Sondaggi: Eco_Luoghi 2013

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Eco_case. Pepe Barbieri
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Guardando i prototipi dei progetti premiati nel consulto Eco_case, poggiati negli spazi dell’ex Mattatoio a Roma, non posso evitare di pensare a quella evocativa e mitopoietica immagine del Filarete, in cui Adamo scacciato unisce a tetto le mani sopra la testa per proteggersi dalle intemperie del mutevole mondo in cui è precipitato e fa così del suo corpo la prima casa: una casa/corpo. Infatti. Anche queste case in qualche modo sono case/corpo, modellate ( si potrebbe dire “di nuovo”) per interpretare ed intercettare, con la loro stessa forma e con la scelta di “materiali intelligenti” (mescolando antico e nuovo, artificio e natura) le cicliche e mobili condizioni del tempo e delle stagioni. É così che una consapevolezza della questione ambientale non si risolve semplicisticamente o soltanto con l’applicazione di un dispositivo tecnologico, ma facendo della concezione stessa della casa  - della sua stessa forma – il dispositivo ecologico per un abitare nella natura.
Eco_Case, appunto. É questa la sigla di un Consulto, rivolto nel 2013 ad architetti ed ingegneri, (suddivisi in due categorie: junior e senior) dalla Associazione “Mecenate 90”. Questa seconda edizione – promossa in collaborazione con il Consiglio Nazionale degli Architetti, Pianificatori, Paesaggisti e Conservatori, con il Consiglio Nazionale degli Ingegneri, con Unioncamere e con la Direzione Generale per lo Sviluppo sostenibile, il Clima e l'Energia del Ministero dell'Ambiente - prevedeva due Consulti: uno, appunto, dedicato alla progettazione di "Case per un abitare sostenibile", l’altro dedicato alla promozione di  progetti di rigenerazione urbana e di riuso di spazi abbandonati.
In questa direzione, in modo appropriato, in questo consulto dedicato alla progettazione di case si è scelto di collegare ogni proposta, attenta ai requisiti di una corretta progettazione energetica (in classe A), con le questioni poste dal suo inserimento in un tipico paesaggio italiano: si ottiene così un doppio risultato: 1. configurare le case come oggetti a reazione poetica in grado di declinare in vario modo una interpretazione, non banalmente mimetica, del rapporto con i vari paesaggi; 2. introdurre, anche nella consapevolezza dei non specialisti, una idea più dinamica ed interattiva della stessa idea di paesaggio inteso – come la convenzione europea del 2000 indicava – come un insieme le cui qualità sono riconosciute appunto in un interscambio continuo con le società insediate: così da considerarne caratteri positivi quelli che si riconoscono non tanto in un congelamento immobile, quanto anche, quando opportuno, in forme di mutamento intelligente.
É quanto sapientemente suggerito in queste proposte. Dove, ad esempio, in alcuni dei progetti premiati, di cui purtroppo non è stato possibile realizzare i prototipi, il paesaggio con cui si è inteso costruire un rapporto – contribuendo a fornire nuovi valori al contesto proprio attraverso l’introduzione della casa ecologica – era quello delle periferie o del suburbano. Luoghi in cui lacerti di spazi vuoti si prestano a nuove modalità d’uso che si possono anche legare ad una nuova dimensione dell’agricoltura urbana: dei suoi orti o dei punti vendita a KM 0. Così l’interazione con gli spazi della periferia contemporanea può prevedere l’offerta di una facciata longitudinale cieca da destinare alla comunicazione pubblicitaria e, forse, più in generale, a interventi di arte urbana che, appunto mutevolmente, concorrono a “scrivere” il nuovo paesaggio urbano.
Ma anche ai paesaggi con valori più consolidati queste case sembrano accostarsi sommessamente, con leggerezza, costruendo senza violenza il colloquio necessario.
In diverse proposte il disegno della casa coinvolge delicatamente una porzione di spazio aperto: un suolo reso attivo, proprio dal rapporto con la costruzione. In qualche caso una sorta di stanza all’aperto come nell’indimenticabile esempio della casa sperimentale a Muuratsalo di Alvar Aalto.
