Il concetto di paesaggio è stato definito nei vari ambiti scientifico-disciplinari secondo accezioni molto differenti. Dopo la visione ottocentesca che ne aveva declinato il senso in termini estetico-formali come veduta, scorcio pittorico o rappresentazione dalle forti connotazioni poetico-emotive, la post-modernità ha avuto la capacità di rintracciare nel paesaggio molteplici valori e significati oltre le dimensioni percettive e sensoriali. Il paesaggio si è così legato progressivamente ai processi evolutivi bio-ecologici, alle dinamiche ambientali, alle forme di produzione antropica, alle espressioni delle culture costruttive e abitative, alle dinamiche di sviluppo socioeconomiche.
Tuttavia, una reale interpretazione integrata del paesaggio non è stata ancora oggi del tutto espressa in modo chiaro, soprattutto per quanto riguarda i delicati rapporti che s’instaurano, attraverso l’esperienza progettuale, fra testimonianze del passato e proiezioni verso il futuro.
Come ha precisato Silvano Tagliagambe in un suo recente saggio, le interrelazioni tra fattori naturali e umani e il rapporto fra caratteri percettivi e azioni trasformative presentano diversità interpretative fin nei documenti fondamentali che hanno cercato di decifrare le complessità del paesaggio1. In questo senso, si possono cogliere le diversità insite nelle definizioni che pur riconoscendo il paesaggio come espressione di azioni partecipative da parte della collettività, attribuiscono a esso valori differenti: in virtù dei suoi caratteri storico-artistici eccezionali oppure, a prescindere dalla sua rilevanza estetica, naturalistica e culturale.
È nel paesaggio urbano, in particolare, che si è definito il banco di prova esperienziale per affrontare le difficoltà sempre maggiori che conseguono a questa visione oscillante fra valenze universali e identità locali. Nella città, infatti, la sedimentazione di differenti modelli di sviluppo, la contaminazione di culture e saperi e la difficile separazione operabile fra risorse naturali e antropiche rendono sempre più complessa una distinzione netta fra valori paesaggistici universalmente riconoscibili ed espressioni delle pratiche abitative della quotidianità.
Intorno a tale questione, Fabrizio Schiaffonati, nel suo Paesaggi milanesi. Per una sociologia del paesaggio urbano, edito dalla Lupetti,propone alcune riflessioni che riprendono il percorso già intrapreso nel suo precedente Paesaggio italiano. Viaggio nel paese che dimentica2
Il volume affronta proprio il difficile rapporto che s’instaura nel paesaggio urbano tra forme di permanenza del passato, memorie di assetti storici, microstorie individuali e collettive, politiche, piani e progetti di trasformazione della città e della natura. La metropoli milanese fa da palinsesto per analizzare e comprendere tutti questi elementi che continuano ad esistere ed evolvere in un perenne intreccio sensoriale, conoscitivo e progettuale fra passato, presente e futuro.
Schiaffonati approccia il tema del paesaggio enfatizzandone le sue valenze sociali, evidenziando l’importanza del recupero del concetto di “municipalità”. Una municipalità che non può più esprimersi solo attraverso processi amministrativi, normativi e di pianificazione imposti dall’alto, bensì anche con decisioni, pratiche e azioni che si compiono dal basso e contribuiscono a modellare lo spazio urbano come un sistema materico e nello stesso immateriale di rispondenze a richieste ed esigenze che la società esprime.
Nell’attuale fase culturale che sembra segnare il passaggio dalle metodiche della narrazione e della percezione fisico-sensoriale alle tecniche della rappresentazione virtuale e digitale, Schiaffonati rintraccia nel paesaggio urbano e nelle problematiche legate al suo progetto l’occasione per superare la fin troppo diffusa contrapposizione fra mondo analogico e digitale.
Nel progetto del paesaggio urbano tale cesura può trovare i suoi elementi d’integrazione, ma anche eventuali momenti di frattura, laddove sono necessari per approfondire aspetti che altrimenti andrebbero perduti per sempre rischiando così di impoverire il processo di ricostruzione delle evoluzioni reali del tessuto spazio-temporale della città.
