Esperienze Parallele

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Una discussione in corso: le aree ferroviarie a Torino
Chiara Lucchini, Torino Urban Lab *PDF




Il processo di ristrutturazione urbana che ha interessato Torino nell’arco degli ultimi tre decenni si intreccia a doppio filo alla riorganizzazione funzionale  dell’infrastruttura ferroviaria in città. Il posizionamento di un’ampia porzione del fascio di binari sottoterra con la realizzazione del Passante Ferroviario, il ripensamento dell’accessibilità a scala metropolitana con la realizzazione del Servizio Ferroviario Metropolitano, la costruzione della nuova stazione di Porta Susa quale punto di accesso al sistema ad alta velocità, non solo rappresentano (nel bene e nel male) alcune significative declinazioni contemporanee del trasporto su ferro, ma costituiscono alcuni dei tasselli principali attorno ai quali si è organizzata e forse solo in parte compiuta, la città della transizione postfordista. A valle di un ciclo di sviluppo urbano che ancora richiede valutazioni e letture a posteriori1, e che molti interpretano come concluso (dal punto di vista politico ed economico prima di tutto), una prospettiva che mette al centro presente e futuro delle aree ferroviarie a Torino, è forse utile a far emergere una serie di questioni e criticità che superano la dimensione infrastrutturale per intercettarne molte altre, pertinenti le forme e i modi con cui per tre decenni a Torino sono state messe in campo strategie e traiettorie di sviluppo.
Oggi, nel momento in cui la Città di Torino sta mettendo mano alla rivisitazione del proprio Piano Regolatore Generale, i ragionamenti sulle aree ferroviarie non più in uso costituiscono un’occasione unica per esplorare nuovi paradigmi, meccanismi e prassi operative capaci di guidare il processo di trasformazione urbana nell’arco dei prossimi anni. Se inizialmente il dibattito ha avuto come fuoco principale la ridefinizione di quantità e destinazioni d’uso - di fatto collocando il confronto entro un piano molto tecnico e specifico -, le riflessioni attualmente in corso mostrano come ben altra possa essere la posta in gioco (per l’amministrazione torinese, per il sistema locale, come per la proprietà). Da Borgo San Paolo al Lingotto, passando per il completamento delle spine, le sette aree ferroviarie dismesse a Torino coprono una superficie territoriale di oltre 500.000 metri quadrati, e rappresentano un potenziale urbano enorme attorno al quale riscrivere la fisionomia della città di domani: lavorando su dinamiche di pianificazione più aperte e capaci di intercettare il modificarsi delle condizioni socioeconomiche sul breve, medio e lungo periodo; tenendo assieme le diverse scale, provando ad integrare innovazioni di processo ed elementi di strategia, articolando nuovi ibridi funzionali e nuovi usi, sviluppando meccanismi utili a rendere le operazioni di trasformazione urbana più efficaci, virtuose e radicate localmente. Se, quanto e come questa opportunità verrà colta da coloro che oggi hanno il compito di governare i processi di trasformazione urbana a Torino è una storia ancora tutta da scrivere.


