Parole chiave: aree interne, post-disastro, ricerca militante/ inner areas, post-disaster, militant research
Abstract:
Si presenta, di seguito, il lavoro di Emidio di Treviri, gruppo di ricerca volontario e militante che, a partire dall’inverno del 2016, ha indagato le ricadute della gestione del post-sisma in Centro Italia sul territorio e la popolazione colpiti, adottando una prospettiva interdisciplinare e territorialista. Assieme ad una breve descrizione dei sei differenti campi di indagine con i quali si è inteso ricomporre il quadro del caos abitativo generatosi e delle diseguaglianze e delle vulnerabilità che ne sono conseguite, si riportano quelle che sono le nuove prospettive di ricerca-azione del gruppo di ricerca, in un post-terremoto senza precedenti il cui termine appare sempre più lontano.
Premessa
I contenuti di questo contributo, selezionati e riassunti dagli autori, sono frutto di una ricerca collettiva alla cui complessità, così come alle tante soggettività che ne fanno parte, è difficile rendere giustizia in queste poche pagine. Si rimanda, quindi, per una più esaustiva comprensione delle tante voci e dei relativi contributi che compongono questo progetto, al volume Sul Fronte del Sisma-Un’inchiesta militante sul post-terremoto dell’Appennino Centrale (2016-2017), edito da DeriveApprodi nel 2018, che raccoglie gli esiti della prima fase del lavoro di ricerca.
Un post disastro nell’Italia interna
Gli eventi sismici che, a partire dal 24 agosto 2016, hanno colpito l’Appennino Centrale coinvolgendo quattro regioni e centoquaranta comuni, hanno da subito innescato una mobilitazione solidale sul territorio diffusa e capillare. In questa, un ruolo chiave è stato ricoperto dalle Brigate di Solidarietà Attiva (B.S.A.), una federazione di associazioni ispirata alle società di mutuo soccorso di inizio Novecento venutasi a creare nel 2009 in seguito al sisma dell’Aquila, e che interviene in contesti d’emergenza promuovendo pratiche di mutualismo e autorganizzazione.
Tale quotidiano lavoro di presidio del territorio, e la rete di relazioni di fiducia con gli abitanti che ne è scaturita, hanno consentito alle B.S.A. di avere una posizione di osservazione privilegiata sulla gestione del post-sisma. L’esperienza maturata nei precedenti contesti d’emergenza, inoltre, primo fra tutti quello aquilano, ha permesso di constatare sin da subito la particolare drammaticità e complessità di questo disastro naturale e la peculiarità della gestione emergenziale che ne è conseguita. La vastità del territorio colpito, infatti, così come la natura di tale territorio, montano, difficilmente accessibile e da decenni in via di spopolamento, fa di questo uno dei disastri socio-naturali più significativi della storia recente d’Italia. Un disastro a cui segue un’emergenza caotica, tra risposte istituzionali equivoche, solidarietà dal basso, macerie immobili nel tempo, popolazioni trasferite a decine di chilometri e private della loro capacità di autodeterminazione. Un post-disastro sospeso tra ordinanze, installazioni temporanee, alberghi, affitti e container, che ha visto moltiplicare le alternative possibili dei terremotati, declinate a seconda della loro capacità di accesso ai capitali relazionali, economici, culturali (fig. 1). La macchina emergenziale ha messo in campo risposte spesso tardive e inadeguate: dalle soluzioni abitative adottate per la popolazione sfollata, alle normative concernenti l'economia rurale, ecc., le scelte che hanno riguardato la fase dell'emergenza sono state caratterizzate da processi top-down, in cui la popolazione non è stata ascoltata o coinvolta (Emidio di Treviri, 2018).
È dalla constatazione dell’inedita complessità di questa situazione che è nata la volontà di avviare una ricerca multidisciplinare, volontaria e militante che interrogasse criticamente il post-sisma nei suoi diversi aspetti, mettendo in relazione le conoscenze generate dalla pratica mutualistica e politica con l’approccio della ricerca scientifica.
Questa volontà si è concretizzata, nel mese di dicembre 2016, in una call for research a cui hanno risposto dottorandi, ricercatori e professori universitari provenienti da differenti ambiti accademici, dando vita al gruppo di ricerca collettivo e autogestito Emidio di Treviri.
