1.Alle origini del tema.
Ormai da qualche tempo, urbanisti, architetti, economisti, sociologi e tutti gli esperti di settore concordano che l’economia nei prossimi decenni si vada sempre più concentrando nelle grandi aree urbane, con ricadute decisive sul mercato immobiliare. Da molti anni infatti, nelle grandi città i progetti di largo respiro, sia in termini di quantità sia di qualità del prodotto finale, sono diventati il punto di riferimento del mercato immobiliare.
Sempre da diversi anni, al progressivo esaurirsi della fase espansiva delle città (anche se, naturalmente, rimane sempre aggressivo il consumo di suolo, spesso per il trascinarsi di previsioni di epoche precedenti) ha fatto riscontro l’emergere di un nuovo orientamento a favore del ritorno all’esistente, sia nel recupero e riqualificazione del tessuto edilizio consolidato, sia nel rimettere in circolo portafogli, spesso di notevole entità, costituiti dai sedimi di vecchi opifici abbandonati dall’attività industriale o di aree di proprietà di grandi operatori territoriali. Lo Stato è presente attraverso l’Agenzia del Demanio, gli Enti territoriali, Comuni e Iacp (comunque denominati) per le aree sovrastimate delle zone di 167, le Ferrovie dello Stato o le Autorità portuali per i processi di profonda trasformazione e riorganizzazione avviati negli ultimi anni nella produzione dei servizi di mobilità espletati, dall’alta velocità/capacità ferroviaria alla movimentazione via mare di persone, contenitori e merci.
Dalla seconda metà degli anni Ottanta in poi, il Ministero dei lavori pubblici (Segretariato generale del CER prima e Dicoter dopo) - anche grazie agli studi e all’attenzione prestata su quanto stava avvenendo in Europa (da Berlino a Londra, da Lione a Barcellona) nelle trasformazioni urbane e nelle operazioni di recupero del patrimonio edilizio e sulla loro portata urbanistica -, aveva avviato una riflessione sulle nuove modalità possibili di affrontare congiuntamente il problema della casa e quello della crescente centralità delle città, con la necessità di mettere in campo politiche finalizzate a migliorare la qualità economica, sociale ed ambientale del contesto urbano.
Furono così elaborati i Programmi di trasformazione urbana (integrati, di recupero, di riqualificazione) e quelli di Sviluppo sostenibile del territorio (in cui erano presenti soggetti pubblici e privati che conferivano proprie risorse finanziarie consentendo, in questo modo, la riappropriazione da parte della collettività di una quota delle rendite che nel tempo si erano accumulate in ragione dello sviluppo urbano generato dallo stesso intervento pubblico e incamerate integralmente dal soggetto privato), all’interno di programmi caratterizzati da funzioni e strategie d’intervento a prevalente interesse pubblico, in cui l’abitazione rimaneva la tessera più importante di un mosaico più complessivo.
Nel 1993, anche per sperimentare formule partenariali innovative fra soggetti pubblici nell’elaborazione di progetti urbani da attuare nell’ambito d’interventi di riqualificazione e di recupero di intere parti di città, fu sottoscritto un protocollo d’intesa fra Ministero dei lavori pubblici e Ferrovie dello Stato per l’utilizzo delle aree di sedime delle infrastrutture ferroviarie che si riteneva possibile dismettere dall’uso originario, con l’obiettivo di rendere disponibile all’azione pubblica e utilizzabile per finalità d’interesse generale, aree e costruzioni che, dal dopoguerra in poi, avevano assunto, per la loro sopraggiunta centralità, un ruolo strategico.
Erano anche gli anni in cui il nostro paese, con il programma Urban in avvio alla fine degli anni Ottanta e la sua attuazione nei primi anni Novanta, condivideva con altri Paesi europei un comune orizzonte di politiche innovative e sperimentali. Con i Programmi di riqualificazione e gli Urban, l’attenzione si spostò sul governo delle trasformazioni urbane e sui suoi attori: città pubblica e città privata, residenza e funzioni non residenziali, attori dello sviluppo locale sia economico sia sociale.
La fine degli anni Novanta ci consegnò una progettualità più matura e riconoscibile, con alcune punte di eccellenza, dove il partenariato urbano e territoriale - istituzionale, sociale ed economico- era diventato un usuale metodo di lavoro basato sulla condivisione delle scelte e dove, con maggiore semplicità ed efficacia, era possibile dare applicazione agli indirizzi di sviluppo dello spazio comunitario (elaborati nelle grandi assisi da Lisbona a Göteborg) a favore di modalità integrate di trasporto e di comunicazione, di un sistema di città policentrico e più equilibrato, di una maggiore cura del patrimonio naturale e culturale tramite una gestione attiva e prudente.
Questi indirizzi di politica territoriale e delle infrastrutture, furono posti a base di alcuni Programmi innovativi – dal Programma S.I.S.Te.M.A. al Programma (che sosteneva la formazione congiunta) di Piani strategici e di Piani della mobilità al Programma Porti e Stazioni. Tutti questi programmi in varia misura si proponevano di creare una nuova offerta territoriale, capace di connettere progetti di sviluppo locale e sistema delle reti, e di coniugare coesione e competitività, quali esiti di un governo integrato del processo di progettazione e realizzazione delle opere e degli interventi previsti.
Con delibera Cipe 12 agosto 1992, l’Ente Ferrovie dello Stato è stato trasformato in società per azioni avviando la separazione tra servizi e infrastrutture e determinando, di conseguenza, la perdita della natura demaniale e pubblica del patrimonio immobiliare conferito dallo Stato, e la sua privatizzazione a favore di una gestione finanziaria orientata all’incremento della rendita fondiaria prodotta attraverso il processo di riconversione delle aree ferroviarie.
Negli stessi anni e in parallelo alle iniziative ministeriali (non necessariamente collegate), all’interno del gruppo FS, nascono via via alcune società, da Metropolis (1991), per gestire e valorizzare il patrimonio immobiliare di Ferrovie dello Stato a Grandi Stazioni (1998), finalizzata alla gestione e riqualificazione dei complessi immobiliari delle 14 maggiori stazioni italiane, ed a Cento Stazioni (2002), mirata all'utilizzazione, gestione e riqualificazione dei complessi immobiliari di 103 stazioni della rete nazionale.
A seguito di divisioni, riacquisizioni e creazione di nuove società, FS da ultimo ha affidato la gestione e la valorizzazione del suo patrimonio immobiliare a Grandi Stazioni immobiliare e a FS Sistemi Urbani. In molti casi, la dotazione già imponente di aree ed edifici di FS è stata ulteriormente incrementata dalla delocalizzazione di alcuni scali – molti dei quali ubicati nelle zone centrali delle grandi città – che ha determinato la disponibilità di enormi quantità di aree, molto spesso nelle parti più pregiate dei centri urbani.
Abbiamo detto che fra i soggetti pubblici possessori di aree “disponibili” ed edifici localizzati nelle parti centrali delle città, assume un particolare rilievo il patrimonio immobiliare dello Stato non utilizzato per la PA e gestito dall’Agenzia del Demanio e le Ferrovie dello Stato. Concentriamo ora la nostra attenzione sulle Ferrovie.
Molto spesso, le aree urbane circostanti le stazioni ferroviarie e le aree di proprietà di FS in via di dismissione sono caratterizzate dal degrado edilizio, ambientale, sociale ed economico. Un Comune che si trovi a dover gestire una simile situazione si porrà probabilmente l’obiettivo strategico (quando il Comune e quando un obiettivo strategico ci sono, come nel caso di Milano, non certo in quello di Roma) di avviare un progetto di riqualificazione e di valorizzazione dei tessuti urbani compresi in quell’intorno, al fine di sottrarli a un definitivo abbandono oppure agli eccessi di speculazione fondiaria ed edilizia, con tutte le abituali implicazioni (quali le inopportune rendite urbanistiche e amministrative, gli eccessivi e unilaterali costi pubblici di urbanizzazione e infrastrutturazione, i tempi di attuazione dilatati). Si tratta di trasformare queste aree in spazi decenti per vivere, con servizi e infrastrutture, restituendo loro, o costruendo per la prima volta, nuove occasioni di centralità urbana.
Si elaborano allora programmi d’intervento - in genere relativi a due aree il cui confine è rappresentato dalla linea ferroviaria - mirati alla riqualificazione e al tentativo di riconnessione di parti diverse della città, impedita proprio dallo stato di degrado e/o di abbandono della stessa stazione e dalla barriera costituita dalla ferrovia.