Sottofondo. Oltre la Fiat

Quando alla fine degli anni ‘70 in Regione si lavora sul potenziamento del nodo torinese (con le prime ipotesi di quadruplicamento e interramento della linea), in città cominciano a mostrarsi i primi effetti di una crisi industriale che costerà molto al sistema locale accettare e comprendere. La storia urbana recente di Torino ci dice che di lì a poco (verso la metà/fine degli anni ‘80) si andrà progressivamente definendo un'idea di sviluppo urbano che sulla crisi di identità della one company town immagina una Torino “oltre la Fiat”. Il modello di sviluppo un tempo legato alla produzione industriale viene messo in discussione, mentre la scoperta (o la riscoperta) di nuove vocazioni e traiettorie di crescita mettono a sistema - per certi versi in maniera inedita -, patrimonio culturale locale, vecchi e nuovi attori del cambiamento, risorse economiche e sociali. All’interno di questa cornice la riorganizzazione dell’accessibilità su ferro torinese ha avuto una serie di conseguenze cruciali sugli equilibri morfologici, paesaggistici, ambientali e socioeconomici dell’intero sistema urbano2. Come accennato, lo scenario di riassetto infrastrutturale arriva prima dei ragionamenti di riassetto urbano in reazione alla crisi industriale, e si arricchisce di contenuti, significati e funzioni mano a mano che il progetto di riassetto urbano contenuto nel Piano Regolatore Generale di Gregotti e Cagnardi prende forma3.
Si apre così una stagione di rinnovamento tracciata dalla definizione di una diversa agenda per la Torino del XXI secolo, dove cultura, innovazione, alta formazione e nuova residenzialità diventano il fuoco principale di piani, politiche e progettualità, definendo quadri strategici, procedurali ed amministrativi rintracciabili (e almeno in parte attivi) ancora oggi. Un ciclo di trasformazione che fa della dismissione delle grandi aree industriali e dei suoli ferroviari sottoutilizzati una occasione di sviluppo, di fatto proponendo un cambio di paradigma non da poco per quegli anni4. L'intenzione di andare a lavorare sulla città consolidata molto più che sull'occupazione di nuove aree poi, si lega (per la prima volta nella storia della città) ad un fenomeno demografico nuovo: la riduzione anziché l'aumento della popolazione, con la necessità di dover gestire un sistema urbano in contrazione anziché in rapida espansione (non solo dal punto di vista fisico).
Dotazioni urbane e interi pezzi di città oggi dati come acquisiti da moltissimi torinesi, sono esito di questi processi di lungo periodo, le cui traiettorie vengono accomunate da alcune dinamiche molto specifiche e contestuali. La prima tra tutte è certamente la forte intenzionalità pubblica che promuove la centralità delle modificazioni fisiche nel processi di sviluppo urbano, coordinando il più possibile azioni puntuali che si attuano per la grande maggioranza su suoli (e per iniziativa di) privati5. Un processo che coinvolge quasi dieci milioni di metri quadrati di suoli urbani dismessi - nel cui conteggio sono incluse anche le (ex) aree ferroviarie: la riconversione dei brownfields si accompagna all'aggiornamento delle dotazioni infrastrutturali locali, allo sviluppo di piani di rigenerazione urbana, al miglioramento della dotazione di servizi per la collettività, in una negoziazione continua tra interessi privati, dimensione pubblica della trasformazione urbana, istanze locali, pianificazione complessa, strategie di sviluppo economico.


La chiusura di un ciclo

Se molto di quanto ipotizzato è stato realizzato, non tutto forse ha completamente soddisfatto le aspettative di cittadini e amministratori - negli esiti architettonici e urbani come negli effetti economici di medio lungo termine. Il radicale cambio di passo che ha interessato circa il 60% dei browNfields disponibili alla trasformazione si mostra oggi come un ciclo in fase di esaurimento, che ha trovato la sua prima esplicitazione nella crisi globale manifestatasi subito a valle delle Olimpiadi invernali del 2006, e che più di recente è anche stato messo in relazione con la chiusura (per certi versi traumatica) della stagione di governo guidata dalle coalizioni di centro sinistra. Accanto alla valutazione delle esperienze e dei processi di modificazione dello spazio, al bilancio di conseguenze e implicazioni, alla misurazione degli effetti, oggi si rende sempre più urgente la costruzione di nuovi orizzonti strategici e nuove prospettive di sviluppo, in un contesto che sia a livello locale che nazionale e internazionale mostra caratteristiche profondamente diverse rispetto ai primi anni ‘90.
Diverse rispetto a tre decenni fa sono le condizioni del mercato immobiliare - oggi assai meno vivace e mobile; mutata è la capacità dell’autorità pubblica di farsi portatrice di istanze, valori  e visioni - accanto alla ridotta capacità di spesa, fiaccata dal debito e dalla spending review ciò che appare in seria crisi è anche la sua accountability presso gli attori locali; sensibilmente ridotte le opportunità economiche - sia di carattere pubblico che privato, mentre si fa più difficoltosa per il sistema locale la capacità di competere per l’attrazione di investimenti dall’estero;  diversi, più frammentati e diffusi alcuni fenomeni urbani di lungo periodo (come la dismissione urbana o l’invecchiamento della società); emergono di nuovi valori civici e sociali condivisi, e la necessità sempre più impellente di riscrivere alcuni modi e alcune forme del coinvolgimento degli attori locali nei processi di trasformazione; da ultimo, ma non certo per importanza, si fa urgente la necessità di individuare paradigmi e strumenti di pianificazione nuovi, più aperti e incrementali, capaci di intercettare il modificarsi della cornice politica e socioeconomica locale e sovralocale, intrecciando in maniera inedita problematiche di lungo periodo, nuove questioni urbane e nuove urgenze emergenti (come ad esempio il cambiamento climatico).


