Abstract:
Il Gruppo di Ricerca “Colore e luce in architettura” dell’Università Iuav di Venezia raccoglie circa 15 ricercatori attivi anche presso altri atenei quali Politecnico di Milano, Università di Udine e centri di ricerca specializzati. Le ricerche svolte si sono articolate in una serie di progetti in partenariato che hanno prodotto output che si estendono dai modelli di gestione sostenibile e valorizzazione dei beni culturali fino a prototipi di soluzioni tecnologiche avanzate per la realizzazione di involucri architettonici ad alte prestazioni. Tutte le ricerche hanno prodotto numerose pubblicazioni scientifiche. Il paper intende fornire un quadro complessivo di tali ricerche.
Parole chiave ERC
PE8-10: Progettazione e controllo di processo
PE8-11: Design di prodotto
PE8-12: Progettazione sostenibile
Introduzione (P. Zennaro)
La discriminante per compiere azioni di ricerca che abbiano possibilità di essere accettate da un certo pubblico, sia esso di specialisti o dallo “uomo qualunque”(cfr. R. Musil), consiste nel saper produttivamente isolare una tematica, agire al suo interno al fine di scoprirne caratteri che non sono ancora stati adeguatamente messi a punto e soprattutto saperla divulgare. Laddove il processo di conoscenza trova qualche intoppo si possono sperimentare varie vie di fuga. “Se un’interpretazione naturale frappone difficoltà a una concezione attraente, e se la sua eliminazione rimuove la concezione dal campo dell’osservazione, l’unico procedimento accettabile consiste nell’usare altre interpretazioni e vedere che cosa accade” (Feyerabend, 1975, p.66). Se non si è in grado di promuovere e di raccontare, persino in maniera poco ortodossa, le risultanze del lavoro di ricerca rendendola attraente e di saper colmare con giustificazioni a volte pretestuose alcune incertezze si renderà ardua l’accettazione delle scoperte. A suo tempo Galileo così fece per convincere il maggior numero di soggetti dell’attendibilità delle sue ipotesi.
Mettere insieme una ricerca che ruoti intorno a tre parole come Innovazione, Sostenibile e Architettura comporta necessariamente la dotazione di un processo logico che metta in disparte ogni metodologia consolidata, o presunta tale, aprendo tout court il pensiero all’uso di interpretazioni altre.
Non solo, stanti le spiegazioni correnti del senso delle tre parole succitate sembra necessario istituire un processo logico che risulti fortemente critico con il fine di metter in disparte ogni devianza ideologica, abbondantemente frequente nelle attuali aule accademiche ed in particolare in area dove questo scritto comparirà.
È noto che l’accademia non è propriamente il luogo privilegiato per l’apertura a nuove idee e l’ostracismo violento che vi si pratica è tale da collocarla fuori dalla realtà vissuta, dall’evidenza quotidiana. Non va dimenticato inoltre che “taluni programmi di ricerca scompaiono non perché le argomentazioni che sono alla loro base vengano sconfitte al livello delle idee, ma perché i loro difensori vengono uccisi nella lotta per la sopravvivenza” (Feyerabend, 1975, p. 162). Tradotto per i comuni mortali: le ricerche che non trovano finanziamento, anche se di qualità eccelsa, rischiano di essere (sono) rase al suolo da squallide competizioni con quelle che incontrano una facile presa da parte di finanziatori che mirano solo al facile profitto (economico, politico, di carriera) persino provocando ingentissimi danni alla società, facilmente comprese dal popolino ignorante, sponsorizzate da politici, religiosi e uomini di cultura (o meglio pseudocultura) in malafede.