In genere, si tratta di programmi di riorganizzazione e valorizzazione di ampie zone urbane avviati di concerto da Comune e Ferrovie dello Stato (due soggetti che operano con finalità pubbliche), accomunati dall’interesse di riconnettere in un disegno unitario obiettivi urbanistici comunali e iniziative di FS - tendenti sia alla riqualificazione delle stazioni ferroviarie (e loro possibile destinazione anche ad altri usi) che alla valorizzazione delle contigue aree dismesse di proprietà - e di avviare, attraverso questo percorso, un processo strategico di trasformazione urbana in grado di coniugare riqualificazione ambientale, produzione edilizia di qualità e sviluppo economico.
Il programma è condotto dall’Amministrazione comunale in partnership con FS, RFI (e società immobiliari di loro emanazione) attraverso la sottoscrizione di un accordo di programma per il perseguimento essenzialmente di due obiettivi:
- migliorare l’efficienza e la qualità del servizio ferroviario, riorganizzando e riqualificando la stazione con i relativi servizi e lo spazio antistante quale nodo di connessione tra i trasporti pubblici nazionali, regionali e locali (anche intervenendo sulla stessa infrastruttura ferroviaria);
- realizzare all’intorno di tali nodi, nelle zone già edificate e nelle aree dismesse, una riqualificazione urbana come effetto della riorganizzazione delle condizioni di accesso e mobilità.
A questo proposito, in genere s’intraprendono le seguenti le azioni:
- individuazione e delimitazione delle aree d’intervento, e messa a punto delle iniziative urbanistiche e/o edilizie da intraprendere per risolvere le criticità rilevate;
- elaborazione dei progetti urbanistici, interventi edilizi e infrastrutturali idonei ad avviare le procedure per il finanziamento degli interventi, anche ricorrendo a capitali privati (meglio dire, principalmente!);
- organizzazione delle modalità operative e procedurali per la loro realizzazione, dai processi pubblici di consultazione e condivisione alle procedure di pubblicità, dalla definizione dell’interesse pubblico alle modalità di affidamento.
Si è già detto come molte città - soprattutto quelle grandi, ma qualche volta anche quelle medie - dalla fine degli anni ’80 si sono strutturate, in Italia e negli altri paesi europei, quali motori di sviluppo, riuscendo qualche volta a coniugare attivismo produttivo con elementi di coesione sociale, o più spesso non riuscendoci.
I processi in atto di globalizzazione degli scambi e internazionalizzazione dei processi hanno spinto verso la riorganizzazione di ampie aree geografiche. Si sono così consolidati sistemi territoriali innovativi, sono cresciuti nuovi apparati economici e sociali, e le città si sono poste al centro di questi sistemi caratterizzandosi per la compresenza di strutture produttive e centri formativi, di poli universitari e luoghi di ricerca avanzata, di strutture sanitarie di livello superiore, di offerte turistiche aperte, di infrastrutture per la mobilità di massa sempre più ecosostenibili, metropolitane, bus elettrici, automobili elettriche (non più private, ma condivise e ridotte a puro mezzo di mobilità e, in una prospettiva sempre più vicina, “guidate” dall’informatica), biciclette con pedalata assistita. Modelli economici e sociali in parte ancora inediti potenziano l’organizzazione delle città, inserendole all’interno di una traiettoria di competitività sempre più spinta.
Le “quantità” della città novecentesca non ne determinano più il posizionamento gerarchico. La strategicità è affidata di solito alle alleanze e al sistema di relazioni, alla capacità di generare cultura, di attrarre e generare flussi di persone merci e informazioni. Città che hanno promosso reti collaborative si muovono spesso come città-stato in lotta fra loro.
Anche le politiche pubbliche sulle città, ne abbiamo fatto cenno più sopra, sono andate man mano trasformandosi: in particolare hanno dovuto sottoporsi a innovazioni di processo, ed elaborare nuove forme d’intervento, dal controllo di gestione al coordinamento delle strategie.
La classica diarchia tra pubblico e privato non regge più, ormai non bastano (o non servono) gli strumenti coercitivi propri del potere pubblico, le procedure amministrative, i decreti espropriativi, la strumentazione burocratica indifferente ai costi di realizzazione e di gestione, incurante della provvista finanziaria, facilmente trasferibile sul deficit pubblico.
2. Tra visione e pragmatismo.
Milano è la città italiana che più di tutte negli ultimi venticinque anni ha saputo avviare intensi processi di trasformazione, grandi operazioni di rigenerazione urbana che hanno privilegiato insieme obiettivi sociali ed economici, tanto da divenire la città con la maggiore capacità di attrarre nuovi residenti (studenti e lavoratori con le più diverse qualifiche), sedi di aziende nazionali e, ancor di più, multinazionali, e quindi altri capitali.
Nel corso del 2018, Milano, con circa tre mld di euro, è stata la città europea che nel settore immobiliare ha fatto registrare il maggior numero di investimenti dall’estero, circa il 48% del totale, seguita da Monaco e Barcellona con il 40%.
Scenari Immobiliari stima che Milano nel prossimo decennio sarà in grado di attrarre nell’immobiliare capitali per oltre 13 miliardi di euro, superando in Europa, Monaco (10,8 mld), Amsterdam (10,2), Stoccolma (9,5), Dublino (9,1) e Madrid (8,7). I più rilevanti interventi di trasformazione urbana interesseranno una superficie di oltre 12,5 milioni di metri quadrati, su cui potranno essere edificati 6,3 milioni di mq (2,7 mln nell’edilizia residenziale; 1,3 mln nel terziario; 1 mln nel commerciale 650 mila in funzioni pubbliche di interesse generale). Trasformazioni che determineranno “un impatto sul mercato immobiliare stimabile nell’ordine di grandezza di almeno 21 mld, per il 60% nel settore residenziale”. 1
Negli ultimi anni, sia a livello nazionale sia, soprattutto, a Milano, nel mercato immobiliare, il comparto degli uffici e l’attività di riconversione di vecchie abitazioni ubicate nel centro storico in residenze temporanee e hotel (l’hospitality) sono diventati i due settori più dinamici e resilienti. Importanti operatori del settore immobiliare prevedono, nel giro di 4/5 anni, l’esaurirsi della disponibilità di alloggi nel centro di Milano, non compensata da nuove iniziative per mantenere ampia l’offerta. Gli effetti sul mercato dell’affitto potrebbero essere dirompenti, e non solo per gli abitanti meno abbienti. “Nella città-stato i prezzi stanno diventando una cosa seria. In questi giorni di Bookcity – ma le settimane in cui non c’è qualcosa ormai sono pochissime - impossibile trovare un Airbnb sotto i 120 euro. Per chi ha fatto il grande passo, e decidere di stabilirvisi, millecinquecento è il prezzo per l’oggetto dei desideri, il “bilo”2(il bilocale).
La gestione di queste iniziative, quando dalle proiezioni (ancorché assolutamente attendibili) si passa alla fase realizzativa, è affidata al nuovo Piano di Governo del Territorio (PGT), ai Piani Integrati di Intervento (PII) e agli Accordi di Programma (AdP), strumenti attuativi per programmi di tale entità.
A un AdP, in particolare, è affidata la trasformazione urbanistica delle aree ferroviarie dismesse e in dismissione degli ex Scali Ferroviari.3
Ferrovie dello Stato, RFI e le altre società del gruppo, a cominciare da Metropolis all’inizio degli anni Novanta, hanno partecipato a tutti i programmi ministeriali, puntando, naturalmente, sulla riqualificazione di parti di città, piuttosto che su nuove espansioni urbane, anche se per molti anni gran parte dell’attenzione di FS è stata rivolta alla riqualificazione “dell’oggetto stazione”, per “valorizzare e reinventare lo spazio pubblico trasformando i complessi immobiliari delle grandi stazioni in piazze urbane. Da anonimi luoghi di transito le stazioni diventano centri servizi tra i più affollati d’Europa, punti d’incontro, luoghi d’arte, di eventi e di cultura”.4
Negli anni la disponibilità di aree era molto cresciuta, sia per la necessità di ottimizzare l’uso dell’infrastruttura ferroviaria, aumentando in particolare la domanda di linee ad alta velocità/alta capacità e scaricando al tempo stesso altri binari così liberati dall’uso ferroviario, sia per la crescente domanda di centri intermodali per lo scambio di merci con il trasporto su gomma, organizzati come sistemi integrati delle diverse modalità di trasporto e ubicati necessariamente al di fuori dei centri urbani.
La profonda trasformazione della logistica, come ebbe a sostenere Carlo De Vito rappresentante di RFI nel corso della Seconda Conferenza Nazionale del Territorio organizzata a Caserta dal MIT nel giugno del 2003, ha comportato la nascita di FS in quanto grande protagonista delle trasformazioni urbane.