Rivedere i piani


E’ all’interno di questo mutato (e non particolarmente felice) quadro di condizioni che si inserisce l’attività di revisione del Piano Regolatore Generale avviata dalla giunta Appendino nel maggio 2017, e che si colloca - solo una manciata di mesi più tardi -  l’avvio dell’interlocuzione con FS Sistemi Urbani relativamente alla valorizzazione delle aree ferroviarie torinesi ancora passibili di trasformazione. Attraversata al momento dalla sua seconda fase di gestione politica6, la revisione del Piano è stata sin dalle prime battute presentata come un’operazione di “manutenzione straordinaria” dello strumento di pianificazione che regola le trasformazioni urbane e gli usi del territorio7: ufficialmente l’obiettivo è quello di progettare uno strumento urbanistico con caratteri di semplicità, trasparenza e resilienza, “capace di rispondere in tempo reale alle necessità di cambiamento della Città8”. Nei documenti ufficiali si sottolinea come a distanza di più di un ventennio dalla sua approvazione (1995), sia necessario mettere mano al PRG perché “il quadro di riferimento è completamente mutato sotto il profilo delle condizioni economiche, sociali e normative”, ma anche in virtù di una diversa prospettiva di sviluppo futuro del territorio delineata dalla nuova amministrazione9. Al di là delle dichiarazioni di principio, tanto condivisibili quanto generiche, e al di là delle tante considerazioni che si richiederebbero per esplorare in maniera esaustiva e necessariamente critica la fase di impostazione, i primi sviluppi e alcune significative battute d’arresto del lavoro di revisione del Piano, vale la pena sottolineare come il lavoro venga inteso sin dalle prime fasi come un processo in house, un’attività (almeno sulla carta) di carattere “collaborativo” condotta dagli Uffici Tecnici della Città di Torino assieme a Enti locali, mondo accademico, associazioni professionali, imprenditoriali, sindacali, del terzo settore e cittadini10. A partire dallo sviluppo di una serie di tavoli di lavoro tematici11, la sfida che l’Amministrazione si proponeva (e si propone) di affrontare è quella di dotarsi del nuovo strumento di pianificazione entro la chiusura del mandato di Chiara Appendino.

 

Sette aree ferroviarie

La revisione del PRG12 è già in corso quando nell’estate del 2018 FS Sistemi Urbani si rivolge all’Amministrazione per riprendere in mano i ragionamenti relativi alle aree di proprietà ancora disponibili per lo sviluppo immobiliare. La domanda da parte di FSSU si articola attorno alla necessità di individuare orizzonti di valorizzazione nuovi, più attuali e appetibili per il mercato immobiliare per quel complesso di  “aree non più funzionali all’esercizio ferroviario” (ex scali, magazzini, impianti di deposito ecc.) attualmente disponibili alla trasformazione. La domanda iniziale quindi è come valorizzare al meglio un patrimonio immobiliare non strumentale del Gruppo FS di cui soltanto una parte è stata oggetto negli ultimi anni di trasformazione urbanistica, valorizzazione, cessione gratuita al Comune o vendita ad operatori privati13, e rispetto al quale FSSU opterebbe preferibilmente per una cessione a terzi (e non per uno sviluppo diretto).
Tali aree - sette, distribuite da nord a sud per un totale di 500.000 mq di superficie territoriale - , sono quasi completamente ricomprese negli ambiti delle Zone di Trasformazione Urbana (le ZUT) del PRG: il completamento dell’area di Porta Susa/Spina 2, l’ambito Oddone/Spina 3, l’area Rebaudengo/Spina 4, gli ambiti a est e a ovest della stazione Lingotto (FS e Parco della Salute), l’area San Paolo e l’area Brunelleschi un tempo adibita a poligono del Genio Ferrovieri. Per sei aree su sette (l’eccezione è l’area Brunelleschi), il Piano definisce attualmente delle specifiche schede normative che disciplinano l’occupazione del suolo, le destinazioni d’uso, gli standard delle cessioni in termini di servizi e parcheggi, i diritti edificatori realizzabili. (Fig.1)
Coerentemente con le ambizioni alla base della revisione del PRG, l’Amministrazione risponde alla sollecitazione di FSSU14 chiedendo di ragionare attorno al possibile aggiornamento di norme, quantità, destinazioni e iter approvativi relativi alle sette aree in maniera quanto più possibile allargata, “pubblica” e trasparente, con il coinvolgimento attivo degli stakeholders locali. Ne nasce così l’ipotesi di organizzare un workshop dedicato, per aprire la discussione a livello locale intrecciando tematiche di carattere strategico (vivibilità, connessioni, sostenibilità), tenendo però conto dello “storico” di ogni area. La presenza di formulazioni di tipo urbanistico di fatto in corso (per quanto obsolete o opinabili), il sovrapporsi nel tempo (almeno per alcune aree15) di una serie di ipotesi di trasformazione legate a iniziative precedenti, la presenza in prossimità di alcune aree di scenari di trasformazione di lungo periodo16, avrebbero infatti impedito l’effettiva praticabilità (e verosimiglianza) di un esercizio di progettazione privo di vincoli.


