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Una piazza per il Belìce. Strategie per il Territorio Arcipelago
Maurizio Carta e Daniele RonsivallePDF




Parole chiave:
urban planning, local development, government decentralization, building rehabilitation, environmental and ecological economics, rural/urban territories

Abstract:

Le grandi città globali non sono più gli unici contesti per la competizione territoriale: l’Italia è un importante esempio di un nuovo sistema di piccole e medie città, una sorta di arcipelago di spazi tenuti insieme da identità locali, animato dalle comunità, ma frenati da geografie impervie. L’articolo definisce come un territorio può applicare protocolli e azioni innovativi per la sfida dell’Italia interna. Questa “Inner Italy” può essere una piattaforma per l’innovazione locale, lo sviluppo sostenibile, la resilienza ecologica e sociale e la coesione territoriale, come mostrato nella letteratura internazionale, in riferimento sia al Territorio-Arcipelago (Carta, 2016), sia ai contesti urbani (Schröder et al., 2016). Il Belìce, in Sicilia, è l’esempio di questa nuova visione spaziale e relazionale come è evidente in uno dei suoi nodi urbani più celebri: Gibellina.




Dalle megalopoli alle reti di città piccole e medie (MC)

Le metropoli occidentali e le megalopoli non sono più gli unici scenari per la competizione nei campi dell’energia, delle risorse umane, dell’intelligenza collettiva e della creatività: in questo rinnovato contesto urbano globale, l’Italia è un importante esempio europeo di un nuovo sistema di piccole e medie città, una sorta di arcipelago di spazi tenuti insieme da identità, animati da comunità e frenati da geografie impervie (oltre il 50% dei comuni, con il 23% della popolazione, per il 60% della superficie nazionale).
Questo articolo definisce in che modo un territorio non metropolitano può applicare risultati sistematici di indagine e una serie di protocolli e azioni per la sfida dell’Italia interna composta da città di medie e piccole dimensioni, escluse dalle aree metropolitane.
Questa “Inner Italy” può essere una piattaforma per l’innovazione locale, lo sviluppo sostenibile, la resilienza ecologica e sociale e la coesione territoriale, come mostrato nella letteratura internazionale, riferendosi sia al Territorio-Arcipelago (Carta, 2016), sia ai contesti urbani (Schröder et al., 2016).

La Valle del Belice è un tipico esempio di quanto deriva da questa nuova visione spaziale e relazionale ed è particolarmente evidente in uno dei suoi nodi urbani più celebri: la nuova città di Gibellina, fondata dopo il sisma del 1968 che distrusse l’antico abitato. (Fig. 1)

Recenti ricerche teoriche e applicate, operativamente, hanno mirato a identificare alcuni tipi di comunità locali relazionali e interagenti , chiamate “comunità aumentate”, come possibile soluzione per riattivare e rilanciare i territori intermedi e interni nel quadro della strategia delle comunità verdi:

La ricerca condotta sotto la responsabilità scientifica di chi scrive è profondamente radicata negli studi urbani e nella dimensione della pianificazione urbana e delle politiche ed è caratterizzata da un approccio multidisciplinare (urbanisti, tecnologi di architettura, economisti, artisti visivi).
Le attività svolte si sono focalizzate sullo sviluppo di sistemi urbani e territoriali, ecologici, resilienti, socialmente coesi ed economicamente sostenibili secondo politiche e azioni a livello nazionale e internazionale, ed è stato inquadrato nel progetto di allestimento per il Padiglione Italia alla Biennale di Venezia - XVI Mostra Internazionale di Architettura .
L’ipotesi di un Territorio Arcipelago e la metafora delle Comunità Aumentate sono il modo per abbandonare la categoria classica di marginalità e guardare a nuove formazioni spaziali, sociali, economiche e ambientali in grado di adattarsi maggiormente alle sfide del cambiamento climatico.
Il progetto ha perseguito:

Il risultato è stato un progetto di rigenerazione urbana e territoriale per produrre innovazione, nella teoria e nell’applicazione pratica, fornendo elementi per l’avanzamento della qualità della vita delle comunità post-sisma della Valle del Belìce (1968) in termini di approfondimento e condivisione del concetto di Territorio Arcipelago e costruzione concreta della “Comunità Aumentata” come interpretazione approfondita delle comunità intelligenti e verdi, al posto di sfrangiamento, distruzioni e disgregazione delle comunità locali provocati dal sisma.

