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ARCIPELAGO ITALIA: Progetti per il futuro dei territori interni del Paese
Domenico Potenza

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Il padiglione Italia

Così come è stato annunciato alla stampa, in occasione dell’anteprima della presentazione del Padiglione Italia alla 16. Mostra Internazionale di Architettura, il tema proposto dal curatore Mario Cucinella sul futuro dei territori interni del Paese, è apparso senz’altro di grande interesse. “Una nuova idea di urbanistica che non si limiti ad esprimere qualità per i privati, ma che sappia partire dalla considerazione e dalla individuazione degli interessi e degli obiettivi pubblici per questi territori – diceva il presidente della Biennale Paolo Baratta – la nuova disciplina sul consumo del suolo  vuole essere l’ultimo dei vincoli che l’interesse pubblico afferma, in aggiunta a quelli culturali, ambientali, di sicurezza, di risparmio energetico ecc. Questa mostra del Padiglione Italia, porta un importante contributo proprio in questo contesto”.
Il tema in effetti, concentra la sua attenzione sul diffuso sistema dei centri minori che caratterizza il territorio italiano, spostando l’attenzione sulla singolare geografia che è propria delle nostre forme dell’abitare, al di là delle grandi conurbazioni sviluppatesi dal dopoguerra in poi. Un Arcipelago di entità diverse, in un susseguirsi di piccole e medie città, di centri storici, borghi e campagne dove - sempre citando Baratta – “ciascuna di queste realtà pone specifici problemi, ed occorre quindi conoscerli meglio, scoprire le necessità oltre che, ovviamente, le opportunità, di questo caratteristico tessuto abitativo”.
L’Arcipelago Italia si presenta come un’alternativa visione per il futuro, una inversione dello sguardo capace di rimettere sotto osservazione l’Italia dei comuni e la dimensione della bellezza e della qualità di uno sviluppo, costruito sulla relazione stretta tra lo spazio pubblico urbano, le comunità ed i territori che le abitano. Una prospettiva nuova per guardare al Paese, nella quale al progetto urbano ed all’architettura contemporanea si restituisce il ruolo principale delle modificazioni del territorio, come nuova opportunità per rimettere in gioco le risorse ancora vive di comunità ormai in agonia.

Nel Padiglione Italia è stata rappresentata la parte interna del nostro Paese, quella più invisibile e ferita ma anche quella più ricca di potenzialità e bellezza. Un racconto in controtendenza rispetto a quanto si è effettivamente realizzato in questi ultimi anni, in cui l’attenzione dell’architettura si è concentrata maggiormente sulle grandi opere delle aree urbane, tenendo fuori le aree interne che pure rappresentano il 60% del territorio nazionale e nelle quali vivono ancora oltre il 25% della popolazione.
Territori dove si presenta ancora in equilibrio il rapporto tra l’artificio degli insediamenti e la natura del paesaggio, che si è del tutto alterato nelle trasformazioni contemporanee, come il tempo ha dimostrato. Ha ragione Cucinella quando dice che dissociare l’architettura dalle persone e dai bisogni si è rivelata un’operazione dannosa, che da una parte ha creato un’idea di modernità sempre più estranea alle culture delle comunità, e dall’altra ha determinato una mancanza di qualità e di bellezza. Certo non è facile ricostruire le fila di quel processo virtuoso ma, ed è proprio questo il tentativo fatto nel Padiglione Italia, provare a capire dove tutto questo si è interrotto.

Arcipelago Italia. Progetti per il futuro dei territori interni del Paese, si articola in più parti, che per necessità di sintesi potremmo raggruppare in due sostanziali sezioni, la prima maggiormente dedicata ad una presa di coscienza dei luoghi e la seconda, invece, più legata alla esemplificazione di alcune proposte che si offrono come viatico per il futuro.
Per quanto attiene alla prima sezione, esposta in gran parte nella prima Tesa del padiglione,
gran parte del lavoro di lettura ed interpretazione dei luoghi, viene affidato ad una call che raccoglie oltre 500 progetti dai quali sono stati selezionati quelli più significativi alla ricostruzione di otto itinerari possibili lungo il territorio nazionale. Una sorta di viaggio, che il curatore percorre, dall’arco alpino, giù lungo tutta la dorsale appenninica per giungere nelle due isole.
Cento progetti illustrano le diversità e le ricchezze dei luoghi, osservati sia per singoli punti specifici che nelle trame; progetti puntuali di edifici qualificati che raccontano di buone pratiche messe a punto nel tempo, ed azioni più estese ad una scala ampia, dove si misurano strategie programmate che investono, nella maggior parte dei casi, più soggetti sia pubblici che privati.

