Progetto urbano/4 Posizioni

torna su

Il progetto ambientale dello spazio pubblico
Elena Mussinelli PDF




Parole chiave:       
spazio pubblico, progettazione ambientale, tecnologia dell’architettura

 

Abstract:

La qualità ambientale e fruitiva dello spazio pubblico costituisce un aspetto ancora troppo sottovalutato del progetto urbano, dove l’attenzione è incentrata soprattutto sulla configurazione morfologica del costruito e sulle prestazioni funzionali ed energetiche dei manufatti. Con esiti poco controllati per quanto concerne la struttura dello spazio aperto che diviene spesso una “risulta” – sovente realizzata in tempi anche molto dilatati rispetto alla costruzione degli edifici – da funzionalizzare poi, attraverso “arredi” che ne supportino l’utilizzo.
Il punto di vista della progettazione tecnologica mira a ribaltare questa condizione di marginalità, mettendo lo spazio pubblico al centro di una riflessione che ne considera le valenze formali, ambientali e d’uso in ragione di specifiche e irrimandabili necessità di cura e riappropriazione progettuale.

 

 

Spazio pubblico, spazio dimenticato

Quello dello spazio pubblico urbano è un tema ampio e complesso, già oggetto di molteplici trattazioni sotto diversi punti di vista: socio-antropologico, compositivo/formale, delle politiche pubbliche. Il presente contributo si propone quindi di focalizzare una diversa prospettiva di osservazione, che perimetra la riflessione all’apporto del progetto tecnologico ambientale e al contesto delle città europee.
Queste delimitazioni derivano da un lato dalla volontà di formulare in modo chiaro i temi che si ritengono oggi centrali e prioritari per la riqualificazione e la corretta gestione delle trasformazioni degli spazi pubblici e, dall’altro, dal riconoscimento delle specificità che connotano i sistemi insediativi europei. Realtà che, data la stratificazione storica delle permanenze e la minor irruenza delle dinamiche evolutive, presentano problematiche certamente diverse da quelle delle grandi megalopoli mondiali.
Il carattere degli spazi pubblici e collettivi delle nostre città di grande, media e piccola dimensione - piazze, strade, slarghi, spazi aperti, giardini e parchi urbani – si definisce e rende riconoscibile la propria identità in larga misura ancora all’interno di forme e modalità costitutive tipiche della tradizione culturale europea. Anche nei contesti più destrutturati degli ambiti periurbani sono spesso sufficienti pochi elementi – una pavimentazione, un porticato, un grande albero, una funzione collettiva – a individuare e comunicare il carattere pubblico dello spazio.
Negli ultimi decenni le modalità di realizzazione e gestione dello spazio pubblico sono però profondamente cambiate, sia per la trasformazione della domanda sociale e dei comportamenti collettivi, sia per la perdita di centralità del pubblico quale attore primario nella definizione e produzione dello spazio urbano.
Da un lato quindi si registra una crisi dello spazio aperto quale ambito privilegiato della vita sociale e collettiva: vita che si svolge in luoghi pubblici, ma spesso anche semi-pubblici quando non del tutto privatizzati, interclusi all’interno di nuovi grandi condensatori terziari e commerciali: contenitori delocalizzati nei contesti periurbani o esterni alla città, secondo criteri di elevata accessibilità per la mobilità privata su gomma; contenitori che finiscono sempre più spesso per sussumere lo spazio pubblico al loro interno, definendone i caratteri nelle forme tendenzialmente scenografiche e spettacolari del marketing design. Privi di contesto e di relazioni con la struttura, la memoria e l’identità della città, ne ricreano artificialmente l’immagine secondo modelli globalizzati, come nel caso degli outlet, che garantiscono un’offerta completa di servizi per il consumo e il tempo libero (spazi commerciali, per la ristorazione e l’intrattenimento, aree gioco per i bambini, ecc.) e che costruiscono le proprie forme ispirandosi ai caratteri urbani di un borgo storico o di una parte di città, riproponendone quindi gli stili architettonici. Con una fruizione ridotta all’acquisto e al consumo di beni e servizi, nella finzione scenica di «ambienti architettonicamente attraenti» (Ferrari e Martorana, 2005).
