Colombia, un laboratorio di pratiche, riflessioni e ricerca per l’America Latina a cura di Pepe Barbieri e Mario Tancredi

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Escalando vida - scalando la vita. Pepe Barbieri PDF

Un “doppio sguardo”, tra l’Italia e la Colombia, attraverso alcuni anni di esperienze di confronto e ricerca comuni, ci permette di cogliere l’emergere di alcuni temi e modalità utili a individuare possibili innovazioni da introdurre nei procedimenti e negli strumenti di un progetto urbano attento alle ragioni più inclusive di una concezione complessa di trasformazione della città, in grado di coniugare le diverse dimensioni della ecologia urbana. Si tratta di temi riconducibili a due grandi campi problematici: 1-l’antica ricorrente questione del ruolo del progetto urbano, anche con l’utilizzazione di  tecnologie innovative, nel promuovere il superamento delle disuguaglianze sociali; in Colombia con indici tra i più alti al mondo e che si misura con l’enorme possibilità e, nello stesso tempo, fame di sviluppo; 2- la pervasiva percezione della vulnerabilità degli insediamenti di fronte a rischi originati da più fattori: clima, terremoti, società, in un quadro in cui un diverso rapporto tra abitare e natura, con un rilevante salto dimensionale degli spazi e dei fenomeni  rispetto alle condizioni italiane ed europee, fornisce significativi elementi di valutazione e di indirizzo per le diverse strategie di intervento.
Sullo sfondodi entrambe le questioni si colloca il dibattito, innescato dalla crisi economica globale, che pone i diversi attori di fronte alle scelte tra varie politiche urbane corrispondenti a distinte opzioni nella risposta alla crisi. Politiche che si possono riassumere in tre modelli di città: dalle Transition Town nella chiave della decrescita energetica e del recupero delle risorse locali, alle Smart Cities nella fiducia degli effetti globali delle innovazioni Hi- Tech e ITC,  fino alle recenti pratiche dello Slow Urbanism con la risposta, attraverso una strategia della “lentezza”, alle sollecitazioni al bruciante consumo di beni e territori.
Come appare già nelle esperienze europee, ma ancora di più nel confronto con queste realtà latinoamericane, si percepisce la necessità di un’utilizzazione di formule ibride tra i diversi modelli, che ponga costantemente alla base dei percorsi di scelta l’interpretazione critica dei contesti e la possibilità di riconoscere nella stessa “forma dei territori” una fondamentale matrice di opportunità per realizzare nei diversi modi la geo-città di domani.

 

1. Strategie infrastrutturali e sostenibilità sociale

Escalando vida. E’ il nome che si è dato un comitato di adolescenti che, nella città di Medellin in Colombia, intendono aiutare gli anziani del barrio a usare la nuova scala mobile di 130 metri che collega il quartiere alla città formale, più giù di quasi 30 piani. Parte di un programma che da anni la città, guidata da un sindaco scrittore, persegue realizzando “senderos de conexion” tra il centro lineare – disposto lungo il fiume e la valle – e le colline dove, come in molte altre città del Centro e Sud America, si sono sviluppati gli insediamenti informali. Le altre iniziative già note, e anche premiate in una Biennale di qualche tempo fa, hanno utilizzato dei metrocables (piccoli vagoni di funicolare) che su piloni raggiungevano, con alcune stazioni, la sommità delle colline, collegando i quartieri alla veloce ed efficiente metropolitana sospesa lungo il fiume.  Ai piedi delle stazioni sono collocati servizi pubblici come scuole, ambulatori, biblioteche, centri sportivi così da innescare un processo di riqualificazione dell’intera area.
Un processo reso possibile dall’appropriazione da parte degli utenti, con la consapevolezza di partecipare ad una cosa comune.  Salendo col metrocable alla Biblioteca Espaňa di Mazzanti – tre edifici-roccia ostentati monumentalmente in cima al barrio – i bambini ti chiedono con orgoglio se vuoi essere accompagnato a visitarla. Non solo si sconfigge così l’isolamento del barrio e il ferreo controllo della malavita sugli accessi, creando all’interno del quartiere centri di attrazione per l’intera città, ma si offre la percezione evidente dell’interesse dell’amministrazione e della comunità allargata ad impiegare risorse anche ingenti per chiamare la popolazione locale a partecipare alla vita della città: escalando vida.
Quindi un intervento di “ingegneria urbana”, che mette in opera una strategia da condividere. Un modo per rendere possibile una qualità diffusa migliore con cui si deve misurare un coordinato insieme d’iniziative che realizzeranno - a partire da una reinterpretazione critica dell’esistente -  la mobile nuova forma urbana: la sua architettura. Nello stesso barrio di Santo Domingo uno slanciato (ed ecologico) ponte pedonale in legno e giunchi – ora rovinato da un fortunale - ha rappresentato il tentativo di superare più che un vuoto fisico, l’abisso sociale di un radicato e feroce conflitto tra bande che si fronteggiavano sulle due sponde e che con questa infrastruttura stanno, con fatica, trovando la possibilità di un incontro. Oggi il metrocable di Santo Domingo è stato notevolmente prolungato per raggiungere il nuovo esteso ecoparco ARVI.  Un parco perfettamente attrezzato e di rango nazionale. Così, con un’intelligente e innovativa politica infrastrutturale, si fa del barrio non più l’estremità periferica della città, ma una sua parte tendenzialmente integrata, che funge da “porta” e passaggio verso un’attrattiva preziosa e di rilevanza territoriale.

