torna su

Laboratorio Basento. I nodi di Ferrandina e Grassano
Monica Manicone

PDF




Dall’insieme delle esperienze condotte sul campo nella provincia di Ferrara - in particolar modo a Bondeno, a Cento, a Jolanda di Savoia e a Tresigallo – emergono alcuni temi che poi sono stati oggetto di approfondimento nel corso di progettazione urbanistica presso il Politecnico delle Marche e nell’ambito di alcune ricerche applicate ai programmi di sviluppo rurale promossi dall’Unione Europea e dalla Regione Emilia-Romagna. In particolare, emerge l’interesse per la lettura dell’evoluzione degli insediamenti al fine di individuare i metodi e le tecniche di intervento più appropriate. Il primo tema rinvia alla tradizione disciplinare degli studi sul rapporto tra tipologia edilizia e morfologia urbana, alla base della interpretazione degli impianti morfologici delle città e del territorio ferrarese, stavolta mirati anche alla prevenzione del rischio sismico e alla capacità di adattamento al cambiamento climatico, ancora poco frequentati dalle nostre discipline.  La città di Ferrara rappresenta in questo senso un significativo campo di studio, anche perché permette di comprendere importanti fenomeni relativi alla evoluzione della città orizzontale. Attraverso la lettura della stratificazione dei suoi tessuti storici e delle vicende urbanistiche più recenti, possono essere chiariti importanti aspetti dell’evoluzione urbanistica, come la contrapposizione tra la città delle addizioni erculee e quella che ha preso forma successivamente; al tempo stesso si pongono le premesse per comprendere le ragioni dei problemi attuali. Altri studi riguardano le principali città della provincia di Ferrara e i centri minori, in cui le esperienze urbanistiche locali vanno ricondotte al dibattito culturale nazionale ed europeo.
Le modalità d’uso del territorio ferrarese hanno subito in epoca recente veloci e sostanziali modificazioni. Nel caso dei centri abitati minori sembra possibile proporre interventi di trasformazione sostenibile. Qui il progetto della città si spinge, quando necessario, fino alla definizione di dettaglio dello spazio urbano. Ciò accade soprattutto nel caso di sostanziali modifiche delle parti più degradate del tessuto urbano, e quando occorre verificare gli effetti indotti dalle trasformazioni. Il tema della demolizione di parti scarsamente significative ed alterate, a seguito del sisma del 2012 e non solo, si presta a una progettazione mirata a ricomporre una qualità insediativa locale. In questi casi diventa in particolare oggetto di ricerca progettuale l’organizzazione dello spazio fisico e i suoi rapporti con il piano.
Un caso a parte riguarda i numerosi centri storici nel territorio di Ferrara. Dalla conoscenza dettagliata dei loro tessuti urbani scaturiscono le indicazioni operative per l’intervento, di solito in presenza di un patrimonio edilizio di estrema fragilità, la cui natura rende spesso poco realistico il ricorso alle tradizionali categorie del restauro consapevole o del ripristino tipologico. Questo tema è stato approfondito in occasione del programma di ricerca europeo Holistic, che ha consentito di individuare metodologie innovative, flessibili e incrementali, per affrontare il recupero dei tessuti storici più interessanti. Nelle esperienze fatte, i progetti urbani sono orientati in particolare al ripristino della sicurezza o al perseguimento della sostenibilità ambientale, e non hanno la pretesa di ripianificare la città nel suo complesso, pur lavorando a una scala che di solito travalica i confini dell’area d’intervento. Piuttosto rinviano a visioni strategiche d’insieme e a quadri cognitivi condivisi, alla base di un processo di pianificazione e programmazione concertato tra i diversi attori. Si propongono spesso di prefigurare anche visivamente gli scenari della modificazione, distinguendo in particolare gli elementi resistenti da quelli modificabili nella città e nel suo paesaggio, dalla scala vasta a quella puntuale degli elementi costitutivi. L’obiettivo è di accogliere i futuri, inevitabili e fisiologici assestamenti progettuali all’interno di un cronoprogramma condiviso per le attività di gestione e attuazione.
Questi progetti devono dunque essere concepiti non tanto come abili e convincenti operazioni di disegno urbano, ma come processi di faticosa concertazione, negoziazione e decisione entro un quadro trasparente di regole pubbliche, capaci di intercettare la domanda sociale ed economica e di favorire l’integrazione di risorse e soggetti di diversa natura, come componenti interne ai processi stessi e non come incidenti di percorso. In questo senso non costituiscono meri piani urbanistici attuativi, ma piuttosto procedure complesse e trasversali, regolamentabili con lo strumento urbanistico generale, in grado di attivare un processo progettuale con regole certe, mirato a  sollecitare le scelte strategiche e strutturali e di avviare contemporaneamente una molteplicità di approfondimenti d’intervento che troveranno nel tempo la loro formalizzazione e attuazione, con ricadute virtuose a tutte le scale del processo di programmazione, pianificazione, e progettazione.
Per tutte queste motivazioni è necessario sollecitare quell’interazione virtuosa e transdisciplinare tra competenze, scale di intervento, cronoprogrammi e soggetti diversi che è indiscutibilmente alla base della loro efficacia.  Più in generale c’è da sperimentare alcune innovazioni su aspetti diversi: alcune tese a rilanciare, riformandolo, il piano urbanistico; altre prevalentemente orientate a ridimensionarne il ruolo affiancando al piano differenti modalità e logiche di azione, incentrate sulla selezione di specifici interventi di elevata fattibilità tecnico-economica. Fra le motivazioni più importanti di questi strumenti paralleli, va richiamata quella di una maggiore efficacia dei processi programmatori di trasformazioni urbane e territoriali, insieme a quella che riconosce il ruolo rilevante dell’iniziativa privata in una logica di mercato. Tali motivazioni non sono rimaste estranee neppure alle innovazioni introdotte dalla Regione per gli strumenti ordinari della pianificazione, riassumibili in estrema sintesi, nella articolazione dei piani in strumenti con periodi di validità giuridica differenziati nel tempo. Quella a tempo indeterminato rimane denominata strategica-strutturale; quella operativa, valida a breve termine è da rielaborare obbligatoriamente di frequente, con scadenze indicativamente quinquennali.
L’ innovazione approvata in Regione intende favorire un tempestivo adeguamento delle strategie di piano alle evoluzioni dei processi economico-sociali, migliorando al tempo stesso la capacità di governo delle dinamiche territoriali. Inoltre, è finalizzata a garantire l’attuabilità delle scelte di piano in quanto frutto di un processo decisionale partecipato e condiviso di governance territoriale, alla ricerca di sintesi di pubblico interesse per una molteplicità di attori istituzionali e locali, in particolare attraverso le conferenze di servizi e le consultazioni territoriali, e con altri strumenti di diversa natura e tradizione.

