Esperienze parallele

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Rigenerazione delle aree ferroviarie verso la Green City
Fabrizio Tucci*, Valeria Cecafosso** PDF




Parole chiave: Rigenerazione urbana, Aree ferroviarie, Progettazione tecnologico-ambientale, Qualità ambientale

 

 

Abstract:

IT) La città contemporanea si sta interrogando sulle strategie, le policy, le tipologie d'interventi da intraprendere e sviluppare per migliorare la qualità della vita dei propri abitanti e per rendere più sostenibile e resiliente l’ambiente urbano. Le aree dismesse di ex attività produttive, militari o infrastrutturali, in primis per queste ultime le aree ferroviarie, rappresentano notevoli suscettività di sviluppo perché quasi sempre centrali e strategiche, in grado di innescare cambiamenti multidimensionali ben oltre l’area di progetto e di promuovere rivalutazioni sul tessuto urbano collegato ad esse, semplicemente riorientandone la funzionalità e senza consumo di suolo.
Il testo analizza, in particolare, il possibile ruolo della rigenerazione delle aree dei nodi ferroviari, per individuare le trasformazioni necessarie a partire dalla rilevazione e comprensione delle problematicità, e per favorire una mobilità con carichi decisamente meno inquinanti e meno impattanti dal punto di vista energetico, bioclimatico e ambientale.

 

 

Inquadramento

Il sistema urbano e quello ferroviario sono sempre stati caratterizzati da una stretta relazione: il treno nell'era moderna ha portato innovazione e sviluppo, e gli edifici annessi alle infrastrutture ferroviarie hanno costituito un punto di riferimento della città, ma spesso tutto ciò ha prodotto anche profonde lacerazioni del tessuto urbano. Tra città e ferrovia si è storicamente instaurato un rapporto di sinergia e complementarietà che talvolta si è trasformato, o si sta trasformando, in una difficile convivenza. La presenza delle reti e delle infrastrutture di servizio, anche quando dismesse, può rappresentare, oltre che enormi benefici, anche un elemento di ostacolo per uno sviluppo equilibrato, se non addirittura un fattore di rischio e d’inquinamento ambientale (Battarra, 2010).
Poiché l’innovazione tecnologica, la ridefinizione delle politiche sulla mobilità e la riconsiderazione sul trasporto delle merci consentono oggi di ridurre lo spazio sottratto alla città e di restituirne una parte, con adeguate policy e strategie di rigenerazione urbana, la città occidentale contemporanea in questi anni sta affrontando il tema dell'intervento su tali aree perché centrali e strategiche per il suo sviluppo e perché, quasi sempre, caratterizzate da una buona accessibilità.
Non si tratta però solo di riempire vuoti o di rifunzionalizzare edifici: l’occasione che si presenta consente e, in qualche modo, obbliga la città a riesaminarsi per stabilire una nuova gerarchia dello spazio. La città può pensare a una sua globale revisione e rigenerazione anche nell’ottica delle ormai centrali questioni della mitigazione e dell'adattamento ai cambiamenti climatici, vista la crescente urgenza di risolvere questi problemi a causa della fragilità dell’ambiente e della scarsità delle risorse naturali 1.
La questione urbana che sottende al recupero degli scali ferroviari confluisce dunque nella ben più ampia necessità di costruire uno scenario di riassetto urbano che investa la città nel suo complesso. Un quadro progettuale e programmatorio quindi più ampio e articolato che possa garantire alle aree ferroviarie un ruolo e un senso “che vada oltre la semplice localizzazione di residenze, uffici e qualche galleria commerciale” (Savino, 2018).

