Q1. Della utilità del progetto urbano
Le esperienze di questi ultimi anni ci dicono che lo strumento del progetto urbano è sempre meno praticato dalle nostre amministrazioni comunali, soppiantato dal ricorso a singoli interventi, immediatamente cantierabili, non importa se frammentari e slegati da una visione d’insieme della città e del suo futuro. Questo accade soprattutto nelle realtà urbane più complesse, ma in qualche misura si riscontra anche nei centri minori dove tutto dovrebbe essere più facile.
Si tende a sacrificare il valore aggiunto portato dal progetto urbano (comunque inteso, come strategia d’intervento che traguarda le singole azioni anche disgiunte in una prospettiva coerente e condivisa per un’idea di città al futuro) a favore di un empirismo fattuale che induce a preferire la concretezza del presente (le risorse attivabili, gli interessi da soddisfare, i risultati immediatamente tangibili a ristoro degli investimenti fatti) senza interrogarsi sulla effettiva utilità e significatività urbana dei progetti in campo.
In queste condizioni, i progetti urbani sono ancora attuali? Esistono ragioni robuste per sostenerne la utilità, contro le crescenti derive del “presentismo” che producono vari episodi puntuali spesso contraddittori nell’insieme? Oppure dobbiamo rassegnarci alla loro rinuncia?
Nel caso di Cugnoli, un piccolo centro della provincia di Pescara colpito dal terremoto del 2009 abbiamo dovuto far fronte alle criticità che si presentano abitualmente nel caso di borghi localizzati nelle aree interne, che rischiano di venire abbandonati per l’effetto congiunto delle distruzioni del sisma, dei processi di invecchiamento della popolazione e di indebolimento accelerato della base economica. Inoltre si è assistito ad un marcato stravolgimento dell'assetto paesaggistico e naturalistico esistente, per l’edificazione di aree estranee ai tessuti urbani sedimentati e comunque spesso in deroga rispetto ai vincoli paesaggistici.
C’è poi da reintegrare la popolazione che è stata alloggiata in moduli di emergenza esterni al centro abitato consolidato, e che avrebbe voluto partecipare da protagonista alle scelte della ricostruzione. Infine, il problema più grave, la difficoltà di far ripartire l’economia locale, già in equilibrio precario prima del sisma del 2009 e collassata in conseguenza del sisma.
Tutti questi problemi sono stati affrontati cercando di utilizzare al meglio le legge n.77 del 2009 predisposta per la ricostruzione in Abruzzo, una legge importante che mira al rilancio dell’economia e al recupero della coesione sociale contestualmente alla messa in sicurezza del patrimonio abitativo e infrastrutturale della città. Qui l’intervento assume una valenza al tempo stesso strategica per la ripresa dello sviluppo locale e urbanistica, perché i piani di ricostruzione configurano variante automatica del PRG vigente conformando i diritti della proprietà.
Il piano di ricostruzione, elaborato con il supporto del Centro SCUT dell’Ateneo di Chieti-Pescara, si affida ad un progetto urbano che cerca di riproporre al più presto uno spazio identitario della cittadinanza ancorato ai luoghi più importanti dell’immaginario simbolico locale, di solito il corso urbano principale con i monumenti, le piazze e gli spazi pubblici sedimentati nel tempo. Inoltre consiste in un insieme di azioni più puntuali per il consolidamento e la messa in sicurezza del patrimonio abitativo esistente, cercando di minimizzare il consumo di nuovi suoli esterni al centro storico per insediare le funzioni urbane più importanti, se danneggiate dal terremoto. Infine il piano mette in opera le vie di fuga necessarie per ridurre la vulnerabilità urbana a fronte di futuri ulteriori sismi.
La valenza strategia del piano di ricostruzione è stata affidata al programma di messa in valore di un circuito turistico perimetrale di servizio al Parco nazionale del Gran Sasso, con il coinvolgimento di altri cinque Comuni colpiti dal terremoto, localizzati all’interno della Provincia di Pescara e di fatto situati ad una quota omogenea. Per attingere infatti una massa critica di interventi utili allo sviluppo di Cugnoli è indispensabile coordinarsi con gli altri Comuni, creando una nuova realtà che anticipa una possibile Unione intercomunale. Ma questa prospettiva rinvia necessariamente al contributo della Provincia e soprattutto della Regione, che avrebbero dovuto mobilitare gli investimenti richiesti per dare luogo a una nuova struttura territoriale t integrata per il turismo. E qui abbiamo dovuto purtroppo scontare i ritardi e le incomprensioni nel dialogo tra le istituzioni di governo ai diversi livelli che hanno finito per frenare il rilancio dello sviluppo economico e sociale a Cugnoli come nei centri contermini.