Però in quei primi programmi ministeriali, e nel progetto urbano che ne derivava - comunque definito dagli strumenti urbanistici attuativi e/o dagli atti d’intesa e/o da quelli contrattuali ritenuti più idonei e dagli interventi pubblici e privati oggetto d’intervento - la partecipazione, che pure c’è stata, non ha mai assunto caratteri di vera e propria strategicità.
In alcuni casi, la presenza di FS e di RFI era infatti rivolta per lo più alla riqualificazione dell’edificio stazione e delle aree interne di svolgimento del servizio o di quelle immediatamente circostanti, comportando la riorganizzazione interna ed esterna del nodo trasportistico e il miglioramento della qualità ambientale e dell’accesso a uno spazio pubblico dove s’interfacciano differenti modalità di trasporto (treno-gomma o, raramente, treno-metropolitana-gomma). Altre volte, si è lavorato con il fine di migliorare l’accessibilità ad aree già edificate, favorendo la realizzazione di strutture di scavalcamento o sovrappassi dei fasci di binari e la riorganizzazione funzionale delle aree limitrofe. In altre volte ancora, si è proceduto all’eliminazione della barriera fisica della ferrovia quale vincolo paesistico ambientale e alla riqualificazione delle aree liberate da destinare a servizi pubblici o a interventi privati.
In tutti i casi esaminati, quella che è venuta affermandosi nel corso di questi anni anche grazie all’esperienza che si è accumulata, rispetto alle iniziali durezze di approcci che privilegiavano quasi esclusivamente il rispetto unilaterale delle iscrizioni in bilancio, è stata l’accettazione da parte di FS di un metodo fondato sulla capacità di partecipare a modalità innovative di promozione, progettazione, realizzazione e gestione degli interventi, attraverso l’integrazione di politiche urbanistiche e di settore e la concertazione fra attori diversi dello sviluppo urbano.
Il Comune di Milano, dal 2005 ad oggi (con avanzamenti e arretramenti, e anche con un lungo periodo di fermo), ha condiviso con FS, RFI e FS Sistemi Urbani S.r.l. l’iniziativa della trasformazione urbanistica delle aree ferroviarie dismesse e in via di dismissione. Inizialmente, a luglio del 2005, ci fu una prima intesa fra Comune e Ferrovie dello Stato sottoscritta da Gabriele Albertini (in carica dal 12 maggio 1997 al 30 maggio 2006) con la quale si prevedeva la riqualificazione delle aree ferroviarie dismesse ed il potenziamento del sistema ferroviario milanese. Il 27 luglio 2007, l’intesa assunse le vesti di variante urbanistica con la firma di Letizia Moratti (30 maggio 2006/1 giugno 2011). L’Accordo è stato poi sottoposto nel 2012 a una sostanziale revisione, in particolare per quanto riguarda i carichi insediativi, dall’amministrazione di Giuliano Pisapia (1 giugno 2011/21 giugno 2016) e ha trovato conferma, con alcune ulteriori modifiche, con Giuseppe Sala, oggi in carica come Sindaco (già Direttore Generale del Comune con Letizia Moratti sindaco). Un atto varato con il consenso di un’ampia maggioranza consiliare (la questione degli scali, inizialmente approvata e poi avversata, è stata qualche mese fa ri-condiviso anche dal centro-destra che, probabilmente, non vuole passare per la forza politica che si è schierata contro una iniziativa di questa portata, anche nella speranza di un futuro rientro a Palazzo Marino). Così ha potuto proseguire nell’iter amministrativo, pur con profonde modifiche, durante i molti anni necessari, a prescindere di chi fosse al governo della città, senza che il sindaco successivo mandasse all’aria il lavoro svolto da quello precedente (evento rarissimo in Italia, a qualunque livello dell’amministrazione della cosa pubblica)5.
Su questo riconoscimento che dura ormai da quindici anni non si ha alcun motivo per dubitare d’improvvise inversioni di marcia.
3. I sette scali ferroviari di Milano.
Le sette grandi aree ferroviarie milanesi oggetto dell’Accordo di programma erano localizzate, fino a qualche decennio fa, in posizione marginale rispetto allo sviluppo urbanistico della città. Infatti nel periodo del boom economico (quando Milano e Torino erano i luoghi centrali dello sviluppo industriale italiano) si ponevano infatti come aree di cerniera fra l’edificato e i grandi insediamenti industriali.
La riconversione industriale e la riorganizzazione del processo produttivo ne hanno decretato la caduta d’interesse e un pressoché totale abbandono; la nascita quarant’anni dopo del più importante mercato immobiliare italiano, insieme alla dichiarazione di costituire un patrimonio immobiliare non più funzionale all’esercizio ferroviario6, ha fatto uscire queste aree dall’oblio in cui erano cadute, e le ha rilanciate al centro dell’interesse del mercato grazie alla sopraggiunta centralità rispetto alla città edificata.
Certo, come qualcuno sostiene, la loro estraneità alla città, come spesso avviene in queste vicende, si presenta con due facce opposte. La separatezza dal processo di sviluppo urbano - fatta di muri e di barriere, di binari morti e di capannoni e ferro-rimesse abbandonate, che nel tempo hanno dato luogo a ciò che gli urbanisti chiamano vuoti urbani, zone prive o carenti di adeguata disciplina pianificatoria (nel caso in esame, erano qualificate come aree ferroviarie con edificabilità pari a zero) - le ha trasformate in luoghi trascurati, habitat naturalistici a volte inselvatichiti, sottratti all’edificazione più o meno intensiva, lontano dall’attenzione di speculatori e prive di apprezzamenti di valore. Sono aree dimenticate anche dai cittadini, deprivate di valori sociali, estranee al concetto di bene comune, e non appartengono a progetti socialmente condivisi.
Le aree in questione, come recita l’AdP per la loro trasformazione urbanistica, “[…] interessano circa un milione e duecentomila mq, dei quali circa un milione di mq riguardano aree dismesse e in dismissione mentre la rimanente parte è costituita da aree strumentali […].”7
Dunque un’occasione straordinaria per lo sviluppo urbanistico, e non solo, della città. Bene! Si è di fronte al più classico dei confronti/scontri fra interessi contrapposti. Da una parte, il Comune di Milano vuole intervenire per la riqualificazione e il riuso di quest’enorme quantità di aree, che grazie alla stessa attività della collettività nel suo insieme, godono oggi di un vantaggio posizionale non indifferente, ma che non sono di sua proprietà. Dall’altra parte, Ferrovie dello Stato, un soggetto para-istituzionale, che però agisce per quello che è, una società per azioni, e attraverso un accordo con il Comune persegue l’obiettivo di massimizzare il proprio guadagno, pur con un occhio attento alle esigenze delle centinaia di migliaia di cittadini che si trovano in mezzo ai due contendenti, e che sono direttamente interessati a quello che avviene al confine con le loro abitazioni.
In sostanza, a fronte dell’impegno di FS di cedere una parte delle aree allo stesso Comune per destinarle ad usi pubblici e di intervenire finanziariamente per il miglioramento dei trasporti urbani8, il Comune, con una variante urbanistica, dovrebbe procedere al loro mutamento di destinazione d’uso (da ferroviario a residenziale, commerciale, direzionale, per attrezzature, comunque usi che ne rendano possibile lo sfruttamento immobiliare).
Da qui, il lungo tempo trascorso (oltre quindici anni e quattro Giunte comunali) nel tentativo di contrattualizzare, non senza difficoltà, un possibile accordo.
Inizialmente, la variante urbanistica del 2009 (prevista dall’Accordo Moratti del 2007), a fronte di circa 1.100.000 mq di aree da dismettere (cui aggiungere 190.500 mq funzionali all’esercizio ferroviario), prevedeva 845 mila mq di slp (superficie lorda di pavimento), di cui 236 mila mq da destinare a edilizia sociale e convenzionata e a funzioni d’interesse generale, per 25 mila abitanti insediabili. Come prometteva l’assessore C. Masseroli, “[…] 10 mila nuovi alloggi, di cui 3.600 di housing sociale, da vendere a duemila euro al metro quadrato o da affittare a 500 euro al mese. Ma soprattutto realizzeremo 750mila metri quadrati di spazi pubblici in gran parte destinati a verde”9.
