La città artistica

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Space, People and Place. Gli artisti incontrano gli architetti
Massimiliano Scuderi PDF




Nato dall’esigenza di analizzare la qualità dello spazio pubblico in rapporto all’arte, all’architettura, alle nuove pratiche sociali e al ruolo delle istituzioni in relazione ai processi di trasformazione della città europea, Space, People and Place è stata un’iniziativa seminariale promossa presso la facoltà di architettura di Pescara con il fine di approfondire l’opera e il modus operandi di alcuni protagonisti della scena internazionale, tra artisti, architetti, critici, mediatori culturali ed esperti; al tempo stesso di indagare nuovi modi di rigenerare il tessuto urbano delle città, attraverso la costruzione di politiche pubbliche che tenessero conto del rapporto cooperativo tra i progettisti e le comunità locali, come veri e propri promotori di nuove committenze e di politiche di intervento “dal basso”. In quegli anni, all’inizio del Duemila, aveva avuto molta fortuna il testo di un economista della cultura, Richard Florida1 che preconizzava il primato di un modello di città in grado di coniugare talento, tolleranza e tecnologia nella affermazione delle città competitive. Un modello peraltro da molti discusso e criticato, in quanto riduttivo e miope nel leggere le complesse dinamiche che regolano l’affermazione di modelli urbani basati sulla capacità di dare qualità alla configurazione del proprio assetto politico, sociale, economico, infrastrutturale e dei servizi.
Gli incontri seminariali curati da Pepe Barbieri, Giangiacomo D’Ardia e Massimiliano Scuderi per i dipartimenti DART, Dipartimento Ambiente, Reti e Territorio e IDEA, infrastrutture design engineering architettura della Facoltà di Architettura di Pescara, ebbero il supporto di importanti partners come fondazioni, riviste specializzate, istituti esteri e nazionali. L’assessorato alle politiche comunitarie del Comune di Pescara, patrocinante ai tempi dell’iniziativa, il Mibact o come la rivista Abitare per il caso relativo alla Metropolitana di Napoli, furono partecipi dell’importanza delle tematiche affrontate nei seminari.
Primo tra gli appuntamenti, anche per la capacità di mettere sul campo con chiarezza le problematiche insite nel rapporto tra il design e l’arte, fu quello dedicato all’artista e architetto Getulio Alviani. Considerato uno dei maestri del movimento dell’arte programmata, allievo e collega dello svizzero Max Bill, Alviani nel suo intervento volle precisare, come era solito fare, che tutto è progetto e che l’architettura, come l’arte, è tutto ciò che appartiene al mondo del fare. E’ la concretizzazione di un’idea, un’idea che prende corpo, degna di esistere2. Volle descrivere con parole premurose e attraverso alcuni esempi relativi alle sue molteplici realizzazioni, dall’architettura, alla moda passando per il design e l’arte, il rapporto stretto di una visione etica del progettista, che nel caso dell’arte programmata rappresentò un atteggiamento fondamentale. Getulio Alviani portò in quel contesto un monito e la giusta introduzione dei seminari, che trovarono proprio nelle sue parole il loro senso profondo e la propria necessità in quanto occasioni legate alla formazione dei giovani architetti: quando ero bambino abitavo in un piccolo quartiere in una piccola strada e vedevo chi annaffiava le strade e pensavo che chi lo facesse, lo faceva perché gli piaceva vedere la strada non polverosa, vedevo il medico che abitava di fronte casa mia e pensavo, lo fa perché gli piace che le persone siano in salute e non ho mai pensato a situazioni economiche, ma solo a livello costituzionale, lo fa per come è fatto e allora dovete cercare di capire, prima di affrontare la vita, se veramente siete fatti per questo, se veramente in ogni momento della vostra vita l’idea di dimensioni, di forma, di spazio, di urbanizzazione, è la cosa che vi interessa di più di tutte, quella per la quale siete fatti3.
L’incontro successivo fu occasione per approfondire il tema delle trasformazioni linguistiche, delle identità mutanti e dei percorsi transdisciplinari tra arte e architettura. Vito Acconci, grande artista americano di origini italiane, ha rappresentato il momento apicale nella trattazione del tema seminariale specifico, essendo lui stesso un autore che dalla scrittura, messa in relazione con lo spazio della pagina bianca, era giunto, nella ricerca continua di contesti più ampi e diversi, ad affrontare il tema dell’architettura e dello spazio pubblico. Acconci infatti, dopo decenni trascorsi come uno dei principali interpreti delle istanze dell’Arte Concettuale, nel 1998 fondò l’Acconci Studio, collettivo interdisciplinare, creato con il contributo di poeti, ingegneri, designer, filosofi in una pratica comunitaria condivisa: quello che facciamo adesso è architettura, la facciamo perché siamo un gruppo collettivo, ma non è cominciata così, nemmeno come arte, ma come scrittura. La fine del periodo in cui scrivevo, tra il ’67 e il ’69, quello che cercavo di fare è di far fare alle parole le cose che veramente le parole possono fare e quindi nello scrivere una poesia, lo spazio del foglio con cui mi confrontavo era uno spazio quasi in senso letterale, in cui la prima preoccupazione era di spostarmi dal margine sinistro al destro della pagina, dalla cima al fondo della pagina, quindi trattare la parola come una materia. La scelta delle parole diventava problematica, quindi non pensavo di usare in questa pagina delle parole come albero o come sedia, parole che designano oggetti che hanno uno spazio che si trova all’esterno di questa pagina, poteva avere più senso usare parole come “qui, là, allora”, che riferirsi al movimento di me come scrittore sulla pagina e di te come lettore intorno a questa pagina. A un certo punto mi sono domandato perché, se ero così interessato al movimento, se il movimento doveva limitarsi ad una dimensione convenzionale di un pezzo di carta, quando là fuori c’era un mondo, uno spazio su cui muoversi4.