La lettura dello stato dell’arte dei territori presi in considerazione, non sempre è chiarificatrice delle originarie intenzioni e, in alcuni casi, appare frammentaria e non proprio aderente agli obiettivi prefissati dal tema. Talvolta si limita alla sola raccolta dei progetti selezionati dalla call, attraverso i quali risulta difficile ricostruire le logiche di sviluppo che hanno determinato quei luoghi e, soprattutto, le concrete opportunità per un programma futuro. Appare più come una sommatoria di interventi (tutti di buona qualità) che, tuttavia, non riescono a restituire la realtà e le fragilità dei territori attraversati. Un Viaggio in Italia, al quale manca la voce narrante di un Luigi Ghirri; testimonianza dell’incapacità dell’architettura, ancorché qualificata, di farsi portatrice di processi di riqualificazione alla scala urbana. Opere che dichiarano, nel loro isolamento, il fallimento del progetto fine a se stesso, privo di politiche di sviluppo che ne amplifichino il riverbero urbano e territoriale. Progetti isolati che non appartengono alle ragioni di un programma urbano diffuso e dichiarato; che tendono a sacrificare il valore aggiunto conseguibile attraverso politiche urbane, a favore di un empirismo esplicito che induce a preferire la concretezza dell’immediato, di fronte alla utilità urbana di respiro più ampio.
Sono comunque molti i progetti, sia puntuali che diffusi, in cui le qualità proprie dell’architettura, riescono a rendere esplicita l’esemplificazione di una prassi capace di indicare modalità concrete per una riqualificazione dei luoghi ben oltre i limiti del proprio sedime.  Tra questi se ne riportano alcuni.

 

Progetti:

La casa della cultura_media Factory ad Aquilonia (AV) di +tstudio associati

Un progetto di +tstudio associati, che tenta di ricomporre la frattura tra il rurale e la contemporaneità, frattura accentuatasi in Irpinia, a seguito della schizofrenica attività edilizia che  si è registrata dopo sisma del 1980 e grazie/a causa della conseguente legge nazionale per la ricostruzione.
Un vecchio asilo, che per ovvie ragioni di decrescita, lascia il posto ad una nuova tipologia di attività, ricreativa ma con attenzione ai risvolti occupazionali: una casa della musica, ovvero una piccola fabbrica del suono, con una grande sala prove, camerini, auditorium e piccoli studi. Una destinazione d'uso "proattiva" dove si può fare ascolto di qualità o inventarsi mestieri che in questi territori non ci sono mai stati.
I caratteri dell'edificio sono essenziali, quasi archetipici pur rispettando le linee e gli ingombri dell’edificio preesistente. I rimandi formali sono chiaramente di origine rurale, guardano agli essiccatoi di tabacco o ai pagliai che ancora resistono, reduci, disseminati nei campi; strutture autocostruite che impiegano sapientemente il legno ed altri materiali della tradizione.

Colletta di Castelbianco_Borgo Telematico  - Giancarlo de Carlo

La riqualificazione del borgo, abbandonato da oltre un secolo a causa di un forte terremoto, parte negli anni ‘80 su iniziativa privata di un gruppo di imprenditori, con lo scopo di realizzare un primo insediamento innovativo dal punto di vista tecnologico, tale da permettere ai residenti, di poter svolgere lavori a distanza all’interno di un contesto dalla forte valenza storico - ambientale.
Il borgo telematico è espressione concreta dell’approccio di Giancarlo de Carlo al tema del delicato rapporto tra architettura e passato, rispetto al quale non si pone in modo timido, adottando stilemi mimetici, pur senza un uso sfrontato del linguaggio contemporaneo. La sua è una visione a-temporale della storia, che imprime una chiara direzione al ruolo dell’architettura rispetto all’esistente.
L’intero centro storico viene considerato come un unico organismo, un “crostaceo” - come lo definisce lo stesso De Carlo nella relazione  di progetto, all’interno del quale tutti i vuoti vengono connessi in serie, rendendone interamente possibile la fruizione.