In due secoli di esistenza, le stazioni e il sistema ferroviario nel suo complesso hanno subìto trasformazioni estremamente importanti, sempre in connessione con l'innovazione e l'evoluzione delle tecnologie. La costruzione delle prime stazioni segna il passaggio dal cavallo alla locomotiva, portando profondi cambiamenti nei ritmi e negli stili di vita. Le prime stazioni si trovano lontano dalle aree residenziali perché il treno è utilizzato principalmente per trasportare merci e collegare siti di produzione e, solo in seguito si afferma anche come mezzo di trasporto per le persone. Inizialmente si caratterizzano come area di sosta, per diventare presto un vero e proprio spazio-edificio che contiene almeno una stanza per i viaggiatori, un piano per gli uffici e un alloggio per il capostazione. La costruzione nel corso del tempo si complessifica, non svolge più solo il ruolo di supporto alla mobilità, ma assume una propria identità che entra nella memoria e nell'immaginario collettivo come uno dei punti di riferimento urbano, arrivando a ospitare nelle principali stazioni ferroviarie non più solo spazi riguardanti i trasporti, come la biglietteria e le aree di attesa, ma anche servizi come biblioteche, commercio, luoghi di ristoro, luoghi di relazione e di incontro.
Durante il ventesimo secolo l’intera popolazione usufruisce del mezzo di trasporto ferroviario e la stazione diventa una porta di accesso che tende a spostarsi dentro la città, creando un nuovo centro di sviluppo. Il carattere simbolico e monumentale della costruzione si accentua e si realizzano spazi cuscinetto, grandi piazzali – che possono ospitare mezzi di trasporto, di stazionamento, nodi di scambio – posizionati quasi sempre di fronte alla stazione e introdotti di solito da ampi viali, come a cercare un legame con il centro urbano. Si affaccia intanto nel mondo della mobilità un nuovo protagonista: l’auto che, inevitabilmente, condizionerà il carattere e l'uso del sistema ferroviario.
La seconda guerra mondiale cambia radicalmente l’immagine di questa modalità di trasporto, se ne affievolisce il carattere simbolico, e nel periodo post-bellico la stazione spesso perde le sue funzioni di spazio pubblico collettivo. Il sistema di trasporto punta alla funzionalità e all’efficienza ed è rivolto a curare la propria mission senza necessariamente curarsi dei collegamenti e delle relazioni con l'ambiente, la vita, l'abitare, propri del contesto in cui è inserito. Il piazzale perde progressivamente il suo carattere specifico d’iniziale funzione intermodale, di relazione pubblica e, nei pressi della stazione, si concentrano fabbriche e officine rumorose, spesso inquinanti, stabilimenti commerciali e alloggi sempre più degradati, spazi con basso grado di sicurezza, talvolta anche a luci rosse, con presenza diffusa di malavita e criminalità.

