Parole chiave: geomorfologia, movimento, ambivalenza, paesaggio liquido, progettare l’incertezza
Abstract:
“Meuse creuse – Liège flotte”. Questa è l’immagine dell’interrelazione che unisce l’incessante fluire del fiume e l’opportunità di fissarsi ed emergere di una città. Ai disegni dell’indocile mobilità delle acque che cingono l’affioramento di terre instabili da urbanizzare si sovrappone la volontà di piegare le fluttuazioni fluviali ad un progetto volontarista e visionario di una società in mutazione. La rettificazione e canalizzazione recano memoria di un asservimento a logiche funzionali, retaggio culturale di difficile superamento. Il riemergere delle politiche ambientali, i piani per le trame del verde, così come les plans verts et bleus sono oggi un nuovo spunto per capire se la Mosa e Liegi riusciranno a restaurare quell’intimo legame di collaborazione tra un agente naturale che scava, adatta e cambia le condizioni della terra ed una città che vi sa adattare il fluttuare delle proprie architetture, strade, piazze e luoghi dello stare, alimentando e rinnovando in dialogo con il fluire delle acque.
“Meuse creuse – Liege flotte”
“Mosa scava – Liegi galleggia” recita un’iscrizione affissa sulla facciata dell’Aquarium dell’Università di Liegi, in Outremeuse. Un quartiere nato dall’assemblaggio di lembi di terra emersa che oggi formano un’isola delimitata da un lato dagli argini del fiume e dall’altro da un canale di drenaggio delle acque periferiche della Mosa.
L’ambiguità conferita al termine liège – al tempo stesso nome della città e del materiale (sughero) –, in concomitanza con l’azione del fiume che “scava”, permette d’entrare nel tema delle relazioni tra “acque e territorio” partendo da una condizione imprescindibile: l’ambivalenza, l’essere “l’uno e l’altro”.
Liegi è nata dal rapporto “dell’uno e l’altro”. Liegi è ancora oggi “terra e acqua”. Eppure la città appare asservita a logiche infrastrutturali che l’hanno progressivamente tagliata fuori dalle dinamiche del fiume. Il susseguirsi di politiche difensive (costruzione degli argini murari) e mono-funzionali (spazi per la mobilità veloce) ha innescato un processo di distanziamento dalla Mosa giunto fino alla negazione della sua esistenza, come se si trattasse del progetto inconsapevole di un’assenza.
Il fiume, divenuto un limite, è stato piegato alla logica disgiuntiva “dell’uno o l’altro” che potrebbe essere espressa così: “Mosa scorre – Liegi corre/corregge/taglia”. Invece, Liegi è ancora un ricco palinsesto di paesaggi intermedi dell’acqua. E l’acqua resta una risorsa di rigenerazione per la città. Anche se del suo fluire all’interno del tessuto urbano se ne è persa, prima la percezione fisica, poi quella mentale.
La storia di Liegi è costellata di eventi-chiave che dimostrano la volontà di trasformare le forme dell’acqua che la attraversavano. Anche se la città ha adottato progressivamente soluzioni di rottura delle relazioni tra architettura urbana e natura, non significa che non vi siano state delle scelte di grande interesse progettuale. Nel passaggio da città-acqua a città-infrastruttura, si possono riscoprire ragioni, significati e ruoli del “progetto” – urbano e paesaggistico – appartenente a comunità d’attori capaci di gestire consapevolmente la mutazione. Dalla ricucitura dei fatti, effettuata attraverso la ricerca, si è voluto far riemergere le connessioni tra le intenzioni e le azioni passate, per fare riaffiorare e rendere di nuovo leggibili le volontà, le visioni, gli immaginari e la progettualità ancora inscritte nel corpo della città.