Con l’arrivo della Giunta Pisapia, che non condivideva alcune previsioni realizzative, l’Accordo fu accantonato. Dopo un periodo di due anni, nel corso dei quali Comune e Ferrovie ritrovarono una nuova intesa con il blocco della paventata “cementificazione” fatta intravvedere da Masseroli, la nuova ipotesi di Accordo cambia profondamente le precedenti quantità. Si prevede infatti di destinare oltre il 50% del totale delle aree ad attrezzature d’interesse generale, una superficie lorda di pavimento edificabile di poco superiore a 676 mila mq (con una riduzione del 20% rispetto alla previsione precedente), oltre 156 mila mq da destinare ad alloggi sociali, riducendo a circa 15 mila gli abitanti insediabili e a 2600 gli alloggi sociali. La diminuzione degli alloggi di edilizia sociale fu comunque ritenuta eccessiva e ancora troppo alto il beneficio lasciato a FS: l’ipotesi di Accordo fu respinta dal Consiglio Comunale nel corso delle sedute del novembre-dicembre 2015.
Da ultimo, con la Giunta Sala, il Consiglio Comunale a luglio 2016 ha approvato le Linee Programmatiche di governo del territorio insieme al documento relativo alle “Dieci occasioni per rendere concreta la nostra visione della città”. Successivamente, con una delibera del novembre 2016, considerato che “[…] Le aree ferroviarie non più funzionali all’esercizio ferroviario […] rappresentano, sia complessivamente che singolarmente potenzialità eccezionali di rigenerazione urbana e di sviluppo economico e sociale […]”10, lo stesso Consiglio approva la prosecuzione delle intese con Ferrovie, giungendo all’ultima versione dell’Accordo con contenuti molto simili a quelli del 2015. Con la delibera di novembre, la linea strategica fino ad allora seguita dall’Amministrazione è confermata con grande chiarezza: “[…] da qui parte la rigenerazione sostenibile, ricostruire infrastrutture verdi, generare un mix di funzioni e creare relazioni forti con l’area metropolitana milanese. Con questi interventi Milano si propone come un modello di riferimento europeo per la rigenerazione urbana di tipo diffuso, in cui lo spazio pubblico e le aree verdi diventano fattore di promozione della qualità urbanistica e ambientale, identificazione collettiva e appropriazione sociale […]”11.
La Delibera è stata approvata da tutti i gruppi consiliari, nessun voto contrario e la sola astensione di quattro consiglieri, tre dei 5S e uno di Rifondazione comunista.12 Il nuovo Sindaco e i suoi assessori, sulla base della delibera, hanno individuato gli obiettivi strategici e i temi prioritari per uno sviluppo sostenibile della città e del territorio metropolitano13, approvando la prosecuzione delle intese con Ferrovie e sottoscrivendo un nuovo Accordo riferito agli scali ferroviari (le quantità previste sono molto simili a quelle del 2015).
Nel 2013 De Cesaris, Assessore all’Urbanistica della Giunta Pisapia, aveva incaricato il Dipartimento di Architettura e Studi Urbani del Politecnico di Milano di produrre uno studio finalizzato a conoscere le aspettative e le attese delle comunità locali (“un percorso di ascolto” lo aveva definito il Comune) in relazione alla trasformazione degli scali ferroviari14. Una serie di incontri, nella forma del dibattito pubblico, ha coinvolto le istituzioni decentrate (i Consigli di zona), le associazioni locali e i cittadini. Lo studio, molto approfondito, è stato pubblicato a maggio 2014, diventando un allegato alla proposta di Accordo bocciata nel 2015.
Anche se il Comune ha avviato una nuova fase di consultazione da cui derivare ulteriori elementi d’interesse dalle richieste dei cittadini, alcune domande e attese “forti” non possono non essere accolte, questioni che ricorrono ogniqualvolta ci si trova, come dicevamo all’inizio di questo lavoro, ad affrontare problematiche di questo genere. Bene fa il Comune a incentivare la partecipazione dei cittadini ai progetti di riqualificazione, poiché la crescita di una domanda consapevole aiuta le istituzioni e tutti gli altri soggetti interessati alla trasformazione ad assumere le decisioni più opportune. La formula migliore appare ancora quella delle arene deliberative del dibattito pubblico (il débat public francese), che prevede di consultare i cittadini prima di prendere decisioni relative a opere o interventi di una certa rilevanza, e che soprattutto aiuta a far crescere il senso di responsabilità rispetto a utilità e costi di realizzazione.
Accanto alla questione della casa, sia in proprietà sia in affitto (che è sempre il tema fondamentale del rapporto Comune-Ferrovie), da affrontare tenendo conto della nuova conformazione della famiglia, ma anche dell’invecchiamento della popolazione, e delle nuove e diseguali condizioni economiche e finanziarie, si ritrovano sul tavolo della trattativa altri tre temi prioritari.
Un primo tema riguarda il superamento delle barriere, la necessità di ricucire e riconnettere parti di città, cosicché l’intervento tende ad essere vissuto come occasione per passare da uno spazio murato e intercluso a un nuovo spazio di relazione tra parti anche molto differenti di città15. Poi c’è la richiesta insistente di qualità urbana, e quindi le aree degli scali dovrebbero diventare sede di servizi e centralità urbane a scale differenti, per contribuire a rigenerare e rivitalizzare parti urbane “periferiche”16. Infine, la richiesta di una quota di spazi aperti da destinare a parco, in quanto appare diffusa e radicata un’idea di parco entro la quale le dimensioni della gestione e della cura, in collaborazione con cittadini e associazioni, diventino fondamentali […], un modo per garantire presidio dello spazio pubblico. [Inoltre], […] la possibilità di integrare il sistema del verde e delle attrezzature pubbliche alla scala allargata, traguardando le aree verdi dentro gli scali come tasselli di sistemi più ampi17.
L’insieme di queste condizioni, con la loro proiezione nel tempo e nello spazio, e con la complessa gestione e organizzazione tecnico-amministrativa, costituiscono il progetto di città che Milano ha inteso costruire per i prossimi venti/trenta anni, dove i temi più rilevanti riguardano la realizzazione e l’uso di attrezzature e spazi pubblici (anche d’iniziativa e proprietà privata), insieme alla creazione di una rete di corridoi ecologici e di naturalità che mettano in relazione le aree d’intervento con gli altri parchi urbani, con il sistema dei navigli e con le aree naturali esterne alla città consolidata.
D’altro canto, però, la trasformazione d’interi pezzi di città richiede tempi lunghi, e le progettazioni e le realizzazioni dureranno anni (finora, ne sono occorsi quindici per la sola fase della concertazione; si ritiene che ce ne vorranno altri 15 o 20 prima che tutti gli scali siano definitivamente riqualificati), durante i quali le stesse condizioni istituzionali, economiche e sociali che sono ancora oggi in buona parte imprevedibili (o anche quelle di un domani più vicino) potranno subire variazioni, rielaborazioni, cancellazioni. Anche per questo, opportunamente, le richieste degli abitanti, che contribuiscono ad arricchire e qualificare le fasi successive del processo, in sintonia con gli esperti del Politecnico spingono per l’avvio di usi temporanei degli spazi e/o degli edifici, anche parziali e discontinui, [con la] riattivazione temporanea degli immobili in abbandono; con strategie agili [con le quali] si possono ottenere prime riabilitazioni urbane in tempi rapidi e con interventi leggeri, con l’obiettivo di restituire alla comunità locale un “bene comune” che consenta l’attivazione di eventi e servizi, ma anche lo sviluppo di attività culturali, sociali, di microeconomie urbane18.
Come in molte altre situazioni, anche nel rapporto con le Ferrovie dello Stato, Milano rappresenta, con tutta probabilità, la realtà più avanzata in Italia.
Intanto, soprattutto negli ultimi anni, è venuta crescendo la visione di una città nuova, elaborata progressivamente, per aggiustamenti successivi, con iniziative sociali d’interesse generale e con progetti urbani di rilevanza nazionale e internazionale. Interventi che hanno contribuito a modificare il volto della città e hanno consolidato e affinato le capacità professionali dell’amministrazione comunale, concorrendo, tutti insieme, a restituire l’immagine di una città che persegue tenacemente gli obiettivi che si è data ( basti ricordare, nell’ambito delle pratiche di governo strategico del territorio avviate dai primi anni 2000, il progetto “Città di città” e i “Piani d’Area”, elementi chiave di un processo di pianificazione per accordi, facendo ricorso a forme di governance multilivello).
Poi, il rapporto con FS (elemento di fondamentale importanza nell’elaborazione di questo progetto per una nuova Milano), inizialmente avviato da una amministrazione di centro-destra è stato (anche se con molte modifiche) confermato dalle successive Giunte di diverso orientamento politico. Un comportamento non comune, frutto di maturità politica, di un’attenzione all’uso del denaro pubblico (oltre che alle altre risorse utilizzate) e della non trascurabile efficienza dell’amministrazione comunale milanese (qualità che si ha motivo di ritenere che saranno confermate nella successiva gestione del procedimento avviato).