 

Italia: un arcipelago di comunità (DR)

Da quando le metropoli e le megalopoli non sono più l’unico modello di sviluppo degli insediamenti contemporanei, come detto al paragrafo precedente, in Europa si sta riscoprendo la rilevanza delle reti di città di medie e piccole dimensioni sia come singole aree urbane, sia nella forma degli agglomerati urbani diffusi.
In alcuni recenti esperimenti in Germania e Francia interessanti per strategia, governance e pianificazione, la rete di città di medie dimensioni viene proposta come un adatto alla transizione verso un Antropocene più sostenibile (Ronsivalle, 2018), complementare alla metropoli. Soprattutto nella Med-Europa, in Andalusia e Murcia (ES), in Provenza e nel Languedoc-Roussillon (FR), in Murgia, Madonie, Nebrodi, Val di Noto (IT), le comunità locali stanno lavorando su dimensioni intermedie policentriche e reticolari degli insediamenti.
L’Italia è un importante esempio europeo di un nuovo sistema di città medie e piccole, una sorta di arcipelago di spazi tenuti insieme da identità, animati da comunità e trattenuti da impervie geografie: connessioni implicite che stanno producendo una nuova visione, a volte senza un progetto consapevole ma generato da una storia locale di migliaia di anni.
In Italia, le reti urbane non metropolitane rappresentano oltre il 50% dei comuni, in cui vive il 23% della popolazione, che si estende per oltre il 60% della superficie nazionale.
Questo territorio, ricco di storia e identità, è spesso marginale nelle relazioni territoriali: solo la costruzione di una trama forte di relazioni e condivisione può condurre alla definizione di un “arcipelago di città” di medie e piccole dimensioni, perseguendo la sfida di generare una nuova visione per il loro futuro, valorizzando alcune delle loro identità intrinseche e opportunità specifiche, composte da palinsesti storici, interazioni multiscalari, mercati storici, benessere, produzione di cultura e innovazione, cibo e know-how di produzione tradizionale.
Durante la recente crisi economica, le città italiane di medie e piccole dimensioni sono riuscite ad evitare la disintegrazione del sistema economico grazie ad azioni basate sul capitale dell’identità locale che, pur non portando ad elevati tassi di crescita, hanno consentito lo sviluppo di condizioni di “messa in sicurezza” delle risorse e dell’identità locale.
Nell’attuale transizione del modello di sviluppo, le città di medie e piccole dimensioni possono essere il motore ecologico dello sviluppo sostenibile, agendo sui metabolismi urbani (acqua, rifiuti ed energia, ma anche cultura, socialità e innovazione), e possono produrre effetti sia nel campo dei beni collettivi e in quello del capitale privato, sia nel dominio di nuove configurazioni spaziali che in quelle di nuove correlazioni sociali.
La ricerca ha sperimentato il Territorio Arcipelago come una nuova forma di urbanizzazione regionale complementare al sistema metropolitano (definita nella cosiddetta Legge Delrio).
L’ipotesi di ricerca era l’esistenza di elementi capaci di generare una “Comunità aumentata” nella Valle del Belìce che potesse essere:

Per potere fare ciò, la ricerca ha guardato con rinnovato interesse ai modelli di pianificazione italiani degli anni ‘60 di Zevi, Dolci, Cabianca, Archibugi e Ruffolo, nella visione innovativa basata sull’identità locale e sui valori delle città e dei territori interni di media e piccola dimensione (si vedano in particolare Centro Studi e Piani Economici, 1971 e Doglio & Urbani, 1972).
Questi modelli contenevano già i germi per superare la visione conflittuale basata sulla dialettica tra naturale e antropico, urbano e rurale, culturale ed ecologico, conservazione e innovazione, identità e creatività. L’approccio di ricerca ha, quindi, proposto una cooperazione tra dimensioni e componenti, che conduce a nuove relazioni più fluide basate sulla costante ricerca di un accordo piuttosto che sulla risoluzione del conflitto. Il territorio, che ne deriva, è quello che Soja (1996) chiama “terzo spazio”, lo spazio vissuto dalle persone, interpretato e ricreato quotidianamente.
Infine, l’approccio olistico alla sostenibilità richiesto dagli Obiettivi di Sviluppo Sostenibile del Millennio delle Nazioni Unite (UN, 2015) dimostra la necessità di un’urbanistica ecologica, circolare e multi-scala che sappia agire sia sui nuovi territori meta-politici (Ascher, 2009) sia su quelli Rur-urbani (Schröder, 2016). Questo approccio richiede che il metabolismo territoriale (funzionale, sociale e culturale) debba essere il principio cardine della pianificazione. (Fig. 2)