Le tante competenze e i differenti interessi messi in campo si sono strutturati in più filoni di ricerca tra loro interconnessi ma riassumibili in sei inchieste autonome (Research Network, RN): Salute, Governance, Territorio, Rurale, Cultura Materiale, Psicologia e Comunità. Le metodologie utilizzate sono a loro volta di diversa natura, tarate su sensibilità e formazione dei ricercatori, in una continua integrazione tra approccio quantitativo e qualitativo.
L’ipotesi che il gruppo di ricerca intende verificare, innestandosi su principi e indicazioni propri della più recente disaster research, è che l’evento catastrofico, in questo caso il terremoto, non debba essere considerato come il semplice prodotto di una forza esterna dirompente ma come il risultato di processi di sviluppo asimmetrici che tendono ad incrementare e produrre vulnerabilità (Alexander, 1991; Oliver-Smith, 1999; Benadusi, 2015). Il terremoto, in altre parole, non è uguale per tutti e una gestione non attenta a questo dato imprescindibile può facilmente divenire a sua volta amplificatrice di diseguaglianze. Il disastro naturale, inoltre, risulta essere un inesorabile acceleratore di fenomeni e processi già in corso (Mela et al., 2017). Molto di ciò che è accaduto e continua ad accadere in Centro Italia, quindi, investe temi a carattere generale, qui manifestatisi con maggiore intensità dato il clima emergenziale del post-sisma ma che rappresentano un possibile, non auspicabile, futuro per molto del territorio “interno”1 del nostro Paese.
Una doverosa digressione merita, inoltre, la scelta del nome: Emidio d’Ascoli, martire cristiano venerato in particolar modo nell’area dell’appennino centro-italiano, come protettore dei terremoti.
Perseguitato dai romani e amato dai più deboli della società picena, la leggenda vuole che dal sangue della sua decapitazione sia nata una pianta di basilico mai appassita. Gli ascolani, di cui è patrono, gli sono devoti anche per il terremoto del 1944 quando, durante i rastrellamenti tedeschi contro le bande partigiane sul Colle San Marco, un sisma paralizzò l’offensiva dei nazifascisti che, non conoscendo il fenomeno naturale, pensarono a un bombardamento alleato in realtà mai avvenuto. I partigiani poterono così approfittare del momento per guadagnare il fianco della montagna e svincolarsi dalla manovra a tenaglia. La scelta del gruppo di ricerca è stata quella, però, di attribuirgli la sua località d’origine, Treviri, piuttosto che quella di santificazione. La stessa che, qualche secolo più tardi, diede i natali a un grande scienziato e filosofo cui siamo ugualmente affezionati.
L’operato del gruppo di ricerca si compone, sin dal primo momento, di un duplice approccio: da una parte la volontà di contribuire alla produzione classica di sapere scientifico, lavorando sulla creazione spazi di possibilità per contaminare l’accademia e richiamarla al suo compito primario di luogo di ascolto e dibattito; dall’altra, e da qui la vocazione militante, con l’intento di fornire alla popolazione colpita strumenti di comprensione, informazione e lotta.
I sei campi d’indagine
Riassumere il lavoro svolto in questa direzione dai sei Research Network (RN) è un compito complesso e necessariamente riduttivo, ma risulta nondimeno interessante offrire una panoramica dei diversi ambiti disciplinari e delle molteplici posture con cui si è deciso di interrogare questo post-sisma.
L’RN 01 Salute, si è occupato di approfondire gli effetti del dispositivo d’emergenza sulla qualità della vita delle popolazioni colpite dal sisma nell’attuale fase post-emergenziale, con un focus particolare su quelle dislocate nelle strutture ospitanti (come hotel e residence). L’esperienza di campo svolta ha dimostrato come i soggetti (eterogenei per età anagrafica, genere, classe sociale) in seguito allo sradicamento dai luoghi di appartenenza abbiano subito un peggioramento delle condizioni di vita ascrivibili all’effetto displacement. L’attesa prolungata in uno spazio indefinito come quello degli hotel, la convivenza forzata e l’evento traumatico si sono cristallizzati in una quotidianità statica in cui tendono a peggiorare alcune problematiche legate alla salute intesa in termini globali: nella dimensione biologica, psicologica, sociale (fig. 2). Alcune categorie come quella di biopolitica, social suffering, violenza strutturale permettono di analizzare la percezione da parte dei soggetti di una perdita della capacità di agency in seguito alla perdita dei luoghi d’appartenenza e del vissuto quotidiano. La transizione da una posizione di soggetti agenti nello spazio a soggetti agiti dal nuovo contesto genera uno stato d’impotenza rispetto alla conduzione della propria esistenza, e si manifesta attraverso disturbi patologici di vario genere.
