Introduzione. L’emancipazione di un’idea
I recenti lavori della Commissione paritetica tra MiBACT e Roma Capitale per la sistemazione e lo sviluppo dell’Area Archeologica Centrale di Roma (2014) e la costituzione del Parco Archeologico del Colosseo (2017) hanno riacceso dibattiti e polemiche sulla tematizzazione di un eccezionale patrimonio archeologico e urbano esposto a inediti rischi climatici e naturali, alla crescita esponenziale del turismo, a gravi fenomeni di degrado1. Se in termini di funzioni economiche Roma non ricade tra le città globali, la specializzazione nel settore culturale la pone senz’altro in condizioni di riaffermare la millenaria vocazione universale: in questa direzione, le istituzioni nazionali e locali investite della sua giurisdizione sono chiamate a misurarsi con gli scenari aperti dal disegno di riforma del MiBACT che sancisce tra l’altro condizioni di pari dignità tra tutela e valorizzazione2.
La riflessione plurisecolare sul destino della Zona monumentale di Roma deve i suoi spunti iniziali alle elaborazioni del secolo dei Lumi sull’universalità della cultura e sulla contestualità delle sue manifestazioni3, nonché ai provvedimenti dello Stato Pontificio dopo la Restaurazione, a partire dall’Editto del Cardinale Pacca (1820) volto a tutelare e documentare opportunamente le emergenze antiche fuori terra e le scoperte ad esito di scavi.
Nel 1813, in piena occupazione napoleonica, Louis-Martin Berthault propone di allestire nel cuore della Roma antica un ambizioso Jardin du Capitole, sistemazione concepita in forma di ariosa ed eloquente promenade tra Campidoglio e Palatino, Colosseo e Fori per il piacere e l’erudizione di cittadini e forestieri, incentrata sul godimento di monumenti sapientemente isolati con puntuali restauri di liberazione, tra cui l’Arco di Tito, già inglobato nelle strutture del convento di Santa Francesca Romana e ricostituito in forme semplificate con inserti di travertino in sostituzione del marmo4.
Dopo la proclamazione di Roma Capitale d’Italia, su iniziativa di Ruggero Bonghi e Guido Baccelli, viene designata come Zona Monumentale una vasta area molto popolosa e vitale5, ridimensionata per motivi finanziari nel 1897 e nuovamente estesa con una serie di disposizioni legislative fra il 1907 e il 1917. La definitiva vocazione a parco pubblico avviene per via di levare, con l’isolamento dei monumenti e il loro collegamento per mezzo di passaggi pubblici e giardini (R. Lanciani).
Nel tempo e nello spazio, rudimentali sterri funzionali a raggiungere la quota archeologica privilegiata si alterneranno ai metodici scavi stratigrafici inaugurati da Giacomo Boni ai Fori e al Palatino nel primo ventennio del nuovo secolo: qui, tra l’altro, compare l'uso dell’elemento vegetale introdotto a sostegno di una ricostruzione virtuale di porzioni murarie completamente perdute: fusti di sempreverdi tagliati in forma di colonne ed esedre arboree.
In questi anni, l’esigenza di un massiccio investimento simbolico dell’intera area veicolerà con i valori del passato anche una nuova monumentalità fuori scala: l’esaltazione del Campidoglio come centro di una rinnovata Roma universale ma laica si compirà nella trentennale costruzione dell’Altare della Patria in onore di Vittorio Emanuele II primo re d’Italia6.
Sotto il Fascismo, si verifica un totale asservimento degli archeologi alla ideologia dell’Impero nell’impellenza di una sistemazione monumentale adeguata alla celebrazione del decennale del Regime affidata anche al tracciamento dei nuovi percorsi: la via dell’Impero e la via del Mare7. Oltre e insieme all’epopea dell’isolamento del Colle Capitolino, gli interventi per via di levare riguardano lo spianamento della collina Velia, che impediva la visuale del Colosseo da Piazza Venezia, la demolizione del denso tessuto seicentesco del quartiere realizzato dal Cardinale Alessandro VI Borgia (via Alessandrina e via Bonella) e del nucleo insediativo di piazza Montanara, nei pressi del Teatro di Marcello.
Il bilancio di questa fase è tuttora discusso e controverso: attente operazioni di ricomposizione con tecniche di anastilosi hanno restituito compiutamente la spazialità dei luoghi, come nel caso dello scoprimento e isolamento del Mercato di Traiano (tra 1926 e 1934), mentre ingenti mutilazioni hanno reso problematica la comprensione degli ambiti e degli assetti preesistenti, e dei valori superstiti. Basti pensare agli accostamenti incongrui tra strati archeologici temporalmente lontani, cui contribuiscono anche le più recenti attività di scavo pur effettuate con scrupolo filologico.