Presso il Dipartimento di Progettazione e Pianificazione in Ambienti Complessi dell’Università Iuav di Venezia si trova un gruppo di ricercatori che da qualche tempo si dedica alla tematica della riqualificazione ambientale e paesaggistica che ruota intorno alle tecnologie funzionali a migliorare la qualità estetica e prestazionale della pelle degli edifici. All’interno di questo gruppo, che è nato e si è fatto le ossa nel periodo di attività dell’unità di ricerca Colore e luce in Architettura dell’Università Iuav di Venezia, vi è una chiara coscienza dell’impegno necessario a compiere seriamente, a titolo gratuito, sforzi che saranno (sono) cancellati da valutatori del loro lavoro totalmente privi di scrupoli, persino privi di ogni dignità umana. Ma la voglia e l’esigenza di volare al di sopra di tali incidenti di percorso e contribuire all’avanzamento della conoscenza li spinge a non demordere e ottenere risultati ampiamente positivi, tanto da essere riconosciuti a livello internazionale (Nemo propheta in patria).
Mi corre l’obbligo di far notare in particolare che due ricercatori, sapendo di dove questo scritto sarebbe stato pubblicato e dell’area che la propone si sono rifiutati di presentare il loro lavoro. Stante quanto sopra rammentato non rimane che dar loro ragione. Onore a costoro e a coloro che di seguito hanno esposto quanto stanno facendo. Per quanto riguarda il sottoscritto, il quale ha necessariamente dovuto dare alcune indicazioni per dovere istituzionale e per rispetto umano nei confronti di quanti si impegnano seriamente per il miglioramento della cultura all’interno di un settore scientifico disciplinare sul cui futuro culturale nutre seri dubbi, credo di non dover dare ulteriori indicazioni poiché le mie ricerche sono ampiamente note presso la cerchia di intellettuali che frequento, disinteressato a fornire indicazioni a chi non può capire. Ogni scrittore si sceglie i suoi lettori (F. Nietzsche).
Dalla difesa piombante alla materializzazione delle visuali difensive, l’architettura poliorcetica in ambito mediterraneo: storia, restauro valorizzazione e gestione sostenibile (G. Custoza)
L’area alto-adriatica è caratterizzata dalla presenza di una notevole varietà, anche tipologica, di architetture poliorcetiche, opere queste edificate in un arco di tempo molto ampio, che va dai castellieri di epoca preistorica, alle fortificazioni del I e del II conflitto mondiale. Tale presenza può essere spiegata dalla sempre rilevante funzione strategica che la regione ha assunto, almeno sin dall’epoca romana, in rapporto alla funzione di cerniera, collocata a ridosso dell’area alpina orientale, sempre significativa nel quadro dello sviluppo dell’assetto del sistema fortificato viario della penisola italiana. Questo ricchissimo patrimonio di esercizi d’arte fortificatoria, capitale sociale di importanza europea, presenta importanti problemi di conservazione, restauro, valorizzazione, e gestione sostenibile.
È opportuno porre in essere un’attività costante di monitoraggio di questi edifici, un’azione riferita direttamente allo stato del manufatto architettonico, nell’ottica di raccogliere le necessarie informazioni utili a supportare l’azione di tutela.
È questa un’occasione di sviluppo per i territori, anche in termini di opportunità di occupazione. L’architettura fortificata può e deve essere funzionale all’economia, al mercato del lavoro, all’integrazione sociale, allo sviluppo sostenibile, alla formazione, e all’innovazione, la gestione di questa, deve fondarsi su di una fondamentale azione di conoscenza, restauro e valorizzazione. Emergono dunque nuove esigenze e opportunità per lo sviluppo socio-economico dell’area.
Diversi sono i piani di conservazione delle opere d’arte ossidionale dell’area che l’attività di ricerca attuata, finalizzata alla conoscenza, alla salvaguardia, alla tutela, alla conservazione, al restauro, del patrimonio storico architettonico fortificato sanmicheliano, ha preso in esame.