Il progetto di fiume è un’opportunità per ricucire i legami culturali tra passato e presente, indispensabili per rilanciare nuovi processi di ricostruzione dell’immaginario urbano, in cui si assuma l’instabilità come condizione principale di sostenibilità. Infatti, da una migliore conoscenza delle ragioni del paesaggio del passato emerge, con più grande chiarezza, l’urgenza di orientare le relazioni tra città e fiume verso i concetti di liquidità e incertezza, come generatori di nuove geo-grafie d’inter-azione.
Questo contributo si basa sui racconti “grafici ed iconografici” di una città-paesaggio della quale “riscoprire” intenzioni e progettualità, inscritte in soluzioni tecniche e architetture che ne hanno determinato il carattere. L’obiettivo è recuperarne la carica innovativa, hyper-contemporanea ed eversiva per metterla a confronto con le politiche in corso.
Progettare il movimento
I testi, le carte ed i disegni dei vari assetti storici del territorio, nel loro susseguirsi e sovrapporsi, restituiscono visibilità a quadri di realtà in continuo movimento, leggibili attraverso l’addensarsi di linee che, come dei campi magnetici, documentano l’estrema variabilità dei luoghi. Come scritture di stati intermedi e transitori del territorio, queste configurazioni grafiche evocano azioni e principi fisici che ci riconducono alla Cité per coglierne le mutazioninel loro statodi continuo divenire, dovuto principalmente alla grande variabilità e fluttuazione delle linee dell’acqua. Questi palinsesti sono delle narrazioni di cui oggi si è persa la memoria.
Farli riemergere permette di stabilire un quadro abbastanza rappresentativo del rapporto intessuto nel tempo tra la città ed il fiume. Dalla ricostruzione di questo dialogo, talvolta conflittuale, talvolta co-agente, sono emerse le ragioni che ci hanno permesso prima di ritrovare e infine di restituire a Liegi il carattere d’origine che più le corrisponde: quello di una città-paesaggio intimamente legata all’incessante fluire del fiume.
Come scrive Renato Bocchi “la città tende a irrigidire e ingabbiare l’indocile scorrere delle acque; il fiume tende a rompere quella rigidità, a muoversi e modificarsi, a rendere indefinito e incostante il suo rapporto con la città. Conciliare l’indocile mobilità del fiume con la più rigorosa geometria degli spazi urbani non è operazione facile: l’una o l’altra tendono inevitabilmente a prevalere.” (Bocchi, 2011).
Questo è accaduto a Liegi dove “dominazione, cattura e regimazione” delle acque, supportate da politiche volitive per il disegno di nuove geografie urbane, nel contenere le azioni di erosione della Mosa provocano al tempo stesso reazioni naturali (esondazioni) dovute al riappropriarsi del fiume dei propri spazi vitali.
La storia di quest’alternanza corrisponde al nascere ed al crescere di Liegi. Dallo stato iniziale di piccolo centro situato alle pendici del Publémont, là dove le acque della Légia si ramificavano per raggiungere il letto principale della Mosa, la città si configura prima come un’isola, l’île de la Cité, sulla riva sinistra, per trasformarsi nell’Ottocento in una città industriale in cui dalle tracce dell’acqua sono emerse diverse tipologie di boulevards alberati, promenades lungo il fiume e tracciati geometrici per nuovi quartieri residenziali, strutturati da viali, piazze, parchi e giardini.
Il processo d’irrigidimento che è giunto ad ingabbiare il libero fluire delle acque è avvenuto gradualmente. Inizialmente s’impone per rispondere alle continue aggressioni delle acque, nei quartieri della Cité, giacenti sulle terre lambite da rivages che infiltravano la città vecchia.
Questa politica igienista, non senza risvolti positivi, raggiunge un punto di non ritorno quando la città si trasforma in un groviglio infrastrutturale destinato quasi esclusivamente all’automobile: uno stato limite ancora oggi difficilmente ricongiungibile ad obiettivi di sostenibilità.
