un chilometro tra le due rive, su pilastri in muratura rivestiti in pietra ed impalcato in legno. Il secondo ponte è soprattutto letterario: il ponte sulla Drina, mirabilmente narrato nell’omonimo romanzo di Ivo Andrić in cui si ripercorre tutta la storia dei territori a confine tra il mondo occidentale e l’Impero Ottomano e dove il ponte stesso diventa testimone delle guerre e dell’avvicendarsi tra popolazioni. Anche Sarajevo è nota per i suoi piccoli ponti che attraversano il fiume Miljacka: lungo uno di questi fu assassinato nel 1914 il principe Francesco Ferdinando, erede al trono d’Austria ed Ungheria, episodio che dette inizio alla prima Guerra Mondiale.

Torniamo ad oggi. In questo saggio si vogliono prendere in considerazione tre città ed i propri fiumi; Belgrado con il Danubio e la Sava, Sarajevo con la Miljacka e Fiume/Rijeka con la Fiumara/Récina. Città di dimensioni, storie e narrazioni diverse, ma tutti luoghi dove i fiumi hanno una valenza molto importante. Lo scopo è di raccontare nuove visioni urbane che stanno emergendo per queste tre città, dove i fiumi sono i veri protagonisti di una trasformazione che viene concepita in assoluta continuità e coerenza tra città e fiume. A Belgrado la confluenza tra la Sava ed il Danubio sta diventando una nuova centralità che tiene insieme le tre diverse parti di Belgrado che si sono costruite nei secoli intorno ai fiumi. A Sarajevo il fiume Miljacka sta diventando un corridoio verde e paesaggistico che sostituisce la pesante infrastrutturazione carrabile della città realizzata in epoca socialista. A Fiume/Rijeka il piccolo fiume che attraversa la città sta cambiando la sua connotazione e, da linea di confine, sta diventando un luogo di rigenerazione urbana e di condivisione. Tre diversi modelli, ma anche tre momenti in cui lo sviluppo urbano è, e sarà in futuro, sensibilmente determinato dalla presenza dei fiumi come protagonisti ambientali di nuove progetti e visioni per il futuro.

Belgrado è attraversata da due grandi fiumi navigabili, il Danubio, enorme ed irruento, e la Sava, gentile e sinuosa. Qui la Sava entra nel Danubio all’interno di un contesto paesaggistico eccezionale, con a destra la storica fortezza del Kamegladen che controlla dall’alto entrambi i fiumi e traguarda la pianura della Pannonia e, a sinistra, l’Isola della Guerra, ampia isola che è sempre stata usata per assediare la città ed ora è una magnifica oasi naturalistica e faunistica quasi incontaminata. Questi due fiumi dividono la città di Belgrado in tre parti: su un lato è posizionata la vecchia Belgrado, città fondata in epoca romana (Singidunum) e poi città dei Serbi, avamposto dell’Impero Ottomano, di quello Austro-Ungarico e poi ancora capitale del regno della Jugoslavia. La città è stata distrutta più volte, al punto tale da aver perso la sua identità originaria per essere stata ricostruita alla fine dell’Ottocento secondo i modelli delle grandi capitali europee. Dall’altra parte della Sava c’è la Novi Beograd, il più grande insediamento lecorbuseriano mai costruito, voluto con grande lungimiranza da Tito nel secondo dopoguerra e diventato il simbolo del riscatto socialista del leader jugoslavo basato sul concetto di “unità e fratellanza”. La terza Belgrado è lungo la sponda destra del Danubio, in un’area fino a poco tempo fa non edificata e diventata una città spontanea fatta di case unifamiliari all’interno di un contesto verde. Se la vecchia Belgrado ha sempre avuto nelle piazze, nelle strade e nei monumenti i propri luoghi di identità collettiva, se la seconda Belgrado ha riconosciuto nell’assetto urbano e nelle grandi infrastrutture (come viali, ponti, linee ferroviarie) i propri elementi di riconoscibilità, la terza Belgrado, quella informale, non ha invece alcun luogo rappresentativo.