I conseguenti strumenti di progettazione, applicati al contesto del Territorio Arcipelago del Belìce, aiutano a riconnettere sistemi agricoli, residenziali, industriali, naturali, culturali e ricreativi per avviare la collaborazione e l’interazione all’interno di uno scambio di interessi tra diverse situazioni reciprocamente vantaggiose o tra nuove relazioni produttive che possono determinare una nuova organizzazione dello spazio insediativo.
I paradigmi del riciclo e dell’urbanistica ecologica (Fabian & Munarin, 2017 e Mostafavi & Doherty, 2016) sono la base più solida per il raggiungimento degli obiettivi di lavoro: l’approccio di progettazione ecosistemica è basato su un cambio di paradigma, che agisce simultaneamente su aree produttive in dismissione (aree di deindustrializzazione, industrie erose dalla crisi o aree agricole in transizione), sia su aree per la logistica (le aree ferroviarie e industriali in contrazione o in ristrutturazione funzionale), sia su spazi di vita lasciati vuoti nelle piccole città che si spopolano, sperimentando un nuovo modello di sviluppo dimensionale della sostenibilità (politica, sociale, economica, ecologica e territoriale) e della governance territoriale.

 

Territori Interni come piattaforma abilitante per l’innovazione locale (MC)

La ricerca ha mirato, in una prima fase, a produrre un’indagine sistematica e una serie di protocolli e dispositivi utili per affrontare la sfida dell’Italia interna, analizzandola e pianificandola come una piattaforma abilitante per l’innovazione locale, lo sviluppo sostenibile e la coesione territoriale e in una seconda fase ha mirato a progettare il caso pilota, una centralità culturale nella nuova città di Gibellina come catalizzatore per il Territorio Arcipelago, così definito nella prima parte fase di lavoro. (Fig. 3)