Paesaggio delle acque come ground zero
Lo studio delle linee delle acque ha permesso di ricostruire la configurazione complessa d’origine: il déjà-là di una valle segnata da un tracciato fluviale principale, la Mosa, sottoposto all’incessante fluttuare di affluenti come la Légia (supporto del primo impianto urbano) o come la Vesdre e l’Ourthe, produttori d’un numero importante di rivoli, isolette e acque vagabonde. Le sponde naturali accompagnavano le linee d’acqua sinuose d’Avroy e Sauvenière, che intagliavano il corpo urbano in un intreccio d’acque e isolotti che dava forma alla confluenza con la Mosa. L’insieme di queste tracce conferiva al territorio il carattere di un’ampia valle solcata da linee vaganti e da ristagni d’acqua. Questa distesa di terre mobili, contenuta da versanti imponenti, intagliati da ruscelli o coperti da boschi, diviene il territorio di sviluppo e lo scenario fluttuante della città. L’acqua filiforme, stagnante o riflettente, determinava il carattere di ogni luogo, imponendosi come una risorsa primordiale non solo per l’architettura e l’art urbain (precursore del progetto urbano), ma anche per lo sviluppo socio-economico ed industriale della città moderna (‘800-‘900).
Le carte e le “vedute”, nel rappresentare la città, agiscono come strumenti di rilevamento del movimento e dell’estrema instabilità intessuta tra terra ed acqua. Descrivere, rappresentare e rintracciare i segni delle probabili localizzazioni delle acque è un esercizio di rilevamento necessario per restituire nuova “presenza” ad una “assenza”. RILEVARE per RIVELARE condizioni ambientali remote, largamente ignorate, è un atto indispensabile per generare conoscenza e nuova coscienza sulla necessità d’accogliere fluidità, flessibilità e incertezza.
È da questi principi che muove la ricerca dei vari, probabili, assetti del paesaggio, ridisegnati per introdurre l’architettura moderna a Liegi (Occhiuto, 2014). Questa guida diviene un’occasione per invitare il lettore al viaggio, che, come in un nuovo Grand Tour, “apre a” conoscere, riconoscere e sperimentare il territorio. La guida invita ad immergersi prima nelle pieghe di un paesaggio di terra e acqua (“ground zero”) (fig.1) che non c’è più, per poi ripercorrerne, attraverso il testo e l’immagine, le fasi di consolidamento, fino allo stato di staticità raggiunto dalla città moderna. Le carte ed il testo ricompongono progressivamente un processo di trasformazione del quale diversi sono i tasselli mancanti o poco conosciuti. La narrazione grafica e testuale s’impone come una strategia di ricostruzione dell’immagine della città, che fa appello alla conoscenza attraverso la riattivazione della percezione.
Entrare a Liegi significa ristabilire il contatto con le forze primarie del paesaggio del déjà-là. Oltre alla dimensione filosofica-mentale ricercata, il dare concretezza cartografica al déjà-là è stato un atto di progettazione volontaria: il progetto di sottolineare e far conoscere il potenziale del “tempo zero” di paesaggi dell’acqua divenuti invisibili.
L’azione di riconoscimento segna l’inizio di un’indagine tesa al superamento di un’immagine tronca del territorio, relativa a rappresentazioni rare e impressionistiche dell’esistente che tagliano fuori dal portato socio-economico e politico espresso da un’area vasta da sempre governata dalle acque. Ed è proprio dell’esistenza di questo tipo di “governo” del paesaggio, disegnato dalle acque, che le ricostruzioni cartografiche parlano. Disegnarle per rivelarle. Ma disegnarle anche per sottolinearne l’incidenza sullo stato delle terre, per comprenderne le logiche e le prime relazioni con l’impianto urbano. Disegnare per comprenderne i tempi di “apprivoisement” ovvero d’adattamento e di addomesticazione delle acque.
