Parole chiave: Lione, Ingegneria idraulica, Paesaggi fluviali, Rodano, Saona
Keywords: Lyon, Hydraulic engineering, River landscape, Rhone river, Saone river
Abstract:
Rodano e Saona fondono le loro acque a Lione e concorrono a modellare l’immagine del suo territorio con diverse identità e caratteri geomorfologici. Importanti trasformazioni hanno caratterizzato da sempre il volto della città e sono state guidate da un’articolata pianificazione di strumenti e azioni che hanno saputo valorizzare le risorse del sito. Un approccio di matrice paesaggistica, più che ambientale, ha governato gli orientamenti in anni più recenti, portando a termine ingenti processi di riconversione che si sono attestati sulle rive dei due fiumi per irradiare la loro positiva influenza nell’intera agglomerazione metropolitana. Forme di naturalità sono state così costruite là dove prima non esistevano...
English abstract:
Rhone and Saone rivers merge their waters in Lyon and shape this landscape with different identities and geomorphological characters. Significant transformations have always characterized the image of the city with extensive planning tools and actions, improving the site's resources. A landscape-based approach, rather than an environmental one, has managed strategies and guidelines in more recent years. Huge conversion processes have transformed the banks of the two rivers to radiate their positive influence on the entire metropolitan agglomeration. Natural forms have thus been reconstructed where they did not previously exist....
Dove i fiumi si incontrano, ovvero come inventare un luogo che prima non esisteva
Non sono molte le città che vantano la presenza di due fiumi e soprattutto di un luogo chiamato confluenza, in grado di assumere specifiche configurazioni morfologiche o strategiche. Tra queste Coblenza, che deve il suo il nome, di origine latina, proprio al fatto di trovarsi là dove Reno e Mosella si congiungono. E poi Belgrado, che marca il passaggio geografico tra la penisola balcanica e la paludosa pianura pannonica dove la Sava si unisce al Danubio. E perfino Wuhan, balzata clamorosamente all’attenzione delle cronache mondiali a seguito della pandemia 2020, deve la sua posizione di snodo tra Cina settentrionale e meridionale per essere situata laddove s’incociano i maestosi fiumi Han e Yangtze.
A Torino l’attraversamento del Po accoglie addirittura due corsi d’acqua e genera valenze naturalistiche nei parchi della Confluenza, tra il torrente Stura di Lanzo e il Po, e nel parco Colletta, tra la Doria Riparia e il Po. Anche Roma due fiumi si incontrano in ambito urbano, là dove l’Aniene raggiunge il Tevere, ma questo è un luogo dimenticato e invisibile, un vero non-luogo che meriterebbe un accurato progetto di valorizzazione ambientale e paesaggistica, non disgiunto da
estese demolizioni.
Tutto il contrario di quanto accade a Lione, dove la confluenza tra Saona e Rodano è storicamente oggetto di continue modificazioni in grado di rideterminare la forma del territorio, sia lungo il percorso urbano dei due fiumi, sia più a monte nell’ambito metropolitano (fig.1). E se tutti ormai siamo abituati a identificarne il sito come uno dei più vasti progetti urbani europei contemporanei, in pochi sono a conoscenza che la sua primitiva posizione era ai piedi della collina della Croix Rouge. A lungo percepita come frontiera e margine, la confluenza è stata oggetto nel tempo di ripetuti spostamenti sempre più a valle, verso sud, alla conquista di nuovi terreni edificabili, pianeggianti e prossimi al centro (Bethemont et Pelletier, 1990). Fra le operazioni più consistenti, che arrivano anche a raddoppiarne la superficie, quella avviata alla fine del ‘700 da Michel Antoine Perrache ha richiesto la deviazione del letto del Rodano dando luogo, dopo diversi decenni, al quartiere e alla stazione ferroviaria che portano ancora oggi il suo nome (Rivet 1946). Pur con evidente impronta speculativa, l’operazione ha generato progressivamente centralità urbane e riverberato nel lungo periodo dinamiche evolutive di grande impatto. Lo dimostra il susseguirsi di ingenti trasformazioni, come l’interramento degli isolotti situati sulla punta e l’estensione della città al di là dei bastioni, al tempo di Luigi XV, o il più recente nuovo fronte urbano tra cui spiccano i colorati cubi progettati nel 2011 da Jakob e MacFarlane (Jacquet 2019).