Progetti di architettura alpina a Ostana – M. Crotti, A. De Rossi, M-P. Forsans

Un paese che, dopo decenni di abbandono e di progressivo degrado del patrimonio costruito e del territorio, ha saputo reagire a partire dalla metà degli anni ’80 scommettendo sulla qualità dell’architettura e del paesaggio come leva di riattivazione del luogo e della comunità.
Ostana oggi ha nuovamente una cinquantina di abitanti permanenti e soprattutto nuovi bambini, fatto che l’ha portato alla ribalta delle cronache internazionali.
Una strategia che ha intrecciato qualità architettonica, politiche culturali e rinascita sociale ed economica (turismo, agricoltura, servizi) e che si è attuata con un insieme di interventi di recupero e di costruzioni ex-novo di valenza pubblica – esposti ad Arcipelago Italia alla 16 Biennale di Architettura di Venezia e finalisti dei premi Architetti Arco Alpino 2016 e Constructive Alps 2017 – messi a punto da progettisti e da docenti del Politecnico di Torino  (Massimo Crotti, Antonio De Rossi, Marie-Pierre Forsans) che da alcuni anni stanno accompagnando la comunità locale sui temi dell’architettura e della rigenerazione territoriale.

Restauro e Riuso di Torre Boraco a Manduria – Netti architetti

Questo progetto è una sorta di misuratore dell’orizzonte – come lo definiscono gli autori -  un edificio monomaterico, una presenza molto potente, la stessa delle piramidi egizie, dei templi greci e degli ziggurat. E’ un monolite, una massa semplice e densa, un’architettura che oggi potrebbe definirsi minimalista, un’intelaiatura potentissima che  permette di trovarci faccia a faccia con il peso, la pietra e il suo valore permanente. La torre, in questo luogo, non è che un potente frammento costruito, condensato, modificato e addomesticato, della roccia su cui si radica, come spesso accade per tutti gli edifici di questo tipo dove la potenza si agglutina intorno ad altri elementi peculiari del paesaggio e dell’architettura. Un confine tra due infiniti, una luce speciale, una forte geometria, il peso, lo spessore e non ultimo il tempo, con cui anche edifici così potenti devono fare i conti, perché alla fine il tempo vincerà. Un progetto che subisce il fascino e la seduzione della rovina che mette in luce la sacralità della costruzione e si lascia attraversare da una natura dirompente, che s’inerpica e affonda le sue radici nel cuore del bastione imploso. 

I laboratori sperimentali

Nella seconda sezione, invece, Mario Cucinella, mette a punto un vero e proprio laboratorio per l’elaborazione di progetti sperimentali, capaci di diventare supporto per la discussione degli sviluppi del tema. Si individuano, a partire dagli itinerari percorsi nella prima parte del lavoro, cinque aree strategiche nelle quali esemplificare i processi per lo sviluppo di una visione futura del Paese.
L’Appennino Tosco-Emiliano con il Parco delle Foreste Casentinesi, la Città di Camerino messa a dura prova dal sisma, Matera e la valle del Basento con particolare attenzione al recupero della mobilità su ferro ed infine la Barbagia e la Valle del Belice con il recupero del Teatro di Consagra.

Questa seconda parte sembra essere quella più interessante per le modalità e per gli esiti prodotti nelle cinque esplorazioni che, proprio a rimarcarne l’importanza strategica delle proposte, sono state accompagnate, in questo percorso,  dalle università presenti sul territorio quali: il Dipartimento di Architettura dell’Alma Mater dell’Università di Bologna, la Scuola di Architettura e Design dell’Università di Camerino, il Dipartimento delle Culture Europee e del Mediterraneo dell’Università della Basilicata, il Dipartimento di Architettura dell’Università di Palermo e quello di Ingegneria Civile Ambientale e Architettura dell’Università di Cagliari.

Il laboratorio è stato affiancato anche da consulenti ed esperti in altre discipline, con particolare riferimento a quelle più prossime alle necessità di questi territori come la mobilità e le infrastrutture, la partecipazione, la cultura e l’arte, il paesaggio, la produzione, la sicurezza sismica ed ambientale, la sanità e la formazione.

Tutto questo ha costruito le condizioni per allargare il più possibile la partecipazione ai diversi soggetti presenti, ampliando i contenuti delle proposte e la pluralità degli attori in campo. È questa una modalità per riportare l’attenzione sulle forme del progetto come convergenza progressiva e molteplice di più azioni alle diverse scale di intervento, tali da riportare gli esiti su una visione condivisa delle trasformazioni.
Tutti e cinque i progetti presentati nella seconda Tesa del Padiglione Italia, restituiscono al progetto ed all’architettura contemporanea, un ruolo di mediazione per il riconoscimento dei valori dei contesti e del patrimonio preesistente che li distingue, provando ad interpretarne le opportunità di sviluppo futuro per rispondere ai bisogni delle comunità presenti.