Queste mappature documentano e rendono visibili forze e principi dei quali le comunità dovrebbero riappropriarsi e apprendere a rielaborare. Ricostruirne le immagini permette a ciascuno di riappropriarsi mentalmente di aree vaste difficilmente immaginabili e, proprio attraverso questo processo d’interiorizzazione, far sì che trasformarle significhi immaginarne di nuovo la mutazione “a monte”, sentirla, sperimentarla dall’interno, come se fosse un luogo da indossare ed accompagnare verso il cambiamento.
Questo è il potenziale di strategie di lettura e di scrittura di territori in cui progettare significa apprendere a riconoscere, fisicamente e mentalmente, prefigurare e far propri i caratteri dei luoghi per poi accompagnarne i processi di trasformazione in interrelazione con coloro che li abitano dall’interno. Questo è il potenziale del tracciare e rendere visibili i caratteri della mobilità dei luoghi. Questa la necessità di ristabilire un approccio flessibile adeguato ai paesaggi delle acque che le nostre città sono ancora. Questa la necessità di rileggere Liegi come un arcipelago dalle terre instabili, attraversate da un sistema dalle acque imbrigliato, ma sempre alla ricerca dei propri spazi. Questo infine è ciò che disegna un quadro ambientale ambivalente: rischio e opportunità per apprendere a vivere e progettare in interrelazione con il movimento.
Dal movimento al contenimento
Marc Suttor, studioso delle dinamiche della Mosa, tratta tre tematiche interconnesse: le imbarcazioni, la navigazione e le infrastrutture (Suttor, 2006). Narra dell’adattarsi alla variabilità fluviale e del dominare o deviare le acque secondo un’ottica che impone il prevalere del progetto umano all’irregolare vitalità del fiume. Le incursioni ricorrenti delle acque nelle maglie urbane portano progressivamente al prosciugamento dei flussi interni. Dalla metà dell’Ottocento appaiono delle trasformazioni profonde che, sottraendo le acque alla terra, lasciano spazio ai boulevards d’Avroy e Sauvenière, seguiti dal sistema “en patte d’oie”, tracciato tra la place de la Comédie (sito del Teatro dell’Opera) e i poli dell’Università (Place du XX Août) e del mercato/porto (la Batte). Sono i primi progetti di regimazione delle acque destinati a bonificare le terre e ridisegnare la città. Così ai mulini e ai primi punti di contatto con il fiume, subentrano muri, dighe, approdi, banchine, canali, percorsi d’alzaie e vari artefatti filiformi.
Le acque imbrigliate scivolano via sempre più velocemente, mentre all’ombra dei viali alberati, i cittadini scoprono il passeggio. “Promenades plantées” e“Boulevards” diventano linee d’incontro, deambulazione e flânerie per una società dello spettacolo che trasforma progressivamente l’incedere lentamente in circolazione sempre più veloce degli individui e delle merci. Le linee blu cedono spazi al verde e ai loisirs, sperimentando la strategia del Park-system per riconfigurare lo spazio urbano. Nasce il sistema Boverie-Terrasses-Avroy-Botanique, un progetto forte collegato all’Exposition Universelle del 1905: il disegno del parco della Boverie come riconfigurazione della punta sud dell’isola, con nuovi ponti di collegamento ai quartieri moderni.
Un preciso disegno (piano Kummer) (fig.2) delle terre e delle vie dell’acqua mostra il livello di controllo e di progettualità integrata (tecnica, arte e architettura) di una comunità con una chiara visione del proprio futuro.
Liegi cambia configurazione attraverso il disegno di spazi verdi e residenze, ma anche di landmark come il teatro, il conservatorio e le sedi dell’università e del commercio, e soprattutto con l’arrivo delle infrastrutture ferroviarie e fluviali, con stazioni e porti. La Mosa si trasforma in una delle più importanti vie di trasporto sull’acqua. Nello stesso tempo si disegnano ampi spazi per il nuoto e la pesca, oltre a padiglioni e sponde per gli sport nautici (canottaggio e vela). Mentre nei parchi appaiono le prime piste d’atletica e ciclismo, oltre al calcio, successivamente introdotto nei tessuti più popolari.
