Ricerche ed esplorazioni progettuali

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Dis-velare, il progetto urbano per i contesti minori
Adelina Picone

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Lo strumento del progetto urbano nei contesti minori non può non misurarsi con la condizione di marginalizzazione sempre più generalizzata, al centro del dibattito sulle aree interne, che interseca le specificità morfologiche e geografiche dei diversi destini di isolamento, dalle montagne piemontesi alle valli agrigentine, alle murge pugliesi, luoghi solo apparentemente accomunati dalla lontananza dai nodi infrastrutturali, ma in realtà legati dall’unico fil rouge dell’assenza di un pensiero in grado di innescare processi di sviluppo da parte di chi ha avuto il compito di gestirne la governance. Nella maggior parte dei casi si è considerato l’intervento sul patrimonio come condizione necessaria e sufficiente per promuovere lo sviluppo dei territori, laddove è invece stato foriero di una crescita senza sviluppo, rendendo ancora più evidente che, in assenza di un pensiero sul sistema territoriale nella sua complessità, ed in mancanza di una visione di strategica, l’intervento sul patrimonio risulta completamente inefficace, lasciando in eredità sempre più espatri di giovani menti e spaesamenti narrati da nostalgie paesologiche. L’avanguardia, il pensiero anticipatore degli intellettuali già negli anni del miracolo economico aveva indicato la via di tenere insieme paesaggio, ambiente, cultura, comunità e patrimonio. “Non siamo di fronte a un progetto di territorio come edificazione di luoghi, ma a progetti sul territorio come costruzioni di spazi edificati, distruttori di luoghi. Questa distruzione è resa grave dai suoi caratteri di dominante irreversibilità”1. Il progetto di territorio visto come mera “costruzione di spazi edificati” è il nodo alla base della deterritorializzazione dei paesaggi della maggior parte delle aree interne italiane, condizione questa ancora una volta intuita e raccontata nelle narrazioni di scrittori, poeti, antropologi, registi. Narrazioni che hanno contribuito alla costruzione della SNAI (Strategia per contrastare la caduta demografica e rilanciare lo sviluppo e i servizi delle Aree Interne), che, prefigurando progetti pilota che incidono sull’ adeguamento dei servizi di mobilità, sanità ed istruzione come preordinati all’interno dei fondi comunitari, si è posta l’obiettivo di invertire la tendenza allo spopolamento sul lungo periodo, vista soprattutto nell’ottica del tema della vivibilità Non azioni sul patrimonio quindi, ma innesco di processi di innovazione e sviluppo, con un approccio place-based. Un punto di forza della Strategia è aver imposto la dimensione sovracomunale come un prerequisito, i comuni, infatti, per configurare un progetto pilota devono unirsi e costituire reti. L’apertura del recinto del confine comunale è la condizione necessaria per comprendere le dinamiche territoriali, per individuarne i sistemi in base alle condizioni geografiche, morfologiche, naturali. Ancora un merito della SNAI è di aver trovato convergenze felici, finché questo è stato consentito dalle politiche governative, con il Sistema di Protezione per Richiedenti Asilo e Rifugiati. Le aree interne stanno subendo diaspore silenti di giovani generazioni che si arrendono all’impossibilità di una costruzione di futuro nei piccoli paesi, l’incontro con le popolazioni migranti che attraversano il Mediterraneo avrebbe consentito di disegnare una nuova geografia, grazie ai flussi destinati inevitabilmente ad incontrarsi2. La storia di Riace resta un esempio luminoso, nonostante l’epilogo.