Negli anni '90 ci si comincia a interrogare sulla qualità delle stazioni ferroviarie in relazione alla più ampia categoria di qualità della città moderna. Le rotaie portano rumore, velocità e producono separazione di spazi urbani. Alcune domande-chiave avanzano con forza: come dovrebbero essere trasformati questi edifici? Come dar loro nuovo significato? Come devono essere rapportati alla città?
I principali progetti di stazione dalla fine del secolo scorso fino ai nostri anni, sia di nuova costruzione sia, più frequentemente, di riqualificazione/rigenerazione di un assetto preesistente, cercano di combinare una risposta in termini di offerta di comfort, qualità ambientale, valore fruitivo e servizi, con una risposta tecnica fortemente differenziata, arricchita e complessificata rispetto alle origini, e sempre calibrata su diverse scale. Secondo Fabienne Keller, “la stazione e il suo ambiente nel nuovo millennio appaiono come il centro di un territorio urbano e sostenibile ad alto potenziale” (Keller, 2009). La stazione quindi non più solo, come alle origini, luogo di transito, di accoglienza e (nel migliore dei casi) di fornitura di servizi ai viaggiatori, ma come spazio complesso che assume forme e funzioni diverse. Cercando di riposizionarsi come un’area urbana, come un’infrastruttura evoluta che tende a non creare fratture e degrado nello spazio urbano, ma piuttosto continuità e qualificazione nella città. Rigenerare la stazione e il suo ambito urbano di quartiere significa creare collegamenti tra spazi diversi, ridurre il divario tra i vecchi centri e le loro periferie, assumere il ruolo di nuova centralità multifunzionale. Significa dare da volano alla creazione di alloggi, attività terziarie, servizi e attrezzature (come ristoranti, hotel, palestre, asili nido, negozi) facendo sempre attenzione a non cadere nel rischio di somigliare a un grande centro commerciale.
L’accessibilità che misura un vantaggio competitivo, specie se sostenuta dall’alta velocità, attrae nuove imprese, incentiva la mobilità e favorisce il turismo.
La discussione dell'evoluzione delle modalità di progettazione, realizzazione e gestione di interventi di rigenerazione di stazioni e aree ferroviarie urbane, inoltre, non può che partire dalla condivisione della posta in gioco in termini di sviluppo sostenibile, di riduzione delle emissioni di gas serra e di mitigazione/adattamento ai cambiamenti climatici. Dovrebbe riguardare in primo luogo la mobilità della città mediante la valutazione della possibilità di utilizzare le infrastrutture esistenti per metropolitane di superficie e nuove linee di trasporto su ferro che assicurino veloci e collegamenti non impattanti fra parti diverse della città, al fine di garantire un’efficace integrazione tra diverse modalità di trasporto; in particolare l’interconnessione con il trasporto pubblico urbano ma anche percorsi ciclabili e pedonali e collegamenti diretti con porti e aeroporti.
In tutta Europa le nuove stazioni hanno ridisegnato lo scenario urbano e rivisto l’organizzazione del trasporto pubblico locale con metropolitane leggere di superficie, linee tranviarie, riordino delle linee di autobus in logica di intermodalità, proponendo una nuova mobilità urbana incentrata sulle strategie della sostenibilità, dove diventano strategici la pedonalizzazione e la riduzione della congestione veicolare urbana.


Strategie progettuali

Nelle aree recuperate e rigenerate, generalmente molta attenzione è prestata agli spazi a verde, e spesso sono realizzati parchi pubblici che contribuiscono a rendere l’ambiente più attraente dal punto di vista fruitivo e abitativo, favorendo miglioramenti in termini microclimatici di qualità dell’aria e di comfort, garantendo la biodiversità e la permeabilità del terreno.
Il verde è di frequente presente anche negli edifici, in particolare i tetti verdi contribuiscono alla mitigazione del clima locale rendendo gli spazi interni più freschi d’estate e più caldi d’inverno grazie alla buona inerzia termica del terreno. Al verde sono spesso associati dispositivi blu come rain garden e aree di stoccaggio delle acque meteoriche per garantire una più efficace ed ecologica gestione idrica, al fine di attenuare le minacce derivanti dalle forti precipitazioni e ridurre le inondazioni nelle aree urbane ritardando la generazione del fenomeno del runoff. A livello di singoli edifici possono essere progettati e/o integrati sistemi di raccolta, stoccaggio, filtraggio e riutilizzo dell’acqua meteorica.
Le aree verdi sono attrezzate in vario modo e con piste ciclabili e pedonali per agevolare la soft mobility e garantire la prossimità ai trasporti pubblici. All’interno dell’eco-quartiere l’uso delle auto private è scoraggiato – con posti auto di superficie lungo le strade e pesanti limiti di velocità – in favore del trasporto pubblico, della rete ciclabile e dei percorsi pedonali. Tutte le azioni finalizzate alla sostenibilità sono curate e, in particolare, assume centralità la gestione dei rifiuti in tutte le sue fasi.
Un progetto che punti all’eccellenza deve assicurare il comfort abitativo (igrotermico, bioclimatico, acustico, visivo, olfattivo) adottando i principi del green city approach e la ricerca di soluzioni per il risparmio energetico e idrico. È opportuno che i nuovi edifici siano integrati nel sito e che l'orientamento e la disposizione dei volumi favoriscano l’adozione di misure passive ottimizzando le radiazioni solari e la circolazione naturale dell'aria, con un approccio costruttivo mirante all’elevata qualità ambientale. I materiali dovranno essere ecocompatibili, recuperabili, riciclati e/o riciclabili, mettendo in campo anche quelli innovativi e ad alte prestazioni (quando economicamente e ambientalmente verificati). Sia le nuove costruzioni che quelle esistenti e sottoposte a interventi di retrofitting, devono avere un’elevata capacità di riduzione del fabbisogno energetico, avvalendosi di sistemi bioclimatico-passivi e, quando necessario, di sistemi attivi ad alta efficienza.
La realizzazione di edifici NZEB (Nearly Zero Energy Building) è tecnicamente possibile anche per l’edilizia abitativa sociale (Social Housing). La Direttiva Europea 31/2010/UE 2, recepita dalla normativa nazionale, prevede che i nuovi edifici debbano avere le caratteristiche prescritte entro il 31 dicembre 2020, ed è già in vigore dal 1 gennaio 2019 per gli enti pubblici. È auspicabile che le costruzioni che occuperanno le aree di rigenerazione vadano oltre l’autosufficienza e siano in grado di produrre energia da fonti rinnovabili in surplus, ad esempio per soddisfare le esigenze d’illuminazione degli spazi pubblici dell’intero quartiere. Appare necessario quindi poter beneficiare dei guadagni ottenuti con collettori solari per il riscaldamento dell’acqua sanitaria e con pannelli fotovoltaici anche di ultima generazione, e potersi avvalere del vento, attraverso turbine micro eoliche e di tutte le forme di energia rinnovabile rinvenibili nel contesto di intervento.
Tutti i suddetti punti stanno confluendo in questi ultimi anni in un quadro di strategie e azioni per la green city, sull'impronta dettata da meno di un decennio dall'agenda europea del green city approach, in rapida e crescente via di definizione (Tucci, 2018).

