Come grande segno della natura e spesso anche della storia, il fiume sta diventando sempre più frequentemente, in Italia come altrove, un tema prioritario per una varietà di strategie d’intervento: messa in sicurezza idrogeologica, eventualmente combinata con la rinaturazione dei corsi d’acqua; depurazione, riqualificazione e gestione razionale del ciclo delle acque; tutela e valorizzazione storico-culturale-paesaggistica; rigenerazione ecologico-ambientale e potenziamento della biodiversità, in particolare lungo le aree di sponda; quando possibile, una nuova animazione urbana e territoriale tramite la messa in opera di green infrastructures e parchi di varia natura, che mirano a valorizzare l’uso sociale del fiume promuovendo adeguati sistemi di mobilità lenta, pratiche sportive, funzioni ricreative e più in generale attività del tempo libero.
In tutte queste strategie la totalità contestuale del fiume tende a essere sezionata e settorializzata tra i numerosi poteri istituzionali che alle diverse scale ne prendono in carico i valori, i rischi e le potenzialità, in funzione delle proprie competenze di gestione. Così, crivellato dalla molteplicità dei soggetti istituzionali in gioco, e scomposto da programmi d’intervento settoriali, impostati e finanziati in modo di solito autoreferenziale, avvalendosi di saperi disciplinari e professionali eterogenei e poco disposti alla mutua cooperazione, il fiume finisce generalmente per disarticolarsi in un insieme di realtà accostate o sovrapposte, comunque reciprocamente indifferenti. Soltanto la VIA, Valutazione d’Impatto Ambientale e la VAS, Valutazione Ambientale Strategica, cercano a loro modo di affrontare in modo globale le trasformazioni dei fiumi, ma la natura stessa di questi strumenti ne limita notevolmente la portata interpretativa e propositiva.
In queste condizioni il fiume tende purtroppo a perdere il proprio ruolo di grande segno direttore che ha strutturato nel tempo e nello spazio le relazioni ambientali e funzionali tra i diversi ecosistemi, e che al tempo stesso ha dato forma al territorio, innervando la peculiarità dei paesaggi alle diverse scale i quali si susseguono lungo il suo corso. Non sono di certo i vincoli imposti per legge al fine di salvaguardarne le qualità ambientali e paesaggistiche (la benemerita legge Galasso del 1985, che dettava discipline di salvaguardia in attesa dei piani paesaggistici regionali) a garantire la ricomposizione di una totalità contestuale ormai smarrita, aggredita dalla spartizione dei poteri amministrativi più ancora che dalle pressioni per lo sfruttamento (spesso selvaggio) delle risorse fluviali.
Al riguardo, è sufficiente pensare all’irragionevole delimitazione vigente del fiume come bene paesaggistico per comprendere i limiti sostanziali di un approccio vincolistico “per decreto”. A causa di una malintesa certezza del diritto, in assenza di analisi più approfondite del territorio e dell’ambiente fluviale considerate generalmente troppo onerose in fase di redazione dei piani regionali, la tutela viene comunque articolata per fasce, misurate geometricamente in base alla loro distanza dall’asse del fiume. In questa applicazione astratta dello standard di legge si finisce per ignorare colpevolmente la profonda diversità dei contesti attraversati, la varietà degli stati di compromissione dello spazio associato al fiume, e le stesse ecologie del paesaggio, le quali dovrebbero far considerare il fiume come l’espressione in superficie dei complessi equilibri idrodinamici anche sotterranei che sostanziano il funzionamento del sistema delle acque. Così la complessa fase di individuazione della frontiera tra l’ambiente fluviale e la città (e il territorio) viene banalizzata e cortocircuitata operativamente ricorrendo all’applicazione di generiche misure quantitative, che peraltro incideranno poi pesantemente sulla evoluzione dei diversi ecosistemi in gioco.