La pubblicazione del volume Riabitare l’Italia. Le aree interne tra abbandoni e riconquiste3, curato da Antonio De Rossi, rappresenta un momento importante, una riflessione sulla SNAI a cinque anni dal suo avvio, registrando l’inversione di sguardo che essa, insieme agli apporti culturali che l’hanno generata ed accompagnata, ha contribuito a far nascere, in un libro-progetto collettivo che raccoglie voci interdisciplinari intorno al tema nodale del rapporto tra le narrazioni della desolante condizione di abbandono di vaste porzioni del nostro territorio e le storie di riattivazione consapevole, nutrite di sperimentazione e ricerca, all’insegna della cultura e dell’innovazione sociale. Il libro, con un taglio marcatamente interdisciplinare, ospita le molteplici voci del discorso attuale sulle aree interne, quel discorso lontano dalle ridondanze mediatiche, che vive una condizione di sospensione tra l’avere riconosciuto uno stato di estrema problematicità, l’abbandono ed il depauperamento di una grande porzione del nostro territorio, e l’avere intravisto delle strade per uscirne, da percorrere all’insegna del movimento e dell’avvio di processi complessi, focolai di rinascita, che fondano spesso la rigenerazione sulle risposte alle due grandi sfide ambientali del presente: quella climatica e quella del rischio a cui sono esposte le nostre terre fragili. Il racconto di esperienze come quelle di Ostana o di Favara dimostrano come le pratiche di innovazione sociale consentano di rifondare i luoghi insieme ai propri simboli, di cui scrive Pier Luigi Sacco quando argomenta intorno alla rifondazione simbolica di un luogo, che passa attraverso una semantizzazione autopoietica “il territorio deve adottare un linguaggio ed un’iconografia della trasformazione, e, non assestandosi su queste adozioni, deve essere in grado di far evolvere linguaggio ed iconografia insieme alla società stessa. L’Italia è stagnante e non riesce a reinventare la propria tradizione. Paradossalmente possono essere le aree interne a dare un segnale di dinamismo.”
La visione delle aree interne che traspare da queste esperienze, indica chiaramente all’architettura la necessità di un ripensamento disciplinare, il progetto urbano ed il progetto di architettura non possono più pensare di intervenire sulla struttura della città considerandola come un manufatto, come “un’architettura essa stessa”, e da questa prospettiva intraprendere il processo di costruzione della forma, in maniera indifferente alle profonde trasformazioni delle compagini sociali e dei paesaggi. Bisogna ripensare le gerarchie, le metodologie, che l’architettura deve mettere in opera, bisogna ridefinire la relazione con il contesto, riportando l’attenzione sulle terre e sulle comunità che le abitano. Affascinante in questo senso la strada, seppur tutta interna all’agire architettonico, tracciata da Peter Zumthor nella sua mostra all’ultima Biennale di Venezia, dove, esponendo i plastici ha di fatto scritto un manifesto di architettura, inciso nelle terre e nelle materie dei suoli palesando un modus operandi in cui i caratteri del contesto: natura – materia – luce – atmosfere, sono i fondamenti attraverso cui il progetto racconta di volta in volta un luogo, e da esso è raccontato, in quel rapporto di biunivoca necessarietà che connota la metodologia circolare del progetto (la nota matrice Heideggeriana del lavoro di Zumthor). Questo rapporto di sacralità con il contesto, lo stare dentro la materia del suolo e la geografia delle terre e lì trovare la propria espressività, è affascinante ed aderente all’idea di paesaggio e di architettura che si costruisce insieme alla società di cui è espressione, ripartendo ogni volta dalle specificità dei luoghi, che sceglie di interpretare ed esprimere attraverso le forme dell’architettura. Il nodo risiede nella modalità di lettura dei luoghi, nel guardarli con gli occhi nuovi di Marcel Proust4, e proprio come lui suggerisce, facendosi aiutare dall’arte nella ricerca della bellezza.
La ricerca della verità/realtà sintetizzata nell’immagine di Truman5 in ascesa verso la soglia del vero mondo può essere accostata a quella celeberrima foto di Bruce Chatwin che ritrae l’archeologa Maria Reiche in bilico in cima ad una scala nel deserto peruviano, per leggere il suolo da un altro punto di vista, entrambe rimandano ad un’operazione necessaria per rivolgere uno sguardo progettante ai paesaggi delle aree interne.
Un dis-velamento, che presuppone, come nella lettura heideggeriana del mito della caverna di Platone6, la consapevolezza che il cambiamento del punto di vista imponga un atto conoscitivo, il riconoscimento della centralità dell’uomo proprio in virtù della conoscenza/verità, da cui deriva la consapevolezza che solleva i veli.