Questioni aperte
Nel secondo dopoguerra, la riflessione sull’AAC si è arricchita di studi, programmi e progetti assai più argomentati sull’uso della storia, nella vasta gamma di opzioni comprese tra l’interpretazione dell’area archeologica come documento da incorporare alla città moderna e quella di monumento, simbolo civico che per definizione esige modalità di fruizione legate a un consapevole distacco critico.
Dagli anni Settanta, la sistemazione della Zona monumentale inizia a suscitare concrete preoccupazioni sull’esposizione del patrimonio a forme di banalizzazione e abuso, anche in ragione della progressiva estensione e indeterminatezza dell’area vincolata, comprensiva dell’immenso compendio del Parco dell’Appia Antica8. Nella diversità dei punti di vista - l’ottica del restauro, anche nella sua estensiva accezione urbana, la sistemazione delle aree di bordo per un attacco efficiente alla città moderna con il ripristino di antiche percorrenze troncate dallo scavo di epoca fascista, o infine una riorganizzazione di respiro ancora più ampio -, il tema di un’agenda programmatica sarà un fattore ineludibile. Nelle proposte più meditate, riconducibili a veri e propri piani di assetto, l’esperienza della contemporaneità nel rapporto con l’Antico assumerà caratterizzazioni filtrate da un particolare universo simbolico: il senso dello spazio, il tempo nello spazio, con un progetto costruito per tappe consacrato da un momento conclusivo (Benevolo-Gregotti), i valori operanti, ma anche dissonanti, della storia, riemersi materialmente nella suggestione delle morfologie dei Fori e fortemente ancorati alla città contemporanea (Aymonino-Panella), o veicolati da una epistemologia di frontiera (Manieri Elia-Gasparrini), in cui “discontinuità e frammentazione, contraddizioni indicibili nel linguaggio lineare della scienza e della filosofia, possano mostrarsi aprendo delle vie verso il mondo, rendendo comunicabile questa stessa apertura, questa esperienza conoscitiva” (F. Rella, 1998: 13).
Nel decennio 1976-1985, caratterizzato da una singolare continuità amministrativa assicurata dalle giunte di sinistra, presiedute da Giulio Carlo Argan, Luigi Petroselli e Ugo Vetere, il dibattito si focalizza e radicalizza sul destino della via dei Fori Imperiali, per alcuni perentoria soluzione di continuità nella compagine già di per sé frammentaria del sistema forense, per altri parte integrante del palinsesto urbano e del paesaggio contemporaneo, assimilata come arteria di traffico o come promenade monumentale, in ogni caso con un suo robusto portato di testimonianza storica. Il programma di uno scavo che avrebbe dovuto eliminare la grande arteria viene presentato nel 1981 dal Soprintendente alle antichità di Roma Adriano La Regina in una mostra tenuta nella Curia dei Senato. L’evidenza dei processi di degrado dei monumenti, con decadimento e distacco delle superfici scolpite imputabili alle emissioni inquinanti del traffico cittadino, fornisce l’impulso per ragionamenti che riguardano l’intera compagine urbana.
Risale allo stesso anno la Commissione Fori istituita da Petroselli e composta dai Soprintendenti nazionale e romano alle Belle Arti, da ingegneri e tecnici del traffico, con il compito di presentare la migliore soluzione progettuale per la totale pedonalizzazione dell’area dei Fori Imperiali9.
Su incarico della Soprintendenza nazionale, un team interdisciplinare coordinato da Leonardo Benevolo e Vittorio Gregotti presenta nel 1985 un approfondito Studio per la sistemazione dell’area archeologica centrale. Vi si sostiene che, a differenza di altri ambiti di particolare interesse storico, come ad esempio il Campo Marzio, lo stato dei luoghi consente di destinare prioritariamente all’archeologia il grande vuoto lasciato dalle demolizioni effettuate: nella forma di parco archeologico, o piuttosto di parco urbano qualificato dal suo eccezionale contenuto archeologico, letto come porzione più delicata e protetta dell'organismo modernodi Roma10.
