1. Lo stato delle cose
Le aree ferroviarie dismesse milanesi oggetto dell’Accordo di Programma sottoscritto nel luglio del 2018 sono sette e localizzate lungo la cintura ferroviaria, il passante e alcune direttici in uscita dalla città; sono collocate inoltre spesso in prossimità di altre aree in fase di trasformazione.
Per localizzazione urbana e dimensione spaziale gli scali ferroviari milanesi rappresentano un potenziale indiscutibile di trasformazione urbanistica multiscalare, costituendo, insieme all’area che ha ospitato l’esposizione universale a nord ovest di Milano, alla “Goccia” della Bovisa e al sistema delle caserme dismesse e sottoutilizzate, l’ultima riserva di grandi aree disponibili all’interno del tessuto consolidato (Montedoro, 2011).
Dislocati lungo il semianello ferroviario che da nord ovest (direzione Torino e Sempione) cinge la città compatta della prima metà del Novecento e, passando per la fascia orientale (direzione Venezia), si raccorda con la cintura sud (direzione Bologna) e l’asta sud ovest (verso Abbiategrasso e Vigevano), i sette scali (Farini; Greco-Breda; Lambrate; Porta Romana; Rogoredo; Porta Genova; San Cristoforo) coprono una superficie complessiva di oltre 120 ha. Si tratta di una dimensione superiore a quella che ha riguardato interventi recenti come Santa Giulia ed Expo e paragonabile alle aree ex Falck di Sesto San Giovanni.
D’altra parte, è importante sottolineare da subito che non si tratta di un’area unitaria, ma di un sistema di aree, tra loro connesse da binari in larga parte ancora in esercizio. Inoltre, analogamente alle caserme, si tratta di aree pubbliche, per quanto di proprietà di un attore (Ferrovie dello Stato) che ha agito nel corso della vicenda con logiche e strategie privatistiche (Cerasoli, 2012).
Fin dall’avvio, nel 2005, della contrattazione tra Amministrazione comunale e Ferrovie, il tema del riuso degli scali assume almeno tre significati prevalenti. Innanzitutto, gli scali vengono considerati dagli stakeholder aree di valorizzazione immobiliare. Dalla prospettiva delle Ferrovie si tratta di mettere a valore un patrimonio immobiliare collocato in zone semicentrali e fortemente accessibili; dalla prospettiva del Comune di promuovere sviluppo urbano senza ulteriore consumo di suolo non urbanizzato.
In secondo luogo, gli scali sono percepiti come ambiti che possono accrescere le dotazioni pubbliche, soprattutto di verde, reti viabilistiche e ciclabili, servizi, anche attraverso una operazione di ricucitura di parti di città che proprio gli scali e la ferrovia avevano separato.
In terzo luogo, il riuso degli scali diventa un dispositivo essenziale per garantire nuove risorse al trasporto su ferro nel nodo milanese e al sistema ferroviario regionale, ponendo anche le basi di una rifunzionalizzazione della cintura ferroviaria.
Il modo in cui queste tre istanze hanno giocato nel processo, dal 2005 ad oggi, è dipeso dai mutamenti del quadro del mercato urbano e dell’agenda urbanistica, passando attraverso il cambio di guida politica dell’amministrazione comunale (dal centrodestra di Letizia Moratti al centrosinistra di Giuliano Pisapia) avvenuto nel 2011 (Pasqui, 2018).
Infatti, se il progetto di valorizzazione degli scali nasce in una fase fortemente espansiva del mercato urbano, accompagnata e supportata dalle scelte dell’Amministrazione di centrodestra guidata da Gabriele Albertini e da una coalizione pro-growth di cui anche Ferrovie dello Stato è parte integrante (Bolocan Goldstein, Bonfantini, 2007), con il 2008, a due anni dall’avvio dell’esperienza di governo di Letizia Moratti, il quadro di riferimento delle politiche urbanistiche muta radicalmente.
La crisi finanziaria mondiale comincia infatti a manifestare i suoi effetti sul mercato urbano milanese e nel giro di pochi mesi la bolla che per lunghi anni ha gonfiato i valori immobiliari giunge al capolinea. Tuttavia, il mercato immobiliare milanese non subirà mai un tracollo: rallentano drasticamente le compravendite e si allungano i tempi delle transazioni, ma non si verificherà mai un crollo dei prezzi degli immobili.
Le conseguenze di questa crisi sono tuttavia molto rilevanti da almeno tre punti di vista. Il primo, e più importante, è che la stagione del boom consegna alla città una sovrapproduzione immobiliare, soprattutto in alcuni segmenti di mercato (la residenza di lusso, il terziario a uffici), generando un disequilibrio rilevante tra domanda e offerta e una fortissima esposizione debitoria da parte di molti developer (Ligresti, Zunino, Ricucci, solo per citare i più noti) nei confronti del sistema bancario.
Molti progetti (Santa Giulia e Porta Vittoria tra questi) rimangono incompiuti; altri (tra cui City Life sulle aree urbane della ex-Fiera Campionaria che si è rilocalizzata a Rho-Pero) rallentano visibilmente. Anche i progetti che trovano infine compimento (il più importante è certamente Porta Nuova, presto diventato nuova icona e nuova centralità urbana, oggetto di un dibattito pubblico rilevante) non riescono a realizzare integralmente il proprio programma di vendite. Ancora oggi, molti appartamenti di lusso a City Life e a Porta Nuova sono invenduti, e solo l’acquisto unitario o l’affitto da parte di grandi operatori finanziari o della consulenza (Unicredit a Garibaldi Repubblica, Generali, Allianz e PwC nel recinto della ex-Fiera) permette di realizzare i progetti presentati oltre dieci anni prima.
Negli anni in cui si sviluppa il complesso processo decisionale relativo agli scali il mercato urbano stagna, in un quadro nel quale si manifesta anche un’enorme sproporzione tra aree ancora disponibili alla trasformazione e opportunità: ad aree ancora bloccate per problemi di bonifica, come Bovisa, si aggiungono le aree pubbliche, come appunto gli scali ferroviari, ma anche le caserme e più di recente l’area del post-Expo, acquisita a caro prezzo da una società pubblica di scopo. E’ in questo contesto, e dentro questo orizzonte discorsivo, che si sviluppa la contrattazione tra Comune e Ferrovie, che trova una sua prima formulazione compiuta nella bozza del primo Accordo di programma che disciplini il destino degli scali.
2.1 Prodromi, dibattito, percorsi interrotti
2.1 Assetto infrastrutturale e rigenerazione urbana: dal Passante ferroviario agli scali come Ambiti di Trasformazione Urbana (ATU)
Se si osserva l’opportunità offerta dal riuso degli scali ferroviari nei termini più generali di una ridefinizione del rapporto tra assetto infrastrutturale e città come opportunità per una rigenerazione diffusa della città e una sua riqualificazione in termini ambientali, anche gli studi per il Passante ferroviario sono da leggere in stretta continuità con il processo di cui si discute, come anticipazione di temi e visioni che ancora oggi impegnano il governo della città (Redaelli, 2018)1. Il Documento direttore del progetto Passante del 1985, assieme al dossier Studi di Inquadramento nord-ovest/sud-est, stabiliva la stretta relazione strategica tra la nuova infrastruttura e le grandi funzioni urbane, tenendo insieme l’efficientamento del “trasporto rapido di massa” con il recupero delle aree industriali dismesse (Zambrini 1982, 1983). Una stretta relazione tra infrastrutture e occasioni di riqualificazione urbana sta anche alla base del noto progetto “Nove parchi per Milano”2 (1994), che sarà in parte recepito (e in parte tradito) dai Programmi di Riqualificazione Urbana (PRU). È invece del 2004 una proposta per l’insediamento di un Polo della cultura a Porta Genova, di una Cittadella della Scienza a Farini e di un Parco dello Sport a Rogoredo/Porto di Mare promossa dall’associazione “Milano domani”3.
Ma è nel luglio del 2005, con il Sindaco Gabriele Albertini, che il Comune sigla con Ferrovie dello Stato SpA un Accordo Quadro per definire gli obiettivi generali ed il percorso per la riconversione dei sette scali milanesi. Dopo un anno sostanzialmente silente, il cambio della Giunta dà nuovo impulso al processo. Il 2007 è infatti l’anno in cui si sottoscrive a marzo un Accordo-Intesa tra il nuovo Sindaco Moratti e l'AD Mauro Moretti di FS SpA per definire gli impegni delle parti nel processo. Nel mese di luglio il Sindaco Moratti promuove l'Accordo di Programma (AdP) in variante al Piano Regolatore Generale; a dicembre Regione Lombardia e Ferrovie dello Stato aderiscono all'AdP. Nel dicembre 2009 viene pubblicata la proposta urbanistica dell’AdP associata al Rapporto Ambientale della Valutazione Ambientale Strategica (VAS). La superficie di riferimento ammontano complessivamente a 1.290.384 mq, che comprendono 190.500 mq di aree definite “strumentali all’esercizio ferroviario” e pertanto escluse dalla trasformazione. L’ambito di più ampia estensione è lo scalo Farini che occupa la metà del complesso (651.139 mq) in una porzione urbana di grande densità infrastrutturale ed insediativa. Il comparto sud presenta aree consistenti negli scali di Porta Romana (216.430 mq), Porta Genova (93.547) e San Cristoforo (165.790 mq). I tre scali rimanenti, pur di dimensioni ridotte (Lambrate: 69.830 mq, Greco-Breda: 71.078 mq e Rogoredo: 22.570 mq) sono collocati in aree nevralgiche per la contiguità con ambiti di rilevante trasformazione territoriale già in atto. A nord infatti Greco-Breda e Lambrate si distribuiscono lungo l’asta Milano Monza, investita dai maggiori processi di riconversione funzionale di tutto il territorio provinciale (Pirelli, Breda, Falck), a sud Rogoredo è prossima alle aree di Santa Giulia e di Porto di Mare.
Ai sensi dell’Accordo e della Variante 2009, l’edificabilità prevista ammonta ad un totale di 845.000 mq di slp a destinazioni miste (di cui 236.000 per funzioni di interesse generale ed edilizia sociale e convenzionata), corrispondente ad un indice medio di circa 0,75 mq/mq, applicato sulla effettiva superficie territoriale di intervento. Questi indici portano un carico di abitanti teorici insediabili pari a circa 15.000 unità, che potranno disporre di un minimo di 654.000 mq di aree per servizi.