Milano ha saputo utilizzare in maniera efficace investimenti pubblici e investimenti privati, dotarsi di una capacità amministrativa strutturata, garantire continuità nei progetti tra fasi di gestione politica di diverso orientamento, offrire certezza delle regole e una gestione politica in grado di fare scelte a lungo termine, dando fiducia agli investitori sul mantenimento di un orizzonte temporale pluriennale, senza il quale è difficile sperare in qualunque investimento (e rendita fondiaria e immobiliare non hanno certo paura dei tempi lunghi!). Non vi è dubbio che quello di Milano è un sistema che si autoalimenta, i nuovi investimenti attraggono personale qualificato che ha bisogno di nuovi insediamenti i quali a loro volta necessitano di nuova infrastrutturazione, e richiedono altri investimenti, e via dicendo,19 con ricadute di indubbia crescita della qualità dell’amministrazione comunale. Le differenze con Roma sono davvero notevoli e in tutti i settori: il declino della città come centro nevralgico del Paese e il suo ruolo ormai limitato a quello di semplice capitale burocratica e amministrativa sono sotto gli occhi di tutti (ma questa è un’altra storia, cui magari dedicare un altro numero di EWT).
4. Una città che volle farsi Stato. Ma non troppo.
Nel corso di un recente convegno, caratterizzato secondo quanto riportato dalla stampa dalla aperta polemica fra ministro per il Mezzogiorno e Sindaco sul carattere “Egoista o no?” di Milano (oltre che da quella con i governatori nordisti del centrodestra), non a caso Giuseppe Sala parla delle multi-utility della città come esempio di buona gestione (ma il suo riferimento era, naturalmente, all’intera amministrazione comunale come esempio di buon governo), dichiarandosi pronto a trovare una formula per allargare il loro raggio d’azione anche altrove. “Parliamone “ dice, rivolto anche al governo centrale oltre che ad amministratori di altri enti locali.20 Subito dopo però, il Sindaco ammette che “[…] oggi è vero che Milano sta un po’ fagocitando tutta la crescita che il nostro Paese potrebbe meritare […]”21, mettendo un po’ le mani avanti, quasi a fronteggiare l’accusa di Provenzano di un fossato sempre più profondo che la città (come sta avvenendo del resto nel mondo intero per tutte le altre grandi città)22 si sta scavando intorno, in una sorta di ricercato isolamento dal resto dei territori, da “quei luoghi che non contano” (anche servendosi di una formidabile capacità di comunicare “qualità diffusa”, con il percepito che si fa crescente realtà), costruendosi addosso l’immagine di una città che vuole farsi Stato (che, in realtà, già ragiona come le altre città-Stato del mondo).
Sarebbe interessante sperimentare da qualche parte in Italia quanto evocato dal sindaco di Milano: che cioè amministrazioni dotate di maggiori competenze ed efficienza possano affiancare e supportare, nello svolgimento di progetti di una qualche complessità, o anche solo per riportare a normalità situazioni di particolare deficit gestionale o finanziario (molte volte le due cose camminano insieme), altre amministrazioni che si trovino in situazioni di “in-capacità amministrativa”, per aiutarle a migliorare la loro capacità d’intervento, anche se fosse solo per evitare il disimpegno di risorse finanziarie già stanziate.
Si tratta di comprendere, di là da un sistema comunicativo che si è soffermato su alcune frasi che avrebbero generato una presunta polemica tra Ministro e Sindaco, se sia possibile, proprio a seguito della pressante richiesta da parte di alcune regioni di autonomia differenziata (da molti letta come ulteriore fase di sganciamento dal resto del Paese anche dal punto di vista politico e amministrativo), garantire, con forme di sussidiarietà orizzontale, tempi e modi per superare gli antichi squilibri territoriali (a cominciare dai servizi essenziali quali scuola, sanità, assistenza, sviluppo sociale ed economico) e garantire la necessaria perequazione infrastrutturale (che è fatta di moderne ferrovie – essendo l’alta capacità un miraggio lontanissimo - strade, autostrade, porti, cablaggio). Per non assecondare la concentrazione quanto piuttosto la diffusione dello sviluppo, evitando di incrementare gli squilibri già esistenti con le regioni del sud, conseguenze probabili delle richiesta dei governatori del nord di mantenere all’interno della propria regione l’intero ammontare del prelievo fiscale (aumentando la ricchezza di territori già ricchi), si potrebbero sperimentare, con il coordinamento del Cinsedo e per tutto il tempo necessario al riequilibrio, formule di affiancamento e di collaborazione tra strutture amministrative di regioni diverse, almeno nella fornitura e nella gestione dei servizi essenziali.
Torniamo ora a Milano e alle Ferrovie. L’amministrazione comunale ha avuto la sensibilità di avvalersi del Dipartimento di Architettura e di Studi urbani del Politecnico, una delle più qualificate strutture universitarie italiane, che ha restituito con profondità di analisi un percorso di ascolto attivo della popolazione interessata e di un numero significativo di attori locali. Un contributo estremamente ricco e articolato di domande e di attese, di conoscenze diffuse dei luoghi e di ipotesi di trasformazione, di ipotesi progettuali di grande interesse e di connessioni possibili tra la riqualificazione degli scali e il ripensamento dell’intera città.23
Dalla trasformazione in S.p.a. nel 1992 e dalla partecipazione ai primi progetti urbani del 1993, Ferrovie dello Stato e le altre società collegate sono indubbiamente cresciute nelle loro operazioni immobiliari, in termini di attenzione alle esigenze degli enti locali e dei cittadini amministrati, di presenza “leggera” nei rapporti con le amministrazioni, di capacità d’interlocuzione politica e di attesa dello svolgimento dei complessi iter amministrativi, di professionalità tecnico-amministrativa.
Sono fattori di crescita di cui tener conto, utili per misurare un possibile coefficiente di diseguaglianza che potrebbe caratterizzare il rapporto tra un Comune e FS, a favore di quest’ultima. Sicuramente non è questo il caso del Comune di Milano, anche in considerazione dell’analoga crescita dell’amministrazione pubblica milanese.
Sarebbe comunque auspicabile che proseguisse l’opera di affiancamento e di avvalimento del Politecnico di Milano nello sviluppo delle attività di pianificazione territoriale e dell’economia (a me sembra molto difficile individuare altri soggetti pubblici o privati di eguale livello tecnico-scientifico) anche per le fasi successive, al fine di riuscire a comporre, in un ragionevole e duraturo equilibrio, l’insieme delle convenienze generate dall’Accordo, il necessario consenso sociale e le indispensabili risorse strumentali.
Di pareri contrari all’accordo fra Comune, regione Lombardia e Ferrovie dello Stato ne sono stati formulati molti, sono diffusi e si sono ampiamente manifestati, a partire dalla posizione del Movimento 5 Stelle che, come ricordato in precedenza, non ha votato la delibera di indirizzo proposta dall’amministrazione Sala. In primo luogo, le osservazioni principali sul piano giuridico.
Le aree ferroviarie in via di dismissione24 sono appartenute originariamente al demanio statale poi, attraverso vari trasferimenti, sono pervenute a Ferrovie dello Stato S.p.a. (una holding che controlla diverse società operative, di cui si è fatto cenno in precedenza). Le aree, inizialmente acquisite con risorse pubbliche, da qualche tempo non sono più funzionali, dal punto di vista operativo, all’attività ferroviaria (per il cui esercizio, oltre che con investimenti pubblici, potrebbero essere pervenute al demanio statale anche grazie a procedure espropriative, con il sacrificio di interessi privati – la proprietà - a favore di interessi generali). In questa situazione, si sostiene, rappresentano un bene comune, che ha un enorme valore economico e da questo punto di vista non possono che restare in mano pubblica; una loro diversa destinazione, anche nell’ambito di vasti programmi urbanistici, è possibile, ma solo per altre attività sempre d’interesse pubblico generale25.
Invece, con la sottoscrizione dell’Accordo, una parte considerevole di queste aree (con edificabilità pari a zero, in mancanza di un’intesa con il Comune) è veicolata attraverso una società privata, la Savills Investiment Management S.g.R., verso investimenti immobiliari con la prospettiva di consistenti rientri finanziari; insomma, una classica manovra di speculazione edilizia.
Si sostiene, inoltre che, Ferrovie dello Stato S.p.a., - proprietaria di diversi milioni di aree ferroviarie dismesse o in via di dismissione localizzate in tutto il territorio nazionale e situate generalmente a ridosso dei centri storici delle città italiane (grandi e medie) e nei piccoli centri - potrebbe concentrare la proprietà di tutte le aree (non solo quelle di Milano) in una società immobiliare (che diventerebbe, insieme all’Agenzia del Demanio, la più grande società immobiliare italiana) e procedere in seguito alla sua privatizzazione. Ricorrendo poi alla sottoscrizione d’innumerevoli accordi di programma con decine e decine di Comuni, si potrebbe dare luogo alla più grande manovra speculativa mai avviata in Italia, servendosi di aree originariamente pubbliche.