L’esperienza accumulata nel corso degli ultimi cinque anni dimostra che i progetti urbani possono rappresentare il veicolo per mettere a frutto risorse inutilizzate come un’area urbana dismessa, un quartiere degradato, e per mobilitare capitali privati - di concerto con gli interventi pubblici – al fine di costruire una nuova parte di città capace di accrescere la sua attrattività complessiva. In questo senso possono essere considerati una risorsa che genera ulteriori processi di trasformazione positiva, contribuendo anche alla regolazione dello sviluppo urbano. Se invece l’intervento pubblico è eccessivamente prevalente in questi progetti che dovrebbero piuttosto essere l’esito di una opportuna integrazione di pubblico e privato allora nascono ulteriori problematiche. C’è il rischio infatti che si realizzino solo le parti di diretta competenza pubblica, e che poi che tutto il resto si paralizzi, perché a questi progetti intesi come primi stralci strutturali non fa seguito un intervento privato più diffuso, che porti a buon fine il programma complessivo di intervento.
C’è anche il fondato rischio che gli interventi pubblici esprimano un elevato livello qualitativo degli interventi, come manifestazione di una attenta cultura della pianificazione e di accuratezza della progettazione, a differenza di quelli privati realizzati successivamente, di solito nettamente inferiori in termini di qualità architettonica e funzionale. In questo modo non soltanto si riduce la possibilità di un miglioramento urbano complessivo, ma addirittura si possono provocare profonde fratture all’interno dei centri abitati.
In sostanza i frequenti cortocircuiti tra progetti urbani e pianificazione generale, come tra intervento pubblico e intervento privato, non sono dovuti a tecnicismi progettuali, pianificatori o gestionali, ma dipendono effettivamente da fattori strutturali. I progetti urbani del resto possono configurarsi come risposte molto limitate rispetto alle problematiche più generali della città contemporanea.
In questo contesto, nel quadro della riflessione complessiva sulle forme e sugli strumenti di governo del territorio urbano e territoriale condotta in Regione si è dedicata crescente attenzione ai temi delle procedure e modalità per l’attuazione dei piani, e quindi dei progetti urbani, riconoscendo alla fase attuativa un ruolo cruciale ai fini della efficacia del sistema di pianificazione. Pur se con diverse declinazioni, le esperienze di progetti urbani sostenibili e le riflessioni che ne derivano consentono di individuare alcune questioni prevalenti sulle quali sta crescendo il dibattito, anche per confrontare le soluzioni praticate nei diversi contesti territoriali. Queste soluzioni alcune volte appaiono sostanzialmente omogenee, altre volte invece contrastanti, essendo comunque tutte accomunate all’insegna di una costante ricerca d’innovazione di forme e contenuti dei progetti. Del resto in Emilia-Romagna stanno cambiando le condizioni. In particolare, la maggiore complessità dei processi di pianificazione urbanistica, la possibilità di ricorrere a strumenti sempre diversi, il nuovo ruolo del settore privato, sono tutti aspetti problematici che chiedono all’amministrazione pubblica di esercitare molto più che in passato una attenta azione di valutazione. Per ogni contesto c’è da valutare le soluzioni progettuali più adatte, tenendo conto della varietà degli interessi in gioco.
Le questioni rimangono aperte, in un quadro legislativo in continua evoluzione, mentre le amministrazioni locali ai vari livelli cercano di costruire strategie e linee di azione convergenti, utilizzando l’intera gamma delle possibilità messe a disposizione dalla nuova legge urbanistica regionale, n. 24 del 2017. Si tratta di una legge importante, che è destinata ad aprire nuove prospettive per il contrasto all’espansione urbana con l’obiettivo di conseguire il saldo zero per il 2020. Concorrono a questo obiettivo l’insieme delle politiche di rigenerazione urbana, di resilienza e di riqualificazione degli edifici, nonché gli interventi di adeguamento sismico e di efficientamento energetico. È prevista inoltre la semplificazione degli strumenti urbanistici ai vari livelli superando il sistema della pianificazione a cascata, attraverso un unico piano territoriale regionale, mentre per la pianificazione comunale si farà riferimento al cosiddetto piano urbanistico generale (Pug). In questo contesto in continua evoluzione, c’è da augurarsi che venga opportunamente facilitato lo strumento del progetto urbano, il quale anche in Emilia-Romagna rimane il modo più efficace per impedire interventi frammentari e disorganici, anche se con i vantaggi di essere immediatamente cantierabili e assai meno impegnativi nella gestione.  La qualità dell’amministrazione pubblica, assai elevata in questa Regione, diventa insomma la condizione decisiva per il successo dei progetti urbani.