Cambiamento del punto di vista e centralità della conoscenza sono cruciali per innescare processi di riattivazione nei territori delle aree interne. Aree “interne” perché isolate, lontane dai traffici, luoghi in cui la distanza si misura con un rapporto chilometro/ora non sempre programmabile e spesso variabile, una distanza che non è soltanto difficoltà di accesso, è di fatto separazione. Aree in cui i sistemi insediativi rispondono in primo luogo alla geografia, che ha segnato l’infrastruttura primigenia, i tracciati, e spesso è stata infrastruttura essa stessa. La natura in questi luoghi è ragione, le modalità con cui l’uomo vi ha interagito, costruendo i propri paesaggi, sono il punto di partenza ineludibile di qualunque atto conoscitivo: l’individuazione e la descrizione/trascrizione dell’origine degli insediamenti, la ricostruzione delle fondazioni a partire dalle letture tipo-morfologiche di primo impianto, ripercorrendo le tracce archeologiche e il loro rapporto con la forma della terra. Le linee di crinale, le isoipse, le infrastrutture verdi e blu, chiariscono scritture territoriali che spesso risultano estranee e divergenti rispetto agli sviluppi successivi degli insediamenti stessi, dettati in larga parte da altri fattori, da un pensiero sull’abitare quasi sempre estraneo alle regole della natura e della geografia. Riconsiderarne la valenza non è azione nostalgica o passatista, è un modo per comprendere le ragioni dell’esistente, capirne le trasformazioni, chiarirne il ruolo nel sistema territoriale di appartenenza. La riattivazione del piccolo borgo abbandonato richiede, infatti, l’ampliamento dello sguardo ad una scala maggiore. I confini comunali sono recinti amministrativi all’interno dei quali non possono esaurirsi le ragioni profonde dell’esistenza e della morfologia di un insediamento, come si è visto la SNAI ha imposto il superamento dei confini del singolo comune, una delle questioni più importanti è proprio la perimetrazione,  la determinazione dell’ampiezza dell’apertura territoriale necessaria per dotare di un’infrastruttura di senso la comprensione dei caratteri di una determinata modalità di rapportarsi alle forme della terra. Bisogna ridisegnare le carte, non per “elaborare mappe come copie delle terre”7, ma per avere chiare descrizioni tematiche di quelle terre, spesso mutilate dalle cesure dei terremoti e delle ricostruzioni che ne sono seguite, e poter disvelare gerarchie, valori, in grado di sostanziare le strategie che si proporranno.
Bisogna lavorare in una prospettiva che tenga insieme la grande, la piccola e piccolissima scala, considerare i territori come sistemi complessi, solo così si riuscirà a decodificarne le regole insediative che hanno generato tipologie e morfologie, connettendole con il patrimonio materiale ed immateriale. L’approccio conoscitivo e progettuale richiede integrazione e circolarità del ciclo conoscenza-ipotesi-verifica, in cui diversi saperi e competenze tecniche concorrano alla elaborazione di strategie territoriali di riattivazione, vere e proprie ipotesi di sviluppo.
Una prospettiva autenticamente trans-disciplinare, in cui la sapienza dei geografi si nutra delle conoscenze dei geologi, e si integri con quella degli archeologi, degli urbanisti, degli economisti, dei restauratori, degli architetti, dei sociologi e degli antropologi, degli esponenti della società civile, delle avanguardie locali, degli artisti, degli scrittori, dei cineasti e dei musicisti, degli enti pubblici, degli educatori, di chi la terra la coltiva e la sa rendere viva. Senza l’acquisizione di questa prospettiva sarà impossibile costruire il nuovo racconto dei luoghi, in mancanza del quale nessuna riattivazione sarà mai possibile. Il progetto ha il ruolo di coordinare, di stabilire griglie di regole ferme e stringenti, gerarchie tra i valori, far emergere le peculiarità ed indicare le direzioni, divenire motore di processi integrati, senza sfuggire ad un’attenta valutazione economico-finanziaria, inserendosi nelle diverse linee di finanziamento pubblico cui i comuni possono accedere, e connettendole tra loro, in un’architettura complessa che incentiva la formazione delle reti.