Il tema di ricerca è stato approfondito attraverso lo studio e la verifica di cinque specifiche innovazioni abilitanti che richiedono una dimensione spaziale conseguente e che sono uno studio approfondito delle relazioni tra infrastrutture, disuguaglianza e resilienza, connesse all’UN SDG2030 (vedi fig. 3):
1. Resilienza. Il metabolismo rur-urbano (Schröder et al., 2016) dei cicli nei territori interni richiede di superare l’inefficace azione di resistenza alla metamorfosi, di adottare un atteggiamento elastico e dialogico, in cui la flessibilità delle funzioni, la permeabilità degli spazi e la l’adattabilità degli insediamenti non è più affrontata come problemi puramente concettuali e spaziali, ma deve essere correlata alla rigenerazione sociale, economica e tecnologica: la resilienza si incarna in temi, strumenti, regole del progetto. Il paradigma della resilienza supporta le pratiche urbane, genera quartieri o intere città con un nuovo metabolismo, in grado di gestire meglio i cambiamenti climatici o i cambiamenti idrogeologici. La resilienza è anche il recupero di prodotti agricoli antichi, l’artigianato del cibo e di oggetti, di pratiche preindustriali in cui l’intera comunità diventa una catena di produzione, di cui tutto il Belìce è punteggiato.
2. Innovazione culturale. Agisce sulla memoria di città e paesi ma anche sulla loro reputazione, sia attraverso la profilazione di abitanti e utenti, sia attraverso la legittimazione delle opportunità offerte dalla comunità globale che interagisce con i progetti di sviluppo locale. Grazie alla riattivazione del capitale di identità, le comunità del Belìce già generano energie a basso impatto che alimentano la rigenerazione urbana basata su infrastrutture culturali, sulla localizzazione di attrattori creativi nei centri storici, in vecchie fattorie o nei mulini che punteggiano le linee del fiume Belìce, o in iniziative di formazione stabile volte a definire l’attrattiva dei luoghi collegando istruzione, benessere e qualità ambientale. È il caso dei borghi e dei centri storici che non sono più solo vaghi ricordi di un passato sbiadito ma diventano asset economico centrale per la rivitalizzazione economica dell’area, come succede a Sambuca di Sicilia borgo più bello d’Italia 2016, a S. Margherita di Belìce sede del Museo della Memoria e al Baglio Di Stefano sede della Fondazione Orestiadi.
3. Innovazione basata sulla conoscenza. I sistemi ecologico-sociali dei territori interni devono essere in grado di affrontare i cambiamenti e di gestirli creando nuovi equilibri, imparando dalla conoscenza e dall’esperienza. La ricerca ha anche agito sulla comunicazione: la conoscenza esce dal chiuso del sapere esperto, rappresentabile nella metafora della Outlook tower di Patrick Geddes, per diffondere competenze collettive e generare nuovo modo di pensare la comunità. La conoscenza diffusa diventa materiale reale per rinnovare il patto di convivenza delle popolazioni nei territori interni e alimentare il conseguente patto di sviluppo. Gli esempi di aziende innovative create dalla riattivazione dei cicli produttivi tradizionali o legate a nuove eccellenze turistiche e agro-alimentari o collegate a energie rinnovabili sono sempre più numerose nei territori del Belìce e fungono anche da living lab dell’innovazione che si fonda sulla qualità della tradizione. Il G55, incubatore e fablab comunale di Partanna rappresenta la sintesi di questa idea di innovazione basata sulla conoscenza delle opportunità dei luoghi, trasformando debolezze in punti di forza.
4. Innovazione di condivisione economica e geografica. Produce un’alta sinergia tra la nuova poli-centralità dei servizi, la struttura edilizia dei centri storici sottoposti a rigenerazione e l’offerta di servizi digitali. Nei territori che vogliono essere protagonisti in una nuova Italia non metropolitana, gli abitanti tornano ad essere produttori attraverso nuove forme di cooperazione. Diventano agricoltori per far rivivere parti di città in disuso attraverso l’agricoltura urbana, i lavoratori della conoscenza attraverso atelier o incubatori creativi, producendo eventi culturali attraverso il crowdfunding, gestendo spazi temporanei sottratti alla negligenza e alla decadenza. È il caso di quanto avviene nei luoghi della memoria del terremoto, in particolare il Grande Cretto e Poggioreale Antica in cui si strutturano nuove economie basate sulla condivisione geografica e la persistenza della memoria.
5. L’innovazione reticolare. Determina le nuove geografie policentriche, in opposizione al modello gravitazionale, volte a inserire nuovi nodi di aggregazione sociale nella rete territoriale. I territori rafforzati dalle nuove economie e dalle comunità locali rinate nella rete dei territori interni accelerano l’attribuzione di nuovi significati ai luoghi in trasformazione o abbandono e dirigono il cambiamento. Ruolo centrale per questo tema è svolto dal Gruppo di Azione Locale Valle del Belìce che attraverso le politiche per la ruralità è in grado di instaurare nuove reti di relazioni.
La ricerca ha intercettato queste innovazioni nell’area del Belìce e ha mirato a studiare nuovi protocolli e strumenti urbanistici e di governance che possano guidare i cambiamenti futuri, favorendo l’utilizzo degli strumenti più avanzati nel campo della pianificazione territoriale e delle politiche di sviluppo locale. (Fig. 4)

La ricerca, operativamente, ha cercato di identificare quattro tipi di comunità aumentate relazionali e interagenti (vedi fig. 4) come la migliore soluzione per riattivare e rilanciare i territori del Belìce:

 

Dalla strategia dell’Arcipelago Territoriale alla piazza per la crescita del Belìce (DR)