L’Accordo di Programma richiede di avviare una riflessione generale sulle potenzialità quantitative e funzionali delle diverse aree e prevede una differenziazione di atterraggio delle volumetrie tra scalo e scalo. È richiesto a Ferrovie l’impegno di avvalersi di modalità concorsuali per garantire una buona qualità del progetto, assicurare una flessibilità funzionale tra usi liberi e usi di interesse generale e comprendere quote significative (pari al 28% del totale) di residenza sociale nelle sue varie forme (da quella assistita, a quella temporanea per studenti, a quella in locazione e in vendita convenzionata).
Come si è detto, la dimensione trasportistica, pur non esplicitata nella Variante, costituisce uno dei cardini dell’accordo. Lo scenario in cui si colloca l’insieme degli interventi prevede un incremento della capacità di trasporto del sistema ferroviario nell’ordine di 40.000 passeggeri/ora per direzione, il miglioramento del livello di accessibilità sia al centro città che alle altre polarità urbane e l’avvio di un progetto di Circle Line (da Certosa a San Cristoforo in senso orario).
Nonostante l’emergere degli effetti della crisi, l’amministrazione cerca di strutturare il processo di accompagnamento delle dinamiche del mercato urbano attraverso l’elaborazione del nuovo Piano di Governo del Territorio (Pgt), incubato inizialmente nell’ultima fase della giunta Albertini, che si offre come supporto alla strategia della crescita edilizia (Arcidiacono, Pogliani, 2011). In questo senso il Pgt adottato poco prima della scadenza elettorale del 2011, configura una politica di sviluppo immobiliare che prova a riportare abitanti in città, immaginando una crescita edilizia incoerente con le dinamiche del mercato urbano. Al compimento della consiliatura Moratti, nel 2011, il tema degli scali appare dunque un processo incompiuto, anche se con il nuovo Pgt che, pur approvato nel 2011, non è mai stato pubblicato e pertanto non è mai è entrato in vigore, i sette scali sono classificati tra gli Ambiti di Trasformazione Urbana (ATU), con alcune modifiche nella perimetrazione delle aree e soprattutto una diversa attribuzione di edificabilità rispetto all’Accordo di Programma sopra illustrato.
La superficie interessata dagli interventi diventa di 1.306.256 mq, con un totale di 876.578 mq di slp di edificabilità generata in loco, che può incrementare fino a 1.012.580 mq di slp complessiva (interna e accoglibile) in ragione del processo di densificazione previsto in quattro scali (Farini, Lambrate, Porta Romana, Rogoredo). L’indice medio territoriale (che comprende anche la possibilità di densificazione) risulta pari a 0,79 mq/mq, ma tale valore raggiunge 1 mq/mq a Farini-Lugano e 1,14 mq/ mq a Porta Romana e a Rogoredo. Infine, nel rispetto del principio di indifferenza funzionale introdotto dal Piano, le Schede di Indirizzo per l’assetto del territorio segnalano solo una vocazione funzionale dei singoli scali, rinviando le scelte puntuali alla fase di implementazione dei singoli progetti.
In sede di emendamenti consiliari nel dispositivo di piano viene inserita la destinazione obbligatoria di un 20% circa della slp complessiva ad housing sociale, edilizia convenzionata, agevolata e affitto, per un totale di 223.000 mq. Le previsioni di aree a verde ammontano a 757.000 mq, con una percentuale minima del 30% di superficie territoriale (St) negli scali di Porta Romana e Greco-Breda e massima dell’80% a San Cristoforo.
Le numerose osservazioni pervenute al Pgt, anche da parte delle Zone di decentramento interessate dalla trasformazione degli scali, si sono focalizzate principalmente sulle densità previste: ad esempio nello scalo di Farini, di gran lunga il più vasto, il dispositivo normativo consente la realizzazione di circa 650.000 mq di slp in un’area ritagliata da un ampio fascio di binari e incastonata tra i sistemi infrastrutturali complessi, che mettono in relazione il settore nord della città con l’asse del Sempione.
Le osservazioni al piano, e più in generale la discussione pubblica, fanno emergere dunque una domanda diffusa di revisione delle scelte compiute con il Pgt ed anche con l’ipotesi di Accordo di programma. Nel 2011, con la revoca della delibera di approvazione del Pgt elaborato dalla Giunta Moratti e la ripresa del processo di pianificazione generale a partire dal riesame delle osservazioni, che porta all’entrata in vigore del Pgt rivisto nel novembre 2012, l’Amministrazione comunale riavvia la costruzione dell’Accordo di Programma, aggiornandolo con le nuove scelte di Piano.
L’aspetto politicamente più rilevante riguarda il riconoscimento, nel Pgt, della natura infrastrutturale degli scali ferroviari, che pertanto, in assenza di una stipula dell’Accordo, non possono vantare alcun diritto edificatorio e per i quali restano ammesse solo le modalità manutentive. Per questa ragione il Pgt non assegna indici di edificabilità per i singoli scali, ma fissa alcuni principi da applicarsi alle trasformazioni, quali: la necessità di ricavare benefici effettivi per la città, condividendo le plusvalenze con le Ferrovie, per garantire le connessioni sulle radiali, le nuove stazioni e fermate e le indispensabili bonifiche dei suoli, queste ultime a totale carico dell’operatore; l’attenzione ai benefici per le comunità locali (e per estensione anche per la città nel suo complesso), attraverso la realizzazione di parchi di estensione considerevole, e di attrezzature di interesse generale (per una superficie pari a circa il 50% delle aree); l’attivazione di una procedura unitaria, attraverso l’Accordo, che eviti il rischio del frazionamento proprietario (prima dell’attuazione) e di un conseguente sfilacciamento dei progetti, degli scambi e delle garanzie reciproche; l’apertura di un dialogo con la città e con le sue componenti attive, per avviare un percorso di condivisione dei contenuti, delle scelte e delle possibili ricadute locali, da inserire quali condizioni imprescindibili per gli strumenti urbanistici di dettaglio.
Il Pgt, approvato nel 2012 dopo una consistente revisione della nuova Giunta Pisapia, recepisce i contenuti dell’AdP e li inserisce nel Documento di Piano, nella disciplina degli Ambiti di Trasformazione Urbana (ATU), prevedendo puntualmente l’attuazione attraverso un AdP unitario che tenga assieme riqualificazione del sistema ferroviario (e del trasporto pubblico su ferro) e sviluppo urbanistico.
2.1 L’Accordo di Programma non approvato, dicembre 2015
Tra il 2013 e il 2014 l’assessore all’urbanistica e vicesindaco, Ada Lucia De Cesaris, lavora alacremente ai contenuti dell’Accordo: un tavolo di contrattazione bollente, in cui l’uso delle plusvalenze generato dalla vendita delle aree è il core problematico della negoziazione. Parallelamente si avvia nel febbraio del 2013 una consultazione affidata al Dipartimento di Architettura e Studi urbani del Politecnico di Milano4; “che si fondava su una pratica di ‘ascolto attivo’ degli attori collettivi (dai Consigli di Zona ad associazioni e soggetti locali), con l’ambizione di delineare lo scenario delle attese che coinvolgono i soggetti interessati” (Pasqui 2015, 37). A luglio De Cesaris si dimette e la delega passa ad Alessandro Balducci che lavora in continuità con le attività del predecessore. Nel novembre del 2015 l’AdP viene sottoscritto. “L’impianto normativo che prevede il finanziamento degli interventi prioritari di potenziamento del sistema ferroviario milanese, entro un quadro strategico di sviluppo futuro condiviso con Regione Lombardia e Rete Ferroviaria Italiana S.p.A (RFI), attraverso il reimpiego delle plusvalenze generate dalle nuove previsioni urbanistiche. L'Accordo include inoltre il finanziamento delle opere infrastrutturali di riconnessione urbana tramite la previsione di extra-oneri di urbanizzazione. In termini urbanistici, l'Accordo si fondava sui seguenti punti: definizione di macro parametri urbanistici, che rinviavano il dettaglio insediativo e funzionale alla pianificazione attuativa per ogni singolo scalo, attraverso la previsione della redazione di Master Plan di coordinamento per le aree più estese; flessibilità funzionale, coerente con l'impostazione del Pgt, con percentuali minime limitate alle quote di social housing, e alle funzioni non residenziali allo scalo di porta Genova; perequazione interna, sulla base delle caratteristiche dei luoghi e di specifiche scelte localizzative (es. destinazione a verde di san Cristoforo, concentrazione del 50% del social housing sugli scali dell'arco est, indici di edificabilità e percentuali di aree a verde specifici per ogni ambito); assunzione degli obiettivi urbanistici specifici per le aree indicati nelle schede del Documento di Piano del Pgt: vocazioni funzionali, ricuciture, connessioni ciclopedonali, coperture mirate dei fasci binari, valorizzazione immobili testimoniali e rapporto con il contesto, nuove aree di verde fruibile.” (Comune di Milano 2017a).
Giunto in Aula Consiliare i primi di dicembre 2015, contro ogni pronostico, l’AdP non viene ratificato5 (Balducci, 2017). Scaduti i termini, scade anche la possibilità per la Giunta Pisapia di chiudere la partita. Con le elezioni amministrative del giugno 2016, il nuovo sindaco Sala include la trasformazione degli scali negli obiettivi di mandato e si propone di riprendere l’Accordo e di chiuderlo entro l’estate successiva. Il nuovo assessore all’Urbanistica, Pierfrancesco Maran, è dunque chiamato a riprendere la trattativa con FS e, congiuntamente, ad avviare un confronto con la città sul controverso processo.