In questo continuo presentarsi del concetto del limite (fra natura e artificio, passato e futuro, analogico e digitale, città e campagna) il paesaggio urbano ha trovato nella storia le sue stesse forze generatrici e riproduttrici, annullando le logiche delle contrapposizioni nette. Ed è proprio in questo senso che in Paesaggi milanesi si propongono alcune importanti riflessioni sull’idea del limite e su come tale concetto sia radicalmente mutato nel corso degli anni, giungendo a farsi espressione di questioni tecnologico-ambientali ben più ampie che caratterizzano non solo Milano, ma il suo intero territorio metropolitano, la regione e forse tutti i paesaggi contemporanei.
Ecco allora che le categorie di lettura del paesaggio urbano milanese si arricchiscono di continui rimandi ad aspetti tecnici, variabili, documenti, citazioni e ricordi che si collocano sempre a metà fra esperienze collettive e individuali, fra la città che è stata, che è oggi e che potrebbe essere.
In un succedersi di sollecitazioni sui possibili livelli di lettura multisensoriale del paesaggio urbano, il concetto di limite si avvicina sempre più alla definizione di soglia.
L’analisi delle componenti morfogenetiche del paesaggio milanese non si ferma alla ricostruzione dell’evolversi dei confini urbani. Al contrario, diventa occasione per comprendere come siano mutate nel tempo le distinzioni nette fra quartieri, infrastrutture, industrie e campagna, in un processo di evoluzione giocato fra resistenze dei luoghi e unificazione di saperi e linguaggi del costruire. La lettura approfondita del paesaggio del Municipio 4 ricostruisce l’evoluzione dalla forma urbis radiocentrica all’attuale configurazione multipolare, come “una città dentro la città” che nega il concetto di limite. La presenza di attori e usi specificamente legati alla storia dei luoghi, di fatto, restituisce anche l’impossibilità di operare sui quartieri residenziali e sulle infrastrutture ferroviarie (Rogoredo) in modo centralizzato e omologante.
Anche le riflessioni condotte sui paesaggi residenziali e sui protagonisti che hanno modellato l’evoluzione della città evidenziano la centralità delle aree di bordo nelle quali si mescolano ormai abitanti, attività, funzioni e anche criticità e conflittualità. La mutazione totale della geografia degli attori e la loro mescolanza fra pratiche, spostamenti e interessi culturali ed economici, richiede una capacità progettuale che non può fermarsi ai ricordi della città del passato, ma deve necessariamente proiettare nuovi modelli di convivenza municipale. E nel saper leggere le diverse forme di periferizzazione della città si rintraccia forse il limite che, più di qualsiasi altro, è cambiato nel passaggio dalla città moderna a quella postmoderna. Un limite dai bordi sempre più effimeri che si ripropone nelle continue modificazioni, de-funzionalizzazioni e ri-densificazioni in atto.
Il volume si conclude con una post fazione dell’epistemologa Eleonora Fiorani sull’evoluzione del senso del luogo e con un commento per immagini, di Giovanni Castaldo, sui luoghi citati nel testo. Nel ragionare sulle possibili traiettorie di lettura multidimensionale e multi-attoriale dei paesaggi milanesi, Schiaffonati delinea alcune indicazioni fondamentali per il progetto della città. Attraverso la lettura integrata di tutte le forze e componenti che convivono e si confrontano negli ambiti di soglia del paesaggio urbano, riafferma la centralità dei processi democratici nella costruzione della polis, ripartendo dal basso per procedere progressivamente verso l’alto, riconnettere, intrecciare, non dimenticare e costruire i nuovi luoghi della socialità.
Note
1 Si fa riferimento in particolare alla trattazione sul rapporto fra Landscape e mindscapes che emerge da documenti quali la “Convenzione Europea del Paesaggio”, la “Convenzione internazionale sulla protezione del patrimonio mondiale culturale e naturale” dell’UNESCO e il “Codice Urbani”. Cfr. Tagliagambe, S. (2018), Il paesaggio che siamo e che viviamo, Castelvecchi, Roma, IT, pp. 13-19.
2 Cfr. Schiaffonati, F. (2016), Paesaggio italiano. Viaggio nel paese che dimentica, Lupetti, Milano, IT. Recensito in EWT #13/14 2016: http://www.ecowebtown.it/n_13/13_19-angelucci-it.html.