Il processo di rigenerazione che guardi agli obiettivi della green city sta finalmente investendo anche le città italiane, non senza qualche difficoltà. È già stato affrontato da numerose città europee e nel mondo, e si è rilevato ormai con chiarezza che dalla definizione e formulazione dell'idea dell’intervento alla sua effettiva realizzazione possono essere necessari dai dieci ai venti anni. L’Italia sconta un certo ritardo nell’affrontare il problema, e soprattutto una fortissima discontinuità nella gestione e amministrazione locale dei processi di questo tipo, ma può avvantaggiarsi dell’esperienza acquisita e delle buone pratiche. Un caso interessante di laboratorio di esperienze di rigenerazione è rappresentato da Milano, dove si è posto il problema di un possibile accordo di programma fra il Comune e la società ferroviaria proprietaria dei terreni nel 2005, il quale si è chiuso dopo più di un decennio nel 2017. Nel 2018 sono partiti i primi bandi di gara, che per la realizzazione avranno bisogno almeno di un altro decennio.
Si tratta quindi di procedure lunghe, con tempi molto dilatati per le difficoltà insite nella complessità dell’intervento e nella sua scala. La pluralità degli attori istituzionali coinvolti, cui corrisponde una frammentazione delle società delle ferrovie che intervengono sulle diverse aree, insieme alle croniche incertezze per reperire i finanziamenti, non aiutano alla definizione del problema.
Le politiche territoriali e le normative sono in genere complesse, nidificate e spesso rappresentano un peso per la loro piena comprensione e attuazione. L’attuale tendenza, a livello internazionale e auspicabilmente anche in Italia, sembra essere quella della “semplificazione”; in ogni caso sembra che la strada sia ancora lunga prima di avere una regolamentazione semplice e chiara. L’intreccio di competenze tra Stato, Regioni, Province, Aree Metropolitane e Comuni spesso sfocia in veri e propri conflitti che solo il tempo (e la capacità gestionale) riesce a sanare.
Visto il periodo ventennale di gestazione di un programma è molto probabile che i progetti cambino, e che in quel caso il loro adattamento richieda una particolare follow-up da parte di ciascun partner che deve accettarne i vincoli. Spesso si verifica che le decisioni prese all’inizio del progetto debbano essere riviste o cancellate nel caso in cui non rispondano più alla realtà: in questo caso la forza d’interdizione di ciascun partner può bloccare l'intera operazione. Ciò può succedere ad esempio in presenza di un cambio di maggioranza politica, o a causa di variazione di strategia da parte di uno dei partner, e può portare a modifiche del programma con, ovviamente, una maggiorazione dei costi e soprattutto un'ulteriore estensione della già lunga durata dell’iter processuale.