La proposta, che fa perno sull’eliminazione della via dei Fori e il ripristino della collina Velia, chiamata ad accogliere un museo archeologico ipogeo, insiste sulla restituzione all'uso civile, e non solo contemplativo, dell’intera area. Essa verrà ulteriormente dettagliata in uno studio del 1988, che prevede tre fasi realizzative preordinate alla messa a punto di condizioni al contorno in termini di accessibilità e mobilità compatibili con l’ambizione progettuale: si tratta della progressiva restrizione dell’area all’uso dell’automobile sino alla sua definitiva chiusura, in relazione al ridisegno della mobilità su gomma affidato a un sistema di collegamenti tangenziali. L’esplorazione conduce simultaneamente “verso la piccola dimensione, cioè verso le modalità di realizzazione, e verso la grande dimensione, ricollocando la dimensione del parco, esteso dal Campidoglio alla via Appia Antica, tra le principali questioni urbanistiche della città, da considerare nella revisione del Piano regolatore […]” (Cagnardi, 1988: 25)11.
Frattanto, sotto l’assessorato agli interventi nel Centro storico presieduto da Carlo Aymonino, con la consulenza di Raffaele Panella, prende forma un concorso internazionale di idee per le aree di bordo del comprensorio archeologico-monumentale. L’intenzione dichiarata di sistematizzare le acquisizioni scientifiche e metodologiche in diversi campi d'indagine induce ad affrontare sei ambiti di riqualificazione architettonica ed ambientale: piazza Venezia; mercati di Traiano; l'area della Velia; la valle del Colosseo; le pendici dell'Aventino; il versante del Tevere12.
L’iniziativa solleva un’ampia discussione su scala nazionale che riflette le varie posizioni e i variabili allineamenti tra architetti, urbanisti, restauratori e archeologi (INU Lazio, 1986): al di là della polemica sulla sopravvivenza della via dei Fori Imperiali, tra i principali capi di imputazione all’amministrazione capitolina viene additata l’incapacità di prefigurare un assetto urbanistico delle aree in grado di precisare vincoli, compatibilità e modulazioni nelle destinazioni d’uso, orientamenti ed indirizzi finanziari tali da costituire la base di un progetto finalizzato alla realizzazione e non all'esercitazione accademica (S. Benedetti). Il nodo della questione è rappresentato dal ruolo e significato urbano del Centro archeologico monumentale di Roma, del suo valore di emergenza ma anche strategico, per il quale Aymonino e Panella rivendicano un modello di comportamento oltre gli steccati disciplinari. Con diverse argomentazioni, questa pre-condizione emerge con forza: testo senza con-testo, che reclama un progetto di uso e riuso urbano al di là delle operazioni di restauro-ripristino dei manufatti (L. Cervellati); parte nel tutto (la città contemporanea), per la quale le strategie non si costruiscono in continuità, ma presuppongono una dichiarazione di intenti in grado di determinare diverse e nuove modalità di fruizione: solo in questa chiave si può orientare la messa in valore dei pezzi e dei frammenti a partire dalla loro attuale condizione di aggregati casuali, con l’obiettivo generale di approdare a una unità. Sotto tale profilo, appare riduttiva o addirittura fuorviante l’idea di Parco archeologico come recinto escluso dalle dinamiche di trasformazione della città: ciò corrisponderebbe a una realtà che non è mai esistita (M. Manieri Elia).
Con la sconfitta della sinistra alle elezioni municipali del 1985, questa stagione di sperimentazioni viene archiviata. La riflessione di Carlo Aymonino e Raffaele Panella continuerà a impegnarli in veste di docenti universitari nel confronto tra cultura del piano e cultura del progetto, cui fanno da sfondo le esigenze di restauro e rifunzionalizzazione degli oggetti archeologici, con l’accentuazione, forse al di là delle stesse possibilità di attuazione, di una alternativa costruita che vede l’AAC come una parte specializzata della città, un quartiere con le sue strade e le sue piazze. L’esperienza progettuale promossa con continuità nell’ambito dei corsi di progettazione urbana tenuti da Panella procederà di pari passo con le nuove acquisizioni derivanti dai cantieri di scavo. Sul piano formale, le proposte si incentrano sull’irrobustimento delle giaciture principali definite dalle preesistenze, tra cui quella della via dei Fori, come “viadotto che unisca, anziché separare, le antiche piazze imperiali e i monumenti del passato con la città e la vita contemporanea, nell’idea di una necessaria convivenza tra Antico e Moderno” (Panella, 2013: 7).