Nell’arco degli ultimi tre secoli il volto della città si è radicalmente trasformato grazie ad un accentuato dinamismo dalle molteplici cause generatrici. Pressioni di carattere economico e rappresentativo conducono a spostare verso sud opifici e impianti produttivi, colmare fossati e liberare spazi per impiantare la vasta Place des Terraux, dominata dal seicentesco edificio municipale. Processi di modernizzazione nei primi decenni del Novecento avevano ridisegnato, con il prestigioso apporto di Tony Garnier, zone industriali e portuali nell’area meridionale di Gerland assieme ad ampi quartieri popolari e attrezzature sportive. Ambizioni nel ricoprire ruoli più incisivi nella compagine nazionale accompagnano le politiche legate alle Métropole d’equilibre e all’intercomunalità del Grand Lyon negli anni Sessanta, fino a giungere a strategie di posizionamento internazionale incentrate su una profonda riconversione ambientale e culturale con lo Schéma de Cohérence Territoriale all’orizzonte del 2030 (Palazzo 2011; Martone e Sepe, 2012-13).
Dall’ingegneria idraulica alla gestione dei paesaggi fluviali
Una progressiva artificializzazione del territorio accompagna le fasi di crescita urbana e modifica le relazioni con i due fiumi il cui andamento si dispiega in maniera dissimile. Con alte rive in granito, è la Saona a rappresentare la culla della città e il luogo da cui si affacciano i più importanti monumenti di epoca romana. Ha costituito nel tempo l’asse di sviluppo storico-economico grazie ad una sostenuta attività di navigazione commerciale che ha favorito l’animazione urbana e la presenza di spazi per feste e passeggiate.
Più ampio e imponente, il Rodano è tumultuoso, soggetto a forti correnti, con acque gonfie in inverno, rive basse e instabili. È soggetto a frequenti piene e per questo rimane a lungo marginale allo sviluppo cittadino, qualificandosi piuttosto come confine storico-politico. La sua lenta maestosità nell’attraversare la compagine urbana è frutto di un possente sistema di regimazione delle acque, avviato nel 1856 a seguito di catastrofiche inondazioni.
La costruzione del lungofiume, con alti muraglioni e banchine sottostanti, imbriglia le acque per proteggere la città dalle piene e modifica fruibilità e percezione urbana, relegando in basso il traffico fluviale (fig.2-3). Parallelamente, la realizzazione di un sistema di dighe e canali a monte regolarizza il regime delle acque e amplia le potenzialità di navigazione. Si rinvigorisce così la tradizione delle grandi infrastrutture idrauliche del XVII secolo tramite le competenze tecniche del rinnovato corpo degli Ingegneri Ponts et Chaussées (Bethemont et Pelletier, 1990; Beyer 2016) e prendono forma nuovi paesaggi artificiali. Come il parco della Tête d’Or, nato per rivaleggiare con il parigino Bois de Boulogne e ben presto diventato un frequentato polo di attrazione, anche per le installazioni dell’Esposizione coloniale 1894. La sua vasta superficie viene resa stabile e messa al sicuro dalle esondazioni con la ripresa di una lunga diga bassa, di matrice settecentesca, fondata nel letto del fiume. Si tratta di quella stessa diga che un secolo più tardi Michel Corajoud restituirà ad una nuova visibilità con i lavori di terrazzamento del lungofiume a seguito del progetto di Renzo Piano per la Cité Internationale (Marchigiani 2005).
La realizzazione più spettacolare avviene, tuttavia, a nordest del centro, in prossimità di Villeurbanne e Brotteaux, quando l’apertura del canale Miribel (1847-58) migliora la navigazione fluviale, combinandosi con la successiva derivazione del canale Jonage (1892-99), un tracciato di circa diciannove chilometri utile a produrre energia idroelettrica nella grande centrale di Cusset. È un grandioso sistema di lavori idraulici sviluppato nel corso di più decenni e portato a compimento nel 1937 con la diga di Jons, necessaria per il controllo della portata del Rodano all’ingresso dei due canali.