Dall’altro lato, all’attrattiva di questa nuova offerta degli operatori privati corrisponde la “crisi” dello spazio pubblico definito e gestito dagli operatori pubblici; incapaci sia di garantire adeguati livelli di qualità e decoro agli spazi ereditati dal passato, sia di progettare e attuare interventi di rigenerazione e di nuova realizzazione in grado di rispondere alla domanda in modo durevole nel tempo. «Le risorse pubbliche sono risultate inadeguate a soddisfare il crescente fabbisogno delle opere cosiddette di pubblica utilità. Il costo di realizzazione e l’aggravio sulle finanze pubbliche, la frammentazione della realizzazione del progetto in tempi diversi perché condizionata dalla disponibilità di finanziamenti statali, la conseguente perdita di qualità e unitarietà del progetto e i problemi di manutenzione, gestione e messa in sicurezza dello spazio pubblico, hanno provocato un’inversione di tendenza, per cui la produzione di spazio pubblico avviene sempre meno da parte del settore pubblico e sempre più per intervento di privati, interessati a intervenire nei processi di trasformazione della città.» (Mariano, 2014).
Ne consegue che in molti casi la creazione o risistemazione di piazze e spazi aperti venga definita nei suoi caratteri dagli stessi operatori economici attuatori degli interventi immobiliari, con soluzioni formali e gestionali finalizzate più a dare garanzie di tutela e valorizzazione dell’investimento che a rispondere alla domanda sociale di qualità a scala locale e urbana. Tra i molti esempi, è paradigmatico quello della ben nota Biblioteca degli Alberi, recentemente inaugurata a Milano nell’ambito delle imponenti trasformazioni (ca. 230.000 mq di slp) che hanno interessato l’area di Garibaldi-Repubblica. La formazione di questo nuovo grande parco urbano (ca. 10 ha), di elevatissima qualità e molto impegnativo sia per i costi di realizzazione che per quelli di gestione e manutenzione (stimati in 3 ml €/anno), ha trovato compimento – dopo la sistemazione provvisoria del “campo di grano” e diversi anni dopo il completamento degli interventi edilizi – solo quando l’operatore immobiliare è subentrato al Comune nell’attuazione dei lavori come intervento a scomputo oneri del grande progetto urbanistico. Se palese è l’interesse dell’operatore ad assumersi l’impegno di garantire l’alta qualità e la sicurezza del parco, in quanto fattore rilevante per la valorizzazione degli edifici circostanti, meno chiaro è l’interesse pubblico, ovvero della cittadinanza: una soluzione pure di qualità ma un po’ meno impegnativa avrebbe ad esempio consentito di impiegare almeno una parte degli oneri per azioni strutturali di riqualificazione di alcuni contesti periferici interessati invece da fragili interventi di urbanistica “tattica”.
Gli interventi leggeri e temporanei dell’urbanistica tattica, anche questi recentemente sperimentati nella realtà milanese e in altre città europee e italiane, prevedono ad esempio la colorazione delle pavimentazioni, la collocazione di transenne per la deviazione e il rallentamento del traffico veicolare e di dissuasori del parcheggio, la posa di fioriere, sedute e attrezzature per lo sport e il tempo libero. Accompagnati quasi sempre da azioni di animazione sociale, con iniziative più o meno effimere e “di successo”, quali performance, installazioni e decorazioni temporanee.
Certamente l’apporto della sociologia urbana ha da tempo messo in evidenza il ruolo che eventi, iniziative e attività di vario tipo possono svolgere quali “attivatori” della fruizione di spazi pubblici poco o impropriamente utilizzati o degradati; supportando quindi sia processi di progettazione partecipata, sia modalità anche nuove di riappropriazione dello spazio pubblico. Un approccio che già molti anni fa Zanuso aveva definito molto significativamente di “riappropriazione progettuale”.