La gestione sostenibile e la fruizione virtuosa, del patrimonio storico architettonico sanmicheliano, sono fondati su di una virtuosa partnership pubblico-privato. Il modello di ri-utilizzo e gestione sostenibile del patrimonio storico fortificato prevede l’insediamento di attività produttive e commerciali sostenibili all’interno di diversi siti, tale modello è fondato su di una serie di presupposti fondamentali. Tre sono le linee di sviluppo individuate:
1. l’individuazione di innovativi modelli di conoscenza, restauro, valorizzazione e management, specificamente indirizzati alla gestione sostenibile del patrimonio storico architettonico fortificato;
2. l’individuazione dei principali fattori necessari alla creazione di un moltiplicatore utile alla crescita, all’attrattività dell’ambiente nel quale insiste il patrimonio storico architettonico fortificato;
3. l’elaborazione di specifiche pratiche virtuose di restauro miranti a combinare le iniziative di rivalutazione, gestione sostenibile e conservazione del patrimonio fortificato, con le azioni a carattere sociale.
Smart Shading: protezioni solari adattive (A. Premier)
Negli ultimi anni le ricerche personali si sono concentrate sull’innovazione sostenibile in architettura, in particolare per quanto riguarda materiali, tecnologie e prodotti. Queste ricerche sono state pubblicate nel libro “Innovazione sostenibile per l'architettura: Materiali, tecnologie e prodotti”, Maggioli, 2014. La ricerca denominata “Smart Shading” è un approfondimento di queste più ampie ricerche. L’obiettivo della ricerca “Smart Shading” era dimostrare come un intervento sull'ultimo strato di finitura delle pareti esterne dell’edificio può portare ad un aumento significativo del valore dell'intero bene in termini di qualità ambientale e miglioramento delle prestazioni di isolamento termico. Il progetto è stato sviluppato dall’Università Iuav di Venezia, Unità di Ricerca "Colore e Luce in Architettura", Regione Veneto, Materis Paints Italia SpA e il CERT di Treviso Tecnologia (ora T2i). La ricerca aveva l'obiettivo di individuare nuove soluzioni tecnologiche per la protezione delle pareti esterne degli edifici dal soleggiamento, possibilmente mediante l'applicazione di materiali innovativi e tecnologie smart. Ci si è posti dunque l’obiettivo di sviluppare, in collaborazione con i partner, una finitura sottile (3 mm) adatta ad essere applicata su materiali isolanti (ma anche su altre superfici), in grado di fornire un’adeguata protezione dal sole alle pareti degli edifici. Anche in una prospettiva costi-benefici, la prima fase della ricerca ha dimostrato che, per raggiungere i risultati desiderati (riduzione della temperatura superficiale della finitura), era necessario operare in due direzioni:
La ricerca, concentrandosi su questi due aspetti, ha considerato diverse soluzioni possibili, identificando nell'utilizzo di pigmenti perlescenti la soluzione più adatta per aumentare la riflettanza superficiale della finitura. Il lavoro sulla configurazione tridimensionale della finitura aveva lo scopo di garantire che una porzione della radiazione luminosa incidente potesse essere facilmente riflessa e parte della parete ombreggiata, riducendo così la temperatura superficiale complessiva. Per ottenere questo effetto si sono provate diverse soluzioni, individuando un motivo “seghettato” con un’angolazione media dei "denti" adatta a differenti latitudini. Per ottenere questa configurazione speciale si sono testati diversi strumenti individuando, al termine del processo, la spatola giusta per l'applicazione dello stucco.
Una volta pronto il nuovo stucco, per convalidare la ricerca, abbiamo chiesto al “partner di rete” Treviso Tecnologia (ora T2i) di effettuare alcuni test di confronto su campioni di pannelli trattati con la nuova finitura e pannelli con finiture standard di produzione Materis Paints. I pannelli con il nuovo rivestimento “Smart Shading”, in tutti i test effettuati, hanno mostrato una differenza di temperatura superficiale superiore ai pannelli standard. Infatti, a parità di superficie analizzata, la nuova finitura crea una maggiore superficie di dissipazione del calore, migliorando le prestazioni di isolamento termico delle pareti nel periodo estivo.