Una discussione in corso

Il workshop voluto da Città di Torino e FSSU si è quindi svolto il 29,30, e 31 maggio 2019, strutturato a partire da una proposta metodologica e operativa elaborata e coordinata dall’Urban Lab di Torino17. La discussione è stata costruita attorno a un quadro conoscitivo articolato - analisi territoriali, mappature, raccolte di dati e indicatori - per offrire ai partecipanti alcune cornici interpretative entro cui collocare il lavoro progettuale18: numeri, per comprendere dal punto di vista quantitativo alcuni tratti della società torinese di oggi e alcuni caratteri peculiari del sistema urbano; cartografie per collocare nello spazio i fenomeni urbani e apprezzarne le qualità. Parallelamente è stata messa a punto19 e fornita ai partecipanti una istruttoria di progetto che restituisse sinteticamente lo stato dell’arte di ciascuna area rispetto alla pianificazione urbanistica, mettendo in sequenza consistenze territoriali ed edilizie, destinazioni d’uso, vincoli e prescrizioni in corso di validità, eventuali orizzonti di sviluppo, potenziali processi in corso, ecc. in maniera tale da poter fornire uno sfondo reale ai ragionamenti.
La discussione è stata orientata in maniera tale da produrre un ragionamento collettivo capace di tenere assieme elementi di strategia alla scala urbana e di lungo periodo con l’approfondimento di alcune ipotesi operative per ciascuna delle aree. Rimandando alle documentazioni prodotte in avvio e chiusura del workshop per contenuti e questioni specifiche20, vale qui la pena di sottolineare come la discussione abbia dato esiti riconducibili a piani diversi: progetto (morfologia, paesaggio, dimensione architettonica e urbana degli interventi); processo (strumenti, attori e risorse da mettere a sistema per attivare più velocemente le operazioni); funzioni (mix, nuovi usi e modi di aggregarli per “nuovi ibridi” e nuovi modelli); raccomandazioni (indicazioni trasversali per rendere le operazioni di trasformazione più efficaci, virtuose e radicate localmente); strategie (orientamenti che possono riguardare al contempo le singole aree e l’intera città); questioni aperte (criticità e problematiche cruciali per lo sviluppo delle aree, ma indipendenti dallo specifico processo progettuale per ragioni di scala, titolarità, processo decisionale, ecc.). (Fig.2)
Un incoraggiamento importante rivolto al gruppo di lavoro è stato quello di fare lo sforzo di guardare alle aree anche nel loro complesso (come “pacchetto”), tenendo conto della capacità di incidere su politiche, piani e programmi che la trasformazione di oltre 500.000 metri quadrati di superficie territoriale può generare. In questo senso, quindi, pur essendo di fatto le sette aree separate tra loro e potenzialmente sviluppabili in maniera indipendente (fatta eccezione solo per le aree a cavallo della stazione Lingotto), un aspetto interessante del lavoro svolto sino a qui è proprio che le principali tematiche emerse sono comuni (naturalmente con le necessarie distinzioni e declinazioni). Nello specifico sono emersi quattro temi: l'abitare, il verde, le connessioni e le tecnologie. Quando si parla di abitare, un primo tema riguarda la temporaneità e la risposta alle necessità di city users e studenti, mettendo a punto mix tra servizi, ricettività, commercio, funzioni sanitarie, riconversioni produttive, ricerca, uffici e spazi di coworking per torinesi e visitatori, attraverso soluzioni attuate per fasi e in maniera incrementale. Abitare è anche funzione “di qualità” dove ibrido, sostenibile e collaborativo sono i tre aggettivi di nuovi quartieri caratterizzati da una fitta trama di spazi pubblici, lavorativi e servizi per l’abitare integrati agli edifici, dove sperimentare nuovi protocolli di eco-sostenibilità e dove ripensare il ruolo dei grandi assi di attraversamento urbano (la Spina Centrale in particolare). Infine abitare è inteso come funzione accessibile, nel senso di pienamente connesso, ma anche di contenimento dei costi per favorire l’insediamento di famiglie giovani e industrie creative.
Il tema delle connessioni è invece connaturato alla grandezza e alla collocazione delle varie aree, e assume connotazioni anche molto “urbane” che si legano strettamente al ruolo immaginato per reti verdi e azzurre: c’è la questione della camminabilità e della continuità delle percorrenze pedonali e dei suoli che ha a che vedere con funzioni più attrattive immaginate per i piani terra, e con la necessità (impellente in alcune aree) di riammagliare tessuti urbani frammentati e disconnessi tra loro. Laddove i quartieri di nuova realizzazione si pensano sin da subito come nuovi brani di città, si immaginano tecnologie costruttive che permettano di evitare i tempi lunghi dei cantieri, e abilitino l’uso transitorio di suoli ed edifici. Importante è anche la continuità ambientale e una miglior connessione dei parchi esistenti, e l’intreccio dei nuovi brani di città con esperimenti più radicali di quartieri completamente privi di automobili: aree verdi che fungano da connessioni per la mobilità quindi, e che rendano salubre la città. Si immagina in questo senso che le tecnologie possano avere un ruolo importante nello sviluppo di quartieri altamente performanti per quanto concerne risparmio energetico, eliminazione delle isole di calore, trattamento delle acque. Il verde è presente anche in relazione al clima e alla salute pubblica, come ingrediente fondamentale di una città resiliente al cambiamento climatico. Verdi sono anche le “economie”, in termini di attività capaci di generare profitto (serre bioclimatiche, orti urbani, vivai, produzioni organiche, vertical farm, ecc.) che possano però attuarsi in forte integrazione con i telai ambientali esistenti. Ultimo importante ingrediente che incrocia usi, mix e dimensione ambientale, riguarda la possibilità di attivare politiche innovative in tema di logistica, ridefinendo i meccanismi di scambio delle merci tra lunga percorrenza e distribuzione a scala urbana. (Fig.3)