Il progetto di fiume ottocentesco coadiuvato da canali (Liège-Maastricht e Ourthe) e ampie banchine per il porto in città (Batte, Amarcoeur), stravolge il fronte fluviale con opere d’ingegneria idraulica d’avanguardia come il Canal Albert, il porto dell’ïle Monsin ed il Barrage. L’Exposition Internationale de l’Eau (1939) (fig.3) confermerà la portata politico-culturale, oltre che economica del progetto di fiume: l’ACQUA è il tema centrale dell’esposizione.
Il fiume è il teatro ideale per celebrare la conoscenza tecnica e scientifica di una società con un preciso progetto di città. Il prendersi cura del territorio assume la forma di spettacoli d’acqua e luci sulla Mosa e di giochi floreali e acquatici sulla presqu’île di Coronmeuse.
Il nodo infrastrutturale Canale Albert-Barrage controlla la confluenza delle acque della Mosa e della Derivazione, al nord dell’isola d’Outremeuse. Il progetto contiene e governa la corsa delle acque verso il nord, ma determina anche il limite di un ampio specchio d’acqua che caratterizzerà dal 1939 in poi l’architettura dell’entrata a Liegi. Ancora una volta l’Esposizione Internazionale diventa il coup d’envoi per il ridisegno della città. Le acque tra la penisola di Coronmeuse e le terre instabili della piana di Droixhe formano un vasto specchio d’acqua che si trasforma in un paesaggio lacustre. Gli argini mutano per comporre una cornice architettonica attrezzata da pontoni, belvederi, padiglioni, ristoranti e piscine oltre a esplanades, giardini e fontane. Il progetto inaugura nuovi modi per vivere, immaginare e rilanciare il dialogo tra fiume e città da considerare come un possente vettore di sviluppo.
Ma nella seconda metà del Novecento, al progetto delle vie dell’acqua si sovrappone quello delle strade a scorrimento veloce. I percorsi lungo il fiume si ispessiscono per accogliere sempre nuovi spazi per il transito: le chiatte sul fiume e le automobili sugli argini. In pochi anni questi si trasformano in cordoni che recidono ogni forma di continuità tra la città e le acque. Il corpo urbano è ridisegnato per sovrimpressione da infrastrutture che armano e recingono sia il fiume che la città, condannando entrambi alle logiche implacabili di circolazione, scorrimento e velocità.
L’infrastrutturazione della Mosa porta alla città ricchezza economica e connettività, ma al tempo stesso cancella la memoria dell’acqua, del passeggio e del loisir. Acque, automobili, persone e merci scorrono e circolano, mettendo in luce scenari di un’urbanistica idraulica che tutto canalizza, imbriglia e controlla.
La Mosa porta ricchezza a Liegi, che a sua volta cresce e divora spazi, nel diniego del fiume.
La Mosa trasporta sempre maggiori carichi di merci, passando senza più soste in città. La Mosa scivola via, rifiutata da un’urbanità incapace di accogliere ancora lo sport, il gioco, lo stare ed il passeggio, perché ridotta alla logica disgiuntiva “dell’uno o l’altro”.
La Mosa, sempre più contesa e divisa, entra nel nuovo millennio come testimone silenzioso di una perdita. Quali insegnamenti trarre da questa narrazione?