Ma l’approccio tattico, che comunque impegna risorse, beni e servizi comuni, non può surrogare le dimensioni programmatoria, culturale e tecnica, anche complesse, che concorrono alla definizione delle caratteristiche prestazionali di uno spazio pubblico; dimensioni che competono, anche nei termini di una precisa responsabilità politica e amministrativa, agli operatori del progetto: enti e amministrazioni pubblici, pianificatori e progettisti. Con l’obiettivo di agire sulle componenti fisiche dello spazio per pervenire a una trasformazione – urbanistica, formale, funzionale, tecnologica e ambientale – corretta, adeguata alla domanda e orientata ai principi della utilità, dell’efficienza, della durevolezza, e di un corretto rapporto tempi-costi-qualità. Con azioni di sistema in grado di andare oltre le ragioni e le esigenze di un singolo intorno urbano.
Se la dimensione fruitiva dello spazio collettivo finisce col ridursi all’accadimento di eventi, la dimensione tattica rischia infatti a sua volta di configurarsi come mero atto di rinvio ad libitum di interventi definitivi e durevoli.
Sotto questo profilo va invece richiamata la valenza essenziale dello spazio pubblico come vero e proprio standard di aree destinate all’uso pubblico, uno standard che deriva prevalentemente da cessioni obbligatorie da parte dei privati a fronte dell'ottenimento di diritti edificatori e che dà luogo alla realizzazione di strade e percorsi pedonali e ciclabili, di piazze, zone pedonali e per il parcheggio, parchi e giardini urbani, aree attrezzate per le diverse attività sportive, culturali, ludiche e di intrattenimento. Non solo una quantità, quindi, ma una dotazione “infrastrutturale” essenziale al funzionamento della città nelle sue diverse parti, le cui qualità hanno un peso determinante sulla qualità urbana complessiva.
L’introduzione di nuove modalità di reperimento degli standard, alternative all'istituto ordinario della cessione gratuita o dell’asservimento a uso pubblico di aree libere, consente oggi anche la costruzione e la gestione diretta delle opere da parte dei soggetti attuatori: nella prospettiva di uno standard di qualità, ma anche di una piena coerenza delle realizzazioni con i bisogni rilevati dalle pubbliche amministrazioni e le correlate indicazioni programmatiche (Piano dei servizi). Viceversa quest’ultimo aspetto sembra spesso poco considerato: la crisi dello spazio pubblico deriva anche e proprio da un’inadeguata regia pubblica delle trasformazioni urbane. Sembra infatti mancare troppo spesso una visione complessiva in merito all’organizzazione e alla qualità degli spazi pubblici, dei flussi di utenza e traffico, del rapporto tra edificato e spazi aperti, delle dotazioni di servizi e verde. Tale visione dovrebbe derivare non solo da policies finalizzate a corrispondere a obiettivi e linee guida di carattere generale1, ma soprattutto da una attenta analisi del rapporto tra domanda e offerta di spazi e di servizi nella realtà locale, individuando in modo preciso i bisogni delle comunità e le carenze da soddisfare. Analisi che dovrebbe orientare le politiche pubbliche e guidare l’azione degli operatori privati, non delegando le scelte e non limitandole a interventi circoscritti e a trattative puntuali in occasione di specifiche iniziative immobiliari.
In questa prospettiva la regia pubblica dovrebbe svolgere un ruolo chiaro e articolato: dalla fase dell’analisi e della programmazione, attraverso contributi in grado di trasformare le politiche in contenuti tecnici, formali, funzionali e prestazionali del progetto e delle opere (indipendentemente dal soggetto attuatore), sino al controllo della qualità degli interventi realizzati e delle loro performance nel tempo2.