Per contrastare questa possibile manovra di FS (oggi a Milano, ma possibile domani in molte altre città), oltre che evidenziare come le leggi che hanno nel tempo trasformato la natura giuridica delle Ferrovie non lo consentano (in quanto le aree sarebbero state destinate all’esercizio dell’attività ferroviaria), si dovrebbe far riferimento alla lesione del concetto di “utilità sociale” di cui all’art.41 della Costituzione. Se questo fosse vero, si sostiene ancora, la gestione delle aree dovrebbe allora essere affidata a un organismo di diritto pubblico sull’esempio di quanto avviene in altri Paesi europei e negli Stati Uniti (dalle Société Publique locale d’Aménagement – SPLA francesi alle Urban Enterprise Zones – Development Corporations inglesi e americane alle Internazionale Bauausstellung (IBA) tedesche).
Altro motivo di opposizione è stato individuato nella possibile lesione del principio di concorrenza e di salvaguardia dei principi di mercato. Ferrovie dello Stato è insieme proprietaria delle aree suscettibili di sfruttamento economico da parte di una società privata cui le aree sono state conferite e gestore del servizio ferroviario in concorrenza con altri operatori del settore. Con queste caratteristiche, potrebbe godere di una posizione di monopolio, gestendo per i prossimi 30 anni praticamente l’intera edificabilità del Comune (vendita dei diritti edificatori in qualità di concessionario individuato dall’Accordo di Programma); inoltre, potrebbe utilizzare i ricavi ottenuti dallo sfruttamento edilizio delle aree a beneficio del proprio bilancio e di quelli delle società controllate.
Infine, non ultimo profilo di contrasto, è la rispondenza delle attività di Ferrovie alle norme sugli appalti pubblici, nel caso di affidamento di incarichi di studio, di progettazione, di individuazione di potenziali partner per la realizzazione di programmi urbanistici o di interventi nel settore immobiliare e per quanto riguarda la composizione delle commissioni per gli affidamenti. In questo senso, sollevano dubbi di legittimità le modalità di scelta della società privata Savills Investiment in rappresentanza del Fondo d’investimento Olimpia, così come le gare per alcuni interventi e la definizione dei relativi master plan nel campo dei servizi ai cittadini gestiti direttamente da Ferrovie.
Una seconda tipologia di opposizione all’Accordo di programma, partendo dalle osservazioni giuridiche di cui sopra, riguarda anche la trasformazione fisica delle aree. Se le aree risultano di proprietà pubblica, le stesse sono già disponibili, nella loro interezza, per un “uso sociale” a vantaggio della collettività che, comunque, all’attrattività di quelle aree (e al contemporaneo apprezzamento della rendita), ha sostanzialmente contribuito con la crescita del “capitale sociale territoriale” sviluppatosi all’intorno e con gli investimenti infrastrutturali in precedenza realizzati. Basta agire di conseguenza!
Gli obiettivi principali, inquadrati in una logica di sostenibilità energetica, dovrebbero riguardare la costruzione di abitazioni (dall’housing sociale alle nuove forme dell’abitare solidale, con un contenimento sostanziale dei costi d’affitto o di acquisto) da destinare a una popolazione con caratteristiche assolutamente nuove e diverse dalle precedenti; la destinazione delle aree a grandi spazi pubblici (dai parchi urbani alla creazione di una rete di vie dell’acqua, con riduzione del consumo di suolo a fini edificatori privati) e a centri di servizi sociali, sanitari, assistenziali e di cultura avanzata (dalle start-up d’impresa alle occasioni di co-working o di sharing economy); il miglioramento della mobilità di persone, cose e informazioni con una riduzione dei pendolarismi e dei costi di trasporto, principalmente in considerazione delle funzioni di città-regione svolte da Milano nell’ambito dell’area metropolitana e dell’intero sistema territoriale regionale e nazionale.
Invece, il comune di Milano, “si rivolge alle Ferrovie come se queste fossero un privato qualsiasi, dicendo: “Se vuoi costruire degli immobili nelle tue (mie) aree centrali (della mia città) devi lasciarmene in cambio la metà come standard, parchi e servizi. Solo così ti permetto di costruire (palazzi di lusso) e di rivendere al prezzo che vuoi (al massimo di mercato) e farci plusvalenze che potrai utilizzare per ripianare il tuo debito (dissesto), per nuovi investimenti ed in generale per il tuo profitto, visto che sei una S.p.A. e rispondi solo ai tuoi azionisti”.26
L’esito potrebbe essere uno sviluppo a macchia d’olio, con la realizzazione indifferenziata di manufatti - residenziali, commerciali, direzionali, che cambieranno destinazione secondo l’andamento del mercato e della rendita – e che entreranno in concorrenza con destinazioni simili localizzate in altre parti della città, con conseguenti processi di svuotamento/riempimento.
Le FS, pertanto, conformandosi ai normali obiettivi delle S.p.a. di ricercare profitti per ripartire maggiori dividendi agli azionisti, per consolidare i bilanci e per aumentare il valore delle azioni, non faranno altro che vendere ai privati aree ricevute (gratis) dallo Stato e cedere le aree a standard al soggetto pubblico, comunque proprietario delle aree. Ci si troverebbe così di fronte, si sostiene, all’abbandono di funzioni di mobilità a causa della rinuncia ad attività ferroviarie e a un’intensa attività edilizia residenziale e commerciale, con la valorizzazione affidata esclusivamente alla rendita fondiaria (“solo volumi e quotazioni di mercato”), per rispondere alla domanda già presente sul territorio e al suo incremento nei prossimi anni.
Non a caso, gli scali più periferici (San Cristoforo), con un minor valore di rendita, sarebbero destinati alla realizzazione degli standard (verde e attività d’interesse generale), mentre sugli altri, in posizione più strategica, si realizzerebbero, anche in via perequativa rispetto alle aree a standard, maggiori volumi edilizi (la classica colata di cemento, secondo alcuni). Il privato, naturalmente, si concentrerebbe dove maggiori sono le opportunità di spuntare prezzi di acquisto più elevati. A chi servono appartamenti da 10-12 mila euro a mq?
Al Comune, con riferimento alle attività di trasformazione delle aree, andrebbero gli oneri concessori per un ammontare stimato di circa 130 milioni di euro, cui si aggiungono 50 mln di euro per il potenziamento del sistema ferroviario. Qualora la cessione delle aree consentisse la produzione di plusvalenze27 superiori all’importo fisso di 50 mln, FS è impegnata a investire a titolo di contributo aggiuntivo il 50 % delle plusvalenze eccedenti il suddetto importo in ulteriori iniziative per il miglioramento del trasporto pubblico. A queste risorse, le FS aggiungeranno 81 milioni di euro per incrementare la dotazione di verde, per realizzare connessioni ciclopedonali, parcheggi e interventi di miglioramento delle connessioni di alcune stazioni, e infine 97 milioni per la realizzazione del progetto della Circle line.
Alcune posizioni di contrasto all’Accordo sembrano essere state formulate per la mancanza (o la non conoscenza) di documenti indispensabili per poter procedere con un’iniziativa di tale rilevanza. Per rispondere almeno ad alcune osservazioni, qualora non sia già stato fatto, sarebbe indispensabile effettuare (o far conoscere, se già fossero disponibili) le analisi di fattibilità economica e finanziaria del programma, per stimarne i ritorni attesi e per misurarne la redditività. Bisognerebbe aver comparato, sulla base dell’individuazione e quantificazione dei costi degli interventi pubblici e di quelli privati, le convenienze economiche rispettivamente realizzate dal soggetto pubblico e da quello privato (assumendo che le Ferrovie dello Stato siano un soggetto totalmente privato!); considerare, fra l’altro, sulla base di valutazioni parametriche e di opportuni criteri e indicatori, l’ammontare delle risorse private destinate ad interventi pubblici; il valore degli immobili realizzati a seguito delle varianti urbanistiche conseguenti alla firma dell’Accordo al netto dei costi di realizzazione; il valore degli immobili oggetto di cessione a favore del soggetto pubblico o del proponente privato beneficiario; i tempi di realizzazione degli interventi pubblici realizzati direttamente dal proponente privato o con risorse private, l’affidabilità economico-finanziaria dei soggetti privati sottoscrittori, in funzione delle quote di rischio connesse all’andamento del mercato immobiliare; la capacità gestionale dei proponenti privati nel caso di realizzazione di opere soggette a tariffa, in locazione, o altro. Inoltre, ai fini di una più corretta valutazione dell’impatto urbano dell’Accordo di Programma sottoscritto, sarebbe opportuno eseguire le analisi d’impatto ambientale per risalire alla stima delle opportunità sociali e quella di impatto fiscale per una stima di convenienza par l’amministrazione locale.