Il progetto urbano tende ad assumere, in una prospettiva nuova e contemporanea, le vesti di una vera e propria costruzione di processi e scenari strategici, all’interno dei quali i singoli progetti architettonici diventano azioni puntuali in cui il valore dell’idea-guida trova la propria manifestazione, il proprio significato e la propria rappresentazione. Progetti puntuali che trovano corrispondenza, condensandoli in una scala ridotta, con i principi generali che guidano la strategia territoriale complessiva, in un rimando continuo tra le diverse scale.
I territori delle aree interne sono terre fragili, sono terre vessate e compromesse da terremoti, rischi idrogeologici, rischi vulcanici. La prevenzione del rischio deve essere considerata un’opportunità per conferire qualità, disegno e forma, non semplicemente una risposta alle continue emergenze, celebrando l’assenza di visioni strategiche con un fiorire di provvedimenti urgenti legati all’emergenza. Bisogna riflettere sul legame forte che c’è tra la fragilità di queste terre e la loro condizione di abbandono, è necessario un ulteriore ribaltamento del punto di vista per accogliere la prospettiva della prevenzione dei rischi come opportunità vera di progettualità.
Possono venire in aiuto processi di ricerca-azione interdisciplinari insieme alle teorizzazioni dello sviluppo locale, che ragionano sulla possibilità di costruire lo sviluppo a partire dalle caratteristiche distintive dei territori, “non provincializzandole o liofilizzandole in qualcosa di fermo o immutabile, ma, al contrario, facendo in modo che sia il territorio, riflettendo su se stesso, a trovare la sua chiave di sviluppo, che non sarà pug and play, uguale dappertutto ma sarà invece diversissima…..una comunità intera dovrebbe sviluppare  capacity building (competenze cognitive evolute)…questo ha portato a lavorare su un approccio di sviluppo locale chiamato distretto culturale evoluto, in cui a differenza dei modelli di distretto culturale tradizionale, l’enfasi non è sugli aspetti dello sviluppo turistico legato alla cultura, e sui famosi indotti che tutto questo produce, ma sulla capacità di trasformare il sistema locale in un sistema che apprende, che sappia utilizzare la cultura come piattaforma sociale di creazione di capacità, come centro di smistamento dell’intera architettura sociale dell’apprendimento.”8 (P.L. Sacco)
Il ruolo del progetto di architettura in questo processo è in prima istanza di riappropriarsi della sua capacità di essere una straordinaria azione conoscitiva, utilizzare gli strumenti disciplinari per portare alla luce le modalità con cui l’uomo si è appropriato della natura negli specifici contesti, al fine di interpretare questi caratteri e queste modalità, che risultano sempre ancorate al luogo, e di verificare scenari, il tutto alla luce di quella consapevolezza estetica che connota il sapere dell’architetto.
È ancora compito del progetto urbano la capacità di interloquire con la scala territoriale mettendo in atto processi di forte circolarità ermeneutica, pur agendo in contesti puntuali, locali. In una visione di strategia è molto importante non perdere la dimensione interdisciplinare e multi/intra-scalare. Un esempio in tal senso è fornito dal lavoro che si sta portando avanti nel Master “Architettura e Progetto per le Aree Interne. Ri_costruzione dei piccoli paesi”9 dove gli allievi stanno conducendo una sperimentazione tesa in primo luogo alla visualizzazione, attraverso mappe tematiche interpretative del territorio, di caratteristiche e risorse, materiali ed immateriali, per poi giungere ad un’implementazione di strategie per la “Città dell’Alta Irpinia”, a partire dai contenuti del Progetto Pilota nella SNAI. Il progetto di architettura, il progetto urbano e il piano strategico diventano così realmente parte di un unico processo, tenuti saldamente insieme da questo assunto interdisciplinare fortemente condiviso.