Questo doppio registro piano-progetto transita significativamente nei lavori di una nuova Commissione per la sistemazione dell’area dei Fori Imperiali istituita nel 2000-2001 tra amministrazione capitolina, impegnata nella redazione del nuovo Piano regolatore (consulente M. Manieri Elia), e Soprintendenza ai Beni ambientali architettonici di Roma (R. Martines). Nell’esprimersi per la conservazione della via dei Fori Imperiali e nel sottolineare come il vincolo apposto in tale circostanza debba considerarsi non un impedimento, bensì un invito a conoscere, conservare e/o valorizzare, la Commissione provvede a individuare temi di lunga gittata con importanti ripercussioni sull’area urbana, e a mettere in agenda missioni e attività in condizioni di conciliare cultura e natura, città antica e città moderna, iniziativa pubblica e progettualità esterna, attraverso una road map cadenzata sulle fattibilità13: “La concezione unitaria e la valorizzazione del cuneo verde di sud-est che, comprendendo l’area dei Fori e quella del parco dell’Appia Antica, recupera una contestualità storica, fondamentale per la forma urbana di Roma, può considerarsi un tema acquisito dalla cultura urbanistica moderna e, in quanto tale, è stato assunto nel nuovo Piano regolatore come ambito strategico con caratterizzazione archeologica-monumentale. Tale ambito urbanistico si salda al centro storico con l’AAC, utilizzando come principale snodo simbolico e cinematico la piazza Venezia, da cui parte un doppio sistema a forcella, impostato con determinatezza d’immagine già negli anni venti, che ha segnato indelebilmente la struttura urbana moderna, recuperando profonde radici storiche e ponendo premesse per una Roma futura”14.
Nelle coeve elaborazioni del Piano regolatore di Roma, approvato nel 2008, la Carta degli obiettivi individua le azioni progettuali per il CAM all’interno di una più complessiva strategia di riqualificazione urbana, con l’intento di avviare “interventi coordinati, rispettosi della conservazione ambientale e monumentale e di tutte le fasi storiche più significative della storia urbana e con l’obiettivo della loro massima leggibilità e della fruibilità dei diversi contesti della caratterizzazione organica, già consolidata nell’assetto architettonico assunto negli anni post-unitari”.
Conclusioni
Dal secondo dopoguerra, diverse agende programmatiche per l’AAC si sono dotate di strategie sempre meno monolitiche e piuttosto cadenzate nello spazio e nel tempo in appoggio a tutele differenziate, nell’intento di restituire vitalità a un luogo densamente abitato, vissuto e presidiato con continuità nei secoli, con ipotesi di risarcimento ai tessuti circostanti e con servizi per l’accoglienza, musei, biblioteche, attività espositive destinate a turisti e cittadini.
E’ tuttavia evidente che il rischio archeologico è il convitato di pietra della pianificazione urbana: l’AAC viene in effetti tematizzata come una scatola nera, per l’insieme di informazioni non note o non codificate che tuttora contiene, o come opera aperta, in relazione ai ritrovamenti inattesi e alle continue negoziazioni e rimodulazioni imposte dalle interferenze con altre utilità e finalità urbane: è sufficiente ricordare i resti imponenti dell’Athenaeum di Adriano (135 d.C.) emersi nel 2008 in occasione dei lavori della linea metropolitana C, che oltre a rallentare i tempi di realizzazione, comportano il costo di una conservazione materiale in situ e sfidano la strategia di comunicazione al vasto pubblico per una comprensione autentica del palinsesto urbano.
La consultazione a inviti sul ridisegno di via dei Fori Imperiali, bandita dall’Accademia Adrianea di Architettura e Archeologia in collaborazione con l’Ordine degli Architetti di Roma nel quadro del Piranesi Prix de Rome 2016 si è soffermata su questi argomenti, stemperando la sovra-determinazione delle ragioni dell’archeologia con un’apertura a contributi interdisciplinari di museografi, paesaggisti, ingegneri, storici dell’arte, artisti (Caliari, 2017). Il tema della riqualificazione e risignificazione della realtà architettonica di via dei Fori Imperiali e del suo rapporto con la trama forense ha visto all’opera diverse strategie progettuali, alcune delle quali funzionali a favorire la fruizione visiva e fisica della quota archeologica, altre propense ad ancorarsi alla giacitura della infrastruttura stradale tematizzandola in modi nuovi, altre infine eterodosse rispetto alle linee guida con proposte di eliminazione della infrastruttura15. Ma anche nelle ipotesi in cui il sedime stradale viene mantenuto, la materia del contendere e i valori portanti del progetto tendono a migrare altrove, nella suggestione di una fruizione ipogea delle permanenze o nel potente immaginario di una natura immersa nella storia: risposte queste, che pur nella economia e libertà di un concorso di idee invitano a riflettere su modalità di intervento meno assertive e monolitiche, più puntuali e flessibili, rispetto agli assunti di un tradizionale “progetto urbano”.