Smart glass art façade. Componenti di facciata intelligenti in vetro artistico (V. Brustolon)
Il progetto di ricerca dal titolo ‘Smart glass art façade. Componenti di facciata intelligenti in vetro artistico’ indaga e analizza il concetto di cromaticità, dinamicità e interattività dell’involucro architettonico tramite un’approfondita fase istruttoria seguita poi da una fase progettuale caratterizzata dalla realizzazione di moduli di facciata cromatici ed adattivi in vetro soffiato di Murano. Partner operativo della ricerca è l’azienda Simone Cenedese – vetro di Murano.
La prima fase della ricerca si è focalizzata sull’analisi dello stato di fatto: è stata condotta cioè un’attenta e precisa catalogazione dei vetri artistici, dei materiali smart e nano-strutturati, delle chiusure verticali vetrate e delle superfici mediatiche con la relativa individuazione di progetti già realizzati (casi-studio) nell’ambito dei sistemi di facciata esterni. La seconda fase della ricerca invece si è focalizzata sull’ideazione del prototipo di facciata con peculiarità cromatiche e luminose non tradizionali.
Il progetto finale trae ispirazione da una famosa seduta progettata da Joe Colombo nel 1969, la ‘Tube Chair’, caratterizzata da 4 cilindri cavi in pelle uniti tra di loro mediante dei ganci. Il modulo di facciata riprende quindi lo schema dei quattro cilindri cavi realizzati in vetro soffiato di Murano con un diametro massimo di 300 mm e uno spessore di 4 mm, così da garantire sicurezza e resistenza in previsione al loro posizionamento all’esterno delle facciate.
I cilindri in vetro sono appesi attraverso un sistema di cavi in acciaio e fissati allo stesso tramite morsetti in acciaio con sistema autobloccante. In aggiunta, all’interno di ogni cilindro sono stati incollati dei dischi in vetro che, grazie alla tecnica della soffiatura, ripropongono un disegno optical, ovvero una texture raffigurante una spirale (con sfumature cangianti dal rosso al verde) in grado di simulare un effetto ottico di vibrazione e movimento. Per fare in modo che la facciata sia visibile anche durante le ore notturne, si è pensato di collocare all’interno di alcuni cilindri, a distanze regolari, delle lampade a LED, agganciate direttamente ai cavi di acciaio che sostengono i moduli vetrati. Per consentire autosufficienza nell’alimentazione delle lampadine è stata applicata, nella parte concava di ogni cilindro, una vernice fotovoltaica chiamata “Photon Inside”. Tale vernice trasparente è in grado di catturare in maniera efficiente i raggi del sole e di trasformarli in energia per soddisfare il fabbisogno energetico dell’edificio. Può essere stesa su superfici di tutti i tipi ed essere riapplicata gradualmente quando è degradata (pur essendo molto resistente agli agenti atmosferici). L’impatto architettonico e ambientale è praticamente nullo come anche il rischio di furto. La vernice ha un alto rendimento: con 50 m² di parete si ottengono 3 kW di energia, a costi dimezzati se confrontati con i comuni pannelli fotovoltaici in silicio.
In alternativa, è possibile utilizzare come fonte luminosa una particolare vernice fosforescente denominata ‘Litroenergy’. Questa tecnologia "betavoltaica” non è né tossica né radioattiva e la luce è emessa in ogni condizione, senza alcun bisogno di dover prima esporre la vernice ad una fonte luminosa. Dalla sua attivazione la durata media è di 12 anni.
I-mesh for facades. Integrazione architettonica di sistemi di schermatura solare tessile per la sostenibilità ambientale (C. Gregoris)
La ricerca “I-mesh for facades. Integrazione architettonica di sistemi di schermatura solare tessile per la sostenibilità ambientale” si inserisce in un più ampio percorso, svolto negli ultimi anni, che ha come tema gli involucri edilizi e i rivestimenti di facciata ad altre prestazioni.
Il programma della ricerca “I-mesh for facades” si sviluppa in collaborazione con l’Università IUAV di Venezia e l’azienda Sailmaker International Spa, che produce vele ad alte prestazioni dedicate alla nautica. L’azienda ha inoltre sviluppato alcune tecnologie, nate per il settore della nautica, per realizzare dei materiali innovativi dedicati anche all’architettura e all’interior design, sperimentando una serie di “tessuti” realizzati mediante l’intreccio di fibre ad alte prestazioni come il carbonio, il basalto, il kevlar, ecc. Le caratteristiche di durabilità e resistenza dei materiali utilizzati presentano possibilità interessanti per le applicazioni all’esterno degli edifici.