 

La cultura del progetto tecnologico ambientale per la cura dello spazio pubblico

Tra i diversi ambiti di ricerca e sperimentazione di interesse per l’Area Tecnologica, quello dello spazio pubblico costituisce una delle opportunità più significative per la messa in campo di competenze, metodi e strumenti di tipo integrato.
«Originatasi come alternativa culturale a una tendenza progettuale sempre più accentuatamente autoreferenziale e prevalentemente circoscritta agli aspetti morfologici dei manufatti edilizi e urbani, l’Area Tecnologica ha progressivamente introdotto metodologie progettuali basate su nuovi apporti analitici e strumentali, a partire anche da altri ambiti disciplinari che concorrono alla definizione e costruzione dell’architettura. Tra questi certamente i più rilevanti sono quelli riferibili alle logiche della produzione e della sostenibilità.» (Schiaffonati, Mussinelli e Gambaro, 2011).
Questa visione della Tecnologia dell’architettura esprime chiaramente un potenziale notevole per il superamento degli approcci oggi prevalenti nel progetto dello spazio pubblico. Da un lato quello formalistico, largamente imperniato sulla definizione delle componenti morfologiche dello spazio; dall’altro quelli socio-urbanistico e del design, incentrati sui concetti di città pubblica e beni comuni, operanti per lo più attraverso policies di tipo “immateriale” e con il ricorso a modelli partecipativi per la realizzazione di eventi e allestimenti. E ancora quello tecnicistico, spesso settoriale e specialistico, con riferimento ad esempio ad alcune attribuzioni ricorrenti – smart city, green/eco city, resilient city – che delineano in modo deterministico le soluzioni tecniche da adottare in funzione del miglioramento di prestazioni specifiche (energetiche, ecologico-ambientali, manutentive, di sicurezza, di accessibilità, ecc.).
Puntare a un’elevata qualità architettonica e urbanistica dello spazio pubblico come asse strategico di incremento della qualità urbana complessiva significa invece operare con un approccio unitario e sistematico, orientato a tutelare e valorizzare in primis le preesistenze ambientali, ovvero i valori storico-identitari, le opere e i manufatti artificiali e naturali che già caratterizzano gli spazi aperti della città. Lo spazio pubblico, inoltre, è uno spazio “attrezzato” a servizio della comunità, fatto di pavimentazioni, cortine edilizie e portici, servizi, impianti, attrezzature, opere d’arte e manufatti tecnici e funzionali che supportano la fruizione, aiuole, prati, arbusti e alberature variamente configurati. Il progetto e la gestione di queste componenti devono quindi essere improntati a un principio di necessità, che significa corretta risposta alla domanda di fruizione, di comfort e di decoro, facilità di pulizia e manutenzione, elevata durabilità, affidabilità e sicurezza, integrazione ed efficienza ambientale. Il perseguimento di questi obiettivi non si ottiene con azioni di coinvolgimento che si riducono alla dimensione "tattica", ma attivando processi di riappropriazione sociale e progettuale che sappiano davvero innalzare il livello di conoscenza, consapevolezza e competenza della cittadinanza, per produrre esiti strutturali e durevoli.

 