Alcune questioni

Il lavoro portato avanti sino ad ora ha provato ad aprire degli spazi e a darsi degli strumenti per arricchire ed articolare un ragionamento molto tecnico e specifico (la disciplina urbanistica è spesso respingente… soprattutto quando si tratta di calarla nel discorso pubblico e nel processo politico urbano), utilizzandolo come pretesto per esplorare campi più ampi. Se, come spiegato più sopra, la richiesta iniziale era quella di ragionare attorno alla modifica delle "schede norma" relative alle aree, lo sviluppo del dialogo tra le due parti e dei lavori del workshop hanno di fatto portato ad un allargamento della portata e dell’interesse della riflessione progettuale, che ha incorporato nuove dimensioni (economica, sociale, ambientale, infrastrutturale, ecc.) dando vita a ragionamenti alle diverse scale, mettendo assieme diverse prospettive disciplinari ed operative (non solo progettisti, e non solo operatori economici "profit" ma anche impresa sociale e terzo settore21; non solo forma e funzione ma anche strategia, azione e sviluppo, ecc.). Provando a tenere assieme morfologia, usi e stili di vita, elementi di processo, orientamenti strategici e operativi, leve per riattivare le aree sul breve periodo e orizzonti di sviluppo che invece guardano più lontano, il lavoro sulle aree di FSSU solleva una serie di questioni certamente nodali rispetto alla riscrittura di alcune prassi operative in corso oggi (anche) con l'aggiornamento del PRG, ma più in generale può essere l'occasione per ripensare in maniera diversa alcuni modi "tradizionali" di "fare le cose" così come il ruolo/i ruoli che alcuni soggetti possono giocare per sostenere e stimolare i processi di trasformazione urbana (a Torino in particolare). (Fig.4)
Un primo tema ricorrente nella discussione ha riguardato la necessità di  dotarsi di strumenti di pianificazione più flessibili, più capaci di governare nel tempo condizioni locali che cambiano, meno irrigiditi all'interno di ambiziose visioni di insieme proiettate verso un futuro incerto. Pianificare le cose in relazione al tempo è questione centrale quando si parla di aree in transizione, perché il transitorio, il tempo dell'attesa tra l'azione di pianificazione e la trasformazione può durare molto a lungo in ragione di condizionamenti (imprevedibili) di carattere endogeno ed esogeno. Il lavoro sulle aree ferroviarie costituisce in questo senso un’occasione straordinaria per provare a sperimentare processi di pianificazione urbana più incrementali ed aperti, in cui l'esito delle azioni non derivi da un agire per tendere verso una visione finale (o una soluzione permanente), ma occupi lo spazio dell'attesa, articolando in maniera sperimentale funzioni e usi che si immaginano sin dall’inizio con una durata limitata nel tempo. Questo significa però avere la capacità e la forza di ritagliare ruoli nuovi per tutti i soggetti in gioco (il pubblico, prima di tutto, ma anche gli operatori immobiliari e gli stakeholders locali), modificando alla radice le regole e il loro rapporto con la costruzione di orizzonti di sviluppo sul lungo periodo.