5.Un possibile percorso.
Un’ultima considerazione. Com’è avvenuto per l’Expo’, l’Amministrazione centrale dello Stato dovrebbe esercitare un ruolo di facilitatore nella messa in opera di politiche urbane di grande rilievo. Si potrebbe allora delineare il seguente percorso, con una premessa.
La premessa. Tutte le politiche e i progetti di trasformazione urbana avviati nelle grandi città del mondo sperimentano nuove forme d’intervento, di relazione e coordinamento tra i soggetti interessati. E’ sempre più difficile imbattersi in programmi di una certa rilevanza caratterizzati dalla presenza del solo soggetto pubblico o del solo soggetto privato. In tutti i paesi occidentali (e non solo), all’immancabile ruolo di indirizzo, guida e coordinamento del soggetto pubblico, si affiancano strutture caratterizzate dalla presenza di diversi soggetti, a composizione mista pubblico-privata (li abbiamo ricordati più sopra e alla loro organizzazione si rimanda per utili suggerimenti). In Italia, senza grande successo, si era avviata l’esperienza delle STU (Società di Trasformazione Urbana) che, opportunamente rivista, potrebbe essere rimessa in campo.
Il percorso. Un primo passo potrebbe essere l’eliminazione dal tavolo dell’intesa milanese (e da quelle in corso o possibili nei mesi futuri, in altre parti d’Italia), il problema della titolarità di Ferrovie dello Stato S.p.a. nella proprietà delle aree dismesse o in via di dismissione perché non più funzionali all’esercizio ferroviario.
Le aree oggetto dell’Accordo di programma, come tutte quelle che Ferrovie dello Stato S.p.a. gestisce in regime di proprietà a fini immobiliari (diversi milioni di mq), sono in realtà, come da più parti sostenuto e come evidenziato, aree già di proprietà pubblica, (acquisite, in gran parte, attraverso procedure d’esproprio e, più raramente, acquistate) finalizzate all’espletamento di un servizio di interesse generale, come quello ferroviario.28
La loro valorizzazione è cresciuta con lo sviluppo delle città, continuando ad avvalersi delle ricadute conseguenti all’investimento di risorse pubbliche per la realizzazione di servizi e attività di interesse generale29. Nel tempo, sono spesso diventate aree strategiche per le città e per le iniziative urbanistiche intraprese dalle amministrazioni comunali, che si trovano a dover trattare con un soggetto pubblico, le cui azioni sono tutte di proprietà dello Stato, che si muove però con comportamenti speculativi.
In effetti si è preferito lasciare le aree in proprietà a Ferrovie dello Stato perché costituisse società di sviluppo immobiliare di tipo speculativo, lontane dalle sue attività aziendali di tipo operativo (nuova costruzione e riqualificazione della rete - con particolare riguardo all’alta capacità- e miglioramento del materiale rotabile, cui aggiungere, se del caso, la gestione dei complessi immobiliari destinati a stazione). Invece, si sarebbe dovuto procedere (e ancora si potrebbe fare, solo che vi fosse adeguata capacità politica!), retrocedendo allo Stato le aree non più funzionali all’espletamento del servizio ferroviario. Lo Stato potrebbe, tramite organismi di investimento collettivo del risparmio (primo fra tutti i Fondi immobiliari, gestiti da Sgr, società di gestione del risparmio, indipendenti e professionalizzate) ovvero con strumenti societari (le STU, già ricordate, o le SIIQ – società di investimento immobiliare quotate) conferire le aree ad uno strumento finanziario (evitando la creazione di inutili carrozzoni, che sarebbero esiziali!), cui potrebbero partecipare soggetti pubblici e privati trasparenti e certificati (quest’ultimi, naturalmente, in quota minoritaria), eventualmente apportando altri immobili collaterali e complementari al programma.
A seconda della natura dello strumento di investimento, a sostegno finanziario di programmi e progetti di grande rilevanza e diffusione territoriale, diventerebbe possibile emettere obbligazioni, ovvero, se lo consentono la natura e le condizioni dello strumento finanziario, procedere anche alla quotazione in borsa.
Nel caso di progetti di trasformazione urbanistica (la cui titolarità d’iniziativa non può che essere in capo al Comune, che continua ad avere una sua autonomia decisionale ), la proprietà delle aree e/o dei manufatti interessati, si troverebbe, ad esempio, già nella disponibilità di un soggetto pubblico nazionale (di cui precisare lo stato giuridico), sostenuto anche da capitali privati provenienti da risorse territoriali, ma con la partecipazione azionaria maggioritaria pubblica locale e nazionale, a fronte del conferimento degli immobili, (del Comune, di FS con riferimento alle stazioni, di Agenzia del Demanio, delle Università, di Fondazioni, ecc.).
In questo modo, strutturando opportunamente la “mission” dello strumento, sulla base di indirizzi intesi a privilegiare, anche graduandoli, obiettivi di tipo sociale, ambientale, economico, trasportistico, definiti preventivamente in modo trasparente dall’autorità comunale, possono essere avviate tutte le necessarie attività di studio, ricerca, consultazione (anche con l’attivazione di arene pubbliche), valorizzazione, urbanizzazione e vendita delle aree.
Qualora la cessione delle aree, poi, consentisse la generazione di plusvalenze superiori al costo sostenuto per l’urbanizzazione e ai costi di gestione dell’iniziativa, le stesse potrebbero essere vincolate, nell’ambito dell’attività di regolazione dell’attribuzione dei risultati di gestione, alla realizzazione di ulteriori interventi di miglioramento della qualità urbana o di manufatti di edilizia pubblica, superando, così, il concetto di “contributo straordinario” e acquisendo, viceversa, quello di un miglioramento della condizione urbana generato in modo endogeno dallo stesso programma, attualizzando cioè, alla luce della presente complessità, la vecchia formula della legge n.10 del 1977, in base alla quale “ogni attività comportante trasformazione urbanistica ed edilizia del territorio comunale partecipa agli oneri ad essa relativi”.
Note
1 I dati e le stime sono tratte dal report A star is born – Milano guarda oltre: ambizioni di una città, Scenari Immobiliari in collaborazione con Risanamento, Milano, 10 aprile 2019.
2 Contro Milano, Michele Masneri, Il Foglio, 18 novembre 2019
3 ACCORDO DI PROGRAMMA Ai sensi dell'art. 34, d. lgs. n. 267/2000, per la trasformazione urbanistica delle aree ferroviarie dismesse, e in dismissione, site in comune di Milano denominate: “Scalo Farini, Scalo Romana, Scalo e Stazione di Porta Genova, Scalo Basso di Lambrate, parte degli Scali Greco-Breda e Rogoredo, Aree ferroviarie S. Cristoforo”, in correlazione con il potenziamento del sistema ferroviario in ambito milanese.
4 Un network costituito da 14 Grandi Stazioni in 11 città, con 2 milioni di visitatori al giorno, 800 unità commerciali, 230 mila mq GLA, 1900 impianti media. The leading hub of brands. Siamo i gestori di una collezione di icone dell’architettura e della storia d’Italia, le 14 più grandi stazioni ferroviarie, con il diritto esclusivo di sfruttamento commerciale e pubblicitario. L’alta velocità ferroviaria ha accorciato l’Italia e le grandi stazioni contribuiscono a renderla ancora più attraente, diventando tappe di un viaggio nella bellezza, nello shopping e nelle eccellenze gastronomiche.Le nostre stazioni sono spazi che completano il viaggio, dove vivere un’esperienza unica e sviluppare nuove opportunità di business e comunicazione. Sono grandi piazze, dove convergono flussi, persone, prodotti, eventi, sempre in modo coinvolgente. Operiamo al centro di questi flussi; flussi di idee, di cose, di persone e di esigenze diverse. Ed è da questa posizione incomparabile e complessa che possiamo offrire occasioni uniche. Dal sito di Grandi Stazioni
5 Si dovrebbe vietare per legge, la possibilità, a qualunque livello dell’Amministrazione pubblica, che un governo subentrante, ferma restando la possibilità di modifiche migliorative, possa interrompere o sospendere – se non per manifesto danno opportunamente da provare - un procedimento in corso o un’opera avviata dal governo precedente, quando il procedimento o l’opera siano giunti a una fase pre-definita dell’iter previsto (20%-30%?).