Nasce così Miribel-Jonage, l’isola che non c’era. È un territorio artificiale in continua ridefinizione, affiorato dall’acqua del Rodano per consentirne la stabilizzazione prima dell’entrata in città, ora diventato uno dei siti “naturali” più conosciuti e frequentati di Francia. Entrato a far parte della rete europea Natura 2000, è stato incluso nell’inventario nazionale ZNIEFF, le Zone naturali di interesse faunistico e floristico, uno strumento cardine creato nel 1982 per gestire le politiche di conservazione della natura la cui consultazione è obbligatoria per ogni progetto di trasformazione territoriale. Estesa per ben 2.200 ettari, l’isola nasce come elemento di “addomesticamento” del fiume, per usare un termine caro ad Antoine de Saint-Exupéry, uno tra i più famosi cittadini lionesi, e viene usata dapprima per scopi puramente utilitaristici, come la produzione di energia e l’estrazione di granulati. Invasa progressivamente da vegetazione spontanea, si trasforma con gli anni in un luogo di scorribande, bracconaggio e attività marginali, fino a diventare sede di attrazioni popolari con taverne all’aperto, aree di campeggio e picnic, piste di motocross. È uno spazio ludico e meticcio, facilmente accessibile per la relativa prossimità ai grands ensembles della periferia metropolitana: Bron, Décine, Vaulx-en-Velin, grandi quartieri di edilizia sociale, spesso alla ribalta delle cronache per le forti tensioni sociali.
Le molteplici attività per il tempo libero e gli sport nautici, favoriti dalla presenza di una vasta superficie d’acqua di circa 1.500 ettari quale risultato di cave dismesse, richiamano assidue frequentazioni. Gli iniziali usi predatori e incontrollati sono gradualmente sostituiti da attività più regolamentate, ma di altrettanto impatto, e conducono alla creazione nel 1970 di un parco a vocazione turistica e sportiva, con una capacità di accoglienza giornaliera di 80mila persone e parcheggi per 15mila vetture. Il successo dell’iniziativa si accompagna ad un incremento di pressione antropica fino a prevedere insediamenti direzionali e turistici che, nel corso degli anni Novanta, conoscono una brusca inversione di tendenza, supportata da una crescente sensibilità ecologica e non disgiunta dagli effetti di una crisi immobiliare (Berthet 2005).
Concrete apprensioni per l’accentuarsi del degrado ambientale, alterazioni nella qualità delle acque che inficiano anche le captazioni degli acquedotti, la riduzione delle aree golenali con la minaccia di nuove inondazioni in ambito urbano, conducono a rimettere in discussione le proposte di sviluppo e, grazie anche a diversi orientamenti in campo politico-amministrativo, prende avvio una nuova stagione di grandi lavori idraulici, marcatamente improntati alla riqualificazione e alla “ri-naturalizzazione” dell’intera area. L’approvazione del Plan Bleu sancisce nel 1991 l’affermarsi di un approccio concertato e coordinato fra il capoluogo, i ventisette comuni dell’area metropolitana e i vari enti gestori delle acque fluviali. Il piano delle rive del Rodano e della Saona si fonda su una visione di sviluppo sostenibile di lungo periodo, dove l’acqua viene ormai percepita come “risorsa”, contribuendo a consolidare il ruolo internazionale di Lione.
Il Plan Bleu si connota subito per essere fortemente anticipatore di politiche urbane, poi intraprese anche da altre città francesi come Strasburgo, Nantes o Bordeaux. La sua influenza è tale da proporlo come un riferimento di metodo per l’intera politica nazionale che nel 2007 darà origine al programma della Trame Verte et Bleue.
Alcuni studiosi sottolineano la dose di retorica insita nel Piano, specialmente nel parlare di “riconquista” (Girardot 2004), la mancanza di coraggio nell’affrontare interventi di rinaturalizzazione o nel rimettere in discussione vecchie politiche di stampo ingegneristico (Brun, Corsière, Casetou 2014). È indubbio, tuttavia, che i due fiumi lionesi siano assurti al ruolo di grandi protagonisti in operazioni spettacolari quanto concrete, dove l’impronta paesaggistica si accompagna ad un vasto consenso mediatico e popolare. Privo di valore giuridico, come del resto ogni strumento di carattere strategico volto a configurare indirizzi, il Plan Bleu mette in atto grandi obiettivi tematici per riqualificare l’ambiente fluviale, per riconnettere parti di città e di territorio, per rivalutare l’economia fluviale. Gran parte di questi obiettivi a distanza di anni appare felicemente realizzata.