Forse, in una prossima occasione, sarebbe interessante proporre una riflessione sull’ampliabilità (entro limiti prefissati) di queste piccole costruzioni, come risposta al mutare della composizione dei nuclei degli abitanti. Proprio questo tema che era stato al centro di una consultazione condotta negli anni 30 in Germania sotto la guida di Martin Wagner aveva sollecitato una logica attenzione al rapporto, appunto con lo spazio aperto, portando gli architetti a valutare le prospettive di progetti che dovevano coinvolgere il disegno del suolo in quella visione in cui la città diveniva landstadt: città/territorio.
Questa tensione verso una diversa dimensione urbana è presente in qualche proposta di questa consultazione attraverso qualche interessante ipotesi di modalità aggregativa in cui mettere in gioco, la componente fondamentale del disegno di paesaggio come insieme complesso di materiali diversi, messi tra loro in tensione ed in relazione.

Un’altra importante caratteristica di questa consultazione risiede, naturalmente, nella realizzazione dei prototipi. É questa, infatti, una qualificante caratteristica di questa iniziativa: l’obbligo, cioè, di presentare la propria proposta progettuale accompagnata dall’impegno di un’impresa a realizzare un prototipo per la mostra. Si ottengono così più risultati significativi, rispetto alla consuetudine di analoghe iniziative: introdurre nelle proposte una rilevante attenzione alle esigenze di un processo di produzione seriale, da un lato, e a una flessibilità di detto processo mirata a dar vita a soluzioni differenti in funzione delle diverse collocazioni geografiche possibili; mobilitare, quindi, il tessuto imprenditoriale (anche minuto e diversamente radicato nei territori) spingendolo a superare le abituali formule, per  proporsi ad un nuovo, ancora inedito, ma promettente, mercato; innescare, attraverso la mostra, una domanda, virtuale, ma ancora latente, per modi innovativi di abitare sensibili, nello stesso tempo, ad una aggiornata declinazione della sostenibilità ed ad una efficace interpretazione di un rapporto, non banalmente mimetico, con i vari paesaggi. Un consolante quadro che apre anche a prospettive di una indispensabile revisione e aggiornamento dei diversi percorsi formativi in architettura, da collegare alla crescita di una informazione diffusa e qualificata come quella offerta da queste occasioni che vedono appunto coinvolti dipartimenti universitari e il Macrotestaccio.
Che, in una situazione di crisi come quella che attraversiamo  - ma  la attraversiamo? – le imprese abbiano voluto investire in queste proposte innovative non può che confortare e dare fiducia, così come dà fiducia l’impegno di gruppi di architetti, dai più giovani ai senior, che, come noi, credono che l’architettura possa rappresentare una chiave fondamentale per concorrere a uscire dalla crisi e a vivere meglio in questo paese. Da questa fiducia è, naturalmente, spinta l’associazione Mecenate e il mirabile Ledo Prato che la conduce a questi importanti risultati.

Due interessanti progetti premiati hanno intelligentemente scelto le “periferie”, quale critico paesaggio di elezione in cui inserire la proposta, interpretando così le più stimolanti posizioni che, superata l’idea di paesaggio come luogo idealtipico della conservazione, lo individuano invece come un vitale ambito di mutamento, da attivare anche per mezzo di nuove forme di abitare.
Uno è il progetto IMPLUVIUM, di IRODAstudio. La casa, a pianta quadrata, si sviluppa nel rapporto essenziale dei due piani (pavimento e tetto ad impluvium per la raccolta delle acque piovane, da utilizzare per i diversi cicli bioclimatici) sorretti dal nucleo tecnologico e strutturale centrale, che è anche il dispositivo contenitore delle diverse attrezzature (wc, cucina, letto). Si forma in questo modo una figura semplice, ma densa di valori, in cui le superfici vetrate, inserite nei  setti portanti in legno isolati con materiali naturali, creano un rapporto con l’esterno modulabile in funzione della località, del clima e delle esigenze delle diverse tipologie di abitanti.