Il suo lavoro, in alcuni casi, esprimeva anche il limite dell’uso dell’architettura come linguaggio plastico, ma nel contempo dichiarava la possibilità della libera contaminazione dei linguaggi, lontana dagli ‘ismi’ della critica architettonica, e questo si verificava ogniqualvolta egli si trovasse a pensare un luogo pubblico che fosse un’isola artificiale, una piazza o un aeroporto.
A cadenza mensile gli incontri si intensificarono portando l’attenzione dalle singole e forti individualità espresse da Alviani e Acconci, all’idea dell’artista come condensatore delle istanze provenienti dalle comunità locali in contesti specifici e come portavoce delle stesse nei processi di trasformazione urbana. Già dagli anni Novanta, soprattutto in Francia con l’esperienza dei Nouveaux Commanditaires5, si stava delineando una nuova sensibilità e nuove modalità di costruzione di tavoli decisionali “orizzontali” in cui ogni parte esprimesse un interesse utile all’altro. Sembra fondamentale riportare le parole di Xavier Doroux, ideatore insieme a Francois Hers di questo protocollo internazionale nato per l’arte pubblica, ma non solo, ed ispiratore di questa sessione di SPP: Perché l’arte non è un problema di spazi. Sono le conversazioni a dare la struttura; la buona architettura, oggi, è quella che ha a che fare con gli uomini e con le relazioni. L’architecture c’est toi, you are the building!6 
Nel segno di questa importante esperienza, rappresentata in Italia dalla Fondazione Olivetti e dal collettivo torinese A.titolo, si giunse ad invitare figure come Pierluigi Sacco, docente di Economia dell’Arte presso lo IUAV di Venezia, attualmente direttore della facoltà di arti, turismo e spettacoli presso lo IULM di Milano, per spiegare il punto di vista dell’economista all’interno di queste nuove procedure in cui l’arte e la creatività giocano un ruolo di catalizzatori fondamentali delle istanze in gioco. Altro relatore al tavolo fu l’artista lussemburghese Bert Theis, famoso per lavorare sui meccanismi comunicativi di ispirazione post-duchampiana messe in atto attraverso installazioni di arte pubblica. In particolare, la sua presenza fu dirimente rispetto al tema delle comunità etiche e della specificità di alcune esperienze d’arte pubblica in Italia e all’estero.  In qualità di direttore artistico dell’Isola Art Center di Milano, un museo spontaneo creato con altri artisti internazionali e con i rappresentanti del quartiere, portò avanti un progetto di riqualificazione urbana esemplare, con un programma ambizioso e soprattutto in totale simbiosi con la comunità locale. In rappresentanza delle molte associazioni del quartiere e insieme alla moglie Mariette Schilz, si fece interprete di un progetto di resistenza sociale e culturale al progetto di ridisegno del quartiere da parte della giunta Moratti, coniando il termine fight specific7, cioè dell’impegno dell’artista che assume le ragioni di una comunità e si batte per essa usando i linguaggi dell’arte contemporanea. Bert Theis incarnò col suo stesso lavoro e con il suo impegno quel processo democratico di resistenza sociale degli abitanti del quartiere Isola, processo che purtroppo fallì, cedendo il passo a tutto quello che avrebbe condotto in pochi anni a riconfigurare l’area, caratterizzata oggi dal Bosco Verticale di Boeri e dallo sviluppo del sistema che ruota intorno a piazza Gae Aulenti. Il progetto dell’isola art center e di OUT (Office for Urban Trasformation) da lui creato per l’occasione venne sostenuto da molti importanti architetti, artisti, direttori di musei e giornalisti, purtroppo senza mai raggiungere gli obiettivi importanti che lo avevano ispirato.
I tavoli di lavoro di quei seminari furono condivisi anche con Antonella Bruzzese, ricercatrice e componente del gruppo di artisti e architetti A12, conosciuti internazionalmente per numerose ed interessanti operazioni di allestimento, tra le quali un labirinto espositivo nel giardino del museo Kroller-Muller di Otterlo e il padiglione la Zona per la 50ma edizione della Biennale Internazionale d’Arte di Venezia. Inoltre, venne presentato da Nathalie Zonnenberg, curatrice dell’artistic team di Bureau Beyond, un progetto promosso in collaborazione con la Municipalità di Utrecht e la Fondazione SKOR (Foundation for Art and Public Space), divenuto in breve un modello circa le relazioni tra arte, architettura, paesaggio e rigenerazione urbana. Bureau Beyond ha infatti permesso in quegli anni la realizzazione nella Regione del Leidsche Rijn, territorio incluso tra Amsterdam e Utrecht, oltre ad importanti mostre, la sistemazione di quartieri temporanei8 con opere di Shigeru Ban, Vito Acconci, Manfred Pernice, Stanley Brouwn, Dominique Gonzalez- Foerster, Dijkman & Osterholt, Atelier Van Lieshout tra gli altri.