3. Le tappe della storia recente
3.1 La ripresa del processo (2016)
Coerentemente con l’obiettivo di riprendere la discussione pubblica attorno alle previsioni di trasformazione degli scali, a partire dall’ottobre 2016, il Comune avvia una serie di attività tese a coinvolgere sia il Consiglio Comunale che la cittadinanza nel processo istruttorio del nuovo Accordo. In particolare, si richiede alle commissioni consiliari6 di imbastire un documento di orientamento da condividere in Consiglio. Dopo alcune esplorazioni conoscitive (sopralluoghi e incontri con esperti) e un serrato confronto tra tutte le forze politiche, nel novembre del 2016 il Consiglio approva le Linee di indirizzo per la trasformazione urbanistica delle aree ferroviarie dismesse, individuando 17 temi prioritari e di interesse strategico per il loro sviluppo sostenibile e per il potenziamento del sistema ferroviario urbano: coniugare visione strategica e bisogni locali; produrre un sistema continuo di valenza ecologica; incrementare le previsioni di verde fruibile e attrezzato; prevedere mix di servizi e funzioni pubbliche; realizzare quartieri sostenibili e intelligenti; incrementare le previsioni di housing sociale; attivare misure per favorire mix sociale; realizzare la Circle Line; creare nuove stazioni di interscambio; contenere l’inquinamento acustico dell’infrastruttura ferroviaria; promuovere forme di uso temporaneo; prevedere processi autorizzativi che vincolino la realizzazione delle opere di urbanizzazione; garantire una forte regia pubblica del processo; assicurare risorse aggiuntive rispetto agli oneri; prevedere il ricorso ai concorsi per la redazione dei Master Plan; dare spazio al dibattito pubblico; valutare l’insediamento di funzioni urbane di rilievo metropolitano e le priorità di intervento; garantire tempistiche rapide. A seguito della delibera, viene nominato un ‘Tavolo tecnico di esperti’, scelti su indicazione dei gruppi consiliari, che produrrà un ulteriore documento di orientamento, concentrato, in particolare, sulle funzioni insediabili e sugli usi temporanei si valuta la necessità di dare seguito e garantire un pervasivo dibattito pubblico, il Comune incarica il DAStU del Politecnico di Milano di riprendere l’attività di ‘ascolto attivo’ della cittadinanza, già svolta nel 2013 e 2014, concentrandosi sul rapporto con i Municipi7.
3.2 L’ascolto locale
L’obiettivo del percorso svolto tra il 2013 e il 2014 era stato quello di ricostruire un quadro delle attese delle comunità locali intorno alle aree soggette a potenziale trasformazione, anche al fine di offrire materiali significativi alle fasi successive del processo di riqualificazione e progettazione.
Il mandato entro il quale si colloca l’attività di indagine e di ascolto attivo realizzata è definito con grande chiarezza: non si tratta di una attività di progettazione partecipata, ma di una indagine esplorativa costruita attraverso l’interazione con le istituzioni decentrate (i Consigli di Zona) e con una selezione di attori locali (oltre cinquanta), volta a delineare aspettative, domande, proposte e progetti relativi agli scali, a organizzarle unitariamente e a consegnarle agli attori che stanno definendo contenuti e percorso del processo di riqualificazione, a partire dal Comune di Milano.
Un secondo limite costitutivo dell’attività di ascolto attivo riguarda i temi intorno ai quali si svolge l’interazione con gli attori locali coinvolti. La raccolta di indicazioni assume come un dato le scelte, in fase di definizione o già compiute, relative alla superficie in trasformazione e alle aree in cessione, ma anche agli indici edificatori e ai volumi in gioco. Dunque, il confronto si concentra su tre famiglie di questioni, tra loro connesse: 1) la localizzazione di nuovi spazi aperti all’interno delle aree di trasformazione, anche in termini di funzioni che vi potranno essere ospitate e le connessione tra questi e gli spazi aperti esistenti nell’intorno, anche attraverso l’individuazione di sistemi più ampi; 2) le relazioni pensabili e progettabili tra i nuovi progetti di trasformazione e la città a confine degli scali, cercando di comprendere in che modo gli scali potrebbero rappresentare delle importanti zone di connessione e ricucitura tra parti di città ora separate, sia in termini di forme e materiali urbani, sia in termini di funzioni; 3) le funzioni pubbliche e le tipologie di nuovi servizi da inserire nelle aree di trasformazione, anche in risposta a eventuali carenze nelle dotazioni pubbliche allo stato attuale e/o in previsione della domanda che si genererà in seguito alla trasformazione degli scali.
A partire da questo mandato molto chiaro, il percorso, ricco e partecipato, permette di identificare per ciascuno scalo l’esito dell’ascolto attivo attraverso tavole e testi: viene proposta una descrizione generale di ogni scalo e del suo rapporto con il contesto; vengono restituite le indicazioni emerse in riferimento ai tre temi proposti (spazi aperti, servizi, bordi e connessioni) e una descrizione sintetica del ruolo dello scalo in relazione al potenziamento dei beni pubblici e dei servizi consegnati al contesto locale e alla città; vengono raccolti i verbali dei momenti di ascolto con i Consigli di Zona e con gli altri attori locali.
Il lavoro svolto, rispettando rigorosamente il mandato definito dall’Amministrazione comunale, ha coinvolto un numero significativo di attori locali e si è rivelato molto interessante, facendo emergere non solo attese e domande, ma anche conoscenze inedite sugli scali e sulle loro potenzialità di trasformazione, su ipotesi progettuali e su connessioni possibili tra la riqualificazione degli scali e il ripensamento dell’intera città.
In particolare, l’ascolto attivo consegna alla discussione pubblica alcuni temi ricorrenti e trasversali. Il primo è il riconoscimento che la trasformazione delle aree ferroviarie può diventare una importante occasione per rimettere in gioco potenzialità di scala superiore, trattando temi di portata più ampia e riorganizzare parti di città a scale diverse. Due, in particolare, sono le scale di riferimento rilevanti emerse dal confronto con i partecipanti: quella che riguarda il contesto immediatamente prossimo, la ridefinizione dei suoi perimetri e la necessità, di conseguenza, di collocare il progetto del singolo scalo entro un intorno maggiormente significativo. Ciò al fine di affrontare e trattare problemi maturati in aree che si trovano spesso al di fuori degli scali, come l’edilizia pubblica (San Cristoforo) o le aree mercatali (Porta Genova). La trasformazione dello scalo potrebbe essere l’occasione, infatti, per collocare spazi e servizi in grado di intercettare bisogni espressi da porzioni ampie di città, o per ricollocare in maniera più appropriata funzioni e servizi che altrove creano problemi proprio per la mancanza di spazi opportunamente progettati. I progetti per la trasformazione degli scali inoltre potrebbero essere l’occasione per sperimentare nuove modalità di informazione pubblica sui temi delle trasformazioni non solo dello scalo ma del suo contesto, coinvolgendo soggetti diversi.
La seconda dimensione rilevante emersa dalla discussione è quella della scala vasta, attraverso il riconoscimento della necessità di pensare alle trasformazioni degli scali entro un sistema territoriale adeguato. Gli scali in alcuni casi sono tangenti o intersecano sistemi di natura diversa, ambientale e infrastrutturale. La trasformazione degli scali avrà effetti su di loro e questi si ripercuoteranno anche a distanza, trattandosi di elementi che per loro natura travalicano i confini comunali, come il sistema dei navigli e dei parchi a sud est o anche i sistemi della nuova mobilità che la riorganizzazione della rete ferroviaria potrà consentire.
D’altra parte, il percorso di ascolto attivo fa emergere anche alcune specifiche questioni progettuali: la necessità di immaginare il passaggio da una condizione di spazio “murato” e intercluso a nuovo spazio di relazione tra parti anche molto differenti di città attraverso ricuciture e connessioni; la possibilità di utilizzare gli scali come ambiti di rafforzamento e integrazione del sistema del verde e degli spazi aperti; la valorizzazione del patrimonio storico e della funzione tradizionale degli scali, anche attraverso operazioni di riuso temporaneo. Questo primo lavoro svolto dal DAStU viene pubblicamente presentato alla città e agli attori coinvolti nella primavera del 2014 e diventerà un allegato alla bozza di Accordo di Programma che sarà posto in approvazione poco meno di due anni dopo.
Con l’incarico del 2016, si riprende l’attività di ascolto, concentrandosi sulla consultazione delle istituzioni decentrate (le Zone sono nel frattempo diventate Municipi), sia in dialogo con i Consigli che in assemblee aperte alla cittadinanza. Gli incontri sono occasione di verifica di tenuta degli esiti della prima campagna di ascolto attivo, ma anche di presentazione e dibattito su proposte bottom-up di Associazioni, Comitati e cittadini; sono inoltre uno strumento di aggiornamento sullo stato di avanzamento del processo e sulle opportunità di partecipazione alle attività in corso.
3.3 Vision per un immaginario del futuro
Accanto alle attività promosse dal Comune, dopo l’approvazione della delibera consiliare, la proprietà, ovvero Ferrovie, si prepara a organizzare un’iniziativa dal titolo “Dagli scali, la nuova città”8, non chiarissima negli intenti: da un lato, infatti, si incaricano cinque studi di architettura di fama internazionale9 di produrre altrettante “visioni” per gli scali milanesi; dall’altro si organizza un workshop intensivo aperto alla città – tre giornate di lavoro nella sede dello scalo Farini – finalizzato a raccogliere idee e suggestioni che poi nutriranno il lavoro dei cinque incaricati (presenti naturalmente al workshop)10. L’evento, molto partecipato, ha incontrato l’entusiasmo di alcuni e lo scetticismo di altri. I prodotti finali vengono poi “presentati ad aprile 2017 in concomitanza con il Salone del Mobile ed esposti in una mostra visitata da oltre 35.000 persone” (Comune di Milano, 2017a).
Varia la natura delle osservazioni critiche. In primis, ciò che desta perplessità è che l’iniziativa, del tutto legittima per un soggetto che agisce in regime privatistico11, viene presentata con l’ambigua dicitura “in collaborazione” con il Comune di Milano e con il Patrocinio di Regione Lombardia. La questione da subito sollevata, in particolare da un gruppo di professionisti molto attivo sulla scena pubblica milanese12, riguarda l’opportunità di un incarico diretto, sebbene solo “esplorativo” ai cinque studi professionali. Attorno a questa prima vivace protesta, veicolata anche da una raccolta firme, si costituisce un gruppo di opposizione, critico su metodi e contenuti, che è a tutt’oggi attivo.