L’eccesso di politiche disgiuntive fa riflettere sul bisogno di ricostruire nuove relazioni tra la città ed il fiume e tra Liegi e le sue risorse di città-paesaggio. Tra i nuovi progetti ne citiamo due significativi:
La riflessione sul lungofiume inizia con un progetto-test relativo ad un segmento del percorso che dovrebbe restituire il fiume alla città. Preceduto negli anni ’90 da una campagna per rendere la “Mosa a Liegi”, questo intervento completa il progetto di un’asse di collegamento tra la stazione Guillemins ed il Parco della Boverie (sull’isola). L’obiettivo di riprogettare il lungofiume avvia un processo di riconversione della strada a scorrimento veloce in boulevard urbano. Si traduce in un camminamento ciclo-pedonale (senza alberi) che costeggia il livello strada, al quale si aggiunge una lunga seduta e della vegetazione bassa situate al livello dell’acqua. Anche se frammentario, il progetto rende al luogo parte del ritmo del passeggio, facendo eco al disegno ottocentesco dell’esplanade des Terrasses, oggi scomparsa. Ma invece di far confluire il flusso pedonale verso i ponti d’origine, Calatrava prima e Corajoud dopo, optano per la costruzione di una nuova passerella pedonale che funge da trait d’union tra il nuovo sventramento/esplanade della stazione ed il parco (fig.4) Si crea così un varco o una lacerazione che penetra profondamente nello spazio verde, destabilizzandolo. L’obiettivo di nuova entrata prevale sulle ragioni del disegno preesistente. Importa invece attraversare rapidamente e senza che il ciclista metta mai il piede a terra. La passerella crea un nuovo accesso che taglia il fronte ovest del parco e che ne condiziona il dialogo con il fiume. Vince la volontà di dare a Liegi un’impronta di modernità.
Quasi contemporaneamente l’estensione del Museo sull’isola presenta, invece, l’opportunità per riacquisire coscienza della criticità dell’Isola-Parco della Boverie.
Il progetto selezionato (Ricciotti-PhD-Occhiuto) fa del Museo un mezzo per rivelare l’eccezionalità del déjà-là: il disegno di un sapiente equilibrio tra terra e acqua. Il progetto si inverte. È il parco a dettare le regole della rigenerazione. L’architettura si adatta e segue le indicazioni dell’ambiente naturale, offrendo a ciascun punto cardinale dell’edificio un diverso carattere del parco e della città.
Ne emerge un nuovo interesse per le relazioni da ricostruire con il fiume. Ma non è sufficiente per rivedere il programma di sviluppo alla scala della città. Infatti contemporaneamente, al nord di Liegi, la penisola di Coronmeuse e la piana di Droixhe sono oggetto di una forte pressione immobiliare. L’abbandono e l’estrema frammentazione mostrano luoghi in degrado. Rapidamente questo nodo strategico della città diviene l’oggetto di un processo di pianificazione per lotti, dal quale sono emersi: un eco-quartiere a Coronmeuse e vari altri interventi sconnessi sulla piana di Droixhe.
Il concetto straordinario del 1939 della Mosa al centro della città, con un perimetro coerentemente progettato per sottolineare le linee dell’acqua non è più visibile, e forse non è più sufficiente per dare un nuovo orientamento al rapporto da intessere con il paesaggio.
…della necessità di paesaggio liquido
L’alternanza dei rapporti tra Liegi e la Mosa mostra chiaramente l’impossibilità di arrestare il movimento e le fluttuazioni di relazioni che per il loro essere in tensione orientano il territorio nel suo incessante riconfigurarsi.
È ciò che rivelano gli stati limite provocati dal prevalere dell’uno o dell’altro. L’oltrepassare il punto d’equilibrio di un sistema, provoca l’azzeramento dell’opposto e l’assenza. Accade quando il progetto s’irrigidisce e allontana l’acqua dalla città. La Mosa è ancora una presenza-assenza che caratterizza, ma che esiste soprattutto come via di trasporto. Il vivere con o in seno ai suoi flussi sembra ancora inconcepibile.
Scavalcarla o navigarla è sempre più fattibile e auspicabile. Anche correre con il fiume è possibile per tratti. Ma sempre secondo tempi e spazi limitati, frazionati e controllati da una progettazione impreparata a cogliere il movimento, poiché incapace di integrare ogni tipo di dinamica prima attraverso il pensiero e la percezione e poi nel fare e orientare il divenire.