Il tema del nomadismo e del modo di attraversare e di percepire la città contemporanea caratterizzò il seminario condotto dagli artisti e architetti Romolo Ottaviani, per il gruppo romano Stalker, e dall’artista Zafos Xagoraris. Il primo aveva sviluppato insieme al collettivo romano importanti mappature situazioniste di quel terrain vague che contraddistingue il perimetro esterno della capitale, attraverso un interessante programma di azioni di respiro situazionista, finalizzate alla rigenerazione e alla riconfigurazione spaziale e sociopolitica dei luoghi. Tra gli esempi portati, il progetto della Biennale di Architettura di Rotterdam del 2007, dove venne presentato, insieme allo studio Baukuh di Genova, un progetto di rigenerazione urbana attraverso usi contemporanei e provocatori nell’area archeologica romana. L’artista, e architetto di formazione, Zafos Xagoraris da sempre impegnato a riflettere sui vuoti urbani, raccontò l’importanza della risignificazione di luoghi abbandonati attraverso la costruzione di itinerari sonori, legati alla memoria dei siti e delle comunità locali, collocando macchine per il suono, oscillatori o campane.
Dopo anni di impegno con il gruppo Urban Void di Atene proprio sui temi dell’architettura nomade e dell’interazione negli spazi in crisi delle città in Grecia, Xagoraris introdusse un intervento della critica ed attivista Eleni Tzirtzilaki, anche lei di formazione architetto, sull’incidenza delle pratiche partecipative come le performance e le attività di interazione nei luoghi urbani in crisi.
Ultimo appuntamento fu quello in collaborazione con la rivista Abitare, ai tempi diretta da Stefano Boeri, rappresentata dalla competente visione dell’architetto Maria Giulia Zunino, caporedattore centrale della rivista, un excursus sul caso della metropolitana di Napoli, unico esempio potremmo dire riuscito dell’applicazione della legge del 2% sulle opere pubbliche, per cui vennero realizzate all’interno degli scali metropolitani partenopei molte opere d’arte contemporanea di importanti autori: da Anish Kapoor a Mendini, da Cucchi a Paladino, da Kounellis a Paolini fra i tanti. Un caso studio inserito nel contesto di alcune esperienze internazionali che videro nelle stazioni della metropolitana, l’occasione per fare l’esperienza dell’arte contemporanea, come momento fondamentale per riqualificare brani di città depressi e per risignificare qualitativamente il tempo dell’attraversamento di questi luoghi.
Le tematiche affrontate nei seminari di SPP rappresentarono un momento importante nel dibattito internazionale di quegli anni. Il tema della qualità dello spazio pubblico in relazione all’arte e alle nuove possibilità di rigenerazione dei tessuti depressi delle città contemporanee, proprio in quegli anni vedeva proliferare ipotesi e metodologie di intervento diversificate che in parte si volle comparare in un contesto più ampio e complesso. Riprendendo un contributo di Stanghellini circa i nuovi soggetti e i nuovi strumenti per la gestione delle trasformazioni territoriali9, bisogna sottolineare l’interesse e l’importanza di parti sociali il cui apporto era strettamente connesso con il progredire parallelo di questioni cruciali della contemporaneità come lo sviluppo economico e tecnologico, le problematiche ambientali, l’affermarsi dei processi di globalizzazione che hanno generato necessità più complesse e che in generale si possono riassumere con la richiesta di “qualità urbana” per gli spazi delle città.
In quegli anni spesso si ricorreva da più parti al “j’accuse” di gestioni poco attente alle rinnovate esigenze delle città e alla richiesta di intervenire ‘ricucendo’ il tessuto urbano, per favorire le relazioni e l’incontro, per determinare maggiore coesione sociale e per favorire gli aspetti di inclusività nei processi di trasformazione10. Ma a fronte di questi accorati appelli, è sembrato venir meno completamente quella capacità di ascolto che era ed è a fondamento della cultura sulla quale si basa la costruzione della città pubblica.
Proprio su questo indirizzo SPP basò le proprie premesse, partendo dalla riflessione sullo spazio pubblico che per molto tempo sembrava fosse oggetto di una cultura della privatizzazione11 che aveva determinato la perdita del suo senso collettivo. A partire dall’ultimo decennio dello scorso secolo, una nuova sensibilità12, attraverso anche l’apporto di protocolli innovativi basati sulla condivisione paritaria delle responsabilità legate alla costruzione di un’opera d’arte pubblica o al ricorso della cultura come catalizzatore identitario nei processi di riqualificazione, hanno avuto il merito di riscrivere la storia di questi spazi e di contribuire alla rigenerazione dei tessuti urbani contemporanei. La cultura, come ben rappresentato dagli obiettivi della programmazione europea, costituisce sicuramente un asset importante non solo nella costruzione identitaria degli individui, dei gruppi sociali, dei luoghi come presupposto per la comunicazione interculturale, ma anche come approccio strategico collegato alle tematiche dello sviluppo locale e della governance.
È stato questo l’obiettivo ultimo dei seminari: favorire il dialogo e l’ascolto per provare ad ipotizzare nuovi strumenti di progettazione integrata finalizzata alla qualità plurivaloriale degli spazi pubblici.