Non solo: questo giacimento a cielo aperto, su cui le campagne di scavo continuano a gettare nuova luce, chiama in causa la rilevanza intrinseca dei reperti reimmessi nel flusso della storia con i propri valori formali, funzionali e simbolici, che interagiscono potentemente con la sfera del riuso e convocano le diverse istanze di tutela, valorizzazione, comunicazione e gestione16. Il tempo, è bene sottolinearlo, ha già effettuato un processo di accumulazione selettiva: e gli specialisti sono chiamati ad operare su tali segni nel rispetto del loro statuto di testimonianza, in funzione di una maggiore leggibilità anche per i non addetti ai lavori. “La Roma antica-moderna è quindi quella emersa da questo processo distruttivo guidato dall’invenzione di un paesaggio inedito, laddove per inedito non s’intende qui illegittimo, ma s’intende il prodotto di una ricapitolazione dei contenuti ri-fondativi di una città in quanto esito di un dibattito e di un ragionamento lungo sessant’anni. Oggi, non solo Via dei Fori Imperiali, ma l’intera Area Archeologica Monumentale di Roma è sottoposta a pesanti trasformazioni, dovute non solo agli scavi archeologici ma anche alla realizzazione delle nuove infrastrutture che, di fatto, l’hanno trasformata in un continuo cantiere del quale si fa fatica a vedere la fine” (Caliari, 2017).
Si tratta anche di mettere a punto strumenti di comunicazione e fruizione che affiancano ai dispositivi tradizionali le risorse della realtà aumentata. L’esperienza materiale del luogo deve tuttavia mantenere intatta la sua aura, consegnando alla collettività una viva consapevolezza del tempo attuale e accogliendo in forma problematica, allusiva ed enigmatica, il senso delle memorie.
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Note
1 La Commissione è stata istituita Con D.M. del 1 agosto 2014, modificato e integrato con D.M. del 12 settembre 2014. Presieduta dall’archeologo Giuliano Volpe e composta da esperti nominati da entrambe le istituzioni, aveva il compito di esaminare, a partire dalle Linee Guida elaborate nel 2008, le problematiche connesse con la tutela e la valorizzazione del patrimonio culturale dell’area archeologica e delle aree contermini, proponendo le migliori soluzioni attuative. Cfr. MIBACT, Roma Capitale, Commissione paritetica MiBACT-Roma Capitale per l’elaborazione di uno studio per un Piano strategico per la sistemazione e lo sviluppo dell’Area archeologica centrale di Roma. Roma 2014.
Il Parco del Colosseo, che costituisce una porzione della Zona monumentale, è stato istituito nel 2017. Esso si estende su 75 ettari comprendenti il Colosseo, il Palatino, il Foro Romano e i Fori Imperiali, il Colle Oppio e la Domus Aurea.
2 Legge 29 luglio 2014, n. 106, Conversione in legge, con modificazioni, del decreto-legge 31 maggio 2014, n. 83, recante disposizioni urgenti per la tutela del patrimonio culturale, lo sviluppo della cultura e il rilancio del turismo.
3 Principi espressi con singolare chiarezza nel 1796 da Antoine-Chrysostome Quatrémère de Quincy, intellettuale anti-repubblicano e apertamente realista, al generale Francisco de Miranda in forma epistolare (Lettres sur le préjudice qu’occasionneroient aux Arts et à la Science le déplacement des Monuments de l’Art en Italie, le démembrement de ses Ecoles, et la spoliation de ses Collections, Galéries, Musées etc.)
4 La promenade, nelle intenzioni del suo promotore, si configurava come antidoto a soluzioni parziali e frammentarie: “[…] mi sembra che nei diversi progetti elaborati finora, invece di abbracciare un piano vasto e generale che colleghi tutti i monumenti e ne faccia costruzioni sparse, si sia progettata una cornice per ogni singolo quadro; penso dunque che si siano evitate le difficoltà invece di superarle”. Cfr. M. De Carolis, D. Fuina, Area archeologica centrale e città: criteri per la definizione di un quadro preliminare di indirizzi per la trasformazione e la valorizzazione dell’area archeologica centrale di Roma, Palombi, 1986, p. 42.