La città adotta soluzioni che continuano a piegare il fiume.
Se invece città e acqua fossero assunte come un unico sistema in movimento, il progetto potrebbe creare le condizioni di equilibrio necessarie per accogliere le fluttuazioni. Il tempo d’equilibrio è breve e in condizione critica perché in situazione d’instabilità. L’incertezza crea sconforto e richiede una nuova postura: quella di colui che osserva, prende cura, accompagna e riorienta, seguendo i ritmi delle trasformazioni.
La città ha bisogno di attori con il ruolo di “agenti”, “custodi” o “giardinieri” di territori dalle relazioni liquide tra terra ed acqua e in movimento. Per mantenere in vita questo equilibrio è necessario ricostruire il gioco delle tensioni tra terra e acqua, evitando il prevalere dell’una o dell’altra.
Il raggiungimento dell’equilibrio ed il suo mantenimento sono le condizioni di base del progetto sostenibile, fondato sulla capacità di cogliere il movimento non per contenerlo, ma per seguirne i flussi, l’indocilità e le correnti.
Il progetto riacquista così la capacità di rilevare, far emergere e agire in fluidità e flessibilità. Assumendo l’incertezza come condizione di fondo del sistema città-paesaggio, il progetto non può più procedere per segmenti o per punti, ma deve riattivare correlazioni tra scale, materiali e tempi per tenere in vita il gioco tra sistemi di tensioni.
Se le relazioni tra città e acqua sono incerte, il progetto deve adattarsi e integrarne le fluttuazioni. Di fronte al paesaggio liquido, sempre in via di ridefinizione e riscrittura, il progetto tenderà a divenire un insieme d’azioni brevi di trasformazione, correlate e ad effetto incrementale: agire per frazioni di tempo e spazio, come un testo per pezzi, da riconnettere all’insieme progressivamente prima fisicamente e poi mentalmente.
Riacquisire la gestione del tempo, mettendola al servizio della ricostruzione delle relazioni percettive e sensoriali, procedendo secondo delle serie di trasformazioni di durata breve che permettano ai sistemi terra-acqua di riassestarsi continuamente e dare vita a processi di un progetto aperto che osserva, segue e cura il territorio.
Progettare l’instabilità di terre in movimento costante e di paesaggi liquidi diviene quindi una necessità e probabilmente la sola possibilità per adeguare l’azione umana a l’imprevedibilità delle forze naturali. La coscienza di questa condizione porta a stimolare di nuovo il prender corpo di visioni globali capaci di far fronte all’incertezza.
Come accogliere il progetto aperto tra Liegi e la Mosa oggi? Nel ricominciare da dove il dialogo si è interrotto, quando la Mosa era al centro della città. Il sistema Coronmeuse-Droixhe offre l’opportunità di sperimentare il progetto flessibile ricominciando a lasciar fluttuare le acque e restituire alle terre il loro carattere instabile, inaugurando l’idea d’entrare a Liegi attraversando i luoghi ibridi di una città porosa e lacustre, riemersa dalle linee di una narrazione intensa tra terra e acqua.
Benvenuti a Liège-Marais! (fig.5)
Riferimenti bibliografici
Bocchi R., 2011, “Fiume e città: così lontani, così vicini. Geografie, morfologia, relazioni spaziali”, in Archi: rivista svizzera di architettura, ingegneria e urbanistica, Zurich.
Occhiuto R., 2014, “Voyage aux rythmes d’une ville-paysage”, in Guide de l’architecture moderne et contemporaine de Liège 1895-2014, pp.9-27, Mardaga, Liège.
Suttor M., 2006, Vie et Dynamique d’un fleuve. La Meuse de Sedan à Maastricht (des origines à 1600), De Boeck Universités, Bruxelles.