Dossier: Il progetto urbano per i centri minori. Opinioni a confronto

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Giuseppe Mele
Vice Direttore Politiche Industriali di Confindustria
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Q1. Della utilità del progetto urbano

Le esperienze di questi ultimi anni ci dicono che lo strumento del progetto urbano è sempre meno praticato dalle nostre amministrazioni comunali, soppiantato dal ricorso a singoli interventi, immediatamente cantierabili, non importa se frammentari e slegati da una visione d’insieme della città e del suo futuro. Questo accade soprattutto nelle realtà urbane più complesse, ma in qualche misura si riscontra anche nei centri minori dove tutto dovrebbe essere più facile.
Si tende a sacrificare il valore aggiunto portato dal progetto urbano (comunque inteso, come strategia d’intervento che traguarda le singole azioni anche disgiunte in una prospettiva coerente e condivisa per un’idea di città al futuro) a favore di un empirismo fattuale che induce a preferire la concretezza del presente (le risorse attivabili, gli interessi da soddisfare, i risultati immediatamente tangibili a ristoro degli investimenti fatti) senza interrogarsi sulla effettiva utilità e significatività urbana dei progetti in campo.
In queste condizioni, i progetti urbani sono ancora attuali? Esistono ragioni robuste per sostenerne la utilità, contro le crescenti derive del “presentismo” che producono vari episodi puntuali spesso contraddittori nell’insieme? Oppure dobbiamo rassegnarci alla loro rinuncia?

Nonostante la frammentarietà, l’estemporaneità e la dispersione che caratterizzano troppo spesso le esperienze di intervento, il “progetto” resta necessariamente lo strumento e la modalità più efficace e più coerente per fare buone politiche urbane. È invece diventato più difficile elaborare progetti urbani, per la complessità istituzionale e socio-economica su cui essi devono necessariamente basarsi. Nel passato, neanche troppo lontano, il progetto urbano era “uno” se “il” tema centrale su cui si svolgeva il dibattito politico e amministrativo, la concreta trasposizione di visioni a confronto sul futuro della città. Tutto questo avveniva soprattutto ex ante, per raccogliere il consenso politico necessario all’attuazione, i cui risultati e la cui valutazione critica misuravano poi l’efficacia e l’esigenza di rivedere o completare o abbandonare e sostituire le scelte operate.
Tutto questo, oggi, si riscontra raramente per oggettive difficoltà, dovute alla notevole frammentazione degli interessi in gioco, ad un’estenuante e spesso impossibile condivisione delle analisi e delle soluzioni, ma pure per la prevalenza di situazioni di emergenza, che spingono a concentrare l’attenzione e gli sforzi alla risoluzione di uno specifico problema, senza dare il tempo di inquadrarlo nel contesto più ampio di un progetto.
Questo sostanziale scadimento del confronto politico-amministrativo sulla progettualità urbana è anche indotto dalle modalità di intervento proposte a livello governativo. Se non molto tempo fa si promuovevano piani di intervento urbano, oggi prevalgono i “Mille Campanili”, che magari nascono anche dall’idea (corretta) di dare un contributo specifico nell’ambito di un più ampio progetto urbano o di dare concreta opportunità realizzativa a esigenze molto specifiche e puntuali, ma in realtà premiano anche la frammentazione a scapito della visione.
Rispetto a queste derive, sarebbe invece fondamentale avviare un nuovo ciclo di progettualità urbana, che riparta dalla conoscenza della città e del territorio e dalla visione sul loro futuro. Quindi promuovere iniziative di più ampio respiro di studio, analisi e proposta, che mettano insieme Università e Società Civile (cittadini e imprese), e poi aprire il confronto pubblico, con le Comunità locali e con le Istituzioni interessate.

Q2. Della fattibilità

Non c’è dubbio che la crisi del progetto urbano sia imputabile ai suoi limiti nella concezione e messa in forma delle previsioni d’intervento, oltre che naturalmente alle condizioni più complessive che ne possono pregiudicare la fattibilità economico-finanziaria, amministrativa e sociale.
Così ad esempio la crisi prolungata del mercato immobiliare frena investimenti pubblici e privati troppo complessi e a elevato rischio per i ritorni dei capitali impiegati. I progetti inoltre richiedono una varietà di strumenti giuridico-amministrativi, anche di natura pattizia, per far fronte alla notevole diversità delle situazioni in gioco, e comunque costringono a prendere notevoli responsabilità con decisioni partecipate. Infine, le conflittualità che insorgono in un progetto di maggiore complessità inducono a difficili strategie di costruzione del consenso e di compensazione degli interessi in gioco, che la politica spesso preferisce evitare.
Quali sono a suo avviso le ragioni che più ostacolano oggi il successo dei progetti urbani? È possibile fare qualcosa per rimuovere questi impedimenti?