Rimane in sostanza il Progetto Urbano a scala comunale a guidare la ricostruzione. Le sueragioni e utilità vanno oltre la mera messa in sicurezza contro il rischio sismico. Le funzioni della sicurezza vengono infatti incorporate all’interno di altre funzioni d’interesse comune, dando luogo a una strategia multitasking che associa obiettivi primari di riduzione della vulnerabilità urbana e obiettivi complementari di offerta di nuove opportunità e servizi alla città che contribuiscono al recupero fisico, funzionale e simbolico dello spazio identitario più importante del Comune.
Non abbiamo voluto rassegnarci alla rinuncia del Progetto Urbano, perché ci siamo resi conto che l’economia della ricostruzione gira se il settore edilizio fa da traino, ma occorre evitare la proliferazione di iniziative private sostanzialmente sregolate e finalizzate alla logica del massimo rendimento dei capitali impiegati. C’è piuttosto da trasformare la città in un grande campo di opportunità con ricadute significative ai fini dello sviluppo economico e sociale. E’ in fondo questo il modello vincente sperimentato a Cugnoli. Un progetto urbano costruito nell’intreccio tra pubblico e privato, certo nei suoi obiettivi finali, ma programmaticamente adattabile in funzione delle disponibilità manifestate dagli attori in gioco, a loro volta esito delle condizioni di fattibilità promosse dal mio stesso Ente.
Q2. Della fattibilità
Non c’è dubbio che la crisi del progetto urbano sia imputabile ai suoi limiti nella concezione e messa in forma delle previsioni d’intervento, oltre che naturalmente alle condizioni più complessive che ne possono pregiudicare la fattibilità economico-finanziaria, amministrativa e sociale.
Così ad esempio la crisi prolungata del mercato immobiliare frena investimenti pubblici e privati troppo complessi e a elevato rischio per i ritorni dei capitali impiegati. I progetti inoltre richiedono una varietà di strumenti giuridico-amministrativi, anche di natura pattizia, per far fronte alla notevole diversità delle situazioni in gioco, e comunque costringono a prendere notevoli responsabilità con decisioni partecipate. Infine le conflittualità che insorgono in un progetto di maggiore complessità inducono a difficili strategie di costruzione del consenso e di compensazione degli interessi in gioco, che la politica spesso preferisce evitare.
Quali sono a suo avviso le ragioni che più ostacolano oggi il successo dei progetti urbani? E’ possibile fare qualcosa per rimuovere questi impedimenti?
Le principali ragioni che ostacolano la strategia dei progetti urbani sono la incapacità di considerarli come strumento uno urbanistico veloce e efficace, anche a causa della mancanza di una esplicita normativa di legge che ne permetta l’attuazione.
Attualmente gli interventi pubblici singoli utilizzano le modalità attuative previste dall’articolo 7 del DPR 380/2001 Testo Unico per l’edilizia.
I progetti urbani su aree ed immobili di prevalente proprietà pubblica o di enti pubblici si articolano in relazione alla tipologia degli interventi: per i piani attuativi di servizi integrati pubblico/privati si procede o contestualmente agli interventi privati o in via autonoma con programmi di recupero urbano, utilizzando il procedimento dell’Accordo di Programma art. 34 D.Lgvo 267/2000. In particolare:
- per gli interventi e le opere di Enti locali o della Regione si applica la medesima procedura del programmi di recupero urbano utilizzando il procedimento dell’Accordo di Programma art. 34 D.Lgvo 267/2000, nel caso che l’insieme delle opere riguardi proprietà di più amministrazioni pubbliche e richieda un’azione integrata delle stesse;
- per le opere dello Stato si utilizza il procedimento previsto nel DPR 383/1994;
- per le opere di urbanizzazione primaria e per le opere di urbanizzazione secondaria (edifici/aree) si procede sulla base del Testo Unico degli espropri DPR 327/2001 in caso di interventi che riguardino aree private.
E’ possibile rimuovere questi impedimenti soltanto se viene predisposta una normativa di legge che riconosca il progetto urbano quale piano attuativo.