L’altro è il progetto SPOT che interagisce con gli spazi della periferia contemporanea attraverso l’offerta di una facciata longitudinale cieca da destinare alla comunicazione pubblicitaria e, forse, più in generale, a interventi spontanei che, essendo inevitabili, vale la pena di prevedere. La parete longitudinale opposta ospita invece uno spazio porticato destinato a regolare l’irraggiamento solare nei mesi estivi. Un’azione combinata con il camino solare, che interessa l’edificio al livello superiore per l’intera lunghezza, caratterizzandone l’immagine nel rapporto con la parete cieca, alloggiando anche i sistema di climatizzazione fotovoltaica e di produzione dell’acqua sanitaria. La tecnica costruttiva è a balloon frame, con tamponamento in pannelli di paglia tipico dei processi di autocostruzione.
Nel progetto KM0, l’edificio funziona come una serra regolabile traslucente, la cui immagine fortemente sintetica ne consente l’inserimento in qualunque contesto geografico. La pelle esterna è costituita da pannelli in pvc alveolato riciclato, il cui strato d’aria interposto contribuisce validamente all’isolamento termico. Essa funge contemporaneamente da sistema di protezione e di raccolta dell’acqua. L’involucro circoscrive lo spazio su tutti i lati, consentendo un’immagine fortemente unitaria, mentre le varie fogge che può assumere di notte e di giorno, d’estate e d’inverno ottimizzano il comportamento energetico ed evidenziano l’approccio organico.
La copertura, che si sviluppa in continuità con le pareti perimetrali verticali, integra solare termico e fotovoltaico, rendendo così il manufatto completamente autonomo sul piano energetico.
Invece il progetto O+, del Laboratorio di Architettura Rinaldi/Casarini/Davoli trae direttamente l’ispirazione dal contesto. Presenta, infatti,  un impianto planimetrico introverso, desunto appunto dal paesaggio architettonico dei borghi emiliani, fondato su un intimo e organico rapporto tra spazio interno e spazio esterno. Si valorizzano in questo modo gli spazi-filtro cosicché il patio può essere considerato una vera e propria “stanza all’aperto”, nella quale produrre ortaggi a chilometro zero.
L’autosufficienza energetica è garantita dall’utilizzazione di pannelli fotovoltaici amorfi integrati nella copertura con struttura perimetrale in legno e nucleo centrale ellittico di servizi in argilla a secco, rivestita da uno strato di pietra locale sempre a secco.
Interessante anche l’attenzione alla costruzione di un sistema aggregativo, ancora ispirato ai borghi emiliani, dove la combinazione dei diversi moduli-casa, è animata dalla presenza di volumi di dimensioni minori a servizio delle abitazioni.
Ugualmente, più che strettamente legato al contesto, è il progetto FLOATHOUSE, di Di Santo/Incitti/Mares. Si propone, infatti, una casa galleggiante sul lago del Salto, al largo della spiaggia di Borgo San Pietro, che nella morfologia tende a esaltare la complementarietà fra abitazione e imbarcazione. La struttura portante di pareti e solai di copertura adotta “i sistemi ILLE platform frames e Sapisol, costituiti da isolanti in fibra di legno interposti a pannelli OSB di rinforzo”, mentre “gli scafi degli alloggi sono realizzati in GRC, Glass Reinforced Concrete” e collegati da un sistema complesso di incastri e cerniere, che sarebbe interessante sviluppare in sede di prototipazione del modello. Il progetto adotta componenti fuori standard, che possono pertanto diventare convenienti economicamente se prodotti in serie.
Interessanti le diverse modalità di aggregazione proposte in funzione dei diversi contesti climatici.

Va infine sottolineato che il consulto ha visto premiati un maggior numero di progetti della categoria junior, sette sui dieci previsti in totale, mostrando una comprensibile ed interessante maggiore attitudine degli architetti più giovani ad intraprendere percorsi sperimentali, con la capacità anche di attrarre l’interesse delle imprese e di saper affrontare con competenza i diversi problemi della prototipazione.