Il secondo Research Network, l’RN 02 Governance, si è focalizzato sull’analisi delle architetture del potere, per comprendere quali siano i gradi e i canali di accesso dei vari attori implicati nei processi di decision making.
In questo senso oggetto di studio privilegiato sono stati la forma giuridica assunta dalla governance dell’emergenza e i contenuti delle politiche attuate nelle quattro regioni del “cratere”2 . Dopo aver definito il quadro complessivo della catena di comando, il gruppo di ricerca ha interrogato il ruolo gestionale e procedurale degli attori, locali, statali e internazionali (come Protezione civile, Governo, UE, Comuni, Province, Regioni) implicati nelle pratiche di gestione del post-sisma. Si sono considerati due livelli: quello della norma e quello della costruzione dei discorsi, con l’obiettivo di far emergere la ratio del dispositivo politico di riferimento, confrontando le strategie di gestione del post-disastro con le necessità effettive delle comunità implicate.
L’RN 03 Territorio rappresenta la componente a vocazione territorialista, e suo principale intento è stato quello di mappare il caos abitativo generato dalle soluzioni messe in campo in questo post-sisma, al fine di comprenderne le conseguenze sul territorio e su chi lo abita.
Le risposte abitative sono state molteplici e spesso contraddittorie. In una prima fase, per evitare l’utilizzo del container come step intermedio, si è deciso un passaggio diretto dalle tende alle cosiddette “casette” (SAE, Soluzioni Abitative d’Emergenza) (fig. 3), prevedendo strumenti di sussidio, come un sostegno al reddito o l’ospitalità negli alberghi, per il breve periodo di transizione. Nel frattempo, però, si sono verificate le scosse del 26 e 30 ottobre, che hanno colpito l’area maceratese dei Sibillini e il versante umbro che arriva fino a Norcia e Spoleto. Il numero delle regioni colpite arriva a quattro, quello degli sfollati decuplica, e il piano della Protezione Civile viene stravolto. Torna in campo l’ipotesi dei container, soluzione scartata in prima istanza, mentre gli strumenti di sussidio, prolungati nel tempo oltre ogni previsione, dimostrano la loro inadeguatezza. Dopo alcuni mesi i moduli abitativi, concepiti per essere temporanei e dunque smontabili, si impongono sul territorio con opere di urbanizzazione ingenti e irreversibili. Tra alberghi, casette, affitti e ordinanze si genera una situazione caotica le cui ricadute territoriali nel lungo periodo sono difficili da prevedere.
L’RN 04 Rurale ha analizzato gli effetti sulle micro-economie locali causati dallo spopolamento e le conseguenze della crisi post-sisma sulla dimensione rurale. L’analisi delle caratteristiche sociali e demografiche, della struttura produttiva e degli attori economici attivi nel cratere prima dell’evento catastrofico ha rappresentato il punto di partenza per comprendere come il sisma si propaghi lungo faglie socio-economiche preesistenti.
È in tale contesto che il gruppo di ricerca ha indagato l’area di Norcia, al centro di un sistema agro-alimentare d’eccellenza votato all’esportazione, e quella dell’alto maceratese. In entrambi i fronti del cratere si sono valutate le dinamiche di marginalizzazione delle attività più vulnerabili, gli effetti della burocrazia sui processi di ripresa economica e le risposte delle comunità di allevatori e agricoltori.
Il quinto Research Network, RN 05 Cultura Materiale, si è occupato di raccontare e ripercorrere l’esperienza delle persone colpite dal sisma a partire dai loro luoghi, dalla materialità ferita del proprio territorio, delle proprie case e degli oggetti, la memoria individuale e collettiva e l’immaginario iscritto nello spazio.