Un accento è stato posto sui mix funzionali, anch’essi più aperti, capaci di intercettare ed accogliere nuove funzioni emergenti, nuovi usi, e nuove forme di contaminazione tra abitare, lavoro, svago… laddove l’esperienza (torinese e non solo) ci insegna che questi tendono sempre di più a mescolarsi ed ibridarsi tra loro. Economie di scala che si mescolano con nuovi stili di vita, nuovi lavori (e veri e propri nuovi mondi) che all'epoca dell'approvazione del PRG nel 1995 neppure esistevano; reti fisiche e relazionali con un forte potenziale urbano da esprimere non solo dal punto di vista socioeconomico ma anche dal punto di vista morfologico e tipologico, capaci di influenzare positivamente la fisionomia di interi brani di città; sistemi che nel produrre occupazione e servizi alla collettività sono spesso vettore di innovazione e di produzione di valore aggiunto. Gli strumenti di governo dello spazio possono certamente avere un ruolo nel rafforzamento/supporto di ecosistemi di attori e attività non necessariamente o non esclusivamente legati a logiche di mercato: in che modo specifici meccanismi di gestione della trasformazione urbana possano essere ridefiniti e resi più capaci di stimolare nuove funzioni emergenti è un tema cruciale per la Torino di domani che implica però la capacità di intrecciare consapevolmente  economia, società, innovazione e nuove forme di attivazione e capacitazione dei soggetti locali.
Tra gli aspetti sottolineati più volte (e di fatto tra i presupposti stessi della discussione) c’è il tema del posizionamento sul mercato e dell’individuazione di una serie di operatori interessati e disponibili ad assumersi un rischio nel portare degli investimenti in città. Operare sui brownfields comporta tra le altre cose tutta una serie di costi legati alla trasformazione (demolizioni, bonifiche, tanto per citarne alcune), e qui forse più che altrove diventa centrale ragionare attorno al rapporto tra dimensione ambientale ed economica, valori (economici, sociali, culturali, ecc.) in gioco, portata e verosimiglianza degli orizzonti di sviluppo che si stabiliscono per l’azione - le famose “visioni” che per non trasformarsi in allucinazioni o incubi devono saper coinvolgere in maniera solida e credibile gli attori locali, combinando un misto di aderenza alla realtà dei fatti e capacità di prefigurare futuri possibili… e convincenti! Le attuali condizioni del mercato torinese richiedono uno sforzo particolare nella definizione di strategie efficaci di “riduzione del rischio” che aiutino a sostenere e stimolare processi di trasformazione come quelli delle aree ferroviarie, che nel mettere a fuoco benchmark di riferimento e forme di sperimentazione capaci di agire da volano sappiano finalmente dare spazio a nuovi valori sempre più al centro del dibattito locale (qualità ambientale e capacità di reagire al cambiamento climatico, dimensione cooperativa e co-progettuale dei processi, ecc.) e delle politiche urbane più avanzate a livello internazionale.




Note

* 1980. Architetto, PhD. Membro dello staff di Urban Lab Torino dal 2007, dal 2013 è responsabile dell'area Sviluppo Territoriale e svolge attività di ricerca, networking (locale, nazionale e internazionale), programmazione europea, sviluppo di iniziative di divulgazione culturale relativamente ai processi di trasformazione urbana dell'area metropolitana torinese. Docente a contratto di urban design presso il Politecnico di Torino, nel 2013 ha conseguito un dottorato di ricerca in “Politiche Pubbliche del Territorio” presso lo IUAV di Venezia con una tesi sugli effetti urbani del processo di deindustrializzazione a Detroit.