Note

1 Florida R., The Rise of the Creative Class, Basic Books, New York, 2002

2 Contributo relativo all’intervento del 22 Marzo 2007di Getulio Alviani presso la Facoltà di Architettura di Pescara, nell’ambito di Space People and Place

3 Alviani si riferì alla pratica dell’architettura e a quanto fosse importante un atteggiamento linguisticamente ed eticamente coerente nella progettazione

4 Contributo della conferenza di Vito Acconci del 12 Aprile 2007 presso la Facoltà di Architettura di Pescara nell’ambito del seminario internazionale Space People and Place

5 Hers F. in Arte e Soggetto democratico: Francois Hers e i Nouveaux Commanditaires, Mulas P. (intervista a cura di), in MU6 n°30-2014

6 Douroux X. L’Architecture c'est toi, You are the Building!, Scuderi M. (intervista a cura di), in MU6 n°30-2014

7 il termine fight-specific, coniato dall’artista Bert Theis, si riferisce al termine site specific che descrive una pratica comune a molti artisti della Conceptual art e della Land art di creare le opere per un luogo specifico

8 Cfr.  AAVV, Parasite, Paradise, NAI Publishers, Rotterdam, 2003

9 Stanghellini S., Nuovi soggetti e nuovi strumenti per la gestione delle trasformazioni territoriali, Aestimum- Atti del XXIX incontro di studi, Firenze, 1999

10 cfr. Scuderi M., Perequazione urbanistica e compensazione ambientale nell’ambito degli interventi di riqualificazione urbana e di arte pubblica, in Urbani P. (A cura di) Politiche urbanistiche e gestione del territorio –tra esigenze del mercato e coesione sociale, Giappichelli editore, Torino,  2015

11 AAVV, Faire Art Comme on Fait Société, Le Nouveaux Commanditaires, Les presses du Reél, Digione (FR), 2013

12 J. Ranciere, Le spectateur émancipé, La fabrique éditions, Parigi, 2008