Ebbene, la tesi che EcoWebTown intende avanzare è che in opposizione alle pratiche correnti votate alla scomposizione del sistema fluviale e alla settorializzazione dei poteri di gestione si deve assolutamente cercare di ricomporre la totalità delle diverse dimensioni in gioco nel trattamento di questo spazio peculiare. Senza disconoscere la loro legittimità e importanza specifica, ma al tempo stesso senza rinunciare a una visione olistica dell’ambiente fluviale nei suoi rapporti con la città o il territorio attraversato. La soluzione a questo dilemma non va ricercata nell’utopistica gerarchizzazione preventiva dei poteri o degli strumenti in gioco, ad esempio attribuendo unilateralmente al piano di bacino o al piano paesaggistico il ruolo di strumento sovraordinato rispetto a tutti gli altri (come si fa a decidere se conta di più il valore paesaggistico del fiume o la sicurezza delle cose o delle persone eventualmente investite dalla esondazione delle acque?).
Piuttosto è il progetto che, muovendo dalle previsioni dei vari piani d’insieme, dovrà di volta in volta individuare responsabilmente il punto di equilibrio tra i diversi valori e rischi in gioco, spesso conflittuali tra loro, attraverso una procedura di elaborazione il più possibile condivisa in modo multiattoriale e multiscalare, mirata a far convergere localmente le strategie place based dei diversi soggetti coinvolti a vario titolo.
In questo senso il fiume costituisce l’occasione privilegiata per ricorrere al Progetto Urbano (o Territoriale) il quale costituisce la modalità più adatta per agire al tempo stesso sull’ambiente fluviale e sulla città (o sul territorio), una volta definito il quadro d’insieme a cui attenersi in base ai piani generali. Nella prospettiva proposta, la realtà del fiume non deve affatto essere enucleata dal suo contesto per essere sottoposta a specifiche misure di intervento, perché il tema chiave da affrontare ogni volta riguarda proprio le relazioni di interdipendenza da istituire alle diverse scale tra fiume e città.
Muovendo da questi due principi guida (il fiume come totalità contestuale, e al tempo stesso come imperdibile occasione per ritessere in modo propositivo le relazioni tra natura e città), il Progetto urbano è chiamato a produrre il massimo valore aggiunto, rifiutando le logiche della settorializzazione tanto all’interno dello spazio strettamente fluviale quanto nelle sue relazioni con l’intorno. Le implicazioni di questo diverso modo d’intendere la tutela e la valorizzazione del fiume sono rilevanti, e riguardano da vicino i piani, i progetti e le pratiche d’intervento da mettere in opera.
In primo luogo, come si è detto, la delimitazione dell’ambiente fluviale non è un dato, ma un costrutto che dipende dalla realtà oggettiva in termini ecologici e funzionali, ma anche dalle intenzioni con cui le istituzioni e la comunità locale guardano al fiume nella sua dimensione fattuale e più ancora evocativa e simbolica, poiché molto spesso il fiume incarna meglio di ogni altro segno l’identità di un territorio nella sua storia. Al riguardo viene ad esempio da pensare all’importante letteratura accumulata su un segno che gronda memorie come il Tevere, oppure alla magistrale ricostruzione nel tempo del fiume Pescara a opera di un grande geografo come Franco Farinelli (Caratteri originali del paesaggio pescarese, Edizioni Menabò, Ortona, 2004).
Il progetto sarà chiamato a tematizzare non soltanto le specifiche domande d’intervento, ma soprattutto il senso del fiume nei suoi rapporti con la storia, e la rielaborazione critica dello spazio dinamico di frontiera tra due realtà diverse come il fiume e la città, tendenzialmente autonome e autoreferenziali, che si incontrano o si scontrano tra loro in una varietà di modi, cercando ogni volta di affermare il proprio ordine morfologico, funzionale e simbolico.
In secondo luogo va considerato che il fiume per sua natura è un ambiente altamente dinamico, che non può restare imprigionato dagli schemi troppo statici e passivi attraverso cui si tende abitualmente a regolarne il funzionamento e l’evoluzione del tempo. Di conseguenza, anche il progetto che lo riguarda va concepito in termini processuali, come del resto qualsiasi progetto ben fatto di paesaggio. Al riguardo, tanto l’architettura quanto l’ingegneria appaiono oggi notevolmente in ritardo, scontrandosi con serie difficoltà sia teoriche che operative nell’immaginare forme e prestazioni mutevoli nel tempo, e aperte alla indeterminatezza che è propria di ogni sistema vivente.
