Il bel volume curato da Antonio De Rossi intercetta e interpreta i bisogni di abitare che emergono nel nostro Paese da territori appartati dalle maggiori dinamiche di sviluppo: aree interne, marginali e fragili in termini di dotazioni ma resistenti per un surplus di biodiversità, che manifestano indizi di vitalità e invitano a rivedere, nella forbice sempre più accentuata tra aree forti e aree deboli, le retoriche di competitività e coesione secondo schemi non predeterminati.
Le quattro sezioni: Verso nuovi atlanti; Storia e rappresentazioni; Persone e trasformazioni; Progetti e politiche, scandagliano in profondità i differenziali di opportunità a livello territoriale – l’Italia ‘dei pieni e dei vuoti’ –, i condizionamenti nel lungo periodo e le risposte istituzionali, le visioni di insider e outsider nella costruzione del senso, le forme strutturate in cui è dato cogliere l’innovazione sociale e istituzionale.
Come è noto, sul fronte delle politiche ‘redistributive delle opportunità’ per abbattere le varie e numerose frontiere dell’esclusione (per tutte l’accesso alle cure), il nostro paese ha conseguito un grave ritardo rispetto ad esempio alla Francia, dove, sia pur con esiti incerti e limiti che appaiono oggi evidenti, si è lungamente lavorato tanto alla costruzione di schemi regionali dei servizi che alla organizzazione di compagini territoriali estese – i Pays, e successivamente i Poli di equilibrio territoriale e rurale - in grado di sostenere lo spazio a dominante rurale, che reclamava un trattamento specifico entro dispositivi di policy con forme di tutela e accompagnamento sociale, inscindibile dalla considerazione della fragilità dei contesti.
In Italia, una esperienza risalente di particolare significato è legata alla istituzione delle Comunità montane nei territori interni ad alta frammentazione istituzionale (L. 1102/1971), alla vigilia del trasferimento della pianificazione alle regioni1. Le successive iniziative regionali su tale fronte sono state generalmente tiepide, contribuendo a depotenziare queste arene decisionali, in ciò assecondate dalla scarsa propensione alla cooperazione tra comuni.
Con la Strategia nazionale delle aree interne, istituita nel 2012 dal Dipartimento per lo sviluppo e la coesione economica incardinato presso il Ministero dello Sviluppo economico, e avviata insieme alle Regioni e a 72 realtà locali contrassegnate dallo stigma di ‘aree interne’, viene ripreso il filo interrotto di un impegno di respiro nazionale per contrastare gli imponenti fenomeni di isolamento, declino demografico ed economico che investono il 60% del territorio italiano, e circa un quarto della popolazione per oltre quattromila comuni, la maggior parte dei quali sotto la soglia dei 5.000 abitanti2. Qui, la costruzione di visioni al futuro e l’accompagnamento istituzionale si affidano a traiettorie incentrate sulle risorse endogene e le funzioni di presidio ambientale, ma anche su robusti innesti di welfare sociale, educativo e sanitario.
Differenziazione e convergenza sono due paradigmi con cui le aree oggetto della Strategia, e le altre su cui si soffermano i vari contributi, debbono costantemente confrontarsi. La differenziazione costituisce la cifra distintiva di approcci place-based, strettamente connessi al patrimonio di risorse materiali e immateriali a disposizione. Se le città tendono ad assomigliarsi sempre di più, la vitalità di questi territori è (anche) espressione di una resistenza all’omologazione.
Tra le declinazioni possibili di convergenza, vi è una accezione che attiene al recupero del cosiddetto ‘ritardo di sviluppo’ rispetto ad ambiti contrassegnati da variabili economiche e socio-demografiche più performative. Ma la sfida delle aree interne non si pone necessariamente in termini economici, e il loro richiamo non è univocamente trainato da indicatori di benessere: facendo riferimento alla metafora della polpa e dell’osso (M. Rossi Doria, 1958), queste ‘aree di osso’, che chiedono di affacciarsi verso i bacini urbani in grado di soddisfarne le necessità per i livelli di servizio superiori, sono potenzialmente ‘aree di polpa’ per quei medesimi territori in termini di ambiente, paesaggio e loisir, o, per dirla con il linguaggio della contemporaneità, per dotazioni e prestazioni legate alla metafora verde: adattamento e resilienza, capitale naturale, servizi ecosistemici e green economy. In questa direzione, i margini per una valorizzazione di risorse sottoutilizzate o male utilizzate, mediante un incremento di redditività del patrimonio boschivo, l’oro verde, attraverso la costituzione di filiere locali del legno, impiegato in usi nobili, o ancora, opportunità per lo sviluppo di scenari energetici di interdipendenza tra aree interne e sistemi urbani, sono davvero ampi.