1 una buona pista di partenza è il lavoro portato avanti dal gruppo di ricerca che annualmente redige il Rapporto Rota sulla città di Torino, che nell’edizione di quest’anno propone una disamina completa ed articolata delle azioni di trasformazione promosse in città nell’arco degli ultimi 25 anni (citato in bibliografia)

2 Basti pensare alla rivoluzione che ha costituito l’eliminazione della barriera fisica tra i quartieri a est e a ovest della ferrovia (Crocetta, San Donato e Borgo San Paolo, per nominarne alcuni), o a come lungo l’assialità a sud di Porta Nuova la ridefinizione di alcune aree di proprietà della ferrovia (in parte ancora in corso con lo Scalo Vallino) abbia aperto alla restituzione alla città di nuovi tasselli urbani ormai parte della quotidianità di tantissimi torinesi (Lingotto, Centro di Biotecnologie dell’Università degli Studi di Torino). Non da ultimo, si pensi a cosa è oggi l’area circostante le ex Officine Grandi Riparazioni e a quanto profondamente sia legata alle traiettorie di sviluppo e ristrutturazione urbana conosciute da Torino nell’arco degli ultimi tre decenni.

3 Se i lavori iniziali di redazione del PRG si avviano nel 1986, bisognerà aspettare il 1995 perchè il documento di governo del territorio divenga vera e propria legge con l’adozione da parte della Città di Torino.

4  soprattuto se si considera che le dinamiche di svuotamento e sottoutilizzo di aree ed edifici trova il suo inizio simbolico già nel 1982, con la chiusura del Lingotto e che il dibattito locale impiegherà molto tempo ad acquisire e in qualche modo esplicitare l'urgenza di ripensare i capisaldi attorno ai quali immaginare la città del futuro.

5 spesso le attività di sviluppo immobiliare in questione si inquadrano entro logiche più ampie (nazionali e sovranazionali) legate a processi di ristrutturazione e delocalizzazione di quelle stesse attività produttive che stavano lasciando la città. Per un certo periodo a Torino, un manipolo di soggetti radicati localmente e con un forte interesse nei confronti della trasformazione negozia con l'amministrazione pubblica secondo un'ottica che è stata descritta come orientata alla massimizzazione degli effetti pubblici (in termini di servizi, qualità degli spazi collettivi, nuove dotazioni, ecc.) degli sviluppi immobiliari.

6 nell’arco di quest’ultimo anno c’è stato un avvicendamento alla guida dell’Assessorato all’Urbanistica. Dopo una prima fase durante la quale è stato Guido Montanari (all’epoca anche ex- vicesindaco) ad avviare e portare avanti il lavoro di aggiornamento del PRG, da settembre 2019 è stato individuato Antonino Iaria (ex consigliere comunale eletto in forza ai 5 stelle) come nuovo Assesore. La delega al all’aggiornamento del PRG però, al momento è ancora in mano alla Sindaca Chiara Appendino.

7 la decisione è stata assunta in maniera ufficiale dal Consiglio Comunale lo scorso 28 luglio 2016.

8www.torinosiprogetta.it sito ufficiale dedicato al lavoro di aggiornamento del PRG (ultimo accesso novembre 2019).

9 tra i temi al centro, qualità urbana, tutela dell’ambiente, miglioramento dell’offerta di servizi sul territorio, valorizzazione dell’economia della conoscenza, iniziative di sostegno alla creazione di nuovi posti di lavoro in città, regolazione delle attività commerciali.

10 in questo senso la stessa attivazione del sito web e lo sviluppo di tutta una serie di incontri, confronti e discussioni (di carattere informativo ma anche progettuale) con stakeholder locali e cittadini va in questa direzione.

11 ambiente come risorsa, identità e bellezza, benessere e qualità della vita, giovani e città, lavoro produzione commercio, semplificare le regole, oltre i confini

12 In particolare, il lavoro di analisi puntuale rispetto al suo effettivo stato di attuazione (effetti in termini di quantità costruite, servizi e standard generati dall’attuazione a oggi) e quello di ridefinizione progressiva di quantità, destinazioni d’uso, principi per il calcolo degli standard a servizi, ecc.-

13 basti pensare, per citare le operazioni più recenti, alla cessione dello Scalo Vallino lungo la via Nizza - attualmente in fase di trasformazione -, o alla recentissima vendita del vecchio fabbricato della stazione di Porta Susa a Vastint Hospitality. Le schede dattagliate sono disponibili qui: http://www.fssistemiurbani.it/content/fssistemiurbani/it/grandi-investimenti/torino.html (ultimo accesso novembre 2019)

14 l’accordo preso tra le parti è illustrato in un Protocollo di Intenti firmato l’8 marzo 2019 da Guido Montanari.