Il lavoro, prodotto in primo luogo da fotografi e videomakers, si è proposto di raccontare gli aspetti dell’abitare quotidiano spesso non presi in considerazione dai piani di gestione dell’emergenza e nei progetti di ricostruzione, che vedono queste popolazioni costrette ad abbandonare, o perdere, oggetti, case e luoghi. L’interesse si è concentrato sulla materialità, l’affettività e la memoria che emergono dalla relazione che le persone instaurano con la propria cultura materiale.
L’RN06 Psicologia e Comunità, infine, ha operato con l’obiettivo di comprendere e intervenire sui fenomeni di dislocazione sul territorio ove la disgregazione dei nuclei familiari, la lacerazione del tessuto sociale, l’interruzione delle relazioni quotidiane incidono sulla qualità della vita delle persone colpite dal sisma.
La presenza di professionisti psicologi ha avuto lo scopo di aiutare le persone ad affrontare le criticità sopravvenute dopo il terremoto (come ansia, insonnia, paura di rientrare in casa) e le difficoltà indotte dalla separazione della comunità, nonché gli impedimenti a sviluppare una progettualità attiva e concertata riguardo il proprio futuro. Da un punto di vista più prettamente psicologico, nel processo di superamento di una situazione potenzialmente traumatica per i singoli e la comunità, l’attività svolta sul campo da Ester Chicco e Alfredo Mela nel piccolo centro marchigiano di Fiastra ha inteso rispondere all’esigenza di riattivare e di rendere protagonisti i gruppi e le persone, aiutandoli ad uscire da una passività favorita dalla situazione creatasi dopo il terremoto, per provare a riprendere in mano il corso della vita propria e della comunità. L’approccio utilizzato è quello della psicologia comunitaria.
Ciascun Research Network si è mosso tra ambito accademico, lavoro sul campo e continuo confronto con la popolazione, e lo stesso volume esito della prima fase di ricerca, Sul Fronte Del Sisma, è stato immaginato come strumento utile “per dare gambe alle parole dei terremotati”3 . I risultati delle diverse ricerche sono molteplici e intrecciano scale e lessici differenti. Ci interessa però, in questa sede, riportare alcune considerazioni sull’impatto territoriale di questa gestione, soprattutto nel suo intrecciarsi con temi inerenti la pianificazione e il progetto, o, troppo spesso, con la loro assenza (fig. 4).
Dall’osservazione di questo caso nel Centro Italia, infatti, abbiamo avuto riprova di ciò che accade in assenza di un impianto di strumenti pianificatori e gestionali dell’emergenza definiti «in tempo di pace», in termini sia di mancato controllo dell’impatto territoriale che di malfunzionamento del processo di realizzazione. Risulta completamente assente, inoltre, il coinvolgimento delle popolazioni colpite dal sisma nella costruzione di scelte cruciali per il proprio territorio, aspetto che questi strumenti avrebbero potuto prescrivere.
Con uno sguardo più ampio, possiamo dire che la risposta all’emergenza a seguito di un disastro richiede un approccio sistemico al problema, da definire con attenzione già «in tempo di pace», che affronti sinergicamente gli aspetti progettuali e procedurali, e come questi interagiscono con i territori colpiti dalle emergenze.
Un osservatorio permanente per una ricostruzione collettiva
Gli strumenti messi in campo da questa gestione (basti pensare alle SAE, alla loro inadeguatezza per le specificità geografiche del cratere e al loro ingente impatto territoriale, la cui temporaneità è difficile a credersi) dimostrano i limiti dell’intervento sul territorio con un approccio puramente gestionale, rispondendo a problemi complessi con soluzioni puntuali e parziali. Ci ricordano, al contrario, la priorità di pensare e progettare il territorio elaborando soluzioni con una prospettiva di lungo termine, forti di una filosofia condivisa e di un’idea di abitare costruita collettivamente. Tutto ciò risulta ancor più paradossale, poi, se si considera l’importante disponibilità di saperi prodotti in ambito universitario (e non), un enorme patrimonio di riflessioni e strumenti che continua sistematicamente, ad essere trascurato quando c’è da elaborare le soluzioni appropriate (Emidio di Treviri, 2018).