Il paradigma milanese: criticità e opportunità

Il tema dello spazio pubblico è di indubbia attualità anche nel contesto milanese, che sta vivendo una stagione particolarmente vivace e dinamica e che anche nel passato ha rappresentato un significativo laboratorio per l’innovazione del progetto urbano.
Numerosi sono infatti i progetti che direttamente o indirettamente stanno contribuendo a ridisegnare forme e usi dello spazio aperto, anche con lo studio e l’attuazione di azioni finalizzate ad aumentare significativamente le dotazioni di verde urbano e a riqualificare spazi pubblici collocati sia in ambiti periferici e degradati, sia in aree più centrali prive di un adeguato carattere e decoro urbano. Basti ricordare le proposte per il “fiume verde” lungo il sedime degli scali ferroviari dismessi, il programma di forestazione urbana con la piantumazione di tre milioni di nuovi alberi nell’area metropolitana o il progetto per la riapertura di alcune tratte dei Navigli, con la riconnessione idraulica delle acque della Martesana col sistema di canali irrigui del sud Milano.
Nel complesso si tratta di trasformazioni di notevole portata, che agiscono su contesti diversamente caratterizzati per valore culturale e ambientale, offrendo molteplici spunti per una riflessione che vada anche oltre la specificità del caso.
Molti di questi interventi, promossi come esempi di buone pratiche del progetto urbano e ambientale, non hanno infatti mancato di sollevare osservazioni fortemente critiche, come nel caso delle proposte per i Navigli e delle realizzazioni degli ultimi anni per alcune piazze centrali. Con le riflessioni di Vittorio Gregotti attorno all'inadeguatezza del concetto di “arredo urbano”, di Pierluigi Nicolin circa “l’aver cura” dello spazio pubblico “come conseguenza di un principio di necessità”, e di Marco Romano sul carattere delle piazze italiane ed europee. Più scarsa o nulla attenzione critica hanno sollevato invece le realizzazioni attuate in alcune piazze periferiche (Piazza Rimembranze di Lambrate, Piazza San Luigi, Piazza Angilberto), promosse con enfasi dai social media per l'approccio partecipativo che ne ha accompagnato il progetto3. Che pongono in realtà analoghi problemi di forma e di metodo.
Il paradigma di una città più green legittima proposte quali la piantumazione di 9mila alberi nella città storica, inclusa Piazza Fontana, o l’installazione di aiuole con palme e banani in Piazza del Duomo? L’architettura dei luoghi dell’intermodalità (fermate dei taxi e del trasporto pubblico) deve necessariamente connotarsi per l'enfasi di pensiline scenografiche, quali quelle delle stazioni Centrale, Cadorna e Lambrate, alla fine del tutto inefficaci nel proteggere dalle intemperie, e rapidamente degradate per problemi di scarsa manutenzione e mancata pulizia? Negli ambiti di ristrutturazione urbanistica, lo spazio pubblico è destinato a restare per anni uno standard inattuato, come nel grande progetto di Porta Vittoria, o surrogato da soluzioni temporanee, come con il campo di grano a Garibaldi Repubblica? Il dibattito tra coloro che vogliono la conservazione delle pavimentazioni storiche, a Milano il pavé, e coloro che ne pretendono la sostituzione con finiture più sicure per la mobilità ciclabile, evidenzia un dilemma reale o nasconde invece il problema di più corrette modalità di posa e di una programmata manutenzione delle strade, alla pari di quelle in asfalto o in altri materiali?
Interrogativi apparentemente banali, utili però a evidenziare una sostanziale inadeguatezza della cultura del progetto nel dare risposte a problemi ricorrenti nelle nostre città; occasioni troppe volte perse per ridare carattere, significato e qualità ambientale allo spazio pubblico.
La ridondanza spesso inutile degli elementi di attrezzamento dello spazio pubblico costituisce un’ulteriore caratteristica comune a moltissime città italiane, con un eccesso ad esempio di pali e manufatti impiantistici per l’illuminazione, il segnalamento e la pubblicità, molti dei quali dismessi e degradati, che a loro volta diventano attrattori di degrado (con l'uso improprio come supporto di affissioni, adesivi, ecc.). Già nel 2004 lo Studio Ubertazzi aveva redatto per il Comune di Milano le “Linee di indirizzo per la pianificazione e la programmazione delle attività relative al progetto di de-palificazione” e, con l’Assessorato all’Arredo urbano, verde e qualità, un “Regolamento sulla qualità urbana di dettaglio per l’Abaco dell’arredo urbano”. I pali sul suolo cittadino erano allora complessivamente 173mila, appartenenti a diversi Enti4. Ebbene, nel decennio 1994-2004 sono stati rimossi 14.900 pali, e per contro ne sono stati posati 60.329. Nel 2010, il