Q3. Idee per il futuro
EWT ritiene che il rilancio del progetto urbano sia possibile solo a condizione di innovarne profondamente la concezione, i contenuti, e la stessa metodologia di elaborazione. Nelle attuali condizioni di incertezza e di imprevedibilità delle dinamiche urbane, c’è bisogno di progetti processuali, flessibili ed evolutivi, piuttosto che di un disegno rigido e vincolante a medio-lungo termine attraverso cui fissare in modo normativo le forme, gli assetti e le stesse intese pubblico-privato che sostanziano il progetto. La stessa forma del progetto è destinata a cambiare, come convergenza progressiva di una moltitudine di azioni preferibilmente place-based e people-driven, spesso multiscalari ed eterogenee tra loro, ma comunque accomunate dalla coerenza rispetto a una visione di futuro sufficientemente condivisa. Come rendere compatibili gli obiettivi assunti inizialmente (qualità, prestazioni funzionali, equa remuneratività degli investimenti) con i necessari aggiustamenti in corso d’opera diventa il tema centrale del progetto, un tema particolarmente ostico a cui comunque non è possibile sfuggire.
Muovendo dalle esperienze positive fatte per i centri minori, quali sono a suo avviso le innovazioni da apportare al progetto urbano in Italia per migliorarne la efficacia, la fattibilità, e la qualità dei risultati?
L‘economia e il mercato immobiliare sono ormai al collasso, non soltanto a Cugnoli. Per provare a rianimarli è necessario elaborare una concezione nuova dello sviluppo locale, in cui dovrà assumere un ruolo trainante il progetto urbano, naturalmente rivisto e complessificato nei suoi contenuti strategici e non soltanto morfologico-funzionali. Come del resto prevede l’innovativa legge n.77 del 2009 che disciplina la ricostruzione in Abruzzo, integrando momenti strategici e urbanistici. Il Progetto Urbano va comunque inquadrato all’interno dei piani di ricostruzione di cui deve diventare lo strumento attuativo privilegiato, per evitare azioni puntuali ed estemporanee che non creano valore aggiunto nel rilancio del centro terremotato.
Dal mio punto di vista la ricostruzione dei Comuni dell’Area Omogenea 5, e in particolare di Cugnoli, ha funzionato grazie anche al nostro uso convinto dello strumento del progetto urbano. Restano tuttavia ancora da approfondire gli strumenti della governance con cui procedere nella prefigurazione e nell’attuazione di questo genere di progetti.
Dando per scontata la necessità di ricorrere a un’impostazione processuale e dialogica del progetto, appare interessante sperimentare un Contratto di progetto del tipo di quello enunciato dalla ricerca europea Holistic, pubblicata dallo SpinOff SUT. “Il Contratto fissa alcuni obblighi per i contraenti, ma lascia spazio anche alla volontarietà degli apporti che provengono dai diversi attori alla luce di un traguardo comune da raggiungere e una visione condivisa sul modo di intervenire (quale soluzione adottare per il miglioramento del livello di sicurezza urbana nei confronti del rischio sismico), con l’eventuale accesso a una varietà di incentivi mirati, che dovrebbero facilitare comportamenti virtuosi da parte dei soggetti privati.
Il progetto, anziché essere imposto in modo tecnocratico, fondamentalmente sulla base delle valutazioni degli specialisti del rischio (ingegneri sismici e geologi in primo luogo) e della conseguente ratifica da parte degli organi di governo locale, tende a configurarsi come la cornice strategica di un processo di partecipazione attiva della cittadinanza, o almeno dei proprietari degli immobili e degli attori dello sviluppo messi in gioco dalle soluzioni prospettate al fine di garantire i livelli di sicurezza previsti dalle norme in vigore. In questo modo intende contribuire a far crescere non solo la consapevolezza sociale, ma soprattutto il valore della sicurezza, radicandola all’interno dei processi di coinvolgimento attivo dei cittadini, restituiti al protagonismo sulle scelte da fare, una volta resi edotti della posta in gioco e delle misure concrete da intraprendere per far fronte ai rischi possibili”.
In definitiva l’approccio per la ricostruzione attraverso il Progetto urbano si dovrà far carico degli interventi necessari a mitigare la vulnerabilità urbana collegandoli all’insieme di iniziative e di pratiche sociali che sostanziano le progettualità di valenza strategica per il futuro dei centri che hanno subito danni dal terremoto. Al tempo stesso questo approccio dovrà essere indirizzato alla ricerca di nuovi strumenti di governance, indispensabili per stemperare l’approccio tecnocratico deresponsabilizzante a favore di soluzioni più partecipate e condivise da parte della società civile e delle istituzioni locali.