Il processo ha dunque coinvolto e interessato numerosi attori, oltre alla proprietà e agli enti locali: cittadini, comitati, ordini professionali, associazioni di categoria, università, osservatori. Non sono mancate le occasioni di confronto, talora anche aspro, tra l’amministrazione e la società. Sebbene si sia prevalentemente registrato un consenso diffuso, largo e trasversale, come dimostra anche la votazione in aula per la ratifica dell’AdP13, non sono mancate voci critiche sia sul metodo che sul merito delle scelte, come già riportato nei paragrafi precedenti. In particolare, in alcuni luoghi virtuali si sono condensati il dissenso e il dibattito più acceso. È in questo contesto che matura l’idea di un confronto pubblico sul tema, a partire dalla lettura documentata e critica di alcune esperienze internazionali, prevalentemente europee. Comune, Ordine degli Architetti e DAStU-Politecnico di Milano organizzano pertanto quattro incontri presso il Palazzo Reale, rilanciando la discussione sul futuro degli Scali attorno all’illustrazione critica di casi studio di grandi trasformazioni urbane e coinvolgendo tutti i punti di vista che sulla vicenda si erano espressi (Montedoro, 2018).
La comparazione tra i cinque progetti presentati in occasione dell’iniziativa “Dagli scali la nuova città” offre un’anteprima di una possibile verifica orientativa che consente di ragionare sui diversi impianti insediativi in relazione alla quantità fissate. Se, ad esempio, osserviamo il più ambito degli scali, il Farini, nelle ‘visioni’ dei team invitati si prefigurano tre assetti possibili: l’edificazione intensiva dei bordi con un grande parco centrale (Boeri); l’edificazione del centro dell’area, a ridosso del nodo infrastrutturale, con il parco perimetrale che si fa carico di ricucire le parti di città (Mecanoo); l’edificazione di un nuovo tessuto denso che alterna spazi verdi e spazi minerali, scomponendo il verde in una sequenza di giardini alternati al costruito (Zucchi). Si mostra in tal modo come, da un lato, a parità di quantità edificabili, i principi insediativi adottati possano rispondere in modo assai diverso relativamente alla proposizione di uno spazio abitabile di qualità. Dall’altro, i progetti delle consultazioni mostrano come puntare sulla massima estensione e unitarietà dello spazio aperto (importante posta urbana in gioco per lo scalo Farini) non possa non avere come contropartita una importante elevazione delle altezze degli edifici che si differenziano radicalmente rispetto ai caratteri del contesto.
3.4 Il Documento di Visione Strategica
Nell’importante sforzo collettivo attivato per la chiusura dell’Accordo di Programma, il Comune si impegna anche nella redazione di un Documento di Visione Strategica (DVS)14 che accompagni l’AdP come allegato, definendo obiettivi di sistema e contenuti metaprogettuali che non trovano posto, per la loro natura, nell’Accordo. Questo testo, redatto dai settori dell’Amministrazione con il supporto scientifico di un gruppo di ricercatori del Politecnico di Milano15 e con la collaborazione del Centro Studi PIM e di AMAT, contiene alcuni elementi di importante ancoraggio per lo sviluppo del processo di trasformazione e viene poi allegato all’Accordo approvato. In particolare, il Documento si fa carico di fissare gli obiettivi generali dell’Amministrazione, esito del convulso processo di consultazioni e di lavoro consiliare dei mesi precedenti, e le tappe per l’implementazione dei progetti, ivi incluso l’obbligo per la proprietà di procedere con concorsi internazionali per lo sviluppo dei Master Plan.
3.5 I contenuti dell’AdP
Il 23 giugno 2017 si conclude la sottoscrizione da parte del Comune di Milano, di Regione Lombardia, delle società del gruppo Ferrovie dello Stato Italiane e di Savills IM SGR SpA (società privata che ha acquisito il 10% circa delle aree dello scalo Farini) dell’Accordo di Programma per la riqualificazione urbanistica di 7 scali ferroviari siti in Milano correlata al potenziamento del sistema ferroviario milanese, che viene approvato dal Consiglio comunale nel luglio del 2017.
Le novità più significative della nuova versione dell’Accordo di programma riguardano i seguenti punti. In primo luogo l’individuazione di una quantità di aree da destinare a verde pubblico attrezzato pari a circa due terzi della Superficie Territoriale, che non include le Aree Strumentali, prescrivendo una quota minima del 50% sullo scalo Romana e superiore (fino al 100% sullo scalo San Cristoforo) per gli altri scali.
In secondo luogo la definizione di un indice di utilizzazione territoriale medio di 0,65 mq/mq, pari a 674.460 mq di superficie lorda di pavimento totale, con la previsione di una concentrazione delle volumetrie negli scali più accessibili. Pur mantenendo un’impostazione orientata alla flessibilità, viene indicata una quota minima di funzioni non residenziali a garanzia del mix funzionale, da specificare in sede di pianificazione attuativa.
In terzo luogo, viene prevista una quota minima del 30% da destinare a residenza sociale e convenzionata a garanzia del mix sociale. Ciò significa che la residenza sociale e convenzionata (che tuttavia comprende tipologie molto diverse di offerta residenziale, solo in parte limitata rispondere ai bisogni delle fasce più svantaggiate della popolazione), peserà per il 44% delle volumetrie a uso residenziale, e di questa quota almeno il 40% è da destinare all’affitto.
In quarto luogo, per quel che riguarda il potenziamento del sistema ferroviario, a fronte degli investimenti in interventi già realizzati o in realizzazione sul nodo di Milano nel periodo 2005-2016 (1.755 mln di €), vengono previsti ulteriori 1,000 mln di € oltre a circa 100 mln di € previsti per interventi trasportistici propedeutici alla Circle Line, di cui almeno 50 mln € a carico delle plusvalenze. Il contributo fisso di 50 Mln di € è articolato nella messa a disposizione di un contributo anticipato di 36 Mln e di ulteriori 14 Mln in sede di progressiva rendicontazione annuale a valere sul 100% delle Plusvalenze, in coerenza con le previsioni del cronoprogramma delle opere.
In quinto luogo, per quanto riguarda le risorse per le trasformazioni urbanistiche, la stima dei costi preurbanizzativi a carico degli operatori per smantellamenti e razionalizzazione delle strutture ferroviarie è di circa 45 mln di €; la stima degli oneri di urbanizzazione a carico degli operatori che trasformeranno le aree è di circa 133 mln di €; gli extraoneri complessivi a carico degli operatori che trasformeranno le aree sono di circa 81 mln di €.
Infine, dal punto di vista dell’attuazione, per le Zone Speciali di Farini, Romana e Genova è previsto l’obbligo di concorsi aperti - preferibilmente in due gradi, con selezioni basate su esperienze precedenti e proposte metodologiche e/o progettuali - per la redazione di Master Plan funzionali alla successiva presentazione dei Piani Attuativi. Per le altre le Zone Speciali sono raccomandate forme di procedura concorsuale di cui sopra per la redazione di Master Plan preventivi ai Piani Attuativi. Saranno inoltre sottoposti a concorsi di progettazione gli interventi per la realizzazione dei nuovi parchi, degli spazi pubblici e degli edifici pubblici più rilevanti, da realizzare a scomputo degli oneri di urbanizzazione, nei casi e con le modalità concordate con l’Amministrazione Comunale in sede di istruttoria dei Piani Attuativi.
3.6 I Bandi di concorso
Con l’approvazione dell’AdP e del DVS, il processo è giunto a un grado di maturazione che consente di interrogarci sul futuro.
La procedura prevista dal Documento Strategico allegata all’Accordo di Programma prevede la redazione di Documenti Preliminari alla Progettazione per avviare e indirizzare le procedure concorsuali che producono i Master Plan e progetti per i parchi, gli spazi pubblici e gli edifici pubblici più rilevanti. Alla definizione concorsuale del Master Plan segue la redazione di un Documento di Progettazione Unitaria di Coordinamento necessario per l’approvazione del Master Plan stesso, per la suddivisione dei lotti e la definizione di fasi di intervento. A queste fasi si accompagna la promozione di momenti di ascolto e confronto pubblico sui temi progettuali prima e durante ciascuna fase del processo.
Come previsto dai contenuti dell’Accordo e del DVS, , dunque, per gli scali Farini e San Cristoforo nell’ottobre del 2018 è stato lanciato un concorso in due fasi per la definizione dei Master Plan; allo stesso modo, si prevede a breve un concorso per il Master Plan dello Scalo di porta Romana, per il quale il programma funzionale è stato ridefinito sulla base dell’assegnazione dei Giochi olimpici invernali 2026 a Milano: è questa, infatti, l’area scelta per l’insediamento del villaggio olimpico, “da 1260 letti con 70 camere singole e 630 camere doppie, dovrebbe essere completato otto mesi prima dell’apertura dei Giochi. L’avvio dei cantieri è previsto per il giugno 2022. Già deciso anche il futuro della struttura dopo le Olimpiadi: sarà trasformata in un campus residenziale per gli studenti, ovviando alla storica carenza di alloggi per gli universitari”16.
Per gli altri scali si seguiranno invece altre strade. È il caso, ad esempio, dello Scalo di Greco il cui destino è affidato all’iniziativa Reinventing Cities, il bando internazionale lanciato da C40 che prevede l'alienazione di siti inutilizzati a favore di progetti di rigenerazione ambientale e urbana, cui Milano partecipa insieme ad altre 18 città del mondo17. Il bando ha conosciuto una sua prima edizione pilota nel 2015: Reinventer Paris, iniziativa di rigenerazione urbana promossa dal sindaco di Parigi e presidente di C40, Hanne Hidalgo. La qualità tecnico-progettuale attesa dalle proposte, fortemente orientata alla sostenibilità ambientale, è valutata con una serie di criteri e obiettivi come l’efficienza energetica, l’offerta di mobilità sostenibile, l’attenzione al verde e all’agricoltura, i benefici per la comunità, oltre che dell’offerta economica. Per lo Scalo di Geco (Reinventing Cities 2017), lo scorso maggio è stato proclamato il progetto vincitore, “L’innesto”, dello studio milanese Barreca&Lavarra18.
Nel nuovo bando, appena pubblicato, è stato inserito lo Scalo di Lambrate.
In generale, il tema dell’attuazione e delle forme dello sviluppo dei progetti è cruciale e delicato. Si auspica che saranno messi in campo metodi innovati e procedure sperimentali per rispondere all’inedita complessità della sfida e che si sapranno trovare strumenti adeguati anche per gestire il tempo lungo delle trasformazioni (Pasqui 2017; DVS 2017a), attraverso l’attivazione degli usi temporanei di parte delle aree e delle strutture, ma anche con la capacità di realizzare “progetti anticipatori” dimostrativi; in altri termini, che possano trovare luogo pratiche di innesco delle trasformazioni.