Settore Arredo Verde e Qualità Urbana, nell’ambito del Piano Generale di Sviluppo 2006-2011, ha redatto un “Piano della Qualità Urbana” che prevedeva la predisposizione di un abaco degli arredi e dei sistemi verdi, di un manuale per la realizzazione dei Raggi Verdi individuati in sede di redazione del PGT, di un Piano del Colore. Con la revisione del PGT, nel febbraio 2018, l’amministrazione comunale ha riproposto un nuovo “Manuale operativo per l’Arredo urbano”, corredato da schede che definiscono le caratteristiche tecniche di ciascuna componente di arredo in relazione ai diversi ambiti di utilizzo. Ma non è difficile prevedere che anche tali indicazioni potranno produrre ben limitati effetti di riordino, in quanto più che a un "manuale", sembra essere di fronte a un "catalogo"5 o al limite a una fotografia della realtà, priva di una qualsiasi visione prospettica e progettuale.
In una fase caratterizzata dalla ristrettezza delle risorse pubbliche e da una limitata capacità di governare il rapporto tempi-costi-qualità delle opere pubbliche, l'azione progettuale dovrebbe essere fortemente improntata a principi di necessità e razionalità, evitando arredi inutili, effimeri, inappropriati e di difficile manutenzione. Anche il progetto del verde urbano dovrebbe trovare una sua corretta integrazione entro un complessivo "piano di riqualificazione dello spazio pubblico", valorizzando, dove appunto necessario, l'impiego di alberature, siepi, pareti vegetali e parterre verdi come elementi multifunzionali in grado di offrire servizi ecosistemici, di contribuire a una fruizione confortevole e di connotare architettonicamente lo spazio urbano.
Un piano che assuma quale obiettivo prioritario l’attuazione di interventi sistematici di "liberazione" dello spazio pubblico: non solo dalle auto (quando possibile), ma anche de-palificando, rimuovendo attrezzature abbandonate inutili o di fatto inservibili, ripensando in termini di decoro spazi di servizio quali ad esempio quelli per la sosta delle auto o la raccolta dei rifiuti. Che affronti organicamente il tema della sicurezza, attraverso adeguati sistemi di illuminazione, di controllo e sorveglianza. Che definisca azioni programmate per la prevenzione del degrado e che attui interventi tempestivi di pulizia, manutenzione e ripristino, anche con riferimento al problema dei graffiti e delle tag che in molte altre città europee ha trovato soluzioni efficaci.
Milano è stata storicamente connotata in modo molto significativo da una immagine dello spazio pubblico rigorosa e necessaria, le cui tracce ancora permangono, seppur labilmente, in molti luoghi del centro e della periferia, come ad esempio nei caratteri delle fermate delle linee della metropolitana, in alcuni rigorosi e durevoli sistemi di recinzione e protezione dal traffico, nella configurazione degli spazi aperti di alcuni quartieri INA Casa. Tipologia e forma dei manufatti, colori, materiali, dalle panchine ai lampioni, dai paracarri alle "vedovelle", dai supporti pubblicitari a quelli informativi, dovrebbero tornare a parlare del carattere della città, in centro come e ancor più nelle periferie, e non derivare prevalentemente - quanto non esclusivamente - dalle scelte degli operatori economici o dalle esigenze temporanee di un qualche evento più o meno effimero.
Operatori pubblici, progettisti e cittadini hanno il dovere di riconoscere il valore culturale di questa eredità, certamente presente con proprie specificità in tutte le città italiane, e continuare a farla vivere, in forme e con modalità aggiornate, nello spazio pubblico del futuro. In questo senso l’accessibilità dello spazio pubblico come patrimonio comune impone anche un innalzamento del grado di consapevolezza di tale valore: supportando quindi non solo l’accessibilità fisica, ma anche quella culturale, come precondizione per evitare che la domanda finisca per essere soddisfatta da soluzioni magari accattivanti, ma importate da contesti diversi e del tutto inadatte alle specificità locali.
Infine, ma non ultimi per rilevanza, gli interventi di riqualificazione, le manutenzioni, le integrazioni e le sostituzioni programmate non dovrebbero essere considerati fatti occasionali, in quanto la trasformazione dello spazio pubblico costituisce ormai un processo pressoché continuo. Cantieri e opere provvisionali sono oggi a tutti gli effetti componenti "ordinarie" del paesaggio urbano e come tali da gestire con attenzione agli aspetti dell'impatto e dell'inserimento ambientale, della sicurezza e della salute, della fruizione e del comfort, dell'informazione e dei coinvolgimento delle comunità interessate, con una corretta programmazione e un attento rispetto dei tempi di attuazione.