La procedura è farraginosa ed è macchinosa l’organizzazione nell'intreccio di competenze fra più attori: comitati direttivi, comitati tecnici, comitati di controllo; staff preposti alla corretta espressione dei bisogni da cui scaturisce il progetto, alle verifiche di fattibilità e all’elaborazione e stesura dei documenti di analisi funzionale e valoriale; team dedicati alla formalizzazione del partenariato e dei metodi di finanziamento, alla gestione del processo progettuale, dei rischi e all’analisi dei costi.
È insomma un processo decisionale molto complesso, che deve dare conto dei vincoli di ciascuno.
Il tutto senza considerare che spesso le competenze, in particolare quelle delle amministrazioni locali, non sono adeguate ad affrontare queste situazioni e a governare tali processi.
La rigenerazione urbana di aree complesse come quelle ferroviarie si configura quindi come un progetto multidimensionale e multiscalare. La pluralità di dimensioni attiene agli aspetti insediativi, energetici, ambientali, socio-economici e istituzionali, mentre la scala di governo del territorio agisce dalla dimensione dall’edificio a quella urbana. Inoltre, fattore chiave per il successo di queste iniziative è il coinvolgimento dei portatori d’interesse: i programmi devono essere presentati e discussi con gli operatori, le associazioni di utenti e i residenti.
Solo una forte partecipazione dei cittadini sin dalle fasi iniziali di definizione degli obiettivi può consentire un approdo positivo. «Per le aree ferroviarie urbane occorre elaborare progetti urbanistico-territoriali con i quali ottimizzare l’uso delle risorse, preservare l’ambiente, ridurre le emissioni inquinanti utilizzando tecnologie più pulite, riqualificare il patrimonio abitativo–culturale–ambientale, valorizzare le risorse naturali–ecologiche e creare nuove localizzazioni produttive, e incentivare una maggiore concentrazione degli insediamenti produttivi. Conseguentemente, l’oggetto della pianificazione allo sviluppo non può più essere solo il territorio, come fatto sociale e politico, oggetto della rappresentazione geografica contemporanea, bensì il complesso di tutte le componenti fisico–biologiche» (Vicari Haddock, 2004).
Nella trasformazione della città è sempre più chiaro che l’Amministrazione comunale debba giocare un importante ruolo di regia affinché qualsiasi progetto di riqualificazione sia una reale occasione per tutto il territorio (Dierna, 2005); un’occasione che nel caso della riqualificazione degli scali ferroviari fatica ad essere colta. Spesso alla guida del processo vi è una forte presenza delle società che fanno capo a FS, e a rendere più complessa la situazione è anche la legittima contestazione contro la piena disponibilità riconosciuta alle privatizzate Ferrovie dello Stato (già dalla L. 210/1985, senza alcun vincolo o contropartita) di un vasto patrimonio di aree acquisite nel tempo dallo Stato, attraverso l'esproprio per pubblica utilità, e di manufatti e fabbricati realizzati con capitali pubblici (Savino, 2018).
In ogni caso, sono da escludere intenti speculativi perché i contraenti sono espressione di realtà pubbliche e perché FS è impegnata a investire il plusvalore sempre nell’ammodernamento del trasporto ferroviario per estendere l’alta velocità e le annesse infrastrutture. Tuttavia, trattandosi di spazi potenzialmente disponibili diffusi su tutto il territorio nel cuore delle città, o si coglie questa opportunità in tempi ragionevoli determinando la creazione di modelli di città contemporanea che rispondano alle esigenze di qualità ambientale e di vita dei cittadini, cercando di agevolare la composizioni degli interessi, o si lascia permanere una situazione indefinita in attesa che si determinino in un futuro indefinito le condizioni favorevoli a tali operazioni. Si lamenta in definitiva l’assenza di una strategia nazionale per la rigenerazione urbana, in chiave green, delle infrastrutture ferroviarie dismesse che, di fatto, sono nelle mani del proprietario dei suoli interessati.