Le sponde della Sava e del Danubio sono state usate da sempre per usi portuali, industriali, cantieristici o ferroviari. Quello che sta già avvenendo è che con la dismissione di molte di queste funzioni (ma non tutte), le rive soprattutto della Sava stanno attraversando un processo di trasformazione e recupero degli spazi liberi per attività pubbliche. I magazzini portuali della sponda destra sono già stati recuperati per usi collettivi e ricreativi, gran parte delle sponde sono ora parchi urbani e numerose case galleggianti occupano entrambe le rive del fiume, animando una sorta di comunità che appartiene più al fiume che alla città.

Nella Belgrado contemporanea sta emergendo l’importanza dei fiumi quali luoghi della vita pubblica e dell’identità collettiva, luoghi dove i belgradesi riconoscono valori collettivi, sempre di più utilizzati per trascorrere i momenti liberi. La confluenza dei fiumi sta diventando insomma una nuova centralità metropolitana: non si tratta più di una centralità espressa da luoghi urbani (piazze, monumenti o edifici). Oggi il nuovo “centro” della città è rappresentato dalla confluenza tra il Danubio e la Sava e dalle rispettive sponde, sempre di più recuperate dall’abbandono e diventate spazi collettivi. Una centralità di grandi dimensioni, ma che riunisce le tre parti di Belgrado che altrimenti non avrebbero niente in comune. Una centralità naturale ed ambientale, fatta di acqua piuttosto che di terra, dove i fiumi assumono un valore simbolico quale unione delle tre fasi diverse della città, quella storica, quella moderna e quella futura.
A Belgrado sta nascendo la consapevolezza che esiste un futuro che assume il sistema ambientale dei fiumi come nuova visione urbana dove le sponde diventano i grandi spazi della vita collettiva, i luoghi dove i cittadini si riversano e dove è possibile pensare ad una quarta Belgrado che non sia unica ed esclusiva, ma appartenga alle tre Belgrado precedenti, anzi le riunisca.
Un piccolo neo macchia questa bella visione del futuro. In anni molto recenti il governo serbo ha stretto un’alleanza con i grandi capitali esteri, in particolare con quelli degli Emirati Arabi che, dopo l’occupazione ottomana, sembrano volersi riaffacciare in queste regioni. Questa inedita alleanza ha dato origine a un grande progetto di rigenerazione urbana proprio sulla sponda destra della Sava, laddove esisteva il principale scalo ferroviario della città e diverse attività produttive. Il progetto megalomane chiamato Belgrade Waterfront (soprannominato Abu Dhabi in Belgrade), è uno dei programmi urbani più grandi in Europa in corso di costruzione, ma risulta assolutamente alieno al contesto urbano, culturale e sociale della città, al punto tale che è stato osteggiato da gran parte dei cittadini belgradesi. Vale la pena osservare che anche questo programma di rigenerazione, seppur ampiamente criticabile per i suoi intenti speculativi e per il ricorso a un’architettura commerciale ed assolutamente generica, ha identificato nel fiume il proprio riferimento prioritario, proponendo per la prima volta un nuovo brano di città in stretto rapporto con la Sava.

Se andiamo a Sarajevo le condizioni sono molto diverse sia per la dimensione delle città, sia per il contesto storico-geografico molto diverso, sia, infine, per la dimensione del fiume Miljacka, piccolo affluente della Bosna che arriva fino al Danubio. Sarajevo, attuale capitale della Bosnia-Erzegovina, è uno dei luoghi più complessi dell’Europa orientale, città di coesistenza storica tra diverse culture, religioni ed etnie, ma purtroppo ricordata oggi soprattutto per il feroce assedio dei primi anni Novanta del secolo scorso, che l’ha fatta diventare il paradigma del concetto di urbicidio. La testimonianza più dolorosa di questo dramma è stato il bombardamento e l’incendio che ha distrutto la Vijecnica, biblioteca che conteneva una delle più importanti collezioni di volumi legati al patrimonio culturale ottomano in Europa, intenzionalmente attaccata dalle truppe serbe che volevano eradicare questa tradizione culturale.