6 “La città si muove, la ferrovia segue le indicazioni” ha dichiarato Carlo De Vito, amministratore delegato di FS Sistemi urbani, nel corso dell’iniziativa Dagli scali, la nuova città, workshop aperto alla città del 15-17 dicembre 2016.
7 Accordo Di Programma ai sensi dell'art. 34, d. lgs. n. 267/2000, per la trasformazione urbanistica delle aree ferroviarie dismesse, e in dismissione, site in comune di Milano denominate: “scalo Farini, scalo Romana, scalo e stazione di Porta Genova, scalo Basso di Lambrate, parte degli scali Greco-Breda e Rogoredo, aree ferroviarie S. Cristoforo”, in correlazione con il potenziamento del sistema ferroviario in ambito milanese.
8 Nel prossimo decennio, è previsto circa 1 miliardo di euro d’investimenti sul sistema ferroviario del nodo milanese, in gran parte destinati alla costruzione e ammodernamento delle stazioni della Circle line, realizzata per migliorare le relazioni fra la città di Milano e il territorio metropolitano (dove, nel mentre, stanno sorgendo strutture di grande rilevanza come la “Città della Salute!” a Sesto San Giovanni e il “Milan Innovation District” presso l’Expo.
9 Nei vecchi scali ferroviari 10mila case, La Repubblica, 10 marzo 2009
10 Comune di Milano, Verbale di deliberazione del Consiglio Comunale, n.44, 14 /11/2016.
11 Ivi, cit.
12 Per l’assessore all’Urbanistica Maran (PD): “La delibera è frutto di un percorso condiviso di tutto il Consiglio comunale. Credo che questo sia il modo migliore per presentarsi al confronto con Ferrovie e Regione. Milano ha ben chiaro cosa si aspetta da queste trasformazioni: un futuro più verde dove centro e periferie siano connesse”.
Bruno Ceccarelli, Presidente della Commissione Urbanistica: “Il metodo che abbiamo utilizzato definisce un precedente virtuoso. Tutti i consiglieri di maggioranza e opposizione si sono sentiti coinvolti e hanno potuto contribuire nel percorso – ha commentato Bruno Ceccarelli, Presidente della Commissione Urbanistica.
Carlo Monguzzi, Presidente della Commissione Mobilità e Ambiente “È una rivoluzione copernicana. Faremo un parco grande come Sempione, case popolari e funzioni per i cittadini, ma soprattutto ogni passaggio sarà nella totale trasparenza e in piena condivisione con i milanesi”
13 “C’è la necessità di un’ottica metropolitana, non nel sensoamministrativo della Città Metropolitana che sta nascendo con i suoi 4 milioni di abitanti, ma nel senso dell’Area Urbana che gravita su Milano, che quotidianamente influenza la città e ne viene influenzata. Parliamo quindi di un territorio di 7 milioni di abitanti che va da Novara a Bergamo e dal Po alla linea pedemontana Varese-Como- Lecco. Questa Area Urbana è una delle poche in Europa, e unica in Italia, che può reggere la sfida della globalizzazione con cui, volenti o nolenti, dovremo convivere (e sopravvivere!)”. Gli scali, la Partecipazione: e noi?, Livio Grillo Comitati X Milano municipio 1
14 “Nel quadro di questo processo di interazione e contrattazione multiattoriale lungo e complesso, l’Amministrazione comunale ha deciso di promuovere un’attività di riconoscimento delle domande e dei progetti sulle sette aree interessate dall’Accordo di Programma, al fine di costruire un quadro delle attese delle comunità locali intorno alle aree soggette a potenziale trasformazione e di offrire materiali significativi alle fasi successive del processo di riqualificazione e progettazione. […] non si è trattato di una attività di progettazione partecipata, ma di una indagine esplorativa costruita attraverso l’interazione con le istituzioni decentrate (i Consigli di Zona) e con una selezione di attori locali, volta a delineare aspettative, domande, proposte e progetti relativi agli scali, a organizzarle unitariamente e a consegnarle agli attori che stanno definendo contenuti e percorso del processo di riqualificazione, a partire dal comune di Milano”. Trasformazione degli scali ferroviari milanesi – Esiti di un confronto su attese, esigenze, e desideri dei soggetti locali, Report a cura di DAStU – Politecnico di Milano, Maggio 2014.
15 Trasformazione degli scali ferroviari milanesi – Esiti di un confronto su attese, esigenze, e desideri dei soggetti locali, Report a cura di DAStU – Politecnico di Milano, Maggio 2014.
16 Ivi, cit.
17 Ivi, cit.
18 Ivi, cit.
19 “Milano è un modello che si autoalimenta lasciando sempre più indietro il resto del Paese: si fa l’Expo a Milano. L’Expo porta infrastrutture e terreni da riqualificare. Quelle infrastrutture e quei terreni dopo l’Expo restano e portano nuovi progetti , come Human Technopole, che attraggono capitale umano qualificato. E ancora nuove infrastrutture e nuovi progetti” Rosario Cerra, presidente del Centro di Economia digitale.
20 Metamorfosi. Le conseguenze del cambiamento. Convegno Huffpost, Fondazione Giacomo Feltrinelli, Milano 11 novembre 2019. Nel corso del convegno, il ministro per il Mezzogiorno Giuseppe Provenzano, nella sezione dedicata alla riforma delle Autonomie, afferma che: “Tutti decantiamo Milano, ma non è la prima volta nella storia d’Italia che è un riferimento nazionale. A differenza di un tempo, però, oggi questa città attrae ma non restituisce quasi più nulla di quello che attrae. Intorno ad essa si è scavato un fossato: la sua centralità, importanza, modernità e la sua capacità di essere protagonista delle relazioni e interconnessioni internazionali non restituisce quasi niente all’Italia. E’ la sfida che dovremo provare a cogliere”.
Il sindaco di Milano Beppe Sala, anche lui ospite del Convegno, replica pochi minuti dopo al Ministro: “Milano restituisce nella misura in cui ci viene chiesto e nella misura in cui veniamo messi in condizione di farlo. Per esempio, le ex municipalizzate milanesi sono un esempio di buona gestione. Vogliamo trovare una formula per cui allargano il loro raggio di azione anche altrove? Parliamone”.
21 Ivi, cit.
22 How the megacities of Europe stole a continent’s wealth, The Guardian, 13 November 2019.
23 Trasformazione degli scali ferroviari milanesi – Esiti di un confronto su attese, esigenze, e desideri dei soggetti locali, Report a cura di DAStU – Politecnico di Milano, Maggio 2014.
24 Per questa parte, si è fatto riferimento a Sintesi delle osservazioni dell’Avv. Prof. Fausto Capelli sugli aspetti giuridici relativi alla situazione degli scali ferroviari milanesi, Lombardia Sostenibile, Posted da Alessandro Visca, 10 luglio 2017.
25 Alessandro Balducci, prorettore del Politecnico e già assessore all’Urbanistica in sostituzione della dimissionaria Ada Lucia De Cesaris nella Giunta Pisapia, ritiene che la tesi potrebbe avere un suo fondamento sul piano ideologico, ma sul piano fattuale, il Comune ha già riconosciuto la proprietà delle aree a Ferrovie da oltre quindici anni sulla base degli Accordi di Programma e con progetti d’intervento inseriti nel PGT. Rimettere ora tutto in discussione, potrebbe esporre il Comune a richieste di risarcimento per molti milioni di euro. L’obiezione a questa ipotesi di risarcimento si fonda sul fatto che l’inserimento di progetti nel PGT risponde allo specifico compito del Comune di esercizio del diritto alla pianificazione urbanistica.
26 Di cosa parliamo quando parliamo di scali ferroviari. OFF TOPIC Lab. Politico, Milano, 25 gennaio 2016
27 Per plusvalenza s’intende la differenza fra il valore di cessione delle aree e la sommatoria di una serie di altri elementi meglio specificati all’art.15, punti 7 e seguenti dell’Accordo di programma.
28 L'Amministrazione autonoma delle Ferrovie dello Stato è stata istituita con il Regio decreto n.250 del 15 giugno 1905, per la gestione diretta di 10.557 km di linee, denominata rete delle “Ferrovie dello Stato”.
29 In Italia, non mancano gli esempi di procedure avviate in favore di privati (società o singoli) che hanno visto aumentare, più o meno notevolmente, la propria ricchezza a seguito di procedure che hanno retrocesso in loro favore la proprietà di beni o attività realizzate con risorse pubbliche (cioè, di tutti!): basta solo ricordare gli innumerevoli processi di alienazione del patrimonio di edilizia residenziale pubblica.