 

Note

1 Tratto dal manifesto della Società dei Territorialisti. http://www.societadeiterritorialisti.it/
2 L’incontro tra migranti e piccoli paesi è avvenuto anche grazie all’istituzione governativa degli SPRAR promossi inizialmente dall’ ANCI nel 2000, e poi istituzionalizzati Dal Ministero dell’Interno, con un cofinanziamento del 50% da parte dello stato italiano ed un 50% da parte dei fondi europei per i rifugiati, progetto che ha avuto riscontri talmente positivi da diventare legge dello Stato. Il piccolo comune costituisce il perno del progetto SPRAR, aderisce in modo volontario ma è sollecitato a costituirsi in associazioni di comuni unendosi ad amministrazioni limitrofe in una rete che include e coinvolge le associazioni locali, il terzo settore e la cittadinanza tutta all’interno del progetto. Quasi la metà dei progetti degli SPRAR sono realizzati sui territori delle aree interne, marginali rispetto ai centri produttivi e di servizi.
3 Riabitare l’Italia. Le aree interne tra abbandoni e riconquiste, a cura di Antonio De Rossi, Donzelli editore, Roma, 2018
4 Nuovi occhi di Proust “L’unico vero viaggio, l’unico bagno di giovinezza, sarebbe non andare verso nuovi paesaggi, ma avere altri occhi, vedere l’universo con gli occhi di un altro, di cento altri, vedere i cento universi che ciascuno vede, che ciascuno è. Questo noi lo possiamo fare con un Elstir, con un Vinteuil: con i loro simili, noi voliamo veramente di astro in astro.” Vinteuil (il musicista) ed Elstir (il pittore) sono, tra i personaggi della Ricerca del Tempo Perduto di Proust che rappresentano l’arte. La frase è contenuta nel lungo capitolo in cui il Narratore si trova ad un ricevimento in casa dei Verdurin e mentre ascolta la Sonata e il Settimino di Vinteuil eseguiti da Morel ed altrimusicisti si lascia andare a considerazioni sulla vita e sull’arte.
5 Il riferimento è al film “The Truman show”, regia di  Peter Weir, 1998
6 M. Heidegger , L'essenza della verità. Sul mito della caverna e sul «Teeteto» di Platone, F. Volpi (a cura di), H. Mörchen (a cura di), Adelphi edizioni, 1997
7 Franco Farinelli, Geografia. Un'introduzione ai modelli del mondo, Einaudi, 2003
8 Pier Luigi Sacco, “Lo sviluppo locale come shock culturale”, in Learning Districts: patrimonio culturale, conoscenza e sviluppo locale, a cura di Francesca Putignano, Maggioli Editore, Santarcangelo di Romagna, (RN), 2009, pag. 48
9 Il DIARC - Dipartimento di Architettura dell’Università degli Studi di Napoli Federico II - e la REGIONE CAMPANIA - Presidenza del Consiglio Regionale – hanno dato avvio  nel 2018 alla prima edizione del Master di II livello in “Architettura e progetto per le aree interne. Ri_costruzione dei piccoli paesi”, in collaborazione con: Università Tecnica di Berna, Università dell’Arte di Linz, Università di Palermo, Dipartimento di Architettura, Università di Roma, La Sapienza, Master P.A.R.E.S., Università della Basilicata.
Il Master tende alla formazione di una figura professionale consapevole della complessità tecnica e culturale dell’intervento nei centri storici delle aree interne e dei piccoli paesi, che possa operare, di concerto con altri specialisti, con competenza e qualità nell’intero processo di produzione edilizia e trasformazione urbana. E’ indirizzato al soddisfacimento della domanda di alta formazione tecnico-scientifica e di aggiornamento culturale, proveniente da una vasta gamma di attività e di professionalità collegate alla messa in sicurezza del patrimonio costruito e del territorio, alle strategie di riattivazione, al restauro, al recupero, alla rigenerazione, e alla riqualificazione sostenibile ed energeticamente efficiente.
Per la prima annualità il Master ha proposto un focus sui paesi dell’Alta Irpinia, luoghi in cui, per condizione geografica ed infrastrutturale e per vocazione morfologica, il tema dell’abbandono e dello spopolamento è passibile di azioni di riattivazione, applicando processi multidisciplinari e visioni partecipate e concertate con le comunità locali.