15 è il caso ad esempio dell’area di Rebaudengo/Spina 4, al centro di una variante strutturale di Piano (lo studio per la Variante 200 viene avviato nel 2008 e portato fino alla progettazione preliminare: la giunta Appendino ha attualmente abbandonato l’iniziativa), di un concorso di idee (“La Metamorfosi”, 2010), e di una gara internazionale per la progettazione del masterplan e dello studio economico-finanziario per l’attuazione della trasformazione urbana (2012).

16 si pensi ad esempio alle due aree prossime alla stazione Lingotto, potenzialmente fortemente influenzate/influenzabili dalla costruzione in questo quadrante della futura Città della Salute di Torino (nuovo polo ospedaliero e di ricerca di rango metropolitano).

17 le tre giornate hanno coinvolto oltre 300 partecipanti, distribuiti in 3 tavoli di lavoro (7 sessioni ai tavoli, 2 plenarie), con il supporto di 9 esperti e la facilitazione di 3 moderatori. Ogni gruppo di partecipanti è stato guidato da un coordinatore, esperto della materia urbanistica e della tematica affrontata, ma allo stesso tempo outsider rispetto al processo politico urbano torinese. A ciascun tavolo tematico erano presenti anche su: tecnici della Città di Torino (Urbanistica, Verde, Mobilità, Rigenerazione Urbana) rispetto alle politiche, i piani e i programmi dell’Amministrazione; Ferrovie Sistemi Urbani per questioni nel merito delle singole aree; Ai Group rispetto all’istruttoria di progetto; Urban Lab per i dati socioeconomici e le mappature.

18 il lavoro di lettura territoriale ha provato a sintetizzare le caratteristiche territoriali delle parti di città oggetto della discussione, analizzandole trasversalmente attraverso un sistema di 21 indicatori socioeconomici urbani e 6 mappe tematiche. L’istruttoria completa è disponibile qui: http://www.urbancenter.to.it/rail-city-lab/ (ultimo acceso novembre 2019).

19 con il supporto di AI Studio e dell'agenzia di comunicazione di Bellissimo.

20 in occasione della prima presentazione pubblica degli esiti del workshop (30 ottobre 2019) Urban Lab ha edito una pubblicazione che raccoglie quanto emerso durante la discussione. La pubblicazione completa è disponibile al seguente link: http://www.urbancenter.to.it/rail-city-lab-gli-esiti/ (ultimo accesso novembre 2019).

21 I tre gruppi di lavoro tematici sono stati accompagnati da alcune figure professionali chiamate a ricoprire ruoli diversi. Ogni gruppo di partecipanti è stato guidato da un coordinatore, esperto della materia urbanistica e della tematica affrontata, ma allo stesso tempo outsider rispetto al processo politico urbano torinese. A ciascun tavolo tematico erano presenti anche su: tecnici della Città di Torino (Urbanistica, Verde, Mobilità, Rigenerazione Urbana) rispetto alle politiche, i piani e i programmi dell’Amministrazione; Ferrovie Sistemi Urbani per questioni nel merito delle singole aree; Ai Group rispetto all’istruttoria di progetto; Urban Lab per i dati socioeconomici e le mappature.
Il workshop ha coinvolto un gruppo eterogeneo di soggetti. Le professionalità di architetto e ingegnere sono state quelle rappresentate in misura maggiore, anche se numerosi sono stati i rappresentanti del mondo economico, delle imprese e del mercato immobiliare, dell’accademia e della ricerca. In generale i lavori dei tavoli si sono caratterizzati per un clima di collaborazione e confronto, in ottica additiva piuttosto che oppositiva, con temi man mano sviluppati da voci diverse, senza particolari contrasti.


 

Riferimenti bibliografici

Immagini

Fig.1 Le sette aree ferroviarie e i quadranti urbani coinvolti (© Torino Urban Lab, 2019).

Fig.2 Analisi territoriali e esiti della discussione sono stati raccolti da Torino Urban Lab e sono disponibili per il download su www.urbancenter.to.it  (© Torino Urban Lab, 2019)

Fig.3 I lavori del workshop “Rail City Lab” (29-31 maggio 2019).

Fig.4 La presentazione pubblica degli esiti del workshop, con il coinvolgimento di proprietà, attori istituzionali, esperti torinesi e non (30 ottobre 2019).










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