L’obiettivo principale della ricerca è lo studio e l’individuazione di soluzioni tecnologiche per l’integrazione architettonica di sistemi per la schermatura solare dinamica e/o adattiva, realizzati con materiali tessili innovativi, per il miglioramento della qualità ambientale e delle performance termo igrometriche degli edifici. Molto vasto è, infatti, il campo di sperimentazione dei materiali tessili: con l’introduzione nel mercato negli ultimi anni dei tessuti intelligenti, si assiste ad un crescente interesse verso questi prodotti anche nell’ambito della realizzazione di sistemi di facciata.
A seguito dell’approfondimento sui materiali tessili utilizzati e sui sistemi di schermatura, è prevista la sperimentazione e la produzione di un prototipo che utilizzi il “tessuto” dell’azienda, leggero e altamente performante, con soluzioni tecnologiche innovative e brevettabili. Deve essere un prodotto che risulti al contempo competitivo sul mercato, ma anche innovativo dal punto di vista architettonico, frutto di una ricerca sull’uso del colore, del design delle textures, della trama e della scelta dei supporti e degli eventuali sistemi di manovra.
Il progetto, dunque, mira a produrre un miglioramento della qualità ambientale (e quindi anche micro-climatica) del patrimonio architettonico nuovo ed esistente, attraverso la realizzazione di uno specifico sistema di schermatura solare per le facciate degli edifici, utilizzando come elementi di protezione materiali innovativi e smart, supportati da sistemi fissi o mobili altrettanto innovativi.
Eco-Tile. Rivestimenti di facciata adattivi a base di materiali naturali, di provenienza sia estrattiva che di riciclo (A. Martini)
La ricerca “Eco-Tile. Rivestimenti di facciata adattivi a base di materiali naturali, di provenienza sia estrattiva che di riciclo”, può essere considerata uno sviluppo degli studi sul cladding e sull’efficienza energetica dei sistemi e dei materiali di rivestimento, effettuati in questi ultimi cinque anni. Il programma di ricerca, in sinergia con due aziende del settore dei materiali ricomposti, Poliver e Quarella, mira alla realizzazione di componenti di facciata sostenibili, a base di materiali naturali di provenienza sia estrattiva che di riciclo.
Il progetto si propone di sperimentare e produrre un prototipo modulare e componibile, in materiale riciclato, da applicare come sistema di rivestimento esterno degli edifici: un elemento che sia sostenibile dal punto di vista ambientale ed energetico ma che risponda a determinati requisiti di aspetto richiesti dal mercato (flessibilità formale, colore, finitura, trattamento superficiale). Si tratta di una ricerca basata sul trasferimento tecnologico applicato all’ambito di uno dei materiali compositi più conosciuti: la pietra artificiale (detta anche engineered stone). Come noto, la pietra artificiale è un materiale costituito da una miscela di granulati lapidei selezionati, uniti a resine poliestere ed eventuali additivi: una tecnologia derivante dalle antiche tradizioni del coccio pesto, della palladiana e dei marmettoni, destinati al rivestimento di ambienti interni ed esterni, che si realizzavano direttamente in opera e che oggi vede sostituita la matrice cementizia con una resina termoindurente.
Ai fini di rendere più competitivo tale composito, soprattutto per quanto riguarda il rivestimento di facciata, l’obiettivo della ricerca è di studiare un componente superficiale avente resistenze chimico-fisico-meccaniche e delle qualità superficiali (finitura, colore, resistenza UV) superiori a quelle dei materiali presenti nel mercato. Trattandosi di una produzione che avviene per vibro-compressione di granulati uniti ad una resina termoindurente che solidifica irreversibilmente in risposta ad un trattamento termico formando una struttura molecolare reticolata, si è scartata la possibilità di utilizzare matrici termoplastiche, come avviene per le Solid Surfaces quali il Corian e l’Hi Macs, materiali capaci di rispondere ai requisiti richiesti.