Politiche e progetti alle varie scale: configurazioni artificiali per spazi naturali
Rodano e Saona sono i principali assi di una strategia di sviluppo sostenibile che accoglie ed amplia elementi di pianificazione settoriale, trasformando i due fiumi in luoghi di ricerca progettuale a partire dai quali si punta a creare nuovi spazi verdi e recuperare le acque piovane, costruire eco-distretti e riqualificare siti portuali, tracciare reti di mobilità lenta e restituire ai pedoni i fronti sull’acqua. È una strategia pervasiva e inclusiva di riqualificazione, messa in atto dalla scala del territorio a quella della quotidianità. Interventi di grande ampiezza si alternano con altri più piccoli, diffusi a scala locale. 150 ettari della Confluenza o le chilometriche passeggiate del lungo Saona, sostengono l’insieme di una struttura che combina nuove forme di urbanità con la valorizzazione del patrimonio storico e ambientale. L’immagine della fluvialité diventa un attributo urbano di riferimento condiviso, sia nel produrre nuove narrazioni, sia nel suscitare forme di appropriazione e identità collettiva. Uno degli slogan più riusciti del piano, “mettere in scena il patrimonio fluviale” (Plan Bleu 1998, p. 26), si concretizza per mezzo di una serie di sistemazioni paesaggistiche, dove imbarcaderi, rampe, percorsi pedonali e ciclabili, piantumazioni ripariali, aree di gioco e di sosta, trovano una loro specifica collocazione in una visione di insieme (fig. 4-5). Gli interventi lungo la riva sinistra del Rodano prendono il posto delle pesanti trasformazioni infrastrutturali degli anni Settanta che avevano distribuito estesi parcheggi, incentivato la mobilità veicolare e annullato ogni spazio sociale. Percepite come aree insicure da gran parte della popolazione, le banchine sono state così restituite alla fruizione pedonale e messe in sicurezza idraulica grazie ad un progetto che ha saputo intraprendere fertili relazioni dialoganti. Paesaggio, architettura e soluzioni illuminotecniche, grazie all’opera di In Situ, Françoise Heléne Jourda e Atelier Coup d’Eclat, hanno trasformato le rive del Rodano in uno spazio condiviso, dove trovano posto anche dodici tappe biografiche per ricordare i nomi di grandi donne europee (Grand Lyon 2013). Se il riferimento procedurale si ispira a Barcellona e anima il Rodano più delle Ramblas, il quadro di coerenza utilizzato privilegia senza ostentazione una politica di grands travaux d’autore e allo stesso tempo diversifica processi e interventi a varie scale per incidere in maniera pervasiva negli spazi collettivi dell’intera agglomerazione (Marchigiani 2005).
Il successo dell’iniziativa ha fatto estendere gli interventi anche lungo la Saona, dove una sequenza di passeggiate si sviluppa per venticinque chilometri su entrambe le sponde, apre la profondità di viste trasversali, consente di indugiare lungo una narrazione che associa gli artisti ai progettisti e sviluppa relazioni discrete con i quartieri e i villaggi attraversati. Il linguaggio cambia e cerca legami con la piccola scala, privilegia il dialogo con gli ecosistemi naturali già insediati, si avvicina ad un percorso naturalistico rispettoso della biodiversità attraverso dimensioni intime e tranquille, ben diverse dalle scenografie del Rodano. Le connotazioni identitarie sono coniugate da un punto di vista formale e funzionale con le spazialità contemporanee, senza indugiare in repliche folcloriche del passato e del resto l’attenzione viene accentrata sul vasto programma di arte pubblica, curato da Jerôme Sans, e reso possibile dal coinvolgimento di tredici artisti che invitano alla sorpresa, al gioco ma anche alla contemplazione. La passeggiata assume ritmi meno metropolitani alla ricerca di una transizione dolce fra città e natura, ancora una volta agognata e ricreata per mezzo di una vegetazione acquatica che fa ampio ricorso alle tecniche dell’ingegneria naturalistica.
Uno scambio continuo si attua tra natura e artefatto, dissolvendo confini e attenuando evidenze; sposta continuamente lo sguardo dalla città ai fiumi e da questi al paesaggio, ripensando le interazioni in maniera ecosostenibile; si riappropria della questione ambientale, facendo emergere categorie di nature urbane ibride e complesse (Ferran, Mattogno, Metta 2019). Ma ora è tempo di esplorare inedite riconnessioni che danno luogo a nuovi percorsi e forma a nuove ambizioni, è tempo di “riconquistare” un’altra porzione di territorio, quella degli 850 chilometri ciclabili appena completati lungo la Via Rhôna, un itinerario verde che accompagna il Rodano dal lago Lemano fino al Mediterraneo. Si passa per Lione, ovviamente (fig.6).
Riferimenti bibliografici
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Girardot Claire (2004) “Les élus lyonnais et leurs fleuves: une reconquête en question”, Géocarrefour, vol. 79/1, pp. 75-84.
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Marchigiani Elena (2005), Paesaggi urbani e paesaggi post-urbani. Lyon e IBA Emscher Park, Meltemi, Roma.
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