Non c’è dubbio che, come già notato su questa rivista in un precedente numero dedicato al Brasile, la declinazione dei temi della sostenibilità e dell’ecologia, in rapporto alle innovazioni offerte dalle diverse famiglie di tecniche materiali e immateriali, trova nel mondo latinoamericano un fondamentale nodo centrale nella questione del rapporto tra spazio e società in un pulsante crogiolo, acceso da laceranti disuguaglianze e conflitti. Ed è sintomatico che il diritto alla città venga immediatamente tradotto nella necessità di garantirne l’accesso, leggendo nella separazione e nella frattura del corpo della città il primo fondamentale impedimento alla possibilità di assicurare il funzionamento corretto di un metabolismo urbano che può essere migliorato soltanto in un processo di condivisione e di una partecipata visione del futuro.
Invece l’assenza di una visione condivisa sulle strategie d’intervento per realizzare, caso per caso, anche attraverso conflitti interpretativi, una comune idea di città, concorrono a mantenere inefficace e non fattuale il ruolo dell’architettura nel nostro paese. E’ proprio nel modo settoriale con cui vengono affrontati in primo luogo i diversi temi della infrastrutturazione  che si impedisce l’avvio di un percorso capace di generare le condizioni per innalzare la qualità di vita e di funzionamento nei nuovi territori-flusso.
Sono cambiati infatti i nostri territori e le nostre città. Aggregazioni non più addensate e circoscritte, ma aperte e plurali, disordinate e spesso male costruite. Ma soprattutto sono mutati gli abitanti: oggi, in tanti modi diversi, inconsapevolmente sono divenuti abitanti metropolitani. Perché fanno un uso metropolitano dello spazio che lega tra loro le diverse parti. Avviene nelle nostre grandi città, vissute per frammenti, ma avviene anche – ed è questa la perenne peculiarità italiana – nei territori della provincia attraversati – in un'ora forse di percorrenza al massimo – confusamente individuando i mobili e mutevoli confini di un’inedita altra città,  iscrivendo nei ritmi di una quotidianità possibile i diversi riti del giorno e della notte, mescolando molteplici tempi e stili di vita. Metropoli piccole le avevo chiamate qualche anno fa pensando alla realtà del medio adriatico, dove la posizione decentrata di Pescara ha permesso di aprire alcuni ragionamenti su alcune diagnosi e prospettive per le trasformazioni di questi territori, costantemente "misurati" dal paesaggio e dalle sue variazioni. Un paesaggio di dimensione spesso piccola, a confronto con il resto d'Europa e ancora più con l'America. E’ la misura - gli spazi ristretti in cui deve svilupparsi la città - a indurne la forma. Il paesaggio ne costituisce, anche se in modo quasi sempre inconsapevole, il continuo riferimento: il monumento, ed anche, in un certo senso, la struttura unitaria. Una struttura però fluida, solcata dalla "dismisura" delle reti. Ancora più dilatata nel sistema invisibile delle connessioni con il mondo. Gli elementi di questa nuova realtà si riconoscono in uno spazio posizionale, uno spazio della relazione a distanza tra le parti e del continuo rapporto tra queste e la forma del territorio.  Dove è quindi decisivo riconsiderare il ruolo strategico delle infrastrutture nella capacità non solo di risolvere i temi della mobilità, ma di divenire anche il motore della produzione di nuove organizzazioni spaziali fondate sulla messa in valore dei diversi contesti attraversati.
                                                                                                                                                                
E’ nelle ricerche che abbiamo in questi anni condotto su nuove modalità per intendere il ruolo morfogenetico delle infrastrutture e, in generale, delle diverse categorie di opere pubbliche, che abbiamo trovato e stiamo trovando un utile terreno di ricerca comune con le università della Colombia con cui è in atto un proficuo scambio di esperienze, sperimentando un approccio complesso al progetto urbano con le possibili diverse interpretazioni e declinazioni delle infrastrutture ambientali. Abbiamo in diverse occasioni – in workshop in Colombia e a Pescara – affrontato il tema di un progetto di territorio attraverso il quale è possibile conferire riconoscibilità e identità ad una nuova morfologia territoriale di scala vasta in cui si possano aggregare policentricamente  diversi sistemi insediativi nel rapporto con la sostanza geografica dei luoghi, esplorando i temi di una sostenibilità ricercata in una progettazione energetica dei territori.