L’astratto comune alle diverse esperienze che fanno da sfondo al volume, ascrivibili a tre dominanti tematiche – “la rigenerazione a base artistico-culturale e sociale, le attività economiche connesse alla nuova agricoltura e artigianato, il turismo dolce e sostenibile” -, si rinviene nell’adesione a processi multiattoriali e incrementali, assistiti da politiche pubbliche. Ad essi è infatti affidata la ‘costruzione del problema’, in termini di metodo dialogico di mutuo apprendimento, di condivisione, nonché una idea di innovazione come ‘costrutto culturale’, che si renda interprete delle vocazioni territoriali, delle tradizioni, delle conoscenze tacite e del saper fare locale.
Questi approcci sfidano la filiera tradizionale delle politiche pubbliche legata a una corrispondenza senza residuo tra fini, mezzi e decisioni, e reclamano meccanismi inclusivi e non mistificatori di partecipazione, anche nello scambio tra insider e outsider. A fronte della complessità delle dinamiche socio-territoriali e in relazione ai rischi globalizzati, essi tengono conto delle quantità mutevoli di risorse e degli interessi mobilitati, di possibili nuovi attori, tra cui gli artisti, a cui le diverse politiche aprono ‘nel loro farsi’, di effetti inattesi, di rinegoziazioni in itinere degli indirizzi di policy.
Sul piano delle ‘forme’, delle morfologie insediative e dello spazio delle architetture, che rinviano a una semantica più complessa di quella messa in scena dalla opposizione permanenza-cambiamento, il saggio di Antonio De Rossi e Laura Mascino Progetto e pratiche di rigenerazione: l’altra Italia e la forma delle cose prende le distanze dal paradigma della patrimonializzazione, con i suoi portati di omologazione e banalizzazione. Il confronto con i contesti di accoglienza non si esaurisce nel mimetismo o nella contraffazione, chiede al progetto un rapporto dialettico con il paesaggio traguardato da criteri di misura e figura.
Queste prove di innovazione, sostenute da traiettorie diversificate, non generalizzabili, declinano con i caratteri tipici del genio italiano, refrattario a ricette prestabilite, varie forme di sussidiarietà, e pongono in tensione, o quanto meno interrogano, alcune formulazioni di principio dell’Unione Europea.
Note
1 Le finalità espresse dalla legge in termini di governance erano peraltro estremamente ambiziose: “Individuare nell’organizzazione del territorio un livello istituzionale rispondente ai principi costituzionali del decentramento sub-regionale e sub-provinciale e, insieme, a risalenti criteri di riconduzione e soluzione, a livello intermedio, fra comuni e provincia, dei processi di scelta e decisione amministrativa che motivazioni diverse e concorrenti richiedono di spostare, coordinare e ricomporre presso un centro di imputazione democratico e rappresentativo di interessi di mediare opportunamente”.
2 Le condizioni di perifericità dei territori sono state stimate rispetto a un livello prestabilito di offerta sanitaria, scolastica e infrastrutturale garantito da comuni, o loro aggregati, in grado di garantire simultaneamente tutta l’offerta scolastica secondaria, ospedali con dipartimenti di emergenza e accettazione di primo livello e stazioni ferroviarie almeno di taglia media. I diversi livelli di distanza/perifericità richiedono sforzi specifici di policy con strumenti ordinari per ripensare l’organizzazione dei servizi anche sui territori più lontani e il ricorso a risorse aggiuntive la cui disponibilità è subordinata ad alcune condizioni: governance multi-livello; partecipazione e legame al risultato.