3.7 Il concorso Farini-San Cristoforo
Il bando di concorso (in due fasi) per lo scalo Farini e San Cristoforo prevedeva un Master Plan per ciascuna area come “documento orientativo e, dunque, non vincolante,20 funzionale alla stesura di futuri piani propedeutici alla rigenerazione delle aree”.
In sintesi si richiede che il Master Plan definisca nelle aree il ruolo della rigenerazione alla scala urbana e metropolitana; disegni scenari di assetto morfologico e definisca le logiche degli spazi di ricucitura con i quartieri adiacenti, tenendo conto della persistenza della linea ferroviaria; individui le connessioni di mobilità pubblica, viaria e dolce, in relazione alle stazioni ferroviarie e a quelle della metropolitana e alle scelte di mobilità interna al perimetro, tenendo conto dell’assetto del contesto e delle soluzioni relative al superamento dei binari; indichi l’approccio progettuale dello spazio aperto verde previsto, entro le differenti dimensioni della mitigazione degli inquinamenti e degli effetti dei cambiamenti climatici, della connessione con il sistema verde urbano esistente, nel quadro delle istanze emerse durante il dibattito pubblico sugli scenari e degli obiettivi di connessione ecologica definiti dall’ADP.
Se questi sono i temi da trattare, il Master Plan, oltre alle verifiche quantitative e relative alle destinazioni d’uso, deve anche svolgere dei test che mostrino la flessibilità morfologica, tipologica e spaziale dell’assetto previsto e che mettano alla prova diversi scenari di scomponibilità per comparti, fatte salve le necessità di funzionamento e di relazione con il contesto e la compatibilità economica tra i processi di realizzazione degli spazi pubblici e quelli privati.
Va sottolineato che la richiesta fatta nel bando non ha per oggetto un progetto planivolumetrico per l’area: le configurazioni fisiche richieste, infatti, sono simulazioni, scenari possibili, non progetti da mandare in cantiere; si dice più volte che non si richiedono elaborati per un “piano attuativo”. Al Master Plan si domanda invece la “rappresentazione di una strategia di rigenerazione” e l’indicazione di “elementi di invarianza” al fine di raggiungere due scopi complementari: da un lato “garantire l’interesse pubblico”, “le connessioni e le infrastrutture verdi” e il “raggiungimento degli obiettivi generali”; dall’altro (attraverso la flessibilità delle sue determinazioni) uno sviluppo futuro capace di affrontare con “resilienza” il mutare degli scenari socio-economici. Si tratta di una richiesta che comporta una riflessione sulla forma del progetto urbano alla quale le procedure concorsuali non ci hanno abituato e che non è molto frequentata neanche dai tecnici.
Il progetto vincitore è quello chiamato “Agenti climatici” e proposto dal gruppo capitanato da OMA e Laboratorio Permanente21: è stato premiato dalla giuria perché rispettoso della storia urbana e delle forme tradizionali dello spazio pubblico milanese, perché estremamente flessibile e capace di ospitare una pluralità di usi pubblici e privati, perché favorisce sistemi di mobilità dolce e si inserisce nella strategia del Comune di Milano relativa all’adattamento ai cambiamenti climatici e alla resilienza urbana.
Il progetto trova le sue ragioni a varie scale, da quella regionale a quella del quartiere, ragioni climatiche e ragioni insediative. Propone due nuovi “dispositivi ambientali”: un bosco lineare che a Farini corre parallelo alla linea ferroviaria e contribuisce alla depurazione e al raffrescamento dell’aria e un sistema d’acqua lineare a San Cristoforo per la depurazione delle acque. Il parco di Farini viene collocato entro un potenziale sistema urbano di spazi aperti che parte in centro dai giardini Montanelli a Porta Venezia per arrivare fino alle aree ex Expo. Connessioni trasversali e longitudinali ciclabili si allacciano alla rete del contesto e definiscono la struttura urbana della mobilità dolce interna.
Il principio insediativo proposto per l’ex scalo Farini si basa sulla espansione delle regole urbane del contesto attraverso un sistema di grandi isolati che da nord con continuità penetrano all’interno dell’area, fino ad affacciarsi sul parco. Nella griglia urbana sono inseriti giardini e piazze, riproponendo planimetricamente l’immagine urbana milanese. La suddivisione del suolo in isolati costituisce l’elemento inerte che definisce gli spazi edificabili sui quali una serie di simulazioni mostra una pluralità di spazi urbani possibili, relativi a differenti scenari di sviluppo. Il tempo intermedio negli isolati “in attesa” è immaginato popolato da usi temporanei dello spazio aperto, pratiche e manifestazioni collettive.
Il progetto è di grande essenzialità e costituito di pochi elementi semplici, pur essendo presentato entro una pluralità di dimensioni argomentative. Volutamente è molto vago sui principi insediativi e sulle qualità dello spazio abitabile all’interno degli isolati a causa dell’incertezza che domina il lungo periodo previsto per questa trasformazione.
A causa delle loro dimensioni, gli isolati forse si sarebbero prestati a qualche riflessione aggiuntiva in relazione a vari temi: la loro auspicabile (consigliabile) scomposizione interna, in relazione all’avvicendarsi degli interventi nel tempo; il trattamento dei loro perimetri esterni, introducendo regole (consigli, direttive, orientamenti?) relative all’attestamento degli edifici, in modo da definire alcuni caratteri irrinunciabili del paesaggio che sarà costituito dalla nuova rete stradale urbana (strada corridoio, arretramenti per articolare la sede stradale, dove, in modi diversi a seconda della posizione?); i modi mediante i quali sia utile (necessario, conveniente, consigliabile, strategico?) consentire la permeabilità degli isolati da parte della mobilità dolce e dei sub-sistemi dello spazio aperto, escludendo la rete viaria che li determina, costituendo un eventuale principio di percorribilità trasversale degli isolati fra loro e di connessione minuta con la città al contorno; infine il trattamento consigliabile dell’affaccio sulla città esistente, tenendo conto delle “percezioni lunghe” che penetrano dalle strade del tessuto esistente e anche da sud, oltre il parco.
Tutto ciò si sarebbe potuto fare in modo non deterministico, semplice e con carattere orientativo, suggerendo un linguaggio urbano, senza imporre alcuna configurazione spaziale, come è stato mostrato in passate esperienze milanesi (Fabian, Infussi 2012; Infussi 2014).
4. Quali sono i requisiti di un progetto urbano per gli scali
4.1 La forma di un progetto unitario per una realizzazione decentrata. Il tempo lungo
Il recupero di ambiti urbani estesi deve oggi confrontarsi con una nuova condizione – in parte dovuta alla crisi economica degli ultimi anni, in parte a una mutazione più profonda dei processi di trasformazione della città – e con variabili di lungo periodo che rendono necessario rivedere l’approccio al progetto urbano che ha caratterizzato la prima stagione del recupero delle aree industriali dismesse, tra gli anni Ottanta e i primi anni Duemila. Il fallimento di alcune previsioni e l’incertezza dei contesti richiedono nuovi strumenti di orientamento per l’attuazione, molto flessibili e capaci di ospitare le trasformazioni, senza rinunciare a ‘fissare’ alcuni elementi che mettano al sicuro, sin da subito, il ‘vantaggio pubblico’ – di natura sociale, ma anche paesaggistica, formale e qualitativa – della valorizzazione delle aree. Tali elementi possono essere decritti in termini prestazionali (cosa ci si aspetta che il progetto metta in sicurezza/cosa deve fare: ricucire, garantire continuità dei percorsi e delle reti ecologiche, densificare, ecc.): le azioni; o in termini morfologici (come ci si aspetta che il progetto sia nei suoi tratti peculiari/come deve essere: mantenimento di allineamenti, griglie, altezze massime, figure del paesaggio, ecc.): le invarianti.
La definizione delle prestazioni attese, che tende a mettere in secondo piano il tema della forma (o, meglio, che afferma in linea di principio che diverse forme possano rispondere alle medesime richieste), ben si adatta a guidare il progetto dello spazio pubblico, verde e minerale; la nuova diffusa consapevolezza ecologica introduce un cambio di paradigma nell’approccio progettuale. Lavora in questo senso il Landscape Urbanism che, nei suoi assunti teorici e nelle sue sperimentazioni, mostra alcune linee di lavoro per rispondere alla nuova condizione urbana (Repisthi 2012). La risposta progettuale alle attuali condizioni non può affidarsi al tradizionale ‘cronoprogramma’ che si impegnava a definire le diverse fasi dell’attuazione all’interno di un quadro rigido di previsioni, ma può invece tradursi nell’individuazione di azioni progettuali paesaggistiche, queste sì oggetto di un fasage. Scrive James Corner “il secondo tema del programma del Landscape urbanism riguarda il fenomeno della superficie orizzontale, la linea di terra, il campo di azione. Tali superfici costituiscono l’ambiente urbano quando considerate attraverso un’ampia varietà di scale, dal marciapiede alla strada all’intera matrice infrastrutturale delle superfici urbane” (Corner 2006, 30).
La definizione di indicazioni morfologiche, le invarianti, sebbene possa essere parimenti utilizzata per lo spazio pubblico, con un grado di vincolo ulteriore (non solo le prestazioni attese, ma anche alcune forme dello spazio aperto), tende ad essere prevalentemente utilizzata nell’orientamento per lo sviluppo del costruito, laddove sia previsto un documento intermedio tra piano (urbanistico) e progetto (attuativo). In quanto più stringente, la definizione di invarianti, da un lato, dovrebbe consentire un maggiore controllo sugli esiti fisici delle trasformazioni, dall’altro presenta un maggiore grado di vulnerabilità agli ‘accidenti’ propri della storia sociale dei progetti, e dunque un superiore rischio di essere disattesa.
Sarebbe d’altra parte interessante anche immaginare un capovolgimento delle due categorie, provando a declinare azioni del progetto per il costruito e invarianti formali per lo spazio pubblico, per verificare quale approccio possa essere più operativo nella presa sulla realtà.
4.2 Quali strumenti e che formati per la pianificazione attuativa
Una volta definita la ‘sinopia’ strategica di lungo periodo, per azioni o per invarianti che sia, per articolare il ragionamento è necessario partire da una considerazione di metodo: oggi la pianificazione attuativa è l’esito di un dialogo tra l’amministrazione e la proprietà che vede il soggetto privato nel ruolo propositivo della soluzione progettuale. Tale prassi presenta alcune debolezze, da diversi i punti di vista: per i comuni, che non riescono a garantire il controllo di uno sviluppo coerente anche di lotti adiacenti nel tessuto urbano, ma anche per l’operatore e il suo professionista, che vedono il progetto pendolare tra i diversi uffici e settori per verifiche di varia natura, nonché con le Commissioni per il Paesaggio, che si esprimono però solo in fondo al processo, ex-post, con ruolo consultivo, in una economia in cui il controllo di tempi certi è assai importante.