Malgrado tutto, Sarajevo si sta rigenerando attraverso piccoli ma significativi progetti di carattere culturale, dato che la cultura non è stata mai annullata neanche durante l’assedio, quando i cittadini di Sarajevo, malgrado i cecchini e le granate, partecipavano a concerti, mostre ed altri eventi culturali. Sarajevo è stata salvata anche da personaggi di grande spessore, come Enver Hadžiomerspahić con il suo lungimirante progetto di “resistenza culturale” contro i crimini di guerra. Enver ha dato vita alla collezione di arte contemporanea Ars Aevi che contiene ora circa 120 opere di artisti tra cui Pistoletto, Kounellis, Beuys, Spalletti, Kosuth ed altri. È uno dei casi, quasi unici, in cui importanti artisti di tutto il mondo hanno donato le loro opere per formare una collezione d’arte ed uno spazio di cultura che fosse in grado di far dimenticare il dramma della guerra. Il museo Ars Aevi è ora in una sede provvisoria, ma esiste un progetto donato da Renzo Piano e localizzato lungo la Miljacka, che non è ancora stato costruito. Il museo dovrebbe contribuire alla formazione di una sorta di Museum Quarter insieme ad altri musei esistenti, configurandosi quindi come un importante tassello di una serie di edifici pubblici a carattere culturale che, dal periodo Austro-Ungarico in avanti, è stata localizzata lungo il fiume Miljacka. Nel luogo del futuro museo, Piano ha anche donato e fatto costruire un piccolo ponte pedonale che attraversa il fiume, gesto simbolico e significativo che si aggiunge ai tanti altri ponti di Sarajevo, ciascuno dei quali con una propria storia.
Ad una scala molto più ridotta rispetto a Belgrado, il futuro di Sarajevo vede nel suo fiume il luogo della rigenerazione urbana e culturale dopo il feroce assedio. La città pur tra tantissime difficoltà di natura economica e politica, sta cercando di riemergere come spazio elettivo della condivisione e della tolleranza all’insegna della cultura, come lo era stata per tanti secoli addietro. In questa prospettiva il fiume Miljacka con il sistema ambientale adiacente sta diventando il luogo di una nuova consapevolezza storica ed identitaria, dove la coesistenza etnica, religiosa e culturale sono alla base della futura visione urbana e dove la creatività e la cultura rivestono un ruolo primario ai fini della rigenerazione urbana.
Per finire andiamo a Fiume/Rijeka. Qui occorre usare la doppia denominazione (anche se il significato della parola è esattamente lo stesso), visto che l’attuale città croata proviene da un forte passato italiano. Fiume/Rijeka rientra anch’essa in un certo senso all’interno del paradigma dell’urbicidio, non già fisico come distruzione di uno spazio urbano a seguito di una guerra (come per Sarajevo), ma espressione piuttosto della persecuzione e dell’esodo di popolazioni che la hanno abitata in momenti diversi. Fiume/Rijeka, città di confine tra l’Europa Occidentale ed i Balcani, tra cattolicesimo ed ortodossia, tra capitalismo e socialismo, personifica il concetto stesso di frontiera, di limes. È stata il luogo di confronto/scontro tra le diverse potenze europee che hanno controllato l’Europa dell’Est ed i Balcani dalla fine del Settecento in avanti, con una linea di demarcazione labile che ha subito spesso spostamenti e riallineamenti. È stata anche il teatro delle avventure politico-militari del nostro Gabriele D’Annunzio, che proprio a Fiume ha voluto rivendicare la “vittoria mutilata” del primo conflitto mondiale, anticipando la politica squadrista dello stesso Mussolini. È stata poi una città fascista, quasi un paradigma delle velleità espansionistiche del regime, e successivamente una delle principali città industriali del socialismo di Tito. Una città segnata da sconvolgimenti politici e cambi di potere, che hanno determinato un continuo flusso di migrazioni ed esodi.