Casi di studio

Alla luce delle considerazioni svolte, può essere interessante e proficuo analizzare i problemi affrontati, i processi governati e portati a compimento e le soluzioni adottate in termini di inserimento urbano attraverso la rilettura di due casi di studio, uno a Londra, l'altro a Parigi.

King’s Cross Londra

L’area interessata dal progetto di rigenerazione è di 27 ettari, si trova a nord della stazione ferroviaria ed è attraversata dal Regent’s Canal. Il quartiere, un tempo importante centro di trasporto industriale e riserva di grano, era occupato da binari dismessi, magazzini fatiscenti e degradati e mal frequentato. I cambiamenti generati dalla trasformazione l’hanno fatto diventare un centro residenziale moderno, a mixité funzionale, ricco di attività commerciali e punto di aggregazione sociale, culturale e artistico.
Obiettivo dell’intervento era realizzare un’alta densità insediativa in grado di valorizzare il trasporto pubblico e le nuove strutture di servizio, con un’elevata offerta integrata di funzioni mirata alla sostenibilità ambientale e alla flessibilità. Ciò per rispondere ai bisogni di cambiamento e per ottimizzare i temi delle diverse scale d'intervento e il mix degli usi funzionali, in favore di un incremento dell'economia locale e del valore dell’area grazie anche all’elevata qualità degli edifici e degli spazi pubblici aperti. Come ha affermato John McAslan (architetto progettista della ristrutturazione della stazione), la riqualificazione non è solo un progetto di trasformazione del vecchio terminal ferroviario vittoriano, ma un pezzo significativo del processo di reinvenzione della città di Londra, attraverso la valorizzazione del suo patrimonio (Fig. 1).

Il nucleo del progetto ha riguardato la riqualificazione dei bacini acquatici che ha consentito di migliorarne l’accesso, di ristabilire l’importanza dei collegamenti idrici della città e di concentrarsi sulla biodiversità. Altro punto di forza è rappresentato dalla combinazione, in un'unica trama di tessuto urbano, del recupero di importanti esempi di architettura industriale, con il restauro e riuso dei vecchi magazzini di epoca vittoriana e dei gasometri, e della costruzione di numerosi nuovi edifici, sia uffici che appartamenti. Ciò a conferma del fatto che è possibile la convivenza fra ambiente costruito e spazio naturale. I vecchi depositi di carbone sono stati trasformati in un nuovo centro commerciale di lusso affacciato sul Regent’s Canal unendo due edifici con un kissing-roof.
I tre gasometri con strutture in ghisa sono stati restaurati e formano l’involucro di nuovi edifici residenziali costruiti al loro interno, che si presentano con una forma circolare e muri curvi. I materiali utilizzati sono in linea con la storia industriale del sito. Anche i binari del treno sono stati riutilizzati e inseriti nella pavimentazione di Granary Square. La piazza ha quattro gruppi di fontane posizionate al suo centro, che creano giochi e movimenti d’acqua, modulati in relazione alla varietà delle stagioni, al momento della giornata e alla necessità di fruizione (anche dal punto di vista bioclimatico) degli spazi. Le fontane sono fiancheggiate da filari di alberi con panchine utili come ristoro per i passanti, in particolare nelle giornate calde.
Elemento fondamentale di raccordo fra la Granary Square e Regent’s Canal sono i Gath Steps, una sorta di anfiteatro con otto gradoni che rappresenta un formidabile spazio flessibile di aggregazione, con una pluralità di modi di uso in relazione agli eventi.
Fattore di successo del progetto è stata l’adozione di un approccio prestazionale e non vincolistico, che ha permesso l’attiva partecipazione degli attori coinvolti con la definizione del masterplan stabilendo il dettaglio delle funzioni in progress. In questo modo è emerso uno scenario condiviso che ha riprodotto le interrelazioni storiche fra i vari fattori, sociali, economici e topografici, che danno carattere e forma all'identità del luogo (Fig. 2).