 

 

Conclusioni

La crisi dello spazio pubblico e i fenomeni di degrado che hanno investito le periferie, e in alcuni casi anche intere parti di città e centri storici, rendono necessario e irrimandabile un posizionamento sul tema, anche dal punto di vista di un progetto culturale perché, come ha ben evidenziato Mario Losasso in un suo contributo sulle pagine di questa stessa rivista (Losasso, 2017), numerosi sono gli avanzamenti di ricerca che l’Area Tecnologica ha già conseguito e ha in corso sui diversi aspetti della qualità urbana e ambientale degli spazi aperti. Con l’obiettivo di recuperare, oltre gli specialismi e la prospettazione di apporti analitici e metaprogettuali, la dimensione propria della cultura del progetto tecnologico.

 

 

Note

1 Sono ormai numerosi i riferimenti, spesso di matrice comunitaria, che supportano e orientano le azioni di programmazione e progettazione dello spazio pubblico. Dagli indirizzi europei sui temi delle città sostenibili, smart e resilienti (ad esempio col programma Jpi Urban Europe/Sustainable and Liveable Cities and Urban Areas, alle Linee Guida per le Green City recentemente predisposte dal Green City Network della Fondazione per lo Sviluppo Sostenibile, alla Carta dello spazio pubblico redatta in occasione della Biennale dello Spazio Pubblico del 2013.

2 Nuovamente paradigmatica la recente esperienza milanese relativa al Bando di concorso per lo Scalo Farini, presentato lo scorso 22 ottobre alla Triennale di Milano, durante la quale sia l’Assessore all’Urbanistica di Milano Pierfrancesco Maran, sia Manfredi Catella, Fondatore e CEO di Coima Sgr (partecipe all’operazione con il 10%), hanno sottolineato l’ampio grado di libertà lasciato agli attuatori rispetto al masterplan che risulterà vincitore. Scrive in proposito Fabrizio Schiaffonati: «Ciò solleva una legittima preoccupazione circa il ruolo dell’amministrazione comunale nell’orientare preliminarmente le scelte urbanistiche strategiche (…). Se così fosse si potrebbe decretare una sorta di morte dell’urbanistica, ritenendo impossibile per un’amministrazione pubblica introdurre orientamenti diversi dai semplici vincoli volumetrici e dei rapporti tra aree edificate e aree pubbliche. Semplificazione di tale portata che non può non suonare preoccupante perché pur aderendo a criteri di flessibilità per la complessità e l’arco temporale delle grandi trasformazioni urbane, non si condivide che il Comune di Milano, gestore di tutte le procedure autorizzative in materia urbanistica ed edilizia, possa rinunciare a un ruolo così determinante per il futuro della città. Una funzione storicamente fondamentale di visione complessiva, intersettoriale, di rapporto tra città pubblica e interventi privati. Ruolo pubblico della municipalità, ben diverso da quello dell’operatore privato» (Schiaffonati, 2018).