La sperimentazione per progettare il futuro del Belìce è legata a doppio filo all’esperienza di sviluppo sperimentato da Danilo Dolci, Lorenzo Barbera e altri visionari nel corso degli anni 60 del secolo scorso.
I “concreti visionari” di quella generazione combattono una lunga battaglia a volte vinta, altre volte solo rinviata, contro la mafia, la fame, la sete dei campi e l’ignoranza, che passa attraverso la costruzione di luoghi come il Borgo di Dio a Trappeto e attraverso la riflessione teorica e metodologica della rivista “Pianificazione Siciliana”.
Si sviluppò così una rete cooperativa di centri strategici che iniziò a trasformare le valli della Sicilia occidentale in una vera e propria città-territorio fondata sull’agricoltura, capace di rigenerarsi attraverso un nuovo concetto di città.
Fu un momento in cui la visione di futuro – era la metà degli anni 60 –, sembrava essere avviata ad una rapida materializzazione, tanto che il piano per lo sviluppo democratico delle Valli del Belice del Carboi e dello Jato prefigurava chiaramente un sistema iper-urbano fatto di nodi urbani, spesso con caratteristiche di Città giardino, e sistemi infrastrutturali capaci di tessere le relazioni ancora mancanti in un territorio ricco di potenzialità, ma povero negli esiti.
Colpisce, persino, la modernità della rappresentazione del Piano e la contemporaneità dell’attenzione alle risorse, come nel caso dei grandi bacini di acqua che rappresentano la principale sfida di Dolci per la crescita delle comunità locali. (Fig. 5)

Sulla base del portato di esperienze di quegli anni, la sperimentazione attuale del modello Arcipelago Territoriale si realizza, oggi, all’interno di un sistema città-territorio composto da 14 città per un totale di circa 80000 abitanti, che lo stigma “sismico” definisce ancora cratere ricordando la notte tragica del 1968.
Tuttavia, se cambiamo il punto di vista, quei territori hanno interrotto con un evento tragico un percorso di sviluppo che avrebbe potuto essere diverso: è importante ricominciare a pensare che quei 50 anni sono solo una piccola parte nel tempo della trasformazione lunga della storia.
Le idee di rigenerazione urbana e sociale di “Pianificazione Siciliana” diventano oggi opportunità ancora attive per costruire un nuovo territorio resiliente a partire da un progetto di qualità che integri agricoltura, arte, architettura contemporanea, incubatori digitali, castelli e borghi medievali, musei diffusi, paesaggi agricoli.

Se pure è vero che la potenza demografica di 80.000 abitanti potrebbe garantire un livello di dotazione di servizi molto elevato, paragonabile a quello di un capoluogo di provincia o di una piccola metropoli, è anche vero che questi centri sono diffusi su una superficie territoriale non isotopica: il progetto di Arcipelago Belice, quindi, si basa sulla realizzazione di un sistema policentrico e reticolare che lavora su tre strategie principali che ibridano le diverse vocazioni e potenzialità e producono tre epicentri: agricoltura e innovazione di impresa a Gibellina e Partanna, borghi e turismo rurale a Menfi e Sambuca, patrimoni e creatività a Salemi e Poggioreale antica.
Il progetto di territorio è così integrato attraverso nodi principali e centri di comunità rafforzando lo stato attuale di cose per la costruzione di relazioni di sviluppo.
Il progetto per Gibellina Città Nuova diventa quindi l’elemento cruciale che consente di dare forma e luogo ad un tema chiave che è quello dello spazio urbano dedicato alle risorse territoriali agricole, in particolare quelle al centro delle quali si trova Gibellina nuova.
La new town belicina, insieme a Salaparuta nuova e Poggioreale nuova,è ancora oggi una sfida aperta determinata dalla sua capacità insediativa estremamente superiore rispetto all’effettiva popolazione insediata: la sua spazialità urbana e la sua disponibilità di grandi contenitori fa sì che la città sia attualmente un sistema da potere ancora abitare e riabilitare ad usi coerenti con la comunità e le identità locali.
Nella visione di futuro che la ricerca propone per il teatro di Pietro Consagra, eterno incompiuto, la sperimentazione produce uno spazio centrale, fisicamente e concettualmente, per la realizzazione di un vasto parco agricolo urbano in corrispondenza del vuoto lasciato al centro dell’insediamento di Gibellina . (Fig. 6)