Clichy-Batignolles – Parigi

Il quartiere Clichy-Batignolles si sviluppa su un’area di 54 ettari a nord-ovest della capitale francese, nel 17° arrondissement, tra la Defense e la Plaine Saint-Denis, ed è attraversato da tre linee ferroviarie, dalla tangenziale e da numerosi viali e strade. L’urbanizzazione di Clichy-Batignolles ha avuto inizio a metà Ottocento per collegare le stazioni ferroviarie della città di Parigi. Dagli anni ’70 l’area ha vissuto un lento declino protrattosi fino agli inizi del Duemila; in quegli anni l’area presentava un’elevata densità abitativa, un marcato degrado fisico, ambientale e sociale, e una ridotta disponibilità di verde. Gli obiettivi principali del progetto sono stati: la ricucitura urbana, l'aumento di aree verdi, il mix funzionale, la mobilità sostenibile, il risparmio energetico, la valorizzazione della biodiversità, il miglioramento del microclima e la gestione ecologica dell’acqua.
Il progetto propone un grande parco (10 ha) come elemento di ricucitura tra vari quartieri con condizioni socio-economiche estremamente diverse. Intorno al parco 27 lotti disegnano un bordo edificato fortemente permeabile al verde, di elevata densità, alto e vario. Il parco favorisce la mitigazione climatica, il mantenimento della biodiversità ed esercita un’azione di contrasto al fenomeno dell’isola di calore. Sono presenti inoltre 6.500 mq di spazi verdi privati collocati nei blocchi degli edifici e 16.000 mq di tetti verdi. La progettazione di tali spazi fornisce le condizioni necessarie per l’habitat di molte specie e una generosa offerta di attrezzature e/o luoghi per praticare sport, piste ciclabili e percorsi pedonali che consentono di raggiungere aree anche distanti tra loro e la prossimità ai mezzi di trasporto pubblico.
L’eco-distretto presenta una vasta gamma di funzioni urbane tra cui uffici, strutture amministrative e ricreative in gran parte localizzate nei piani terra degli edifici residenziali. Si realizza in questo modo una città densa e multifunzionale, organizzata attorno agli spazi pubblici. L'architettura riflette la pluralità culturale ed estetica del tempo, le costruzioni incorporano requisiti ambientali molto elevati e le innovazioni sono ricercate ovunque per soddisfare le aspirazioni dei residenti e l'evoluzione degli stili di vita (Fig. 3).

Gli edifici devono soddisfare massimali di consumo energetico particolarmente bassi. Isolamento e vetri ad alte prestazioni, ventilazione naturale e recupero di calore, compattezza e orientamenti per ottimizzare il calore naturale e la luce del sole. Dal punto di vista energetico è previsto l’impiego di energia rinnovabile geotermica per il riscaldamento e l’acqua sanitaria e il fotovoltaico per l’illuminazione. Pannelli solari sono istallati sui tetti più esposti al sole, ma non è raro trovarli anche integrati architettonicamente in alcune facciate.
Le strade impermeabili costituiscono solo il 12% della superficie totale dell’eco-distretto; ciò favorisce l’infiltrazione delle acque piovane nella falda freatica. La raccolta delle acque meteoriche in un bacino biotopo con piante acquatiche filtranti mira a ridurre la quantità di acqua scaricata direttamente nella rete fognaria al fine di minimizzare il rischio di saturazione della rete e l’inquinamento della Senna. L’acqua recuperata viene utilizzata principalmente per irrigare gli spazi verdi. Un importante servizio a disposizione degli abitanti del distretto è la raccolta automatizzata dei rifiuti domestici (ad eccezione del vetro e degli oggetti ingombranti) mediante una rete pneumatica sotterranea. Tutti gli edifici residenziali e le strutture pubbliche sono collegati a questa rete (Fig. 4).