Nel dopoguerra Fiume/Rijeka ha subito il suo ultimo dramma, ovvero un doppio esodo: una gran massa di giuliano-dalmati è dovuta scappare dalle rappresaglie dei partigiani titini, mentre un numero sicuramente più contenuto di operai di Monfalcone ha alimentato un controesodo verso la nuova Jugoslavia, sperando di trovare un comunismo più puro ed ortodosso. L’esodo giuliano dalmata, l’emigrazione forzata dei cittadini di lingua italiana dell’Istria, Quarnaro e Dalmazia che fuggirono dalle loro terre a seguito degli eccidi noti come i massacri delle foibe, coinvolse circa 350.000 persone che volevano sfuggire al nuovo governo di Tito. L’esodo fu particolarmente rilevante in Istria, dove si svuotarono dei propri abitanti interi villaggi; anche a Fiume/Rijeka tra il 1946 e il 1954 partirono circa 30.000 fiumani di nazionalità italiana, più del 70% della popolazione rispetto al periodo prima del 1945.
Fiume/Rijeka personifica quindi il senso del confine, della frontiera, ma soprattutto quello dell’esodo. Il breve fiume, la Fiumara/Rècina, che attraversa la città è stato storicamente la linea di separazione tra Fiume e Sušak, tra Italia e Jugoslavia ma più in generale tra l’Europa Occidentale ed i Balcani. Il fiume è molto breve, ha le proprie sorgenti appena dietro la città, percorre una stretta valle ed attraversa la città stessa per non più di qualche chilometro. Seppur breve, ha una lunga storia di esodi e migrazioni che lo hanno attraversato.
La Fiumara/Rècina sta ora diventando il luogo della contemporaneità e della ricongiunzione tra culture diverse. In prossimità della foce, a Porto Baross, esiste un isolotto che è stato per anni un deposito di materiali (principalmente di legno) che qui venivano lasciati prima di essere imbarcati, Questo spazio risulta adesso abbandonato e dismesso. Diversi progetti e concorsi sono stati fatti per programmi di rigenerazione urbana riferiti al fiume e a Porto Baross. Il Dipartimento di Architettura di Pescara, insieme all’Ordine degli architetti di Rijeka (DAR), organizzò nel 2011 un laboratorio di progettazione “Patching the City: Public L”, applicato ad un’area più estesa, che comprendeva il fiume, l’area di Porto Baross ed il lungo molo portuale. Il seminario vide la partecipazione di diverse università, e divenne l’occasione per ripensare a questo spazio come ricongiunzione tra Fiume e Sušak, piuttosto che continuare a trattarlo come una sorta di no man’s land. Il lavoro si è sviluppato anche negli anni successivi: nel 2014 è stato organizzato un concorso internazionale, il Comune ha portato avanti proposte di sviluppo con capitali esteri che non si sono realizzate. Ma è adesso, con Fiume/Rijeka Capitale europea della Cultura nel 2020, che questa zona è diventata l’area di maggior interesse per uno sviluppo sostenibile dove cultura, coesistenza ed inclusione costituiscono i principali paradigmi.
A Belgrado, a Sarajevo ed a Fiume/Rijeka gli ambiti fluviali stanno prendendo insomma il sopravvento. Processi di rigenerazione e nuove visioni urbane stanno assumendo i fiumi come veri protagonisti di uno sviluppo sostenibile e soprattutto inclusivo e condiviso, che tenga adeguato conto della storia complessa di questa difficile regione.