Si ritiene pertanto che l’adozione di dispositivi ulteriori e intermedi per la progettazione delle aree di trasformazione, così come negli ambiti non unitari della trasformazione diffusa, potrebbe rispondere alle criticità rilevate e consentire un maggiore controllo sulla qualità degli esiti fisici (De Carlo 1989) dei processi (Bruzzese, Montedoro 2015).
Nel caso milanese, ad esempio, il Piano di Governo del Territorio disciplina le previsioni sulle più importanti aree in attesa (tutte quelle definite Ambiti di Trasformazione Urbana (ATU): gli scali ferroviari e le aree militari, ma non solo) rimandando direttamente ad Accordi di Programma e alla pianificazione attuativa. Per il recupero di queste aree strategiche sarebbe indispensabile disporre di indirizzi chiari sulla forma della città che ri-immettano il disegno nella pianificazione allo scopo di ‘fare città’. Ma quali strumenti utilizzare? Quale tipo di dispositivo/documento può orientare efficacemente la trasformazione? ‘Tavole dei vincoli’? ‘Documenti preliminari per la progettazione’? ‘Linee guida’? Con quale formato e con quale grado di prescrittività? Si tratta di una discussione aperta che lascia ampia margini di sperimentazione, urgente per il futuro della città, sfidante per l’amministrazione, appassionante per gli urbanisti. Senz’altro, però, l’obiettivo di tale dispositivo è la messa a fuoco delle invarianti e delle azioni progettuali, ossia di quegli elementi ritenuti irrinunciabili per salvaguardare il contenuto di urbanità della proposta: il sistema degli spazi pubblici, le connessioni, le permeabilità, le altezze, le aree di galleggiamento, ecc. Un documento utile per istruire un bando di concorso o per orientare l’attore privato. Uno strumento che faccia proprio il problema del tempo lungo e metta a tema il fasage delle invarianti, anche per alcune singole unità di intervento (lotti).
E ancora, una volta sperimentato un dispositivo adeguato, chi dovrebbe esserne l’estensore? Quale che sia la risposta – un ufficio dedicato all’interno delle strutture comunali, un incaricato esterno, l’università, ecc. – è evidente che l’adozione di questi innovativi22 planning tools riaffermino la centralità della regia pubblica, unica in grado di produrre una visione strategica e un’idea di città (anche morfologica, sebbene spesso per frammenti).
4.3 La forma del progetto urbano e la sua costruzione
Oggetto di un progetto urbano complesso sono situazioni che hanno necessità di una progettazione unitaria accentrata, ma per le quali sia inevitabile la proliferazione di differenti momenti di progettazione, di volta in volta relativi a porzioni limitate, esito di una scomposizione dell’assetto unitario, disposti entro un arco di tempo di durata parzialmente imprevedibile e la cui realizzazione è destinata ad essere decentrata rispetto all’attore che ha prodotto il progetto unitario.
L’aspirazione a “durare” attraverso il tempo da parte del progetto, la sua inerzia possibile e contemporaneamente la sua adattabilità alle condizioni contestuali23 e ad una arena di attori cangianti, dovrebbe influenzare la “forma del progetto” di Master Plan: i modi attraverso i quali esso organizza la comunicazione tra i diversi momenti di progettazione che seguiranno (Infussi 2007a; Infussi 2008).
L’incertezza della situazione dovrà portare a ridurre i caratteri deterministici del progetto per sostituirlo con altri che non comportino necessariamente la linearità dell’implementazione, che consentano la retroattività degli esisti parziali del processo, che aprano a diversi futuri possibili, ma che assicurino anche la permanenza di alcune prestazioni irrinunciabili della trasformazione, in relazione ai suoi rapporti con il contesto, alla sua organizzazione interna, al soddisfacimento di domande di natura collettiva e pubblica.
Ciò significa riconoscere e definire una gerarchia all’interno degli elementi costitutivi e delle determinazioni di una esplorazione progettuale (Infussi 1994) destinata ad essere “buttata via” dopo aver sondato la disponibilità alla modificazione della situazione (Samonà 1969). Questa attività conoscitiva di carattere progettuale si può svolgere in molti modi che non possiamo in questa sede ricordare, ma è in larga parte dipendente dallo specifico contesto nel quale si svolge un processo di progettazione unitario, ha a che fare con il tipo di innesco che ha connotato il processo trasformazione, con l’interazione sociale che si intende promuovere, con la rete di attori che si riconosce come rilevante nel processo e la sua dinamicità, con le dimensioni istituzionali che sono evocate dalla trasformazione, con la dimensione economica che è destinata a sostenerla, con i caratteri spaziali del contesto, con lo stato di cose che connota il sito di progettazione.
L’esplorazione progettuale preventiva è fondamentale se si vuole fare emergere i caratteri del Master Plan dall’insieme delle condizioni che influenzano strutturano, vincolano, potenziano e alimentano la trasformazione oggetto del progetto urbano, che altrimenti rischia di essere abbandonato ad argomentazioni che non nascono da una idea di città e di processo (costruiti in modo condiviso qui e ora), ma largamente ideologiche e basate su una “ragioneria urbanistica” usata in modo sterile come motivazione esclusiva. In questo caso ne possono scaturire progetti che non intendono convincere, ma solo affermarsi, progetti che non ci parlano del futuro e del modo di raggiungerlo, ma dei loro estensori e dello scambio fra attori di cui sono l’oggetto, riducendosi ad un mero espediente per distribuire compensazioni, mitigazioni, profitti e rendite (Infussi 2007).
Affrontare il tempo e il contesto porta il progetto urbano a definire sue forme specifiche, intendendo con forma del progetto i modi (verbali e grafici) mediante i quali vengono comunicate le informazioni sulla trasformazione dello spazio: a quali soggetti, a quale scopo, con quale stile, entro quali scansioni temporali, mediante quali forme discorsive (descrittive, narrative, ecc), entro quali gradi di prescrittività. Gli elementi costitutivi di un dispositivo progettuale sono fra loro composti al fine di determinare, strutturare, dirigere, regolare, orientare, suggestionare, accompagnare (a seconda dei casi alternativamente o in modo integrato in relazione a oggetti diversi) le azioni degli attori e l’esito del processo di progettazione. Propongo di chiamare “forma del progetto” la configurazione che assume tale composizione.
Le forme del progetto possono essere molte e a seconda dei casi possono essere dirette a determinare, orientare, guidare, consigliare (Infussi 2008) il comportamento degli attori durante il processo di implementazione. Ogni forma che il progetto assume, durante la sua costruzione e poi nel documento entro cui si deposita, struttura differentemente l’interazione sociale che lo riguarda, seleziona i destinatari del suo discorso, definisce il campo dei temi rilevanti, orienta la costruzione dell’orizzonte dei futuri possibili. In pratica definisce i criteri di legittimità dei soggetti parlanti, di ciò che si può e si deve dire, quando e come. In questo senso è con qualche nota di cautela che occorre avvicinarsi a questo aspetto della progettazione, l’apertura al futuro non può riguardare solo le possibilità delle forme insediative, ma anche l’eventuale irrompere di nuovi attori nel processo.
La forma del progetto, pertanto, ha un ascendente su (ma, a sua volta, è anche influenzata da): la costruzione del problema; la selezione degli oggetti di cui il progetto si occupa; il documento (o i documenti) che sono prodotti durante il processo di progettazione; gli enunciati che in esso sono contenuti (verbali, grafici, numerici); la forma del discorso di volta in volta impiegato (descrittivo, narrativo, prescrittivo); i modi prescelti al fine di comunicare con gli attori e quindi l’interazione sociale che li riguarda; i tempi e le velocità relativi alla trasformazione prevista.
In ogni vicenda di progettazione, la “forma del progetto” dovrebbe declinarsi secondo modi specifici, facenti riferimento all’interpretazione dell’incrocio locale fra le differenti condizioni spaziali, socio-economiche, istituzionali e tecniche, ma anche tra valori generali e opportunità locali. La forma del progetto dovrebbe essere quindi l’esito di un processo di interazione sociale e non un contenitore stabilito a priori.
La comunicazione tra i differenti momenti della progettazione che il progetto urbano struttura si dovrà misurare con l’incertezza e l’imprevedibilità (Schön 1983). Una versione determinista e arrogante del progetto urbano rischia di essere fragile nei confronti del tempo lungo. Rischia di ridurre la sua “efficacia ed efficienza non essendo stato sufficientemente inclusivo nel suo percorso di costruzione e radicato nel contesto, non essendo l’esito di un processo di interazione sociale aperto, perché non possiede capacità di reazione né di resilienza di fronte all’imprevisto, perché non è scomponibile di fronte ad una pluralità di percorsi attuativi, perché si presenta in modo arrogante nel processo, ammettendo la sua implementazione solo in modo lineare e deterministico, senza possibilità, da parte di ciascun momento della progettazione e dell’implementazione, di avere effetti retroattivi sulle fasi precedenti. Così, quando è esposto ad eventi che lo contraddicono, non possiede risorse per affrontali, perché fondato sulla sua rigidità e avulso a qualsiasi mutamento nel tempo che non sia quello destinato a ridefinirlo totalmente” (Infussi 2020).
Ciò non toglie che si possano dare processi di progettazione unitaria che si svolgono con una modalità fortemente accentrata, comprendente anche le fasi realizzative. Pur prevedendo una scomposizione minuta delle fasi costruttive, essi possono rappresentare il loro processo di implementazione in modo deterministico, con una certa dose di rigidità, grazie alla coincidenza tra attori promotori e realizzatori, anche entro un quadro di estrema proliferazione dei progettisti. In questa situazione meno complessa le regole del progetto urbano possono limitarsi a gestire gli ambiti di variabilità possibile rispetto ad un planivolumetrico dato e all’architettura sarà dato il compito di “vestire” delle stereometrie date con declinazioni concesse quasi esclusivamente nell’ambito del linguaggio architettonico (Martorell e altri 1988, Infussi 1991).