Risultano ancora più evidenti la necessità e l’urgenza di proseguire un’attività di monitoraggio che osservi i cambiamenti in atto e restituisca alla collettività osservazioni, dubbi e proposte, così da accompagnare la riflessione corale indispensabile per immaginare il futuro di questi territori.
Il gruppo di ricerca Emidio di Treviri prosegue quindi la sua indagine sulla gestione del post-sisma, mantenendo il ruolo di osservatorio sulle trasformazioni in atto sul territorio del cratere. In questa direzione ha inaugurato una seconda fase della ricerca, questa volta di vera e propria ricerca-azione, interrogandosi su modelli di resistenza e di sviluppo alternativi a quelli messi in campo sino ad ora.
È frutto di questa fase, ad esempio, lo studio e la riscoperta di alcune forme di uso civico, forme di proprietà collettiva come le comunanze4, tipiche delle zone colpite dal sisma che, riattualizzate e contestualizzate, potrebbero fornire utili anticorpi al depauperamento, all’abbandono di proprietà e alla concentrazione fondiaria accelerati dal post-terremoto.
Allo stesso modo si vuole lavorare sull’elaborazione di progettualità concrete in alternativa ai tanti progetti che iniziano a prendere forma sul cratere, progetti le cui semplificazioni e banalizzazioni del complesso sistema socio-economico dell’appennino lasciano sottintendere un’immagine del territorio legata esclusivamente ad una riconversione in chiave turistica: una monocoltura in cui appaiono evidenti i rischi in termini di tutela ambientale, museificazione del paesaggio ed espulsione della componente abitativa. Sebbene infatti la narrazione dominante raffiguri molti di questi progetti come unica via possibile per il rilancio di territori interni e marginali, l’impressione è, al contrario, che si strumentalizzi la necessità di rilancio di queste aree (in una prospettiva esclusivamente turistico-ricettiva) per nascondere vecchi e nuovi interessi, che poco si confrontano con una reale riflessione su bisogni e criticità del territorio e di chi lo abita.
Note
1 Si fa riferimento alla definizione di Aree Interne introdotta dalla Strategia Nazionale per le Aree Interne, politica pubblica operativa dal 2014 con il fine di affrontare la persistente sottoutilizzazione di risorse e ridurre la forte esclusione sociale e il trend di spopolamento di circa il 60%del territorio italiano.
2 Cratere [sismico] è un neologismo semantico già usato per il terremoto dell’Aquila (2009), ma diffusosi più ampiamente dopo quello in Emilia (2012), con il quale si indica la porzione di territorio colpita da terremoto, con riferimento in particolare ai danni subiti e quindi anche alla destinazione di finanziamenti e interventi per la ricostruzione.
3 Dalle parole utilizzate dal gruppo di ricerca per promuovere la campagna di crowdfunding che ha reso possibile la stampa e la promozione del volume dentro e fuori il cratere.
4 antichissima istituzione di proprietà collettiva, nata per organizzare la gestione delle risorse del territorio in uso comune. La Comunanza di Castelluccio è una delle numerose comunanze presenti nel territorio del Comune di Norcia. Non se ne conosce con esattezza la data di origine, che si può far risalire alla fine del XIX secolo. Nel territorio comunale, quella di Castelluccio è la Comunanza che possiede la proprietà più vasta (1136 ha). L'ente, ancora attivo, è retto da uno statuto che prevede un'amministrazione elettiva.
Riferimenti bibliografici
Alexander, D. (1991), Natural disasters: a framework for research and teaching, Disasters, 15 (3), pp. 209-226.
Benadusi, M., 2015, Antropologia dei disastri. Ricerca, Attivismo, Applicazione. Un’introduzione, Antropologia Pubblica, 1(1), pp. 33-60.
Emidio di Treviri (2018), Sul fronte del sisma: un’inchiesta militante sul post-terremoto dell’Appennino centrale (2016-2017), DeriveApprodi, Roma.
Mela A. – Mugnano S. – Olori D. (a cura di), 2017, Territori vulnerabili. Verso una nuova sociologia dei disastri italiana. FrancoAngeli, Milano.
Oliver-Smith A., Hoffman S.M. (a cura di), 1999, The Angry Earth: Disaster in Anthropological Perspective, Routledge, New York.