Conclusioni

In tutto il mondo, le stazioni ferroviarie sono diventate obiettivi primari per ambiziose iniziative di riqualificazione urbana poiché la città è riscoperta come “motore dello sviluppo economico” ed è sottolineata la maggiore rilevanza dei viaggi ferroviari ad alta velocità e convenzionali come mezzo di trasporto intra e interurbano efficiente e relativamente più sostenibile. Inoltre è diffusa la consapevolezza che gli sviluppi inframodali, connessi e a uso misto, negli hub ferroviari situati in posizione centrale, rappresentino un elemento cruciale nella sfida di realizzare insediamenti umani più compatibili con l’ambiente.
La stazione può così aspirare a rinverdire l’immagine di modernità e simbolicamente mirare a ridiventare la porta della città. Sembra comunque assodato che l’interfaccia fra i due spazi (città/ferrovia) dovrebbe consentire uno sviluppo più rapido di entrambi in caso di successo di tutti e due, altrimenti l’uno condiziona negativamente l’altro.
Rispetto al problema della mancanza di una visione unitaria per rendere più fluido l’intero processo, utili indicazioni potrebbero provenire da linee guida ministeriali articolate per le aree metropolitane, per le dismissioni di aree di dimensioni significative e infine per quelle che riguardano interventi singoli le quali, una volta dismesse, potrebbero avvalersi di agili strumenti per l’assegnazione ai Comuni.
Ciò consentirebbe una più facile replicabilità degli interventi che altrimenti in sé difficilmente inciderebbe sui tempi procedurali e realizzativi. Va considerato, infatti, che è difficile avere un modello di riferimento perché ogni progetto di stazione e del suo ambiente nasce in un contesto particolare e su uno specifico territorio. Le autorità locali non hanno le stesse aspettative e le stesse ambizioni. Le esperienze di successo vanno esaminate e studiate e, a volte, anche quelle non andate a buon fine possono essere d’insegnamento per non ripeterne gli errori, nella consapevolezza che ogni intervento rigenerativo ha la sua storia.

 

* Fabrizio Tucci è Professore Ordinario in Progettazione Tecnologica dell'Architettura, Dipartimento PDTA, Sapienza Università di Roma.
** Valeria Cecafosso è Assegnista di Ricerca in Progettazione Tecnologica dell'Architettura, Dipartimento PDTA, Sapienza Università di Roma.


Note

1 La vulnerabilità e i rischi ai cambiamenti climatici per le città sono stati analizzati da un gruppo di ricercatori della Sapienza di Roma quale contributo alla 2^ Conferenza Nazionale delle Green City tenuta a Milano il 16 luglio 2019. Lo scenario è preoccupante. I principali elementi chiave di vulnerabilità riguardano: l’alta esposizione di persone, attività economiche e infrastrutture in zone costiere poco sopra il livello del mare e nelle isole minori, le esondazioni dei fiumi e le inondazioni urbane da precipitazioni estreme o viceversa l’innalzamento delle temperature, le isole di calore, le minacce di siccità e aridità la mancanza di protezione di quella parte della popolazione urbana che vive in condizioni abitative non sicure e delle popolazioni rurali emarginate afflitte da povertà e limitate alternative di sostentamento, l’insufficiente attenzione da parte dei governi locali verso la questione della riduzione del rischio di distruzione fisica del territorio e dei disastri connessi (Tucci, 2019).

2 La direttiva è stata emendata dalla DE 844/2018/UE che non ha modificato la decorrenza dell’obbligo di costruzione NZEB. La nuova direttiva deve essere ancora recepita dall’ordinamento nazionale.

 

 

Riferimenti bibliografici

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