Un progetto urbano che esplori il futuro senza avere l’arroganza di predirlo e che istituisce con i successivi momenti di progettazione un rapporto dialogico non meramente esecutivo si orienta verso una forma del progetto diagrammatica e non deterministica che, ad esempio, sposti invece l’oggetto del Master Plan verso le prestazioni dello spazio, piuttosto che sulle sue configurazioni. Il suo scopo sarà quello di orientare i successivi momenti di progettazione, non di determinarli, attraverso differenti livelli di prescrittività e forme del discorso, nell’ipotesi che diverse configurazioni dello spazio possano rispondere in modo pertinente ai medesimi requisiti, relativi a dimensioni della trasformazione che possono essere tra le più varie e disposti a scale eterogenee
Le esplorazioni progettuali preventive precisano il programma, definiscono il tema e i requisiti del progetto entro un processo di interazione sociale che prevede l’ascolto degli attori e della popolazione, definendo così le prospettive evolutive entro le quali sembra che il progetto possa acquisire un senso legittimo e condivisibile. Definiscono progettualmente, attraverso concrete configurazioni, la capacità insediativa, a partire da un indice di base che viene così messo alla prova e precisato. Riconoscono le relazioni irrinunciabili con il contesto e i caratteri possibili e auspicabili delle forme organizzative interne.
L’attività che segue all’esplorazione progettuale seleziona e isola gli elementi che sembra utile portare all’interno del Master Plan. In via molto aggregata, essi possono riguardare, alternativamente o in modo integrato a seconda dei casi, il principio insediativo, alcuni aspetti del progetto di suolo, le relazioni che l’intervento intrattiene con il contesto, i criteri di organizzazione interna dei materiali costitutivi dell’insediamento, le dimensioni quantitative e le logiche localizzative delle attività ospitate, la scomposizione auspicabile nelle unità di intervento, potendo anche definire degli approfondimenti radicali su alcuni aspetti o luoghi.
Il Master Plan definisce in questo modo gli elementi irrinunciabili della modificazione prevista, fornisce istruttorie di guida alla progettazione che possano orientare il linguaggio urbano della parte di città che si realizzerà e che sono costruiti attraverso una interazione tra tecnici, soggetto pubblico e l’arena degli attori locali.
Non si tratta però solo della indicazione di oggetti e temi, contemporaneamente esso attribuisce agli elementi estratti dalle esplorazioni dei gradi di prescrittività differenti, definendo anche le basi per l’attivazione di un rapporto dialogico con le fasi di implementazione, se ammette forme prescrittive che prevedono la retroattività o l’interazione con il soggetto emittente del Master Plan (norme ipotetiche, pragmatiche, direttive, consigli, ecc.). In questo modo si costruisce un processo recursivo che concepisce l’implementazione come un processo circolare di determinazione, allontanandosi dalla tradizionale (e ingenua) rappresentazione lineare, cronologica e causale, per attraversare invece momenti di “anticipazione progettuale” e fasi di lavoro con esiti che potrebbero essere radicalmente retroattivi.
Nei casi più complessi il deposito che lascerà l’esplorazione progettuale potrà essere assoggettato a differenti trattamenti, relativi alle specifiche condizioni di incertezza. Il Master Plan potrà dare della trasformazione una rappresentazione aggregata e vaga (perché variamente interpretabile) del risultato ritenuto auspicabile, limitandosi alla definizione di prestazioni e delle caratteristiche dei risultati da ottenere. Oppure potrà selezionare alcuni elementi strategici del nuovo assetto la cui versatilità sia tale da poter consentire trattamenti differenti del tema insediativo proposto, nell’ipotesi che differenti configurazioni possano raggiungere i medesimi obiettivi strategici e fornire le medesime prestazioni urbane, relative alla qualità o a prestazioni funzionali di varia natura. Potrà limitarsi ad indicare alcuni elementi non negoziabili, presentandoli come risorse e supporto per le attività della progettazione successiva. Il Master Plan si incarica in questo modo di istituire un ponte con il futuro, con attori che non conosce, dei quali non può prevedere il profilo né, tanto meno, le richieste. Non si tratta, quindi, di proporre un atto di fondazione, da ribadire a tutte le scale del progetto, ma di delineare un dispositivo capace di orientare un processo di costruzione che si preciserà nel tempo (Infussi 2007b).
5. Considerazioni sul processo e prossimi passi
5.1 Un processo decisionale non lineare, una situazione opaca
Il processo decisionale che ha portato alla sottoscrizione dell’Accordo di Programma è stato tutt’altro che lineare. Ciò è dipeso da molti fattori: il tempo molto lungo che è intercorso dall’avvio del processo, che è transitato nella più grande crisi del mercato urbano milanese dal secondo dopoguerra; la progressiva ridefinizione del problema e della posta in gioco, che sono stati interpretati in modo difformi e cangianti dai diversi attori; la progressiva “politicizzazione” della discussione pubblica, nel quadro più generale del dibattito sull’urbanistica milanese; la compresenza spesso cacofonica di discorsi (disciplinari ed esperti, ma anche comuni), che si sono prodotti nel corso del tempo e che hanno reso spesso opaca la discussione pubblica. Non si è trattato certamente di un processo pienamente trasparente, anche se su pochi grandi progetti milanesi la discussione è stata così intensa e partecipata. D’altra parte, il dibattito pubblico si è nutrito di immaginari molto diversi, veicolati dai progettisti (si pensi al ruolo giocato da alcune delle “visioni” prodotte dalle archistar e in particolare dall’immagine del fiume verde” proposta da Stefano Boeri), dalle istituzioni, dai cittadini più o meno organizzati e ideologizzati. Per tutte queste ragioni, il processo che ha portato all’Accordo e alla sua attuazione ci restituisce una immagine di una città che fatica a produrre una discussione pubblica informata e non preconcetta.
Inoltre, non possiamo dimenticare che l’approvazione dell’AdP è soltanto un passaggio e che inciampi, incidenti di percorso, biforcazioni e situazioni di stallo potranno ancora generarsi nei prossimi anni, in un percorso che sarà necessariamente lungo, tortuoso e non privo di asperità. In particolare, rispetto ai concorsi già conclusi, non è chiara la sequenza dei prossimi passaggi, né quale relazione avranno con i precedenti. Se si considera la natura innovativa ed aperta a diversi sviluppi del Master Plan vincitore per lo Scalo Farini, non si comprende come si procederà con l’attuazione e con quali procedute verranno affidati i progetti.
Il progetto per gli scali non è perciò solo un progetto dello spazio che deve assumere le ‘ragioni dei luoghi’, ma è anche un progetto di processo che risponda alle ‘ragioni dei tempi’.
Disegnare innovativi processi attuativi e avviare la sperimentazione di nuove procedure ad hoc, a partire da un bilancio onesto e serio sulle esperienze milanesi recenti di scala comparabile e al di là della retorica dell’ottimismo del “modello Milano” o della scontentezza cronica, è necessario e urgente, considerando che gli strumenti ordinari non sembrano in grado di garantire né la certezza dei tempi, né la qualità degli esiti finali delle trasformazioni. Anche sulla nozione di “qualità” è importante concentrarsi e interrogarsi, giacché dovrebbe essere l’obiettivo prioritario di ogni azione urbanistica: una specie di qualità polisemica, che si riferisce a una risposta locale all’interno di un quadro globale; che attiene al carattere degli spazi, ma anche ai modi di usarli; al sistema di relazioni che il progetto è in grado istituire con il contesto, ma anche al suo interno. Allo stesso modo, nel progetto, l’armatura dello spazio pubblico e la qualità del paesaggio sono irrinunciabili. Senza un’armatura collettiva sia nel processo, sia nel progetto, non si avranno luoghi generatori di urbanità, di qualità urbana e – quindi – di vitalità sociale ed economica.
5.2 Restituzione alla città
Ad ogni processo di rigenerazione (e il caso degli scali fa parte di questo grande e variegato insieme di pratiche) è legittimo, e necessario, chiedere che cosa esso restituisca alla città. Si tratta di una domanda cruciale soprattutto in casi, come questi, in cui risorse spaziali, per lungo tempo sottratte alla vita plurale della città e destinate ad un impiego settoriale, emergono quasi improvvisamente per mutare il loro ruolo urbano. Questo atto di restituzione ha molti vincoli ed è colorato da differenti aspettative. Il bilancio tra vantaggio privato e interesse pubblico è complesso, proprio perché intreccia un numero molto alto di variabili. Spesso l’attenzione degli osservatori e dei tecnici si concentra sugli aspetti quantitativi – economici: oneri, extra-oneri, monetizzazione; volumetrici: indici di edificabilità, occupazione del suolo, aree a verde – trascurando gli aspetti qualitativi delle trasformazioni, che sono evidentemente centrali per decretare la buona riuscita di siffatte operazioni. Rispetto alla qualità urbana attesa, senz’altro è molto rilevante il nuovo sistema degli spazi aperti che il recupero degli scali potrà offrire, laddove la città era satura e congestionata. Allo stesso modo è molto importante la realizzazione di infrastrutture per superare cesure urbane storiche, vere e proprie barriere tra parti di città; l’offerta di opportunità relative al tempo libero e alla frequentazione di spazi collettivi, civili e rappresentativi, ma anche di spazi per le nuove economie e il soddisfacimento di domande pregresse da tempo in attesa, come quelle di affordable housing e di occasioni di lavoro. La trasformazione degli scali dovrebbe restituire nuovi paesaggi e luoghi urbani capaci di accogliere la vita e di istituire relazioni significanti con i contesti.
C’è da augurarsi che l’attenzione mostrata dalla città in questi ultimi tre anni per il futuro degli scali possa mantenersi viva e operativa perché un campo di forze vibrante, ancorché conflittuale, aiuta a produrre scelte più ponderate e inclusive.
Alla società civile spetta di saper essere ancora vigile sul destino della città; alla politica spetta la capacità di saperla ascoltare e di cogliere e mettere a sistema le insospettabili risorse che lì si esprimono, nonché di “tenere il punto” sulle molte attese; ai tecnici l’esercizio di competenze affilate e aggiornate: la sfida della trasformazione degli scali ne ha sicuramente bisogno.