5 Legge del 14 luglio 1887, n. 4730, Legge del 7 luglio 1889, n. 6211.
6 G. Ciucci, Relazione storico-critica sugli interventi architettonici e urbani a via dei Fori Imperiali (Documento di supporto al decreto di vincolo, redatto su incarico della Soprintendenza nel 2001 conservato presso gli archivi della medesima).
7 L’alleanza sotto il fascismo tra urbanisme demolisseur e urbanisme conservateur è avvenuta nel segno del piccone demolitore, come argomentano A. Cederna in Mussolini urbanista. Lo sventramento di Roma negli anni del consenso, Laterza, 1980, e S. Tintori in Piano e pianificatori dall’età napoleonica al fascismo, Angeli, 1985.
8 Il Decreto presidenziale di approvazione del Prg del 16 dicembre del 1965, estendeva d'ufficio il vincolo di ‘parco pubblico’ a tutta la zona dell'Appia Antica. Il Parco omonimo, esteso su circa 3.000 ettari, viene istituito dalla Regione Lazio nel 1988 su iniziativa di Italia Nostra.
9 Il divieto di circolazione delle automobili a ridosso del Colosseo, votato il 30 dicembre 1980 dalla Giunta capitolina, “si inserisce in un più vasto programma del Comune che prevede la chiusura domenicale del primo tratto di via dei Fori Imperiali tra Piazza Venezia e Largo Corrado Ricci e, in prospettiva, la chiusura definitiva dello stesso tratto. Ciò consentirebbe di eseguire gli scavi progettati che dovrebbero portare alla luce altri quattro degli antichi Fori Romani formando, senza soluzione di continuità, il vagheggiato Parco Archeologico che si estenderà dal Campidoglio fino a tutto il Colosseo e l’Arco di Costantino”.
https://www.legambiente.it/sites/default/files/images/pedonalizfori.pdf
10 La mozione per Roma Capitale approvata dal Parlamento il 6 febbraio 1985 pone l’accento sulla valorizzazione del patrimonio culturale, la salvaguardia ambientale e il decongestionamento del centro storico. A quella data, il traffico urbano è già escluso da via dei Fori Imperiali, e la trasversale via della Consolazione è stata cancellata.
11 Il progetto si riprometteva di saldare il parco archeologico con il parco dell’Appia Antica, proiettandone l’estensione verso l’esterno per chilometri. “Così si delineava una eccezionale struttura urbana: un parco storico ed archeologico alla scala della grande conurbazione, della Roma capitale di tre milioni di abitanti. Difatti il riconoscimento della nuova struttura terziaria imperniata sui tre poli, centro storico, EUR, centro direzionale SDO, rivelava l’appartenenza dell’Appia al sistema urbano più ampio”.
12 Per ciascun ambito era stata predisposta una scheda in cui erano delineati gli indirizzi di trasformazione e le indicazioni e limitazioni relative. Presupposto fondamentale della progettazione era la considerazione dell'area archeologica come parte integrante della contemporaneità di Roma. Ogni scheda rimarca la necessità di integrare le componenti monumentali con la città costruita: l'obiettivo della valorizzazione non può prescindere dalla considerazione di quei problemi che portano alla necessità di una revisione urbanistica del centro storico della città.
13 Studi preliminari sulle tipologie di integrazione/anastilosi/elementi per la fruibilità; Studi sulle percorsi di visita interni; Studi a carattere urbanistico; Studi a carattere paesaggistico.
14 Piano di lavoro approvato con Parere del Comitato di Settore nel 2001.
15 Nonostante il provvedimento di vincolo, la demolizione della via dei Fori è tuttora argomento dibattuto.
16 La commissione paritetica così si esprimeva: “E’ necessaria una visione organica e progettuale che dia senso a questa Area e che consenta di coglierne il valore urbano, che renda comprensibili i ruderi (al momento assai poco chiari), che sappia proporre un racconto storico fortemente diacronico, anche grazie ad apparati didattici chiari ed efficaci e ad un uso intelligente delle tecnologie, e anche attraverso a rimozioni, anastilosi e ricostruzioni di parti dell’antico. Un progetto che sappia restituire questi luoghi ai cittadini, ad esempio attraverso il ripristino delle piazze dei fori, con nuove pavimentazioni, in modo da percepire gli spazi e riutilizzare le antiche piazze, apprezzare i volumi e le forme degli edifici” (p. 10).