La sfida più impegnativa per i progetti urbani è sicuramente la complessità; ma vi è una complessità “buona” (implicita all’elaborazione progettuale) e una complessità “cattiva”, a volte alimentata strumentalmente dai vari interessi in gioco a quindi evitata (insieme al progetto) dal decisore politico, perché in sostanza manca il consenso sulla visione (quando c’è!) che ha generato il progetto. Il risultato è lo stesso: nessun progetto.
La “giusta” complessità è implicita al progetto urbano, perché si tratta di un processo che progressivamente affronta e risolve i diversi profili coinvolti: tecnici, strutturali, organizzativi, finanziari, legali, sociali, ambientali, …
Non si deve, quindi, aver paura della complessità, ma bisogna attrezzarsi per affrontarla, coinvolgendo le necessarie professionalità. Una delle chiavi decisive per il successo di un progetto urbano sono senza dubbio la “multi-disciplinarietà” di chi è chiamato a elaborarlo e a svilupparlo e il risultato. Il progetto deve infatti produrre un’informazione capace di dare elementi chiari e trasparenti ai vari interlocutori coinvolti, in particolare: alla collettività interessata, al decisore politico-amministrativo, al realizzatore e al finanziatore. Il successo dei progetti urbani dipende soprattutto dalla loro “qualità”.

Q3. Idee per il futuro

EWT ritiene che il rilancio del progetto urbano sia possibile solo a condizione di innovarne profondamente la concezione, i contenuti, e la stessa metodologia di elaborazione. Nelle attuali condizioni di incertezza e di imprevedibilità delle dinamiche urbane, c’è bisogno di progetti processuali, flessibili ed evolutivi, piuttosto che di un disegno rigido e vincolante a medio-lungo termine attraverso cui fissare in modo normativo le forme, gli assetti e le stesse intese pubblico-privato che sostanziano il progetto. La stessa forma del progetto è destinata a cambiare, come convergenza progressiva di una moltitudine di azioni preferibilmente place-based e people-driven, spesso multiscalari ed eterogenee tra loro, ma comunque accomunate dalla coerenza rispetto a una visione di futuro sufficientemente condivisa. Come rendere compatibili gli obiettivi assunti inizialmente (qualità, prestazioni funzionali, equa remuneratività degli investimenti) con i necessari aggiustamenti in corso d’opera diventa il tema centrale del progetto, un tema particolarmente ostico a cui comunque non è possibile sfuggire.
Muovendo dalle esperienze positive fatte per i centri minori, quali sono a suo avviso le innovazioni da apportare al progetto urbano in Italia per migliorarne la efficacia, la fattibilità, e la qualità dei risultati?

La nostra società sta vivendo una fase di profonda trasformazione tecnologica, che sta coinvolgendo in modo straordinario anche la progettazione e le costruzioni. Il BIM, il 3D, i nuovi materiali e le nuove tecnologie costruttive, la sostenibilità e l’efficienza energetica, la digitalizzazione, … sono tutti processi che stanno cambiando la stessa vita dei cittadini e, inevitabilmente, devono trovare anche nelle politiche urbane e nella loro progettazione una coerente assimilazione che, a sua volta, può generare ulteriori sviluppi della qualità dei risultati e, in fin dei conti, di migliorare sensibilmente il “fare città”.
Espressi in questi termini, tali processi possono sembrare anche molto evocativi e accattivanti. Ma, applicati alla realtà del progetto urbano, diventano strumenti concreti di sviluppo e di verifica delle soluzioni adottate e dei loro effetti sui contesti in cui sono realizzabili e sulle dinamiche sociali, economiche e organizzative che vi si svolgono.
Immaginare (e valutare) con un elevatissimo grado di approssimazione alla realtà la capacità di trasformazione che un progetto urbano è in grado di produrre oggi è possibile; e questo consente di verificare e di condividere, passo dopo passo, le soluzioni individuate con tutti gli stakeholder e la loro coerenza con la visione di futuro che ha generato “quel” progetto. L’innovazione tecnologica è sicuramente la chiave per migliorare la qualità e la realizzabilità dei progetti urbani.