 

2. Progetto urbano e rischio

“La percezione dei pericoli originati da possibili eventi che possano produrre danni agli insediamenti, impone di nuovo lo spazio complessivo dell’abitare come tema comune. Un “campo“in cui operare in accordo, per poter prevenire – necessariamente insieme – il rischio. Si genera un diverso sentire rispetto a quell’inconsapevole vertiginoso consumo del tempo e dello spazio con cui, nella contemporaneità, moltitudini di individui attraversano e costruiscono i territori del presente, senza condividere una idea di futuro. Nuovamente diviene indispensabile prendere in considerazione e mobilitare tutte le molteplici declinazioni delle valenze pubbliche dello spazio: da quelle più tradizionalmente sedimentate, fino a nuovi orizzonti di senso che nascono da diversi paradigmi di apprendimento e uso dei territori. E’ lo stesso paesaggio che, nelle sue contemporanee accezioni, entra in gioco come principale spazio pubblico e fondamentale componente  - e non semplice sfondo - di entità urbane  connesse attraverso una pluralità di reti che chiamano in gioco molti materiali diversi, tra di loro in dinamica relazione. Una più diffusa sensibilità alle questioni dell’ecologia – implicitamente connesse a multiple forme di rischio – ha condotto a dover considerare il ruolo fondamentale di molte componenti che superano i confini amministrativi e che richiedono una nuova attenzione alle “ragioni della terra”, non come superficie da occupare, ma come grande principale infrastruttura dell’abitare.” ( Barbieri 2013)
Un’interpretazione critica dei contesti è la premessa ineludibile a ogni proposta: assumere la responsabilità di un giudizio sul valore da attribuire all’esistente per guidarne la trasformazione.
In tre progetti di laurea per la città di Barranquilla abbiamo sperimentato alcune possibili declinazioni di infrastrutture ambientali in grado di risolvere ( in particolare in due casi) i problemi, lì enormi, dello smaltimento delle acque piovane lungo gli arroyos  ( strade che si trasformano in torrenti con la pioggia) che si precipitano verso il rio Magdalena. Le proposte nascono da un approccio che, attraverso la lettura e l’interpretazione dei contesti, esplora la possibilità di immaginare una nuova organizzazione cellulare della città che utilizzi il suolo nella sua dimensione tridimensionale come un dispositivo infrastrutturale in grado di risolvere diversi aspetti di un rinnovato metabolismo urbano.

Si tratta, quindi, di immaginare dispositivi a servizio di un’altra idea di città in grado di rispondere in modo più adeguato ad una diversa domanda di abitare attenta ai temi dell’ecologia e delle  diverse categorie di rischio: una geo-città.
Emerge la necessità di una specifica declinazione innovativa da attribuire a questa definizione -  la geo-città – da intendere come combinazione sostenibile tra geografie dello spazio stratificato localmente, assunte come fondamentale agente produttore di forma urbana, e nuovi assetti dell'organizzazione a rete dei processi di commutazione dei flussi che innervano la società e l'economia contemporanea. Con geo-città si suggerisce un nuovo orizzonte di senso al tema della metropoli nella postmodernità globalizzata, attraverso cui rielaborare le identità esistenti e future in una prospettiva che sollecita nuovi quadri cognitivi e progettuali, e al tempo stesso prefigura nuove modalità di governance multilivello, rifiutando approcci che delegano al mercato la costruzione inconsapevole dei nuovi assetti metropolitani.
Geo-città si affianca e s’integra con altre parole chiave intorno alle quali in questi anni sia gli studi di geografia territoriale (Harvey, Scott, Castells, Sassen, Dematteis), sia la ricerca più avanzata nel campo delle discipline architettoniche ed urbanistiche, si sono interrogati per identificare i nuovi scenari della città contemporanea: in particolare città-paesaggio (a partire dalle visioni prefiguratrici di Scharoun e di Schwarz); super-clusters (nelle elaborazioni di A.J.Scott), città-rete (secondo quanto anticipato in Italia da Dematteis), endless cities descritte con efficacia da Burdett e Sudjic.
E’ questa, dunque, una nuova entità urbana, a funzionamento metropolitano, non solo fondata sulla natura , ma costruita per suo mezzo. La natura da “sfondo”- possibile vuoto inerte o riserva protetta – deve considerarsi la protagonista fondamentale dell’organizzazione di questa possibile “geo-città”, assecondando un nuovo sentire attento alle “ragioni della terra”. Il confronto con la natura, come materiale attivo della città contemporanea e “interno” piuttosto che esterno alla nuova organizzazione metropolitana dei sistemi insediativi, ne può limitare il carattere d’incontrollabile e caotica mutabilità.
In questa prospettiva, è possibile indicare cinque azioni/chiave con cui condurre, in questo quadro, un progetto urbano più consapevole dei compiti di una trasformazione ecologicamente fondata:

1. Sovrascrivere. Aggiungere parti e modificare i contesti, nella percezione che si innalza la qualità dello spazio urbano  se interpretato come palinsesto e stratificazione, così da moltiplicarne e “ispessirne” i valori e le attribuzioni  di senso, producendo una nuova, positiva e ricca complessità;

2. Riciclare. Adattare. Rispondere alla condizione della crisi con l’utilizzazione delle triadi Reduce-Reuse-Recycle ed Economy-Equity-Envoriment. Si propone così il passaggio dall’attenzione ai prodotti – quindi agli oggetti, anche quelli edilizi e urbani – ai loro cicli di vita e ai loro flussi nello spazio e nel tempo;

3. Operare in un campo di forze. Il secolo passato ci ha consegnato una diversa percezione di una realtà tessuta nella mutevole e continua vibrazione di un cosmo relazionale dove ogni corpo (piccolo e grande) svolge un suo ruolo attraverso l’attiva presenza dei vuoti. E’ con questo molteplice universo di materiali che il progetto si deve misurare anche in rapporto all’incessante succedersi dei diversi cicli del consumo e della produzione di energia; si tratta di spostare l’attenzione dai soli edifici all’intero spazio urbano da riconsiderare, in una tendenziale organizzazione policentrica, come il campo in cui si attivano i diversi processi combinati tra scarti energetici e nuove risorse;

4. Integrare artificio e natura. Esplorare la grande metafora della porosità urbana quale condizione necessaria per assicurare, nel gioco reciproco, spesso ibrido, dei vuoti e dei pieni, degli elementi naturali, artificiali ed anche immateriali, un corretto funzionamento metabolico che deve misurarsi con una domanda, a volte inconsapevole, di un più stretto legame tra corpo, movimento, vita individuale e collettiva e organizzazione dello spazio in una concezione non nostalgica di una necessaria rinaturalizzazione delle città;

5. Progettare un suolo attivo. Nuovi cicli di vita della città e delle sue parti. Prima che dalla materialità, pur necessaria, delle aggiunte, delle demolizioni e ricostruzioni, della rigenerazione delle pietre o del fiorire di inediti dispositivi tecnologici, una nuova vita deve nascere da una diversa capacità di vedere e, soprattutto, saper desiderare un diverso futuro, al cui centro non può che esserci una necessaria riconsiderazione del ruolo del variegato insieme degli spazi pubblici. Dei vuoti, dei diversi suoli. Della stessa terra intesa come fondamentale e primaria infrastruttura da progettare. Possono questi essere spazi pubblici non semplicemente perché elargiti come tali, ma perché di essi ci si appropria considerandoli bene comune. Avendoli desiderati perché si comprende il loro ruolo indispensabile per riconoscersi come collettività Ad essi si deve, quindi, legare anche un tempo pubblico.Quello in cui si deve condurre il processo – un processo negoziale, anche conflittuale – che deve indirizzare e realizzare le trasformazioni urbane. Un processo dialogico in cui devono trovare voce i contesti, in quanto complessa rete di relazioni fisiche e immateriali: stratificazioni diverse di immaginari; memorie, attese. E’ possibile così l’ottenimento di una “visione condivisa” che può consentire di superare le strumentazioni tradizionali di governo del territorio, nella loro versione puramente prescrittiva e totalizzante, verso modalità più aperte e discorsive in grado di accogliere, nel dipanarsi dei tanti tempi del farsi della città, le istanze e i saperi di più soggetti e protagonisti della narrazione urbana.

Questa generale ipotesi di lavoro è alla base di una nuova proposta di ricerca oggi allo studio nell’ambito della convenzione tra il nostro Dipartimento di Architettura di Pescara e due Facoltà di Architettura di Bogotà (La Salle) e di Barranquilla. S’intende verificare il ruolo delle infrastrutture ambientali nella riorganizzazione dei territori in un caso di studio di forte rilevanza: la possibile creazione di una nuova entità urbana/metropolitana nella costa della Colombia nel tratto compreso tra Cartagena e Santa Marta con al centro lo sbocco della grande arteria naturale/infrastrutturale del Rio Magdalena: la possibilità quindi di immaginare le forme di una nuova estesa città/territorio della Costa. E’ una visione al futuro che potrà consentire di operare una revisione ed innovazione degli strumenti e metodi della progettazione urbana e architettonica, fornendo alle popolazione e ai soggetti pubblici e privati interessati un insieme di scenari su cui costruire un processo di confronto e possibile consenso.



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