In terzo luogo, vanno riscoperte le capacità di strutturazione dello spazio storicamente espresse dal fiume. Adesso c’è da mettere in sostenibilità non soltanto il fiume, ma anche la città circostante, attribuendo al fiume il compito d’innervare l’infiltrazione della sostenibilità all’interno delle trame insediative esistenti, canalizzando i dispositivi di greening, di miglioramento energetico con fonti rinnovabili, di riciclo delle acque, di attraversamento con percorsi slow di mobilità sostenibile. In altri termini, è in gioco la propagazione delle qualità naturalistiche ed ecologiche dell’ambiente fluviale dentro la città, assumendo il fiume come vettore delle reti della sostenibilità, e come agente d’innovazione che tende a istituire un nuovo ordine morfologico, ambientale e simbolico.
Da ultimo, va ricordato che il fiume non appartiene alle istituzioni che lo gestiscono e che di solito tendono ad appropriarsene per governarne meglio la funzionalità e i valori da tutelare. Il fiume è per eccellenza un bene comune, e qualsiasi intervento che lo riguardi deve coinvolgere e sensibilizzare la società locale, e più in generale la comunità sovralocale. Diventa allora inaccettabile ricorrere alle tecnicità disciplinari -che pure sono indispensabili ai fini di una appropriata conoscenza e regolazione sostenibile- per sottrarre questo bene ai suoi naturali destinatari.
Il valore del fiume nasce prima di tutto dalla difesa del suo ruolo ecologico-ambientale, ma anche dal processo di mobilitazione di quanti lo usano e con il proprio lavoro contribuiscono a conformarne il paesaggio, o anche di quanti semplicemente lo pensano come segno generatore della propria identità.
Il progetto dunque non riguarda soltanto la realizzazione di opere e spazi secondo i canoni propri dell’architettura, dell’ingegneria e delle scienze ambientali-paesaggistiche. Piuttosto, è la costruzione – o la riaffermazione- di un sentire comune e di una cultura che vogliono far diventare il fiume un patrimonio identitario da conservare, rafforzare o ricreare in modo sostenibile, laddove è minacciato anche a causa dell’incuria e della disaffezione della popolazione.
In questo senso il progetto per il fiume rappresenta in modo paradigmatico il nuovo significato che va acquistando il progetto per il paesaggio, come combinazione intenzionale di una molteplicità di azioni e interventi alle differenti scale, portati da attori che perseguono proprie finalità anche indipendenti dal paesaggio. Oggi sappiamo che progettare per il paesaggio significa in realtà misurarsi con una molteplicità di processi d’intervento, che coinvolgono una grande moltitudine di soggetti, competenze ed esperienze, tutte altrettanto legittimate ad agire sullo spazio esistente.
La finalità primaria di un intervento paesaggistico non è allora soltanto di migliorare la qualità visibile del paesaggio locale, bensì di concorrere alla creazione (o il rafforzamento) di un valore comune attraverso la mobilitazione attiva dei molteplici soggetti che a vario titolo hanno a che fare con quel paesaggio.
La donazione di senso (o la sua rigenerazione) diventa la vera posta in gioco del progetto per il paesaggio (come per il fiume) nella sua accezione più pertinente, mirata alla capacitazione della popolazione e delle istituzioni coinvolte, più ancora che l’affermazione di un sapere esperto. Il progetto così inteso diventa il portato di un processo corale di elaborazione delle forme e del senso del paesaggio, corredato da un insieme di impegni (o patti) personali e istituzionali volti a perseguire condizioni di qualità, non necessariamente quelle originarie se risultano perdute irreversibilmente.