Obiettivo della ricerca è ottenere, tramite l’inserimento di acidi, polimeri e rinforzi additivati a taglio della “ricetta classica”, un composto avente le stesse caratteristiche della pietra artificiale ora in commercio ma con una lavorabilità superiore.
d’A.n.c.a.p., digital Architectural new cover and protection (R. De Monte)
In tutta la storia dell’architettura, la facciata è sempre stata un elemento fondamentale, il fattore comunicativo e sociale dell’edificio.
L’involucro edilizio delimita e definisce perimetralmente l’organismo costruttivo, la sua funzione principale è di mediare e collegare interno ed esterno, allo stesso tempo divide, separa diventando un fattore ambientale, che circoscrive e identifica gli spazi esterni del paesaggio.
Le sperimentazioni dell’ultimo decennio sembrano però voler conferire all’involucro una nuova funzione: esso è diventato, infatti, un filtro mediatico, una tela bianca dove vengono proiettate e trasmesse immagini, testi, informazioni.
Seguendo questo nuovo filone architettonico si è sviluppato il progetto per la d’A.n.c.a.p, produttrice di porcellane a livello internazionale. La committenza richiedeva la realizzazione di un nuovo layer, una nuova struttura esterna che potesse riqualificare il manufatto esistente e diventare anche un elemento comunicativo e pubblicitario.
L’analisi del contesto circostante, principalmente collinare, ha permesso di tracciare il profilo del nuovo involucro, un ‘velo’ bianco in ceramica che, oltre a fornire un nuovo impatto visivo all’azienda, ha equipaggiato l’edificio anche di un nuovo filtro isolante di cui era completamente privo visto che la prima parte del manufatto era stata realizzata nel 1964.
Il progetto per la fascia centrale del nuovo rivestimento, ovvero il punto in cui erano presenti le parti vetrate, è stato pensato come filtro luminoso, ovvero la zona in cui la parte più innovativa e comunicativa dell’intervento poteva venire a galla. Così è stata creata una fascia di elementi conici, in ceramica, uniti tra loro in modo da comporre una maglia, in questo modo la luce naturale filtra all’interno dell’edificio, mentre, nelle ore notturne, la striscia di LED inserita in ogni cono consente la trasmissione di messaggi al contesto circostante.
Il sistema luminoso elettronico è programmabile attraverso un software dedicato, così la gestione delle immagini e dei testi può essere modificata in base alle esigenze dell’azienda.
Il sistema di copertura è stato rielaborato attraverso il posizionamento di scaglie in rete metallica che sostengono dei pannelli di tellururo di cadmio, un materiale fotovoltaico che presenta ottime prestazioni anche in caso di cielo coperto o luce diffusa: un modo per annullare completamente il futuro consumo del sistema luminoso del nuovo involucro e di abbassare i consumi generali dell’azienda.
Conclusioni (P. Zennaro)
La facciata costituisce quella parte dell’involucro architettonico che rappresenta l’edificio, è la sua facies, aspetto, apparenza, capace di comunicare verso l’esterno tutti i moti interiori. Fornisce senso e significato ai manufatti. Senza la loro presenza non saremmo in grado di capire le motivazioni di un insieme complesso di opere. Questo è ciò che banalmente tutti credono sia l’involucro architettonico. Banale! Tautologico! Insensato! Come può fare un soggetto dotato di raziocinio medio, persino mediocre, pensare e addirittura scrivere simili banalità. Eppure quanti libri di tecnologia ci siamo dovuti sorbire controvoglia dove fior di ordinari di tecnologia e ovviamente lo stuolo di mosche che ne assorbono gustosamente i fetori si sono sprecati in simili elucubrazioni senza senso. La pelle dell’architettura è un’espressione artistica, una caricatura del pensiero, quando va bene, o una stolta e goffa simulazione di ciò che non si è capaci di esprimere a parole. “Ce qui est vrai seulement (…) c’est que seule de toutes les opérations expressives, la parole est capable de se sédimenter et de constituer un acquis intersubjectif” (Merleau-Ponty, 1945, p. 231). La realizzazione distrugge ogni ipotesi progettuale facendo diventare il manufatto un oggetto che non comunica, ingombrante, che spreca dello spazio. Solo l’Architettura, con l’A maiuscola, in qualità di opera d’arte può tentare di avvicinarsi a rappresentare o presentare qualche messaggio, assumere qualche senso. Il resto serve solo ai poveri di spirito. Le ricerche presentate sono servite ad approfondire questo modo di ragionare, cercando di ripulirsi dalla sporcizia e dai fetori di interpretazioni malsane.