Il teatro di Consagra, contenitore di grande impatto artistico e urbano, diventa la sede per lo sviluppo e l’innovazione, la trasformazione del prodotto, la didattica: in sostanza una nuova casa per l’intera comunità.
Il teatro-scultura non viene intaccato dalla trasformazione, ma rimane un guscio affascinante e pieno di rimandi fisici e concettuali, che il gruppo di lavoro di AM3 usa come la conchiglia di un paguro che cerca lo spazio più adatto alle proprie necessità vitali. (Fig. 7)

L’ascolto della comunità ha consentito di comprendere la domanda di uno spazio per la promozione della catena di produzione agricola locale, sicché il progetto ridisegna gli spazi interni del teatro incompiuto e traccia un parco agricolo al centro della città di Gibellina che servirà il "Rural Lab", centro di formazione per l’innovazione agricola, ospitato dentro il teatro.
Al centro del progetto, quindi, c’è lo spazio pubblico di supporto alla nuova configurazione urbana di Gibellina, che auspica di raggiungere una migliore connessione tra l’abitato e il sistema agricolo circostante.

 

Conclusioni: cosa è cambiato a Gibellina con Arcipelago Italia? (MC)

Il progetto “Una Piazza per la crescita del Belìce” non è stato (ancora) realizzato e, quindi, si potrebbe pensare che l’attenzione accademica e sperimentatrice della Biennale di Architettura di Venezia possa avere solo affascinato i visitatori del Padiglione Italia, e null’altro.
In effetti, possiamo già misurare nei territori gli esiti di una nuova consapevolezza:

È stato, in qualche modo, messo insieme quello che i “concreti visionari” dei primi anni Sessanta avevano tracciato e che l’idea della ricostruzione post sismica imposta dall’alto aveva abraso.
In sostanza, un vasto apparato interpretativo e progettuale delle risorse locali ha consentito di produrre linee di sviluppo, di cui la Piazza per la crescita del Belìce è la sineddoche.

 

 

Riferimenti bibliografici
Stato dell’arte

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Note

Il contributo è frutto delle ricerche condotte da entrambi gli Autori attraverso attività di continua collaborazione e riflessione comune; a Maurizio Carta sono attribuiti i paragrafi “Dalle megalopoli alle reti di città piccole e medie”, “Territori Interni come piattaforma abilitante per l’innovazione locale” e le “Conclusioni”, a Daniele Ronsivalle sono attribuiti i paragrafi “Italia: un arcipelago di comunità” e “Dalla strategia dell’Arcipelago Territoriale alla piazza per la crescita del Belìce”. Entrambi gli Autori afferiscono al Dipartimento di Architettura dell’Università degli Studi di Palermo.
Si vedano le ricerche condotte dal Laboratorio di Sviluppo Locale di Bivona (AG), in particolare gli esiti prodotti in Carta M, Ronsivalle D (2016) nel Manifesto di Bivona e poi nella formalizzazione e teorizzazione del modello dell’Arcipelago territoriale in Carta M. (2016). I lavori condotti per la costruzione della strategia Belìce per il Padiglione Italia hanno portato a maturazione la definizione delle quattro comunità.
La ricerca e l’allestimento per il Padiglione Italia sono stati curati da Mario Cucinella. Per quel che riguarda la ricerca condotta sul territorio della Valle del Belìce e su Gibellina, dal titolo “Coltivare il futuro. Una Piazza per la crescita del Belìce”, il progetto è di AM3 con Vincenzo Messina, con la consulenza artistica di Giuseppe Zummo. La strategie di sviluppo territoriale si deve all’Università degli Studi di Palermo, Dipartimento di Architettura, con il coordinamento scientifico di Maurizio Carta e la collaborazione di Barbara Lino e Federica Scaffidi.
Il progetto di ricerca sul tema del Territorio Arcipelago trova qui una sua definizione architettonica e di progetto di giardino curato, come detto sopra, da AM3 (Marco Alessi, Cristina Calì, Alberto Cusumano) con Vincenzo Messina e la collaborazione di F. Mazzola, A. Franchina, S. Micciché, L. Berezanskyte, C. Mastrosimone, la consulenza artistica G. Zummo e i render di Internoesterno.

 

 

 

 

 

 

 

 




 

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