Ciò presuppone la costruzione condivisa di quadri cognitivi e di valori da attribuire al paesaggio (fluviale) da tutelare e valorizzare, e soprattutto l’esistenza di visioni condivise circa le finalità da raggiungere, rispetto alle quali ciascuno s’impegna a contribuire a suo modo alle strategie d’intervento. La natura preferibile del progetto diventa in definitiva pattizia, accompagnata dalla stipula di accordi e impegni che non costituiscono veri atti d’obbligo, quanto piuttosto dichiarazioni di responsabilità che si è disposti ad assumere, in modo autonomo o eventualmente sulla scorta di appositi incentivi. Come del resto era stato originariamente pensato per i Contratti fluviali e poi per i Contratti di paesaggio, purtroppo traditi finora da applicazioni che si sono rivelate insoddisfacenti.
Tutto ciò si riflette anche sulle condizioni di fattibilità del progetto. La trasformazione sostenibile di un paesaggio può attingere per questa via a risorse di varia natura, ma soprattutto alla disponibilità della “folla oscura” dei molteplici produttori di paesaggio coinvolti. In assenza di questa mobilitazione corale è improbabile che il progetto possa avere davvero successo, soprattutto quando la scala del paesaggio da riqualificare trascende quella dei singoli paesaggi circoscritti.
Tutto quanto si è detto finora a proposito del progetto di paesaggio si attaglia perfettamente anche al Progetto di Fiume, inteso come Progetto urbano. L’efficacia di questo progetto sarà misurata non tanto dalla quantità e qualità delle opere realizzate top down in funzione dei diversi obiettivi settoriali assunti, e neanche dal successo incontrato nella frequentazione pubblica dell’eventuale parco o spazio comune associato al fiume. Piuttosto sarà l’espressione del contributo fornito dal progetto al riconoscimento del valore del fiume inteso come patrimonio identitario da parte della popolazione locale e sovralocale.
Tutto ciò si ritrova nelle numerose esperienze europee riportate in questo numero che EWT ha dedicato espressamente al tema del fiume come progetto urbano? Non sempre, anzi per la verità raramente i progetti realizzati per gli spazi fluviali nelle diverse città muovono dalla complessità di questo nuovo modo d’intendere il Progetto urbano ambientale. Eppure è innegabile il successo di quelle esperienze più riuscite che hanno restituito i fiumi alle città, facendo diventare le rive degli spazi vitali, veri e propri luoghi di centralità urbana e metropolitana, come è accaduto per il Nerviòn a Bilbao, il Tamigi a Londra, la Ljubljanica a Lubiana e per tante altre situazioni richiamate da EcoWebTown 21.
Ebbene, proprio a partire da questi successi si dovrebbe avere il coraggio di osare qualcosa di più, provando ad accrescere il valore del fiume sotto molteplici aspetti, in una visione olistica della sua salute ambientale, della qualità ecologica, della consistenza patrimoniale, della qualità architettonica e figurativa, della capacità di strutturazione sostenibile dello spazio e delle valenze identitarie che è in grado di rappresentare.
Per dare esito a risultati tanto ambiziosi, non c’è da ritornare alla tradizionale pianificazione “a cascata” di tipo gerarchico, che ha già mostrato ampiamente la sua impraticabilità per il territorio e non solo per i bacini fluviali. Né tantomeno va riaffermato coercitivamente il ruolo sovraordinato delle Autorità di bacino distrettuale, istituite dalla legge18 maggio 1989 n.183 (Norme per la difesa del suolo), poi sostituita dal DL n.152 del 3 aprile 2006, e rilanciate recentemente dalle proposte del WWF richiamate in coda a questo numero. Piuttosto va perseguito un nuovo metodo d’intervento, più condiviso e partenariale, con cui associare alla responsabilità di una corretta gestione dell’ambiente fluviale i principali protagonisti delle azioni sul territorio e sulla città.
Fuori dell’Italia la situazione appare in movimento, e non c’è da dubitare che le cose potranno evolvere positivamente nel modo auspicato da EcoWebTown. Invece in Italia i fiumi, nonostante l’accanito dibattito culturale e scientifico che li riguarda, stentano a diventare un valore condiviso e determinante ai fini della qualità ambientale, paesaggistica e insediativa della città e del territorio.
C’è molto lavoro da fare ancora, ed EcoWebTown intende offrire il proprio contributo a questa prospettiva, proponendo di eleggere il Progetto Urbano e Territoriale a modalità privilegiata per agire sui fiumi e i loro contesti di appartenenza.