3 Tra i numerosi esempi di inadeguata cultura del progetto si può citare ad esempio la sistemazione realizzata in Piazza Rimembranze di Lambrate e lungo Via Conte Rosso, un ambito della periferia storica/consolidata non privo di carattere e valori identitari. Nella piazza, quotidianamente assediata da un anello di intenso traffico anche di mezzi pesanti, sono stati installati un tavolo da ping pong e qualche fioriera. La formazione di una zona a traffico limitato (ZTL30) ha interessato un tratto di Via Conte Rosso (500 m), con il rifacimento della segnaletica, una parziale ripavimentazione in mattonelle di porfido rosso e grigio incrociate (del tutto estranee al contesto), due dossi per il rallentamento del traffico e la posa di circa 500 “parigine” per la dissuasione della sosta. La sistemazione, costata poco meno di 300mila € e operata nella fase di rilancio dell’area di Via Ventura come nuovo polo del design sede del Fuorisalone nel 2014 (fase peraltro già terminata), risulta alla fine del tutto incongrua, e ha perso inoltre l'occasione di valorizzare alcune preesistenze molto significative, quali Villa Folli e la seicentesca Villa Busca Serbellini, inglobata dalle urbanizzazioni del secondo Novecento e penalizzata dalla presenza di un distributore di benzina, recentemente rimosso senza che venisse previsto alcun intervento di riqualificazione dello spazio antistante. Nel complesso il risultato è una ulteriore cannibalizzazione dello spazio, con l'aggiunta di nuovi arredi, pali e segnaletiche, e a pochissimi mesi dalla realizzazione già si sono resi necessari ripetuti interventi di manutenzione e ripristino.

4 Di cui 74.635 dell’AEM, per il servizio di illuminazione pubblica; 9.000 dell’Azienda Trasporti Milanese; 29.200 quelli corredati da cartello di divieto di sosta per il servizio di lavaggio strada e i cestini portarifiuti dell’AMSA; 60.000 di sostegno ai cartelli stradali esistenti del Comune-Settore Strade, Parcheggi e Segnaletica.

5 Il manuale/catalogo contempla infatti: 5 diverse tipologie di dissuasori, 4 diversi tipi di panchine/sedute, 5 diversi tipi di cestoni e cestini per i rifiuti, 9 differenti tipologie di transenne/parapetti, 4 tipi di portabiciclette oltre a quelle - differenziate - dei diversi operatori pubblici e privati di bike sharing, 6 diversi tipi di chioschi e dehor, 8 tipologie di elementi per protezione delle aiuole e recinzioni, 15 diversi tipi di cartellonistica informativa, ecc., ai quali si aggiungono altre componenti quali parcometri, colonnine di ricarica per veicoli elettrici, pensiline e segnalamento del trasporto pubblico, orologi, griglie ai piedi delle alberature, servizi igienici, pali della luce e lampioni, colonnine e cartellonistica dei taxi, manufatti per impianti tecnologici quali armadietti, cabine elettriche e per telecomunicazioni, fioriere…

 

 

Riferimenti bibliografici

Ferrari G., Martorana M. (2015), Outlet: La rivoluzione dei consumi, Sperling & Kupfer, Milano, IT.
Losasso M. (2017), “Progettazione ambientale e progetto urbano”, in Eco Web Town n. 16 - Vol. II/2017, Edizioni SUT-Sustainable Urban Transformation, IT.
Mariano C. (2012), Progettare e gestire lo spazio pubblico, Aracne Editrice, Ariccia (RM), IT.
Schiaffonati F. (2018), “Urbanisti morti, architetti inutili?”, in UCTAT NEWSLetter, anno 1, n. 5, ottobre, https://drive.google.com/file/d/1HgggsdckIC8xcaNEID_PDY6InXIODViQ/view.
Schiaffonati F., Mussinelli E., Gambaro M. (2011), “Tecnologia dell’architettura per la progettazione ambientale”, in Techne n. 1, FUP Firenze University Press Editore, IT.