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DIDASCALIE E FONTI DELLE IMMAGINI
01. Materiali vari
01_Lo scalo Farini (L. Montedoro 2011)
02_Gli scali ferroviari (campiti in arancione) nel sistema delle relazioni urbane e delle infrastrutture per la mobilità (fonte: L. Montedoro 2011)
03_Ortofoto: in evidenza gli scali (fonte: Documento di Visione Strategica_DVS 2017)
04_Schema del sistema infrastrutturale per il trasporto rapido di massa (fonte: DVS 2017)
05_Il sistema degli scali e i loro contesti (fonte: DVS 2017)
06_Studio dei diversi tipi di recinzione degli scali (fonte: DVS 2017)
07_Lo scalo di Porta Genova (fonte: L. Montedoro 2011)
08_ Lo scalo di Porta Romana (fonte: L. Montedoro 2011)
02.‘Scali Milano Vision’
09_Stefano Boeri (team leader), Un fiume verde per Milano (fonte: Scali Milano Vision 2017)
10_Stefano Boeri (team leader), Un fiume verde per Milano: Scalo Farini (fonte: Scali Milano Vision 2017)
11_Cino Zucchi (team leader), Sette bellissimi Broli, Scalo Lambrate (fonte: Scali Milano Vision 2017)
12_Cino Zucchi (team leader), Sette bellissimi Broli, Scalo di Porta Romana (fonte: Scali Milano Vision 2017)
13_ Mecanoo (team leader), Ripensare gli scali ferroviari come catalizzatori di vita sostenibile: Scalo Farini (fonte: Scali Milano Vision 2017)
14_ Mecanoo (team leader), Ripensare gli scali ferroviari come catalizzatori di vita sostenibile: Scalo di Lambrate (fonte: Scali Milano Vision 2017)
03.“Agenti climatici” per gli scali Farini e San Cristoforo
Fonte: http://www.scalimilano.vision/concorso-scalo-farini/alla-scoperta-di-agenti-climatici/
04.“Innesto” per lo scalo di Greco
Fonte: https://www.comune.milano.it/-/reinventing-cities.-i-progetti-vincitori-del-bando-di-c40
Note
1 Per una ricostruzione analitica delle diverse tappe del processo vedi anche Mussinelli, 2015 e DVS, 2017.
2 Raffaello Cecchi, Vincenza Lima, Pierluigi Nicolin e Pippo Traversi per il “Laboratorio di progettazione urbana” del Comune di Milano.
3 “5 progetti per Milano”. Tra gli architetti coinvolti: Giacomo Borella, Sergio Crotti, Mauro Galantino e Antonio Monestiroli.
4 Il gruppo di lavoro, coordinato dal Direttore del DAStU, Gabriele Pasqui, è composto da: Antonella Bruzzese, Francesca Cognetti, Marika Fior, Paolo Galuzzi, Diana Giudici, Antonio Longo, Laura Pogliani, Piergiorgio Vitillo.
5 Respinto con 23 voti contrari a fronte di 21 a favore. Per il no si sono espressi anche alcuni esponenti della maggioranza.
6 Le Commissioni Consiliari incaricate sono la n. 7 (Urbanistica, Edilizia Privata, Sistema Agricolo Milanese), presieduta da Bruno Ceccarelli e la n.8 (Mobilità, Trasporti, Politiche Ambientali, Energia, Protezione Civile, Animali e Verde), presieduta da Carlo Monguzzi.
7 Vale la pena richiamare che nel corso della lunghissima gestazione dell’AdP non sono mancate diverse attività del Politecnico di Milano dedicate al tema. Tali esperienze sono riconducibili in particolare a due forme: la ricerca, progettuale e non, e la collaborazione con il Comune di Milano in alcune fasi operative recenti. Numerosissime e varie le occasioni di esplorazione progettuale: attraverso le attività continue dei Laboratori di Progettazione e di Urbanistica, delle tesi di laurea e delle tesi di dottorato (si veda: Granato, Castaldo, 2015), workshop per la produzione di scenari e possibili sviluppi per i sette scali (ad esempio: Protasoni, 2012; Montedoro, 2013), specifici accordi tra Politenico di Milano e Comune di Milano che hanno condotto a diverse attività di ricerca: oltre all’“ascolto attivo”, proposte (cfr.: Coppetti, Cozza, 2017; Pasqui 2015) che hanno a loro volta condotto all’incarico al DAStU per il supporto scientifico alla redazione del Documento di Visione Strategia (DVS. Comune di Milano, 2017a).
8 Il comitato scientifico che coordina l'iniziativa, scelto da Ferrovie, è composto da Mario Abis, Josep Acebillo, Giovanni Azzone, Leopoldo Freyrie, Isabella Inti, Andreas Kipar.
9 In realtà si tratta di team multidisciplinari capitanati però da figure note sulla scena internazionale. I capogruppo sono stati i milanesi Stefano Boeri e Cino Zucchi, la catalana d’adozione Benedetta Tagliabue, gli olandesi Mecanoo e lo studio cinese Ma Yansong.
10 Nel DVS si scrive “un momento di discussione e condivisione, unico in Italia per proporzioni e metodo, che ha visto la partecipazione di oltre 2.000 soggetti interessati, i cui esiti sono stati espressi in un documento di sintesi operativa che ha ispirato cinque team multidisciplinari nella redazione di cinque scenari di sviluppo urbano.” Vd. DVS 2017.
11 La speciale condizione della proprietà degli scali è uno dei tratti più delicati dell’intera vicenda, per tutta la durata del processo. Infatti, sebbene Ferrovie si muova come un attore privato, è a tutti gli effetti ancora un “attore pubblico” e dunque la percezione diffusa è che si tratti comunque di aree pubbliche. Attorno a questo nodo interpretativo, si coagula un gruppo di opposizione all’operazione che eccepisce sulla legittimità delle azioni di FS.
12 Il gruppo vede tra i promotori più attivi Emilio Battisti, Lorenzo Degli Esposti e Sergio Brenna. Il 1 dicembre 2016 il gruppo lancia un “Appello sugli scali ferroviari milanesi” al fine di “garantire i principi di trasparenza e democrazia che necessariamente devono guidare tutte le attività di trasformazione del territorio”, chiedendo di revocare l’iniziativa e di indire un concorso pubblico di idee.
13 L’accordo è stato messo ai voti in Consiglio Comunale il 13 luglio 2017 e ratificato con 34 voti favorevoli, 4 contrati e nessun astenuto.
14 Il Documento di Visione Strategica, giugno 2017, è disponibile sul sito del Comune di Milano e scaricabile al seguente indirizzo:
http://download.comune.milano.it/27_06_2017/ADP_SCALI_MI_ALL%20U_DVS%20(1498549323906).pdf
15 Il gruppo, coordinato dal Direttore del Dipartimento di Architettura e Studi Urbani, Gabriele Pasqui, era così composto: Paolo Galuzzi, Francesco Infussi, Laura Montedoro, Corinna Morandi, Laura Pogliani, Giorgio Vitillo con Elena Fontanella, Claudia Parenti, Paola Piscitelli.
16 “Corriere della Sera”, 24 giugno 2019.
17 Cinque le aree messe a bando. Oltre allo scalo di Greco, il mercato di Gorla, le Scuderie de Montel, porzioni di via Serio e di via Doria.
18 “Si chiama “L’innesto”, inteso come nuovo elemento capace di creare connessioni, il progetto vincitore (con l’offerta economica di oltre 4,8 milioni di euro) per lo scalo di Greco di proprietà di Ferrovie dello Stato italiane, presentato da Investire SGR S.p.A. insieme ai progettisti Barreca & La Varra, Arup Italia S.r.l., Wolf visualizing architecture (autori del rendering) e altri. Un vero e proprio nuovo quartiere di social housing a Milano, il primo in Italia a zero emissioni, con case prevalentemente in affitto e con molto verde, che si svilupperà sulla superficie dello scalo di circa 73.500 metri quadrati. Di questi, al netto delle aree destinate all’esercizio ferroviario (circa 11.000 metri quadrati), il 72% (circa 45 mila metri quadrati) verrà destinato a verde, spazi, percorsi pedonali e attrezzati ad uso pubblico, ben più della quota del 60% fissata dall'Accordo di programma per la riqualificazione dello scalo ferroviario.
Per quanto riguarda la superficie edificabile di 24mila metri quadrati complessivi, 21mila saranno destinati ad edilizia residenziale sociale e 3mila a funzioni compatibili (spazi di coworking, attività commerciali, supermercato sostenibile). In totale, si prevede che il nuovo quartiere ospiterà 400 nuovi alloggi di housing sociale (60% in locazione e 40% in vendita convenzionata agevolata) e 300 posti letto per studenti, per un totale di circa 1500 nuovi residenti, prevalentemente di età compresa tra i 24 e i 44 anni.” Vd. https://www.comune.milano.it/-/reinventing-cities.-i-progetti-vincitori-del-bando-di-c40
19 Bandito da FS Sistemi Urbani S.r.l. e COIMA sgr S.p.A. in qualità di proprietari delle aree soggette a concorso. Il bando è consultabile al sito http://www.fssistemiurbani.it/content/fssistemiurbani/it/scali-milano/concorso-farini.html (ultima visita 10 dicembre 2019)
20 Come previsto dall’Accordo di Programma all’art. 9.
21 Il gruppo di progettazione è inoltre composto da: Philippe Rahm architects (specialisti in architettura meteorologica), Vogt Landscape Architects, Ezio Micelli (esperto in politiche urbane), arch. Luca Cozzani, Temporiuso (associazione culturale) e le società Arcadis e Net Engeneering (esperte in temi di sostenibilità e trasporti).
22 Non che la storia della disciplina in Italia manchi di queste riflessioni e di importanti tentativi di reintroduzione di una scala di prossimità e di disegno urbano tra gli strumenti che governano le trasformazioni (Secchi 1988; Gabellini 1996; Infussi 1997; Fabian, Infussi 2012). Ad oggi, però, si contano più insuccessi che soluzioni convincenti; ma, senza dubbio, la rilettura attenta di quegli sforzi e l’indagine sulle ragioni della loro scarsa efficacia nella realtà sono ineludibili punti di partenza.
23 Per contesto intendiamo il complesso delle circostanze, fra loro intrecciate e strettamente connesse, entro il quale si evolve una specifica attività di progettazione. Pertanto esso possiede un carattere multi dimensionale, comprendendo contemporaneamente aspetti materiali e immateriali, di natura sincronica e diacronica, comunque non limitati a quelli relativi all’organizzazione spaziale e alle forme dell’insediamento.