Gli autori
Pietro Zennaro
Architetto, perfezionato in filosofia. Professore Associato di Design e Progettazione Tecnologica presso l’Università Iuav di Venezia. Si occupa delle motivazioni che stanno alla base dei processi finalizzati alla realizzazione di opere d’arte contemporanee (architetture, oggetti, comunicazione), svolgendo ricerche negli ambiti dell’innovazione e dell’espressività cromatica dei materiali e delle tecnologie.
Giancamillo Custoza
Architetto Ph.D., già professore a contratto ICAR 19 presso il Corso di Laurea in Scienze dell’Architettura dell’Università degli Studi di Udine, è stato assegnista di ricerca presso l’Università IUAV di Venezia, è membro dell’Unità di Ricerca Colore e Luce in Architettura dello stesso ateneo, membro del comitato di pilotaggio del C.A.M.A.A., consigliere di amministrazione del Consorzio per la Salvaguardia dei Castelli storici del F.V.G. Autore di numerose pubblicazioni scientifiche, attualmente insegna presso la Libera Università di Lingue e Comunicazione IULM, Master in Management delle Risorse Artistiche e Culturali, MaRAC, di Roma.
Alessandro Premier
Architetto, dottore di ricerca in tecnologia dell’architettura, docente a contratto presso l’Università Iuav di Venezia e l’Università di Udine. Socio fondatore del centro ricerche “Eterotopie – Colore, Luce e Comunicazione in Architettura”, svolge ricerche nell’ambito delle tecnologie innovative di facciata con focus sulla sostenibilità ambientale.
Veronica Brustolon
Nata a Francoforte (Germania) nel 1987. Laureatasi nel 2012 presso l’Università IUAV di Venezia con una tesi riguardante gli involucri mediatici. Partecipa a due viaggi-studio a New York e In Olanda-Germania. Assistente di ‘Tecnologia dell’Architettura’ presso il Politecnico di Milano. Nel 2013 è assegnista di ricerca e co-fondatrice del centro di ricerca “Eterotopie”.
Chiara Gregoris
Architetto, socio fondatore del centro ricerche Eterotopie e assegnista di ricerca FSE presso l'Università IUAV di Venezia. Si occupa di ricerca e progettazione sui temi della qualità ambientale, di tecnologie avanzate per l’involucro architettonico, con focus sui temi della sostenibilità dei materiali tessili e ceramici per i rivestimenti architettonici.
Anna Martini
Nata a Camposampiero (PD), architetto e ricercatore presso l'Udr "Colore e luce in Architettura" dell'Università IUAV di Venezia, è assegnista di ricerca per un progetto FSE in collaborazione con la Regione Veneto. Negli ultimi anni si è specializzata in: ricerca e progetto di tecnologie innovative e cinetiche per il rivestimento di facciata con focus sui materiali compositi e ricomposti.
Roberta De Monte
Nata nel 1988 a Valdobbiandene (Treviso), si è laureata nel 2012 presso l’Università IUAV di Venezia con una tesi sulle facciate mediatiche. Nel 2010 ha lavorato presso lo studio TAMassociati . Ha partecipato a due viaggi studio a New York e in Olanda. E’ membro di Eterotopie Research Lab.
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